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La prassi solidale della pace a partire dalle testimonianze scritte (2 Incontro. Pesaro 03-04-03)     Per il 1 Incontro cliccare qui <<

Il cammino  di Gesù  è  una prassi di pace .La sua pace è  amore  verso i derelitti e i sofferenti ; è  chiamata degli esclusi, difesa dei condannati, ma è  anche denuncia dei soprusi e delle discriminazioni civili e religiose.

Su questa via Gesù  chiama anche coloro che lo seguono. I suoi discepoli proseguiranno in questa prassi che porta agli uomini la riconciliazione con Dio e la riconciliazione tra uomo e uomo. I primi cristiani furono chiamati "seguaci della via" perché  la vita cristiana fu indicata come via (At 18,24-26; 19,23; 22,1-4; 24,22). Se Gesù è egli stesso la Via, perché anche Verità e Vita  (Gv 14,5-6), la lettera agli Efesini ci dice che Gesù  è  la stessa pace. "Egli infatti è la nostra pace. Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo un muro di separazione che era framezzo, cioè  l'inimicizia" (Ef 2,14). Cristo è  all'origine della prassi della pace ed è la prassi della pace, essendo facitore di pace ("poion eirenen") in se stesso, nel suo corpo e attraverso la croce (Ef 2,15-17).

Ma cosa significa seguire la via di Gesù , che compie la pace, "per riconciliare tutti e due (i popoli) con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia" (Ef 2,14)? Osserviamo la prassi di Cristo. Essa è frutto di scelte, che, se sono riconciliazione con Dio e tra gli uomini, gli procurano anche una crescente ostilità , perché  egli denuncia con coraggio il formalismo, l' abuso del potere civile e religioso, l' ingordigia e l' ambizione delle classi emergenti. La riconciliazione di Gesù  è  quella dell' umanità  divisa tra oppressi e oppressori, mentre egli si pone dalla parte degli oppressi e chiama a conversione gli oppressori. La prassi solidale di Gesù è  la via di pace che si può  chiamare "profezia e liberazione". A questa prassi egli chiama anche noi.

Al cristiano di oggi il cammino da compiere appare non come un' autostrada sulla quale poter correre sicuri e veloci, ma piuttosto un sentiero scosceso sul quale si avanza a fatica. Si potrebbe dire che è  una vetta alla quale portano tanti piccoli sentieri. Sono i sentieri delle scelte da fare nella nostra storia. Sono le scelte personali, quelle che chiamiamo di coscienza e sono le scelte di nuovi modelli di vita e di sviluppo, quelle che possiamo chiamare strutturali. La pace le tocca entrambe. Tocca il cuore del singolo e la vita associata, il rapporto con Dio e il rapporto con i fratelli.

TESTIMONIANZE DEI MARTIRI

Anno 262, a Cesarea di Palestina: Martirio di Marino, ufficiale dell'esercito romano

"Il giudice, un certo Acheo  (...) domanda allora a Marino quale è la sua religione; questi confessa a gran voce e senza tergiversare che egli è cristiano; il giudice gli dà allora tre ore per riflettere. Uscendo dal tribunale, Marino incontra Teotecno, il vescovo del luogo, che lo ferma; s'intrattiene a lungo con lui, poi, prendendolo per mano, lo conduce in chiesa. Entrano, il vescovo lo porta ai piedi dell'altare e qui solleva il mantello dell'ufficiale indicandogli la spada appesa al fianco; gli presenta nello stesso tempo il libro del santo Vangelo e gli chiede di scegliere. Senza esitare, Marino stende la mano e prende il libro divino: <<Sii dunque di Dio, gli dice il Vescovo, sii con Dio e, forte nella grazia, consegui ciò che hai scelto. Va' in pace!>>. Marino esce dalla chiesa e se ne ritorna in tribunale; già il banditore davanti alla porta del tribunale, lo chiama  a comparire.  Il termine era trascorso. Si presenta davanti al giudice e proclama la sua fede con un ardore ancora più grande. Immediatamente lo trascinano al supplizio e muore martire"[1].

Anno 295, nei pressi di Cartagine,  processo e martirio di Massimiliano, uno dei primi obiettori di coscienza al servizio militare.

"Il proconsole Dione disse al coscritto: <<Come ti chiami?>>.

Massimiliano: Perché vuoi sapere il mio nome? Non mi è dato di servire (nell'esercito): io sono cristiano.

Il proconsole: Mettelo alla misura.

Mentre lo misuravano, Massimiliano disse: <<Io non posso servire, non posso fare del male, sono cristiano>>.

Il proconsole: Lo si misuri.

Quando ciò fu fatto, l'uomo di servizio annunciò: <<Cinque piedi e due pollici>>.

Il proconsole: Lo si segni.

Massimiliano si dibatteva dicendo: <<Non voglio non posso fare il soldato>>.

Il proconsole: Bisogna servire o morire.

Massimiliano: Io non farò il soldato. Tu puoi tagliarmi la testa, ma io non servirò negli eserciti del mondo, io sono un soldato del mio Dio.

Il proconsole: Chi ti ha messo queste idee nella testa?

Massimiliano: La mia coscienza e Colui che mi ha chiamato. Il proconsole si rivolse quindi a Vittore, il padre del giovane:  <<Dagli un consiglio>>.

