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COMUNICATO STAMPA (a cura di Giuseppe LIGUORI)

per

la conferenza-stampa  "Uganda: 20 anni di dittatura"

26 gennaio alle ore 12 - Palazzo Montecitorio - Roma

 

Il 26 gennaio 1986 il generale Museveni prese con le armi il potere in Uganda ed instaurò un regime dittatoriale. Dopo 20 anni, i gruppi parlamentari dei Verdi e di Rifondazione comunista hanno deciso di convocare una conferenza stampa sulla situazione politica ugandese, che si terrà a Palazzo Montecitorio giovedì 26 gennaio alle ore 12.

In Uganda, Stato dell’Africa orientale con circa 27 milioni di abitanti, il 23 febbraio 2006 si terranno le elezioni presidenziali. La comunità internazionale dubita fortemente della regolarità di queste elezioni, soprattutto considerando che il leader del principale partito d’opposizione (Forum per il cambiamento democratico), dr. Kizza Besigye, si trova in carcere dal 14 novembre 2005 con accuse politicamente motivate. La moglie di Besigye, ingegner Winnie Byanyima, in una lettera datata 24 dicembre 2005 al più importante magistrato dell’Uganda, il “Chief Justice” Benjamin Odoki, ha accusato il presidente-dittatore Museveni di aver corrotto la “Deputy Chief Justice”, signora Laetitia Kikonyogo ed un giudice dell’Alta Corte, Remmy Kasule, consegnando 200 milioni di scellini alla prima e 100 milioni al secondo, al fine di evitare la scarcerazione su cauzione del dr. Besigye (300 milioni di scellini equivalgono a circa 140.000 euro).

Amnesty international nel suo rapporto 2005, Human Rights Watch, il Dipartimento di Stato americano ed altre organizzazioni hanno più volte denunciato le gravissime violazioni dei diritti umani effettuati dall’esercito governativo e dai servizi segreti ugandesi: torture, esecuzioni extra-giudiziali, stupri, uso eccessivo della forza, ecc. La Corte internazionale di giustizia dell’Aja il 19 dicembre 2005 ha condannato l’Uganda per l’invasione del Congo ed i crimini di guerra commessi dal 1998 al 2003. Si tratta di una sentenza definitiva, contro la quale non c’è dunque possibilità di appello. Il Tribunale dell’Onu, nella sua sentenza di 100 pagine, ha anche condannato l’utilizzo di bambini-soldato ed il saccheggio delle risorse naturali del Congo compiuto da alcuni ufficiali dell’esercito ugandese, tra i quali il generale Salim Saleh, fratello di Museveni. L’Uganda è stata infine condannata al pagamento di una forte somma al Congo, come riparazione per i crimini commessi. La Corte internazionale di giustizia, pur concedendo alle due parti la possibilità di trovare un accordo extra-giudiziale sulla somma, ha ritenuto congrua la richiesta congolese di ottenere un risarcimento di 10 miliardi di dollari.

Nel Nord dell’Uganda il governo ha costretto ormai da molti anni un milione e mezzo di cittadini a vivere in orribili campi di concentramento, privi di case e di adeguati servizi igienici, dove, secondo un rapporto Onu del 2005, muoiono mille persone alla settimane per malaria, Aids, dissenteria e violenza ed il tasso di mortalità è il più alto del mondo. Il Parlamento ha decretato formalmente che il Nord è una zona di disastro umanitario, ma il governo ha sconfessato questa decisione.

A causa di queste gravissime violazioni dei diritti umani, nel corso del 2005 alcuni governi europei (Regno Unito, Irlanda, Norvegia, Olanda e Svezia) hanno deciso di diminuire il finanziamento diretto al governo di Kampala ed hanno preferito dirottare i fondi verso le agenzie delle Nazioni Unite (Unicef, PAM, ecc.) che operano nel Nord Uganda. Il governo italiano, invece, continua a sostenere, politicamente e finanziariamente, il regime di Museveni. Come mai? Riceve forse in cambio la concessione di appalti, come per esempio la costruzione della tangenziale Nord di Kampala, alla cui realizzazione sta lavorando da alcuni mesi la Salini costruttori S.p.A.?

I gruppi parlamentari di Rifondazione comunista e dei Verdi chiedono al governo italiano un’esplicita condanna delle violazioni commesse dall’Uganda, un’immediata sospensione del finanziamento diretto al governo di Kampala ed un impegno forte nel monitorare le elezioni presidenziali del 23 febbraio 2006. Senza un intervento deciso della comunità internazionale, l’Uganda rischia di precipitare in una spirale di violenza simile a quella che colpì il Rwanda nel 1994.

 

Roma, 2 gennaio 2006