Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Frutto della giustizia sarà la pace – Lamezia (Sambiase) 20/11/2002

1) Introduzione: Dio è l'amore che salva

L'amore che salva ci sembra la formulazione più adeguata per indicare l’agire di Dio per la storia degli uomini e nella storia degli uomini. Pur lasciando intatto il compito dell’uomo nel mondo, c’è un vero agire da parte di Dio per coloro che egli ama e che vuole salvare. Si può parlare di incontrabilità di Dio nel mondo e nella storia. Possiamo incontrarlo soprattutto perché egli ha voluto incontrarci attraverso il mistero dell'incarnazione. Con questo atto Dio conferma il valore della stessa storia, il nostro valore in essa e la direzione giusta nella quale questa deve camminare[1].

L’incarnazione segnala il senso della storia umana e la direzione che l’agire di Dio segue per la salvezza dell’uomo: un’azione efficace che tuttavia non è interferire, né mescolarsi, né sostituirsi all'agire umano. È però un vero agire, con un progetto e con ciò che occorre al suo conseguimento. Non un agire in solitudine, ma in sinergia con gli uomini che sono nel mondo e che “fanno la storia”. Dio la fa con loro, attraverso forme e modalità che la teologia deve cercare di chiarire al meglio. In ogni caso il suo è un agire mirato alla salvezza e motivato dall’amore.

Dio si fa prossimo dell’uomo: si immedesima in loro e compie l’evento di tutti gli eventi favorevoli all’uomo stesso. Intorno all’incarnazione ruotano i kairòi, cioè i momenti di grazia attraverso i quali passa l’amore concreto e storicizzato di Dio. L’amore di Dio diventa storia e appuntamento d’amore. Una storia e un appuntamento che hanno un nome e un volto: Gesù di Nazareth. Con lui l’Assoluto intercetta la nostra storia relativa, l’Onnipotente si assoggetta alle nostre fragilità ed impotenze, l’eternamente Beato solidarizza con infelici, con gli impoveriti, con le vittime dell’ingiustizia, fino a diventare un tutt’uno con loro e con la loro volontà di riscatto. Il suo intervento si immette nella realtà sociale, sovente ingiusta e a svantaggio dei più deboli. Egli interviene e chiama ad intervenire perché in situazioni segnate dalla violenza la pace sia non una copertura dell’ingiustizia, ma il ristabilimento della giustizia. Perché, come dice il titolo di questa conversazione, la pace sia il frutto della giustizia. Un’espressione ricca di tanti significati che troviamo formulata in Isaia. Il testo dice in realtà:

«Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri, anche se la selva cadrà e la città sarà sprofondata. Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli e lascerete in libertà buoi e asini» (Is 32,16-20).

Partiamo da questo testo, tralasciando le questioni più teologiche sul modo di intervenire di Dio, con un modo tale da lasciare all’uomo tutta la sua libertà, ma anche sì da garantire tutta la sua fedeltà alla promessa del suo amore che salva[2]. Vedremo brevemente come la pace e la giustizia “camminano insieme” nella Bibbia e come debbono essere coniugate insieme anche nell’agire della Chiesa e di noi cristiani