Vittore: Ha l'età di sapere quello che deve fare.

Il proconsole a Massimiliano: Fa il soldato e accetta la palla di piombo, in segno dell'arruolamento.

Massimiliano: Non so che farmene del vostro segno; io porto già il segno di Cristo, mio Dio.

Il proconsole. Io ti mando subito a raggiungere il tuo Cristo.

Massimiliano: E' proprio ciò che desidero; sarà la mia gloria.

Il proconsole disse agli uomini di servizio: <<Segnatelo>>.

Massimiliano rispose dibattendosi: <<Non accetto il segno del mondo. Se me lo mettete per forza, lo strappo, poiché non vale niente. Sono cristiano, Non posso portare al collo questa palla di piombo, io che porto il segno della salvezza che ho ricevuto dal mio Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente. Tu non lo conosci: ha sofferto per la nostra salvezza, e Dio lo ha permesso per i nostri peccati. Noi lo serviamo, tutti noi che siamo cristiani lo seguiamo come guida della vita e l'autore della salvezza>>.

Il proconsole: Sii soldato e accetta il distintivo, altrimenti morrai miseramente.

Massimiliano: Io non morrò, il mio nome è già scritto presso il mio Dio. Io non posso essere soldato.

Il proconsole: Pensa alla tua giovinezza, e fa il soldato, è bello per un giovanotto.

Massimiliano: Il mio servizio è presso il mio Dio, non posso servire il mondo, te l'ho già detto; sono cristiano.

Il proconsole: Nella guardia d'onore dei nostri signori Diocleziano e Massimiliano, Costanzo e Massimo, ci sono dei soldati cristiani che prestano servizio.

Massimiliano: E' affar loro. Io sono cristiano e non posso fare del male.

Il proconsole: Quelli che prestano servizio che male fanno?

Massimiliano: Tu sai bene quello che fanno.

Il proconsole: Sii soldato, se disprezzi il servizio militare morirai.

Massimiliano: Io non morrò, e se lascerò questo mondo, la mia anima vivrà con Cristo, mio Signore.

Il proconsole: Si cancelli il suo nome.

Appena cancellato il nome, Il proconsole disse <<Atteso che per spirito d'indisciplina tu hai rifiutato di servire nell'esercito, sarai colpito dalla sentenza legale. Ciò servirà d'esempio!>>.

E lesse sulla tavoletta la condanna: <<Massimiliano per indisciplina ha rifiutato il giuramento militare. E' perciò condannato a morire di spada>>.

Massimiliano: Deo gratias.

Aveva ventun anni, tre mesi e diciotto giorni.

Durante il cammino verso il supplizio, Massimiliano disse <<Fratelli amatissimi, con tutta la forza dei vostri desideri affrettatevi, per ottenere di vedere il Signore e di meritare anche voi la corona>>.

Poi, col viso radioso, disse a suo padre: <<Da' al carnefice il mio vestito nuovo, quello che mi avevi fatto fare per il servizio militare. La ricompensa sarà cento volte più bella quando ti accoglierò in cielo; allora noi canteremo insieme le glorie del Signore>>.

Subito dopo si compì il suo martirio"[2]

TESTIMONIANZE PATRISTICHE

Tertulliano,

De corona militis I,1, (intorno al 211).

"Si può tenere  la spada al fianco quando Cristo ha detto che chi usa la spada morirà di spada? E il figlio della pace, cui non conviene litigare, combatterà in battaglia?"

De idolatria 19,I-3 (intorno al 211-213)

"Come farà un cristiano a partecipare a una guerra, anzi come farà ad esercitare il mestiere delle armi anche in tempo di pace, senza portare la spada che Cristo ha proibito? Il Signore, disarmando Pietro, ha disarmato ogni soldato"

Ippolito di Roma, Tradizione Apostolica  16 (intorno al 215)

"Il soldato subalterno non uccida nessuno. Se riceve un ordine del genere non lo esegua e non presti giuramento. Se non accetta tali condizioni sia rimandato. Chi ha il potere di vita o di morte o il magistrato di una città smetta o sia rimandato. Il catecumeno o il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano rimandati perché hanno disprezzato Dio"

Origene, Contro Celso 8,73 (tra il 246-248)

"In nessun caso, quando sopravviene una guerra, voi (pagani) arruolate anche i sacerdoti. Se tutto ciò dunque è logico, quanto più logico è il fatto che, quando altri combattono, anche i cristiani combattono, come sacerdoti di Dio e servitori di Dio, mantenendo pura la loro destra, ma lottando con le preghiere a Dio a favore di coloro che combattono con giustizia e di colui che regna con giustizia, affinché tutto ciò che si oppone ed è ostile a quelli che operano giustamente possa essere sconfitto. Inoltre con le nostre preghiere, noi, distruggendo i demoni che suscitano le guerre e fanno violare i giuramenti e turbano la pace, rechiamo migliore aiuto ai regnanti di quelli che apparentemente fanno la guerra ... Noi combattiamo ancor più che l'imperatore: e se non combattiamo come soldati accanto a lui, anche se egli lo esige, noi combattiamo per lui, allestendo aun'armata speciale - quella della pietà - per mezzo delle nostre suppliche a Dio".

