Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

G. MAZZILLO (20/08/02) in risposta agli interventi di Gianni Florio (16/07/02) e di M. Pucci (15-08-02)

In attesa di un'eventuale replica da parte di Gianni Florio si pubblica qui la risposta di Michelangelo Pucci (datata 15.08.02) al precedente intervento di Florio (16.07.02)  su scienza e teologia.  Da parte mia mi limito a chiarire il senso delle mie parole, alle quali si fa riferimento. Non erano "bacchettate", né volevano esserlo, ma solo l'espressione di un disagio per una situazione di stallo in un dialogo che, come anche l'ultimo testo dimostra, non sembra faccia qualche passo in avanti. La causa a me sembra un rifiuto totale, da parte di  M. Pucci, a riconoscere un qualche valore scientifico alla teologia. La concausa, collegata alla prima, è la considerazione eccessiva della scienza stessa, in un'accezione che la stessa "Filosofia della scienza" ritiene superata. Ecco infatti cosa scrive Giulio Girello nel suo libro "Introduzione alla filosofia della scienza", Bompiani 1994: "Come abbiamo visto (nel capitolo primo di questo volume), per Popper come per Lakatos la ricerca scientifica comincia col porre dei problemi e procede risolvendoli. Ma questo "comodo viaggio verso i massimi sistemi" - come lo chiama Feyerabend - non tiene conto del fatto che quelli che sono visti come problemi per un dato schema concettuale, diciamo T(1) per brevità, risultano alla luce di un nuovo schema T(2) "mal posti", "formulati in modo scorretto" e, comunque, "non pertinenti": per dirla con Feyerabend (1975), "problemi di questo genere non vengono risolti, bensì vengono dissolti ed estromessi dall'ambito dell'investigazione legittima" [...]. Il testo prosegue, nel suo ultimo capitolo su "Incommensurabilità e confrontrabilità",    riportando i casi più vistosi di confronto a livello di impostazione scientifica, fino a presentare le "teorie rivali" e a citare una battuta di Kip Thorne, che sebbene personalmente non mi senta di sottoscrivere, la trovo utile perché fa sorridere su  certe nostre pretenziose asserzioni scientifiche: "lunedì, mercoledì e venerdì crediamo nella relatività generale, mentre martedì, giovedì e sabato crediamo nella teoria Brans-Dicke (domenica andiamo al mare)" (citato da Girello, 393). La conclusione? Anch'io ammiro e cerco di non perdere mai di vista le scienze fisico-matematiche e le scienze umane. Ritengo che esse abbiamo dato e possano dare ancora dare molto al miglioramento dell'umanità. Salvo le controindicazioni, alcune delle quali sono state già opportunamente ricordate da M. Pucci in un testo precedente. Esse, purtroppo, non sono mancate e temo che non mancheranno e saranno anche più gravi, se non interverrà  un qualche autocontrollo etico. Non ritengo però le scienze in  oggetto né ultimative, né esaustive per la conoscenza del nostro complesso mondo umano. L'adagio di Agostino di rientrare in se stessi, "perché - egli aggiunge - nell'interiorità dell'uomo abita la verità", è un invito a prendere in considerazione quell'altro Incommensurabile che pur avvertiamo e che non possiamo liquidare in nome di dinamismi psichici opportunisticamente ribattezzati "teogonici".  