2) Pace e giustizia camminano insieme nella Bibbia

Possiamo partire da un’affermazione che nessuno può smentire e cioè che la pace che Dio garantisce nella Bibbia per tutti i suoi figli non è copertura dell’ingiustizia, né neutralità né equidistanza. La Bibbia mostra un Dio che è a favore e pertanto agisce a fianco degli svantaggiati, dei piccoli, dei perdenti e delle vittime dell'ingiustizia. La motivazione teologica ultima di tutto ciò è nell’affermazione centrale della Bibbia che il suo è un regno di giustizia e di pace. La Bibbia collega in maniera inscindibile la realizzazione della pace con il ristabilimento della giustizia. Sono realtà teologiche variamente espresse. Nelle diverse formulazioni bibliche, dovute anche alle differenti tradizioni orali antecedenti agli attuali testi, cambiano le parole, ma non la sostanza. La pace, lo shalom, è una situazione positiva per l’uomo in tutte le sue componenti (benessere ed essere bene). Talora è in rapporto così stretto con l'alleanza o con la legge (torah), da identificarsi con esse. Infatti, viene spesso affermato che la fedeltà a Dio è fonte di felicità per l’uomo. Il brano già citato di Isaia afferma nella prima alleanza che «effetto della giustizia sarà la pace» (Is 32,17), l’apostolo Giacomo scrive in quella definitiva: «un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace» (Gc 3,18). La prima e la seconda formulazione possono essere considerate una specie di inclusione letteraria che le stringe in una piena reciprocità. Al punto che sono ugualmente efficaci e valide entrambe le espressioni: «la pace è effetto dalla giustizia» e «la giustizia è effetto della pace». Esse affermano nei fatti, negli effetti, una realtà inscindibile, così come sono inscindibili pace e giustizia nell’agire di Dio e nella sua stessa entità divina. Il suo regno (la sua azione nel mondo) non può prescindere da queste dimensioni presenti anche nella sua stessa natura.

Di conseguenza anche il regno di Dio e la prassi di pace camminano insieme. Dio agisce sempre in maniera misericordiosa e liberante, persegue il disegno di ristabilire il diritto e la giustizia. Il suo è un regno di pace e pertanto di liberazione, così come deve essere quello del suo unto, del suo consacrato e, di conseguenza del suo Messia:

«regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine. Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore. (Sal 72,3‑4).

Pace e giustizia è il binomio che contrassegna i tempi maturi del messia. Si ritrova in molti salmi. Nel salmo 85 troviamo la celebre espressione:

«misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno, la verità germoglierà dalla terra e la giustizia di affaccerà dal cielo» (Sal 85,11‑12).

In altri salmi le troviamo associate alla regalità di Dio come realtà che più che a suo esclusivo onore, è invece pratica della giustizia e ristabilimento del diritto. Sono corollari naturali della grazia e della fedeltà:

«È potente il tuo braccio, forte la tua mano, alta la tua destra. Giustizia e diritto sono la base del tuo trono, grazia e fedeltà precedono il tuo volto. Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto» (Sal 89, 14-17);

«Il Signore regna, esulti la terra, gioiscano le isole tutte. Nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e diritto sono la base del suo trono» (Sal 97, 1‑2).

Si tratta di una giustizia che non mira a distruggere, ma a correggere, è una peculiarità di chi facilmente si impietosisce. Infatti:

«Paziente e misericordioso è il Signore, lento all'ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,8-9).

È colui che si impietosì del suo popolo stretto, al pari del suo nome, in un fuoco di rovi, indomabile come una libertà che egli vuole assolutamente ristabilire in quei suoi figli ridotti a schiavi. Come parlando da quel rovo,

<<il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso …»>> (Es 3,7-8)

È lo stesso Dio dell’alleanza che, scendendo nella nube, luogo d’incontro tra il divino e l’umano, proclama davanti a Mosè:

«Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34,6).

La sua misericordia diventa nel profeta Zaccaria pace e verità, che sono caratteristiche di una salvezza messianica (Zc 8,19). Qui la salvezza nasce da un «seme di pace»:

«Ecco, io salvo il mio popolo dalla terra d'oriente e d'occidente: li ricondurrò ad abitare in Gerusalemme; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, nella fedeltà e nella giustizia […] È un seme di pace: la vite produrrà il suo frutto, la terra darà i suoi prodotti, i cieli daranno la rugiada: darò tutto ciò al resto di questo popolo». (Zc 8,7‑8.12).

In definitiva dalla pace fiorisce la realtà liberante e gioiosa del messianismo e il messianismo porterà la pace. La promessa messianica è declinata indifferentemente come alleanza e come pace. La pace stessa è il frutto più bello dell’alleanza, detta anche alleanza di pace (Nm 25,12; Is 54,10; Ez 34,25). Un pensiero molto simile a quello di Malachia, in cui compare l’espressione «alleanza di vita e di pace»:

«La mia alleanza con lui era alleanza di vita e di benessere (shalom) e io glieli concessi; alleanza di timore ed egli mi temette ed ebbe riverenza del mio nome. (Ml 2,5).