Firmino Lattanzio, Divine Istituzioni (anni 304-313)

VI,20. "Quando Dio interdice di uccidere, non interdice solamente il brigantaggio, illecito anche per le leggi dello stato, ma ci invita a non fare ciò che gli uomini ritengono lecito. E' per questo che il giusto non può essere soldato, perché il servizio militare del giusto è la giustizia stessa; egli non può più intentare un'accusa di morte, perché non vi è alcuna differenza tra uccidere con il ferro e uccidere con la parola, perché è l'omicidio che è interdetto. E' per questo che questo precetto divino non deve subire assolutamente alcuna eccezione, che impedisca che sia giudicato empiamente l'uccidere un uomo: Dio ha voluto che l'uomo fosse un animale sacrosanto"[3]

ALTRE TESTIMONIANZE NEL CORSO DELLA STORIA DELLA CHIESA

Francesco d'Assisi,

Regola non bollata XVI, 1-3.14-15 (anno 1221)

"Dice il Signore: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe (Mt 10,16). Perciò quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare fra i Saraceni e altri infedeli, vadano con il permesso del loro ministro e servo ... E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che hanno consegnato e abbandonato il loro corpo al Signore nostro Gesù Cristo, e per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: Colui che perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna (cfr.. Mc 8,35 e Lc 9,24)[4].

Regola bollata IX, 1-3 (anno 12239

Dice il Signore nel Vangelo: Amate i vostri nemici (Mt 5,44). Veramente ama il suo nemico colui che non si duole dell'ingiuria che gli è fatta, ma brucia del peccato dell'anima di lui per amore di Dio e gli mostra amore con i fatti"[5]

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Bartolomeo de Las Casas, Intorno all'unico modo di condurre alla vera religione i popoli infedeli, cap. VI,394

"Uno di quelli ai quali incombe il compito di predicare la parola, potrebbe giudicare conveniente che gli infedeli si sottomettano alla dominazione del popolo cristiano, perché, una volta assoggettati, si potrebbe insegnar loro la fede in modo puntuale ... A questo noi rispondiamo ciò che segue. Ché né gli infedeli, né soprattutto i loro principi, vorrebbero sottomettersi volontariamente alla dominazione del popolo cristiano e allora sarebbe necessario di arrivare inevitabilmente alla guerra. Ora la guerra produce i mali seguenti: invasioni e assalti ripetuti, impetuosi, furiosi; violenze e gravi perturbazioni; scandali, morti, carneficine, massacri, rapine, spoliazione; i genitori sono privati dei loro figli e i figli dei loro genitori; la devastazione di città, di villaggi, di popoli innumerevoli; allora in tutti i regni, in tutte le contrade, in tutti i luoghi, risuonano pianti, tristi lamentazioni; allora si moltiplicano ogni specie di scontri e di calamità. Tutti gli uomini della terra sanno bene quale tipo di frutti produce normalmente la guerra ... Le leggi tacciono, tutti i sentimenti umani sono scherniti, non c'è più giustizia, la religione è disprezzata, non c'è più alcuna differenza  tra ciò che è santo e ciò che è profano. La guerra riempie tutti i luoghi  di ladri, di  banditi, di viziosi, di omicidi. In realtà cosa è la guerra se non un omicidio e un ladrocinio generalizzato? E più esso si allarga e più diventa criminale. A causa di essa migliaia di innocenti sono precipitati in una estrema disgrazia. Per così dire, gli uomini nella guerra perdono le loro anime, i loro corpi, i loro beni ..."[6]

Francesco de Vittoria,

Lezioni sul diritto di guerra, 61-64

"Se l'ingiustizia della guerra è evidente per un suddito, non gli è permesso di combattere, anche su ordine del principe. In effetti non è permesso di uccidere un innocente su ordine di chicchessia. Ora in questo caso i nemici sono innocenti. Non è dunque permesso di ucciderli. Inoltre, il principe commette una colpa dichiarando una guerra in questo caso: <<non soltanto coloro che agiscono male sono degni di morte, ma anche coloro che l'approvano>> (Rm 1,32). Di conseguenza i soldati non sono più scusati quando combattono in mala fede. Infine non è permesso di uccidere dei cittadini innocenti su ordine del principe. Di conseguenza neanche degli stranieri.

Corollario. Se i sudditi hanno coscienza che la guerra è ingiusta, non è loro permesso di parteciparvi, che si ingannino o no, <<perché tutto ciò che non procede da buona fede è peccato>> (Rm 14,23)"[7]

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Erasmo da Rotterdam

Lamento della pace (1510)