La Trascendenza  è - lo so bene - una voce che per vari motivi talora si vuole spegnere, anche dicendo che essa non può essere che una voce immanente e solo immanente. Dicendo che non può esistere. Ma ciò non esclude che essa possa essere davvero una tra-scendenza, cioè uno scendere oltre se stessi per ritrovare dell'altro, cioè qualcosa  di Inedito. Chi può escluderlo? La scienza stessa ha rinunciato a farlo, perché, correttamente, ha riconosciuto i suoi limiti. E la teologia? Può forse pretendere di parlare in nome della Trascendenza? Certo non lo può, come se fosse la sua voce e la sua dimostrazione empirica. Può però - e non sembri poco - tenere la porta aperta su di essa. Dando per presupposto - anche se non empiricamente dimostrato - un poter venir incontro della Trascendenza alla ricerca dell'uomo, può ancora, negativamente, indicare le contraffazioni della Trascendenza in nome della religione (superstizione, magia, casi di masochismo  e di violenza in nome del sacro, fondamentalismi, intolleranze di vario genere, abuso di potere anche religioso ecc.). Positivamente può studiare i processi, le forme culturali, linguistiche e storiche attraverso i quali è passata e passa non solo la ricerca dell'uomo sulla tracce della Trascendenza, ma anche il cammino della Trascendenza sulle tracce dell'uomo. In questo senso anche la teologia è una forma critica di conoscenza (pur senza poter e dover sindacare sulla sua ultima ipotesi che è quella della dimostrabilità empirica della Trascendenza - che, per essere tale, è per definizione non empiricamente disponibile).  Per queste ragioni si può ritenere scienza anche la teologia, che si differenzia dalla filosofia per queste sue stesse caratteristiche. Pur non negando la difficoltà di un'applicazione univoca della scienza alla teologia, si può però condividere l'opinione di chi scrive:
"Il qualificativo 'scienza'  applicato alla teologia è ambiguo, nella misura in cui non si può confondere l'ideale aristotelico della scienza con le esigenze della 'scienza'   intesa in senso moderno. Tuttavia non si può rifiutare alla teologia un certo statuto scientifico in quanto si sforza di tendere, in modo metodico e critico, a una conoscenza ordinata del suo oggetto proprio che è Dio. Ciò è vero delle scienze teologiche ausiliarie (esegesi, storia delle dottrine e delle istituzioni, storia ecclesiastica ecc.) che hanno sostituito l'antica teologia positiva e che in epoca moderna hanno acquisito autonomia e rigore. Ma è anche vero della teologia speculativa (o teologia sistematica) che cerca di manifestare la logica interna della fede e di raggiungere una migliore intelligenza dei misteri cristiani, utilizzando tutte le risorse della ragione filosofica" (Voce "teologia come scienza della fede" in P. Poupard (diretto da), Grande dizionario delle religioni, Cittadella - Piemme, Assisi - Casale Monferrato 1990, p.2114s). In definitiva, pur dovendo tener conto di  queste e di altre, ulteriori e doverose precisazioni, il testo di G. Florio arriva a queste stesse conclusioni  e il suo argomentare  appare all'altezza sia delle  sue conoscenze fisiche che di quelle teologiche.  G. Mazzillo