In questo contesto complessivo si comprende meglio ciò che sembra il cuore del vangelo di Gesù. Il suo discorso inaugurale con l’affermazione «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9) ricapitola e rende attuale ogni precedente profezia. Annuncia che è ormai arrivato quel regno di Dio tanto atteso. Vi appartengono i facitori di/della pace (eirenepoioi) perché realizzano la giustizia di Dio. Ne sono come il frutto più maturo. Essi infatti sono quelli che hanno fame e sete di giustizia, gli stessi che hanno pianto per l’oppressione subita e che, ciononostante, sanno perdonare ed hanno il cuore trasparente:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,3-8).

Su questa scia si comprende anche l’insegnamento di Paolo, quando afferma:

«Il Regno di Dio...non è questione di cibo o di bevande, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini» (Rm 14,17‑18).

Le beatitudini di Gesù sembrano echeggiare nel suo invito finale. Paolo riprende le variazioni dei beni messianici dello shalom, quali la giustizia, la gioia (Gal 5,22; Rm 15,13) e l'unità (Ef 4,3) e conclude: «diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19).

3) Pace e giustizia camminano insieme nel popolo di Dio

Da tutto il discorso finora fatto ne scaturisce una conseguenza fondamentale per il popolo di Dio: chi crede nella realizzazione del messianismo crede nella pace come cuore del vangelo. Ciò sembra riprendere l’invito che era già di Isaia: «Aprite le porte: entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà» (Is 26,2). Di quale popolo si tratta? Che cosa lo caratterizza? È il popolo della pace. È composto da quanti sono nelle condizioni di sentirsi dire: «il suo animo è saldo; tu (Dio) gli assicurerai la pace, pace perché in te ha fiducia» (Is.26,3).

Tutto armonioso e senza conflitti dunque? Tutto soddisfacente anche ai fini della realizzazione della giustizia? Non proprio. Si tratta di una pace che non può occultare i conflitti, né può legittimare la violenza. In realtà gli oppressori restano tali e come tali vengono smascherati. Gli oppressi sono invece coloro ai quali Dio si rivolge, per mantenere le sue promesse. La comunità a cui Dio pensa non può essere la città fondata sul sangue. Sarà piuttosto la città riemersa dalla ceneri di una società ricostruita dalle sue fondamenta:

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna; perché egli ha abbattuto coloro che dimoravano in alto; la città eccelsa l'ha rovesciata fino a terra, l'ha rasa al suolo. I piedi la calpestano, i piedi degli oppressi, i passi dei poveri» (Is 26,4‑6).

Non è solo un tema della prima alleanza. È presente espressamente nell’inno di Maria di Nazareth, quando davanti ad Elisabetta, Maria proclama profeticamente:

«Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53).

La pace pertanto è teologicamente e, starei per dire “politicamente”, qualificata come ristabilimento della giustizia. Solo come tale, rappresenta l’opzione di Dio per gli oppressi, in vista della loro riscossa. È proprio necessario? Certamente, perché nel caso contrario non sarebbe vera pace, ma solo un ingiusto coesistere di ingiustizia di violenti e di passiva sopportazione di oppressi. Pertanto Dio non vuole un culto che non affronti il problema dei rapporti tra gli uomini e tra i popoli. Rifiuta ciò che è compiuto solo per devozione verso il tempio:

«Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo. Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo! Poiché, se veramente emenderete la vostra condotta e le vostre azioni, se realmente pronunzierete giuste sentenze fra un uomo e il suo avversario; se non opprimerete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargerete il sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia altri dei, io vi farò abitare in questo luogo, nel paese che diedi ai vostri padri da lungo tempo e per sempre» (Ger 7,3-7).

Dimenticare queste parole, praticando opere cultuali e trascurando la giustizia, significa meritare il rimprovero di Dio, che attraverso Geremia, rinfaccia l'ipocrisia di proclamare: «Pace, pace» mentre non c'è pace, «perché dal piccolo al grande commettono frode» (Ger 6, 13‑14).