"Considerate con quanta sollecitudine Cristo, prima di morire, ha raccomandato questa pace che ha predicata tante volte durante tutta la sua vita: <<Amatevi l'un l'altro - egli disse - come io v'ho amati>> (Gv 13,34; 15,12); e ancora <<Io vi do la mia pace, io vi lascio la pace>> (Gv 14,27). Capite dunque ciò che egli ha lasciato ai suoi fedeli? Ha forse lasciato loro in eredità cavalli? o guardie che li difendono? o ricchezze? o il diritto di comandare? Cosa dunque ha lasciato? Ha dato loro la pace, ha lasciato loro la pace: la pace con gli amici e la pace con i nemici (...) La sciamo stare le tragiche conseguenze delle antiche guerre; pensiamo solo a quelle che si sono combattute in questi ultimi dieci anni. Dove mai non si è combattuto nel modo più barbaro per terra e per mare? Quale fiume, quale mare non è stato tinto di sangue umano? Quale regione non è stata bagnata di sangue cristiano? e I cristiani - vergogna inaudita - combattono più crudelmente degli ebrei, dei pagani, delle bestie feroci. Tutte le guerre che gi ebrei hanno combattuto contro i gentili, i cristiani avrebbero dovuto sostenerle contro i vizi, ma, sciaguratamente, essi oggi si sono alleati con i vizi e combattono contro gli uomini. Gli ebrei almeno erano spinti a combattere dagli ordini di Dio; i cristiani, se si mettono da parte i pretesti invocati e si esaminano i fatti nella loro realtà, sono trascinati dall'ambizione, guidati dall'ira, pessima consigliera, spinti dalla più insaziabile avidità di possesso. Gli ebrei lottarono quasi sempre contro gli stranieri: i cristiani sono in pace col turco, ma si fanno guerra tra loro. Gli antichi tiranni, una volta, erano spinti alla guerra dalla sete della gloria ... cercavano in ogni modo di far sì che la vittoria fosse il meno sanguinosa possibile perché un'onesta gloria fosse premio al vincitore e la magnanimità del vincitore fosse la consolazione dei vinti.

Si arrossisce pensando invece per quali motivi vergognosi o insignificanti i principi cristiani spingono il mondo alla guerra.(...) Neppure i sacerdoti, ai quali Dio mai ha permesso, neppure nella legge mosaica, pur tanto dura e sanguinaria, di macchiarsi di sangue; neppure i teologi cristiani, maestri di comportamento; neppure coloro che fanno, professione di vita perfettamente religiosa; neppure i vescovi, neppure i cardinali, neppure i vicari di Cristo hanno vergogna di essere istigatori e provocatori di guerra, di quella guerra che Cristo ha tanto energicamente condannata.

Cosa v'è di comune tra l'elmo e la mitria? Cosa v'è di comune tra il pastorale e la spada? Cosa c'è di comune tra il vangelo e lo scudo? Come si può salutare il popolo con l'augurio di pace e nello stesso tempo spingere tutto il mondo alle battaglie più tumultuose? Come si può predicare a parole la pace e provocare di fatto la guerra? Non è forse vero che tu con la medesima bocca con la quale predichi Cristo pacificatore fai le lodi della guerra e che con la stessa voce esalti Dio e Satana?

(...) Si è arrivati sino al punto di considerare stolto ed empio aprir bocca contro la guerra e lodare ciò che la bocca di Cristo ha lodato sopra ogni cosa. Così chi esorta alla pace, la più salutare delle cose e dissuade alla guerra, che delle cose è la più funesta, fa la figura di aver poco a cuore il benessere del popolo e di essere poco zelante dell'interesse del suo sovrano. Oggi i preti seguono gli eserciti: i vescovi li comandano e abbandonano le loro chiese per mettersi al servizio di Bellona. La guerra stessa genera preti, genera vescovi, genera cardinali, e i cardinali hanno il titolo onorifico di 'legato del campo', un titolo che viene considerato degno dei successori degli apostoli. Non c'è da stupirsi che non ostentino altro che la guerra coloro alla guerra devono la loro posizione. Inoltre, perché questo male sia ancora più incurabile, essi coprono quest'empietà con l'orpello della pietà. Le bandiere recano il segno della croce; gli empi mercenari, pagati quattro soldi per esercitare il macello e il massacro, si fanno precedere dal segno della croce: e così la croce, che sola avrebbe potuto far dimenticare la guerra, diviene il simbolo della guerra. Cos'hai tu di comune con la croce, o scellerato soldato? A questi animi, a queste azioni sarebbero state adatte delle insegne raffiguranti delle tigri, dei draghi, dei lupi. Questa insegna della croce appartiene a colui che ha vinto non combattendo, ma morendo; a colui che salvò, non recò perdizione; a colui che, se tu fossi veramente cristiano, avrebbe potuto ben insegnarti contro quale nemico dovresti combattere e in qual modo dovresti vincere. Tu porti il simbolo della salvezza mentre prepari la rovina del tuo fratello, e in nome della croce perdi colui che per mezzo della croce è stato salvato.