M. PUCCI RISPONDE ALLA LETTERA DI G. FLORIO

Dopo l’ultima lettera di don Giovanni, che alle mie argomentazioni rispondeva con “non ne ho la voglia, né il tempo”, bacchettandomi per una mia presunta “deformazione professionale” e accusandomi di aver assunto “il cipiglio del docente che pensa di dover sempre e solo correggere nell’altro”, avevo deciso di non intervenire più nel vostro dibattito sull’argomento.

Letto per caso l’intervento del prof. Gianni Florio, che ho apprezzato per la parte dedicata alla scienza, molto puntuale e corretta, ho deciso di intervenire, e questa volta, lo giuro, per l’ultima volta, perché  non posso condividere la parte dedicata alla teologia, che mi è parsa confusa nelle argomentazioni e comunque non all’altezza della prima parte e soprattutto della sua bella laurea in fisica.

Le mie osservazioni sono intermezzate in corsivo nel suo testo.

 Tutto questo per capire che non esiste una teoria sempre vera ovunque, le teorie fisiche sono come le scarpe, ci sono da passeggio, da riposo o da alpinismo, a secondo del bisogno uso il modello adatto.

Su questo punto non sono d’accordo! Le teorie fisiche che si sono succedute nella storia non sono da considerarsi in contraddizione tra loro, né le precedenti superate dalle successive, né le une indipendenti dalle altre, né alternative “come le scarpe” da usarsi a seconda del bisogno! Ogni teoria ha semplicemente compresa la precedente allargandone il campo, senza invalidare la spiegazione della teoria precedente, la nuova teoria comprende in una spiegazione più comprensiva sia i fenomeni già conosciuti sia quelli di nuova conoscenza. Per esempio: la geometria non euclidea non invalida quella euclidea, ma senza rinnegarne gli studi estende il suo campo di ricerca a superfici non solamente piani e a spazi non previsti da Euclide; la teoria della relatività non invalida la fisica classica, ma ne offre una spiegazione che nello stesso tempo comprende la spiegazione precedente e la amplia. La formula di trasformazione di Lorentz dà ragione della variazione della lunghezza di un “mobile” in funzione della sua velocità. Questa variazione, alle velocità molto contenute dei mezzi di locomozione della nostra esperienza quotidiana, è tanto piccola (miliardesimi di mm) che è praticamente valutabile come inesistente, alle velocità prossime a quella della luce invece la variazione diventa sensibile. Facciamo l’esempio del treno einsteiniano: un treno lungo 100 metri che procedesse alla velocità di 260.000 Km al secondo si accorcerebbe fino a metri 48,88876515698, lo stesso treno che procedesse alla velocità di 1 Km al secondo pari a 3.600 Kmh  si accorcerebbe solo fino a metri 99,9999999994444. Per questo, dal punto di vista pratico, ai “mobili” dotati di velocità contenuta si continuano ad applicare le leggi della fisica classica che non tengono conto delle variazioni infinitesimali.

 Il punto del dibattito è se la teologia sia scienza.

Ovviamente se come scienza intendiamo ciò che in una Università deve afferire alla Facoltà di Scienze Naturali, Fisiche e Matematiche, allora non è una scienza. Ma  se allarghiamo i nostri orizzonti e  riteniamo come scienza tutto ciò che con metodo rigoroso porta ad ampliare le nostre conoscenze (pròtasi), allora è senz’altro una scienza (apodosi). –

L’apòdosi è vera se la protasi è vera! In questo caso la protasi è falsa. Nella protasi vi è un errore radicale poiché nessun filosofo e nessuno scienziato ritiene <scienza> “tutto ciò che con metodo rigoroso porta ad ampliare le nostre conoscenze” se non ciò che poi viene verificato sperimentalmente. Se la verifica sperimentale è impossibile l’asserzione resta una mera ipotesi filosofica. Se la verifica sperimentale non conferma il supposto, l’ipotesi cade.

Innanzitutto il primo gruppo di discipline teologiche, cui accennato dal punto di vista pratico non si discosta quasi per nulla dalle cosiddette scienze umane. –

L’asserzione potrebbe essere vera se con il termine “scienze umane” si intende la filosofia. Questa infatti pur procedendo con metodo rigoroso, al pari della teologia, non potendo beneficiare della verifica sperimentale, nessuno si è mai sognato di qualificarla “scienza” nel significato proprio. Se invece con il termine “scienze umane” si intendono la psicologia, la sociologia, la storia, ecc., l’asserzione è falsa poiché tra le discipline teologiche e le scienze umane vi è un abisso! Vi è diversità di natura dell’oggetto e diversità assoluta di metodo! Contrariamente alle discipline teologiche, le scienze umane hanno per oggetto fatti osservabili verificati sperimentalmente. 

La catechesi in fondo non è altro che pedagogia applicata a contenuti religiosi, così possiamo stabilire un certo nesso tra la pastorale e le scienze sociali e così via.

Per quanto riguarda la catechesi e la pedagogia, c’è da precisare che la pedagogia si distingue dalla didattica. Mentre la pedagogia è la scienza che studia tutti i fenomeni educativi, i soggetti coinvolti, le finalità e i metodi, di volta in volta sottoposti alla verifica dei risultati, la didattica è l’attività pratica che, seguendo determinate regole, si occupa di trasmettere i saperi: letterario, matematico, scientifico, filosofico, storico, medico, ecc.. La catechesi non è pedagogia, ma è didattica dei contenuti religiosi. E, anche se c’è una scienza della didattica, non per questo fatto ogni oggetto della didattica assume la qualifica di “scientifico”, infatti si possono insegnare, seguendo le più rigorose regole della didattica, la magia, l’astrologia, ecc. e non per questo la magia e l’astrologia diventano scienza. Per essere più esplicito: non metto in dubbio che la catechesi moderna segua le rigorose regole della didattica, ma non per questo automaticamente i contenuti della catechesi diventano contenuti scientifici. Per quanto riguarda il nesso fra “la pastorale” e “le scienze sociali” non c’è nesso, se non il fatto che l’autore della pastorale si rivolge ad un pubblico, ma la pastorale non è assimilabile neppure lontanamente ad una scienza sociale!

 Le Scienze Bibliche di fatto usano gli strumenti di qualsiasi filologo, linguista o studioso di testi antichi.