Gesù raccoglie, radicalizza e motiva questa tradizione profetica. Dimostra con le parole e con i fatti che è venuto a portare pace non accomodante, ma a denunciare le ingiustizie e ad annunciare un nuovo modo di vivere e di essere. A costo di non essere sempre capito:

«Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Lc 12, 49-51).

Tuttavia la pace che Gesù porta nel mondo con l’inaugurazione del Regno è la pace messianica, che iniziata con lui, avanza come fermento di una liberazione che arriva fino al creato. Con la risurrezione inizia la realizzazione dell’utopia della riconciliazione cosmica estesa agli animali (Os 2,20).

4) Seguire Gesù costruendo la pace e realizzando la giustizia

Pace e giustizia contraddistinguono l’agire del cristiano, che vuole seguire Cristo come re di pace, cioè come messia. L’avvento ormai prossimo ci riproporrà le antiche profezie su di lui. Tra queste, ricordate Isaia? Egli affermava:

 «Un bimbo è nato per noi, c'è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno che egli viene a consolidare e a rafforzare con il diritto e la giustizia» (Is 9,5‑6).

In Gesù si ritrovano mitezza e umiltà, che ne fanno il re umile e nello stesso tempo vittorioso, pacifico e giusto, descritto dal profeta Zaccaria:

«Ecco viene a te il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina» (Zc 9,9).

Il suo non è solo un nuovo stile di regnare, ma un nuovo programma politico. Un programma alternativo a quello solito. Altri sovrani dedicavano risorse ed energie per rafforzare gli eserciti. Il messia farà scomparire le armi dal paese e instaurerà una pace basata sulla giustizia:

«Farà sparire i carri (di guerra) da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco da guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti»(Zc 9,10).

Il suo regno vedrà reciclate le armi in strumenti di lavoro:

«forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2,4).

È un’opera alla quale egli chiama quanti entrano nel suo regno. Essi accedono a questa nuova dimensione etica: alla pratica della giustizia come manifestazione efficace della pace messianica.

Con la nascita di Gesù si realizzano «gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). La pace sulla terra coinciderà con quella del cielo nel momento in cui il Messia entra in Gerusalemme per il suo atto conclusivo:

«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (Lc 19,38).

Gli apostoli prima e tutti i cristiani dopo sono coinvolti nell’annuncio di una pace, accompagnata da segni che migliorano la condizione umana, liberando gli uomini dalle oppressioni interiori ed esteriori. Con l’augurio di pace devono infatti camminare insieme precise opere di liberazione:

«Guarite gli infermi , risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni … Entrando nella casa, rivolgete il saluto [cioè augurate lo shalom]» (Mt 10,8.11).

Il discepolo di Gesù partecipa all’opera messianica della liberazione degli oppressi, che dà concretezza storica alla proclamazione della lieta notizia ai poveri:

«… mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore. (Lc 4,16‑19).

Al pari di Gesù, i discepoli realizzano un pace che è amore fattivo verso i derelitti e i sofferenti; che chiama gli esclusi, difende i condannati.

È annuncio che nuovi rapporti umani sono possibili, rapporti di convivenza e di rispetto della diversità.

La promozione della pace si accompagna alla pratica della giustizia, nell’annuncio di un nuovo mondo senza le armi, che sono una palese ingiustizia. Lo sono nella loro produzione, che assorbe ingenti risorse economiche, sottratte ai propri cittadini e ai più poveri. Questi sono sempre più impoveriti dagli armamenti. Le armi sono espressione dell’ingiustizia per il loro possesso, per la pericolosità enorme di distruzione di massa che comportano. Lo sono per le folli spese del loro aggiornamento e perfezionamento.