E Che dire poi del fatto che, prendendo viatico dai santi sacramenti e dal sacrificio venerando della messa, che sono il simbolo della suprema concordia dei cristiani e vengono trascinati negli accampamenti, si corre all'assalto e si impugna il ferro per immergerlo nel petto del fratello e si fa Cristo spettatore del delitto più infame di tutti e più gradito agli spiriti infernali, ammesso che egli si degni di assistervi? Il colmo dell'assurdità si raggiunge infine quando si vede brillare in entrambi gli eserciti il segno della croce e si vedono celebrare i sacri riti in un campo e nell'altro. Che mostruosità è questa? La croce combatte con la croce. Cristo combatte contro Cristo?"[8]

 Erasmo da Rotterdam Dolce è la guerra a chi non l'ha provato (1515)

"Il mondo aveva le sue leggi prima che apparisse il Vangelo: puniva combatteva, ammucchiava ricchezze nelle casseforti e provviste nelle dispense; il Signore non venne per insegnarci ciò che era permesso, cioè fino a qual punto fosse lecito allontanarsi dalla perfezione, ma per insegnarci verso quale fine dovessimo tendere con tutte le nostre forze. E' sospetto di eresia chi dissuade calorosamente dalla guerra, e sono ortodossi e dottori di pietà cristiana coloro che con queste interpretazioni dismuinuiscono la forza della dottrina evangelica e suggeriscono ai principi i pretesti per soddisfare le loro cupidigie. Il dotto veramente cristiano non approva mai la guerra; forse qualche volta la permette, ma suo malgrado e con dolore.(...)A me sembra che non si debba neppure approvare la guerra che prepariamo contro i turchi. La religione cristiana è davvero a mal partito se la sua salvezza dipende da queste difese; cominciando così, non si creano certo buoni cristiani. Ciò che si conquista col ferro, col ferro si perde. Vogliamo condurre i turchi a Cristo? Non facciamo mostra di ricchezze, di eserciti, di potenza. Che essi piuttosto vedano in noi non soltanto l'etichetta, ma le caratteristiche genuine dell'uomo cristiano: la vita irreprensibile, il desiderio di fare del bene anche ai nemici, l'incrollabile sopportazione di tutte le offese, il disprezzo del denaro, il disinteresse per la gloria, la poca considerazione per la vita; sentano che il divino insegnamento di Cristo concorda con questo genere di vita"[9]

INTERVENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA

Pio XII

Radiomessaggio di pace nell'imminente pericolo di guerra (1939)

Un'ora grave suona nuovamente per la famiglia umana: ora di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il nostro cuore, non deve disinteressarsi la nostra autorità spirituale, che da Dio ci viene, per condurre gli animi sulle vi della giustizia e della pace.

Ed eccoci con voi tutti, che in questo momento portate il peso di tanta responsabilità, perché attraverso la nostra ascoltate la voce di quel Cristo da cui il mondo ebbe alta scuola di vita e nel quale milioni di anime ripongono la loro fiducia in un frangente in cui solo la sua parola può signoreggiare tutti i rumori della guerra.

(...) Noi, non d'altro armati che della parola di verità, al di sopra delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui ogni paternità in cielo e in terra prende nome (Ef 3,15), - di Gesù Cristo, Signore nostro, che tutti gli uomini ha voluto fratelli, - dello Spirito Santo, dono di Dio altissimo, fonte inesausta di amore nei cuori.

Oggi che, nonostante le nostre ripetute esortazioni e il nostro particolare interessamento, più assillanti si fanno i timori di un sanguinoso conflitto internazionale; oggi che la tensione degli spiriti sembra giunta a tal segno da far giudicare imminente lo scatenarsi del tremendo turbine della guerra, rivolgiamo con animo paterno un nuovo e più caldo appello ai governanti e ai popoli: a quelli, perché, deposte le accuse, le minacce, le cause della reciproca diffidenza, tentino di risolvere le attuali divergenze coll'unico mezzo adatto, cioè con comuni e leali intese; a questi, perché, nella calma e nella serenità, senza incomposte agitazioni, incoraggino i tentativi pacifici di chi li governa.

E' con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la giustizia si fa strada. E gli imperi non fondati sulla giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che la vogliono.

Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo.

Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo"[10]

Pio XII Radiomessaggio natalizio al mondo (Natale 1944)

"Un dovere, del resto obbliga tutti, un dovere che non tol p23`P lera alcun ritardo, alcun differimento, alcuna esitazione, alcuna tergiversazione: di fare cioè tutto quanto è possibile per proscrivere e bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima delle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali.

(...) Se mai una generazione ha dovuto sentire nel fondo della coscienza il grido <<Guerra alla guerra!>>, essa è certamente la presente. Passata com'è attraverso un oceano di sangue e di lagrime, quale forse i tempi passati mai non conobbero, essa ne ha vissuto le indicibili atrocità così intensamente, che il ricordo di tanti orrori dovrà restarle impresso nella memoria e fino nel più profondo dell'anima, come l'immagine di un inferno, in cui chiunque nutre nel cuore sentimenti di umanità non potrà mai avere più ardente brama che di chiudere per sempre le porte"[11]

 Pio XII Radiomessaggio natalizio al mondo (Natale 1948)

“La vera cristiana volontà di pace è forza, non debolezza o stanca rassegnazione. Essa è tutt'uno con la volontà di pace dell'eterno e onnipotente Dio. Ogni guerra di aggressione contro quei beni che l'ordinamento divino della pace obbliga incondizionatamente a rispettare e a garantire, e quindi anche a proteggere e a difendere, è peccato, delitto, attentato contro la maestà di Dio creatore e ordinatore del mondo. Un popolo minacciato o già vittima di un'ingoiusta aggressione, se vuople pensare ed agire cristianemnente, non può rimanere in un'indifferenza passiva; tanto più la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplicispettatori in un atteggiamento d'impassibile neutralità. Chi potrà mai valutare i danni già cagionati in passato da una tale indifferenza, ben aliena dal sentire cristiano, verso la guerra di aggressione? Come essa ha fatto provare più acutamente il senso della mancanza di sicurezza presso i 'grandi', e soprattutto presso i 'piccoli'! Ha forse essa in compenso portato un qualche vantaggio? Al contrario, essa non ha fatto che rassicurare e incoraggiare gli autori e i fautori di aggressione, mettendo i singoli popoli, abbandonati a se stessi, nella necessità di aumentare indefinitamente i loro armamenti”[12].