Le discipline bibliche, anche se utilizzano gli strumenti del filologo, del linguista, ecc., che sono strumenti scientifici, non per questo conferiscono ad esse la qualifica di “scienze in senso proprio” (vedere sopra il discorso sulla didattica e la catechesi. La differenza è che il biblista ritiene ispirato da Dio il contenuto di ciò che studia. Ma questo lo affronto insieme al terzo gruppo di discipline.

L’esclusione della teologia dalle scienze può derivare dalla falsa (perché falsa?) convinzione che essa porti a conclusioni alle quali bisogna credere per fede (i dogmi) e quindi come tale non può considerarsi una scienza. Ma attenzione, i dogmi in teologia non sono un punto di arrivo ma un punto di partenza (ma anche punto di arrivo). Compito della teologia non è di ricavarli tramite un ragionamento rigoroso, ma di esplicitarli, annunciarli con un linguaggio più adeguato, trovare nuove piste per la prassi del cristiano o altro.

Ma il semplice annuncio o l’adattamento del dogma alla prassi non è scienza, per la quale, ripetiamolo per l’ennesima volta, occorre la verifica sperimentale delle conclusioni. La scienza parte da ipotesi da accettare se superano la verifica o da rigettare se non superano la verifica, non da dogmi dati per certi a prescindere da ogni verifica.

Si dirà: ma i dogmi non sono dimostrabili. Neanche gli assiomi della matematica lo sono. I dogmi contraddicono i dati empirici. Anche tante geometrie o matematiche astratte. Ma nessuno si sogna di spodestare la matematica da una Facoltà di Scienze. La matematica e la teologia sono per così dire confinate nel nostro pensiero, ma entrambe da punti di vista diversi ci aiutano a comprendere la realtà attorno a noi ed in noi.

Il confronto tra teologia a matematica non regge: i dogmi non possono essere assimilati agli assiomi della matematica. I dogmi sono delle asserzioni in sé definite, da cui si suole far derivare altre asserzioni tutte non verificabili. Gli assiomi non sono asserzioni, ma, secondo il pensiero pre-novecentesco, principi di per sé evidenti, e, nel pensiero del novecento, relazioni formali fra termini primitivi sulle quali si fondano asserzioni che richiedono una dimostrazione logica in un teorema che deve trovare riscontro anche sul piano empirico. Il teorema di Pitagora trova applicazione in topografia, in agrimensura, in geodesia, in orografia, ecc.  

Anche la teologia ha un modello del cosmo, che non è in antitesi con quello della fisica, è solo su un piano diverso. I suoi risultati potranno non essere verificabili, ma anche le teorie della fisica lo sono. 

Le teorie della fisica sono verificabili o no? Se sono verificabili, come lo sono, non sono da assimilare alle asserzioni teologiche, tutte non verificabili. Se non sono verificabili decadono e non fanno più parte della scienza. 

Al centro di tutto c’è l’uomo che resta il più grande mistero.

Perché l’uomo resta un mistero? Per la scienza non lo è o per lo meno non lo è più di qualsiasi altro oggetto naturale.

E lo resterà sempre, almeno se interpretiamo in senso allargato il teorema di Gödel. In una della sue versioni recita: non esiste un algoritmo in grado di decidere automaticamente se un algoritmo sia effettivamente un algoritmo. In parole povere: un sistema non può comprendere se stesso. Neanche l’uomo quindi può comprendere se stesso.

Chi ha detto che l’uomo non può comprendere sé stesso? Egli va ampliando ed approfondendo la conoscenza di sé a mano a mano che le conoscenze scientifiche a lui relative progrediscono. 

La teologia pur essendo Scienza “su” Dio, è fatta dall’uomo. Quindi neanche la teologia ci farà comprendere noi stessi, solo che è l’unica scienza che dà all’uomo - in quanto “scienza” - la possibilità di aprirsi oltre (non in senso deduttivamente scientifico, ma legittimando la possibilità del salto della fede), di aprirsi un varco verso Colui che solo ci può comprendere.

Ma l’aprirsi “oltre” è uno smarrimento non un ritrovarsi, come il salto di Ulisse oltre le mitiche colonne d’Ercole. Lo stesso Agostino afferma – “In interiore homine est veritas”.

 Michelangelo Pucci