La pace si accompagna alla ricerca della giustizia quando si annuncia un nuovo modo di gestire il denaro e una nuova prassi di economia. All’ingiustizia dei mercati, che strangolano i più piccoli, si propone una globalizzazione dei diritti e della solidarietà. All’ingiustizia del globale abbandonato a se stesso, che aumenta il benessere di pochi e investe solo su beni funzionali all’arricchimento di singoli, di multinazionali, di centrali e di potentati economici, si deve contrapporre un’informazione sul malessere spirituale e culturale tanto dei favoriti da questo circuito che degli sfavoriti. Si deve contrapporre con metodo nonviolento tutto ciò che oltre a informare, propone e già realizza progetti ed esperienze che mirano a creare rapporti economici più equi e più paritari, nella ricerca di una reciprocità che faccia emergere i più svantaggiati.

Contro l’ingiustizia perpetrata massicciamente verso la natura, si deve praticare una pace giusta anche nei suoi confronti. Per rispetto verso quella casa dell’uomo che essa rappresenta e per un atto di giustizia, oltre che di carità, verso quanti abiteranno questa terra dopo di noi.

La pace sarà ancora coniugata con la giustizia nell’impegno per l’accoglienza degli stranieri e il rispetto dei diversi nella nostra società.

Solo a queste condizioni, potremo dire che il regno di Dio passa anche attraverso il nostro sentire e il nostro agire, il nostro vivere di Cristo e il nostro essere con gli altri. La stessa impostazione problematica se bisogna prima convertire se stessi oppure mettere subito mano alla prassi della pace si manifesta speciosa. In realtà l’uno e l’altro aspetto, al pari della pace e della giustizia, camminano insieme[3].



[1]Cfr. sull'intera questione G. MAZZILLO, "Incarnazione di Cristo e storia" in Rassegna di teologia 34 (1993) 363-367.

[2] I più esigenti dal punto di vista teologico tengano presenti le differenti impostazioni teologiche con cui si media l’agire di Dio in rapporto all’agire dell’uomo. Le posizioni vanno da un escatologismo radicale che non prevede la cooperazione umana nella gratuita e imprevedibile irruzione del Regno (cfr. la posizione di K. Barth) all’incarnazionismo, che ritiene che con l’incarnazione Dio abbia offerto ai cristiani la possibilità di costruire il Regno nella fedele sequela del Risorto (cfr. teologia delle realtà terrestri), all’escatologismo moderato, che ritiene che il Regno irrompe pur sempre per libera iniziativa di Dio, ma che per sua munificenza tiene in considerazione anche la collaborazione umana assecondata dalla Grazia (Y. Congar, H. Urs Von Balthasar) e la posizione della trascendenza della storia, che interpreta l’agire di Dio nel mondo in modo non predicamentale, cioè non secondo le modalità tipiche delle creature, ma in quanto fonda e crea le condizioni per cui le creature agiscano. Gli uomini possono trascendere se stessi nel loro operare e accostarsi sempre più alla venuta del Regno (T. de Chardin, K. Rahner, J.B. Metz e i teologi della liberazione in genere). Cfr. C. MOLARI, «Storia e Regno di Dio: problemi teologici e conflitti pastorali prima e dopo il Concilio» in AA.VV., Venti anni di Concilio Vaticano II. Contributi sulla sua recezione in Italia, Borla, Roma 1985 e C. MOLARI, Introduzione all’edizione italiana, in I. ELLACURIA - J. SOBRINO, Mysterium liberationis ..., op. cit., 12-15.

[3] «In tema di conversione, lalternativa prima la conversione personale o prima la conversione delle strutture? è una falsa alternativa. Non ci sono propriamente da un lato le strutture e dallaltro le persone in relazione, bensì relazioni umane strutturate. Sarebbe illusorio pretendere di ottenere risultati di strutture giuste senza modificare, o prima di modificare la moralità delle coscienze. Ma non meno illusorio sarebbe il pensare ad una vera conversione delle persone, lasciando tra parentesi per un tempo futuro il problema delle strutture della convivenza reale» (S. Bastianel, «Strutture di peccato. Riflessione teologico-morale», in Id. (ed.), Strutture di peccato. Una sfida teologica e pastorale, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1989, 37-38).