Pio XII Radiomessaggio natalizio al mondo (Natale 1956)

"Pertanto una concreta esigenza di quest'ora, uno dei mezzi per assicurare a tutto il mondo la pace e un fruttuoso retaggio di bene, una forza che abbracci altresì i popoli dell'Asia e  p/3 @@ dell'Africa, il Medio Oriente e la Palestina coi luoghi santi, è rinsaldare la solidarietà dell'Europa. Questa però non si convalida. finché non tutte le nazioni associate comprendano che le sconfitte politiche ed economiche delle une, a lungo andare, in nessuna parte del mondo possono risultare veri guadagni per le altre.

(...) In ciò ci sentiamo pienamente in armonia coi nostri predecessori Leone XIII e Benedetto XV, i quali mai non negarono quell'obbligo (della difesa). Annotazione non stampata: Pio XII non riconosce ancora il diritto all'obiezione di coscienza. Infatti subito dopo aggiunge: "Se dunque una rappresentanza popolare e un governo eletti con libero suffragio, in estremo bisogno, coi legittimi mezzi di politica estera ed interna, stabiliscono provvedimenti di difesa ed eseguiscono le disposizioni a loro giudizio necessarie, essi si comportano egualmente in maniera non immorale, di guisa che un cittadino cattolico non può appellarsi alla propria coscienza per rifiutar di prestare i servizi e adempiere i doveri fissati per legge". Ma a questo riguardo cfr. il Vat.II: "Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze: tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molte altre del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere conservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in mondo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre  conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana" (GS, 79; EV I, 1595).

Catechismo degli Adulti (1981): "L'obiezione di coscienza all'uso delle armi è efficace forma di costruzione della pace. Il servizio civile, alternativo a quello militare, mentre è doveroso riconoscimento della libertà di coscienza, allo stesso tempo ha un valore educativo, in quanto di oppone ad un sistema di convivenza dei popoli fondato sulla forza come deterrente, e propone modelli alternativi di solidarietà e di servizio gratuito." [fonte Famiglia Cristiana 9 (1990) 17. n.d.r.].

Cfr. inoltre la condanna della sfrenata corsa  agli armamenti e i pericoli morali della vita nelle caserme, con l’indicazione del disarmo generale (cfr. Leonis XIII Acta vol XIV, Romae 1895, pag. 210; Arch. degli Affari Eccl. Straord., Nota del card. Gasparri, segr. di stato di Benedetto XV al primo ministro del Regno Unito della Gran Bret. e d'Irlanda, 28 settembre 1917).

(...) Se accenniamo a questi lati manchevoli (dell'ONU, n.d.r.), è perché desideriamo di vedere rinvigorita l'autorità dell'ONU, soprattutto per il conseguimento del disarmo generale, che ci sta tanto a cuore, e sul quale già altre volte parlammo. Infatti, solamente nell'ambito di un'istituzione come quella delle Nazioni Unite l'impegno dei singoli stati a ridurre gli armamenti, e specialmente a rinunziare alla produzione e all'impiego di determinate armi, potrà essere concordato e tramutato in stretto obbligo di diritto internazionale[13]

Giovanni XXIII

Radiomessaggio natalizio ai fedeli e ai popoli del mondo intero (Natale 1959)

"Dal secondo dopo guerra infatti a questa parte, quanta varietà di espressione: e quanto abuso di questa santa parola: Pax, pax (Ger 6,14).

Noi rendiamo omaggio e rispetto alla buona volontà di tanti esploratori ed annunziatori di pace nel mondo: uomini di stato, diplomatici esperimentati, scrittori valenti.

Ma gli sforzi umani in materia di universale pacificazione sono ancora ben lungi dai punti di intesa tra cielo e terra.

Vi è che la vera pace non può venire che da Dio; non ha che un nome: Pax Christi; non ha che un volto, quello impressole da Cristo, il quale, quasi per prevenire le contraffazioni dell'uomo, ha sottolineato: <<Io vi lascio la pace,  io do a voi la mia pace>> (Gv 14,27).

(...) Sempre per il motivo che la pace vera è indivisibile nei suoi vari aspetti, essa non riuscirà ad insediarsi sul piano sociale ed internazionale, se non sarà anch'essa, ed innanzi tutto, un fatto interiore. Ci vogliono cioè prima  di tutto - è necessario ripeterlo - gli 'uomini di buona volontà: giusto quelli a cui gli angeli di Betlemme annunciarono la pace: pax hominibus bonae voluntatis (Lc 2,14)[14].

Giovanni XXIII Pace e vangelo (24.4.1960).

"La festa odierna [di S. Marco evangelista, n.d.r.] suggerisce pertanto di offrire a voi, diletti figli, un saluto familiare e toccante, che è augurio di pace: solenne conclamazione di quell'armonia interiore dei singoli uomini, di quell'ordinata convivenza sociale, di quella carità fraterna e di quell'applicazione onesta e generosa di ciascuno ai compiti suoi propri, da cui fiorisce la pace di Cristo Pax et Evangelium!

(...) A tutte le genti: ai popoli che anelano al coronamento delle loro  legittime conquiste: alle nazioni sottoposte alle comprensibili incertezze del progressivo avviamento a più civile tenore di vita: alle istituzioni e consociazioni che devono conciliare interessi contrastanti senza perdere di vista i supremi valori dell'uomo, le due arcane parole risuonino suadenti e incoraggianti al ben volere, al ben fare. Sì: Pax et Evangelium: pace e vangelo[15].

Giovanni XXIII Radiomessaggio ai fedeli un mese prima dell'inizio del Concilio (11.9.1962)

"Il concilio ecumenico sta per adunarsi, a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta nella storia i padri del concilio apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi.

Le madri e i padri di famiglia detestano la guerra; la chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo dei secoli e da Betlemme e di là sul Calvario, per effondersi in supplichevole precetto  di pace: pace che previene i conflitti delle armi; pace che nel cuore di ciascun uomo deve avere sue radici e sua garanzia.

E' naturale che il concilio nella sua struttura dottrinale e nell'azione pastorale che promuove, voglia esprimere l'anelito dei popoli a percorrere il cammino della provvidenza segnato a ciascuno, per cooperare nel trionfo della pace e rendere più mobile  più giusta e meritoria per tutti l'esistenza terrena.

I vescovi, pastori del gregge di Cristo 'di ogni nazione che è sotto il cielo' (cfr. At 2,5), richiameranno il concetto di pace non solo nella sua espressione negativa, che è detestazione  dei conflitti armati: ma ben più nelle sue esigenze positive, che richiedono da ogni uomo conoscenza e pratica costante dei propri doveri: gerarchia, armonia e servizio dei valori spirituali aperti a tutti, possesso e impiego delle forze della natura  e della tecnica esclusivamente a scopo di elevazione del tenore di vita spirituale ed economica della gente.

Convivenza, coordinazione e integrazione son propositi nobilissimi, che echeggiano nei consessi internazionali ed inducono speranza ed infondono coraggio.

Il concilio vorrà esaltare, in forme anche più sacre e solenni, le applicazioni più profonde della fraternità e dell'amore, che sono esigenze naturali dell'uomo, imposte al cristiano come regola di rapporto tra uomo e uomo, tra popolo e popolo[16].

Giovanni XXIII Pacem in terris (11.4.1963)

"59. Ci è pure doloroso constatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuino a creare armamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentuale altissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini di quelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altre comunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioni indispensabili al loro sviluppo economico e al progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull'equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo e d armarsi esse pure. E se una comunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armi atomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l'incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l'apparato bellico. Inoltre va pure tenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all'efficacia deterrente delle stesse armi non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della sola continuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avere conseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. Non si deve permettere - proclama Pio XII  p13PP - che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbazioni morali si rovesci per la terza volta sull'umanità  (AAS 1942, 17).

61. Occorre però riconoscere che l'arresto negli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procede a un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi a dissolvere in essi la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull'equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratta di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.

67. Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolti con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato. Vero è che sul terreno storico quella persuasione è piuttosto in rapporto con la forza terribilmente distruttiva delle armi moderne; ed è alimentata dall'orrore che suscita nell'animo anche solo il pensiero delle distruzioni immani e dei dolori immensi che l'uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana; per cui riesce impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia".

 Sull'obiezione di coscienza cfr:

Vat.II: "Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze: tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molte altre del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere conservate; anzi le pubbliche au p73 torità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre  conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana" (GS, 79; EV I, 1595).

Catechismo degli Adulti, del 1981.

"L'obiezione di coscienza all'uso delle armi è efficace forma di costruzione della pace. Il servizio civile, alternativo a quello militare, mentre è doveroso riconoscimento della libertà di coscienza, allo stesso tempo ha un valore educativo, in quanto di oppone ad un sistema di convivenza dei popoli fondato sulla forza come deterrente, e propone modelli alternativi di solidarietà e di servizio gratuito."

Documento vaticano "La santa sede e il disarmo", inviato all'ONU nel 1976.

"La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa, è nella realtà un pericolo e un'ingiustizia, per la natura stessa delle armi moderne e per la situazione planetaria (paralisi delle potenze nucleari: infatti non potendo scoppiare un conflitto globale per accordi reciproci, conflitti limitati si moltiplicano al di fuori della zona di stabilità nucleare):

1. Un pericolo: sia d'impiego, totale o parziale, sia di minaccia, poiché la dissuasione spinta fino al ricatto, è presa come norma dei rapporti verso le altre nazioni.

2. Un'ingiustizia: Essa si costituisce in realtà:

a) una violazione del diritto mediante il primato della forza: l'accumulazione delle armi diviene un pretesto per aumentare la forza al potere;

b) un furto. I capitali astronomici destinati alla fabbricazione e alle scorte delle armi costituiscono una vera distorsione dei fonti da parte dei "gerenti" delle grandi nazioni o dei blocchi meglio favoriti.

La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (paesi in via di sviluppo, emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un'aggressione verso quelli che ne sono vittime.

Aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non sono messi in opera, con il loro alto costo uccidono i poveri, facendoli morire di fame.

Si comprende perciò la condanna del concilio Vaticano II, fatta sua dal sinodo del 1974: <<La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri>> (GS 81). <<Ogni corsa estenuante agli armamenti diventa uno scandalo intollerabile>> (PP 53).

3. Un errore. Uno dei principali argomenti che generalmente  p73 si adducono per giustificare la corsa agli armamenti è quello della crisi economica e della disoccupazione che ne deriverebbe se si dovessero chiudere le fabbriche e gli arsenali militari. Ciò sarebbe esatto se si trattasse di un mutamento repentino. Al contrario, invece, le società industriali hanno prosperato nonostante le continue riconversioni. La riconversione delle fabbriche e dei mercati militari in fabbriche ed in prodotti civili risultano possibili se ci si preoccupa di una pianificazione graduale nel tempo. Questa sarebbe tanto più augurabile in quanto darebbe spazio ad impieghi che permetterebbero, per esempio, di iniziare lavori in grande, richiesti dalla necessità di salvaguardare l'ambiente.

4.Una colpa. Il rifiuto ad accettare la riconversione suddetta <<si oppone radicalmente allo spirito umano ed ancor più allo spirito cristiano>>, giacché non è ammissibile <<che non si possa trovare un lavoro per centinaia di migliaia di lavoratori se non adoperandoli per costruire strumenti di morte>> (Paolo VI, Allocuzione al corpo diplomatico, - 10 gennaio 1972).

5.Una pazzia. Questo sistema di relazioni internazionali, basato sulla paura, sul pericolo, sull'ingiustizia, costituisce una specie di isterismo collettivo; una pazzia che sarà giudicata dalla storia. E' un controsenso perché è un mezzo non proporzionato al suo fine. La corsa agli armamenti non garantisce la sicurezza.

a) Sul piano degli armamenti nucleari essa non dà una maggiore sicurezza, in quanto c'è già sovrabbondanza di strumenti (overkilling); essa crea rischi supplementari, introducendo instabilità suscettibili a rompere <<l'equilibrio del terrore>>.

b) Per quanto riguarda gli armamenti di tipo classico, la loro proliferazione, soprattutto nei paesi del 'terzo mondo' (commercio delle armi), crea squilibri regionali e, in tal modo, può essere generatrice di conflitti oppure esca per quelli già in corso.

In ogni caso, sia che si tratti di armi nucleari o di armi di tipo classico, di grande o di piccola potenza, la corsa agli armamenti è diventata un processo cumulativo, con una sua propria dinamica, indipendentemente dai sentimenti di aggressività, che sfugge al controllo degli stati. E' una macchina impazzita.

Ma non si potrebbe invece affermare che è proprio la causa degli armamenti ad essere logora?[17].

Giovanni Paolo II Dives in misericordia (enciclica del 30.11.1980)

"Pertanto, nel nostro mondo aumenta il senso di minaccia. Aumenta quel timore esistenziale collegato soprattutto (...) con la prospettiva di un conflitto che, in considerazione degli odierni arsenali atomici, potrebbe significare la parziale autodistruzione dell'umanità. Tuttavia, la minaccia non concerne soltanto ciò che gli uomini possono fare agli uomini, servendosi dei mezzi della tecnica militare. Essa riguarda anche molti altri pericoli, che sono il prodotto di una civiltà materialistica, la quale - nonostante le dichiarazioni umanistiche - accetta il primato delle cose sulla persona"[18].

 Giovanni Paolo II Redemptor hominis (enciclica del 4.3.1979)

 "Tutti sappiamo bene che le zone di miseria e di fame, che esistono sul nostro globo, avrebbero potuto essere 'fertilizzate' in breve tempo, se i giganteschi investimenti per gli armamenti, che servono alla guerra e alla distruzione, fossero stati invece cambiati in investimenti per il nutrimento, che servono alla vita.

Forse questa considerazione rimarrà parzialmente astratta; forse offrirà l'occasione all'una e all'altra 'parte' per accusarsi reciprocamente, dimenticando ognuna le proprie colpe. Forse provocherà anche nuove accuse contro la chiesa. Questa, però, non disponendo di altre armi che di quelle dello spirito, della parola e dell'amore, non può rinunciare ad annunciare  <<la parola ... in ogni occasione opportuna e non opportuna>>. Per questo non cessa di pregare ciascuna delle due parti, e di chiedere a tutti   nel nome di Dio e nel nome dell'uomo: 'Non uccidete! Non preparate agli uomini distruzioni e sterminio! Pensate ai vostri fratelli che soffrono fame e miseria! Rispettate la dignità e la libertà di ciascuno"[19].

Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis (enciclica del 30.12.1987)

"Se la produzione delle armi è un grave disordine che regna nel mondo odierno rispetto alle varie necessità degli uomini e all'impiego dei mezzi adatti a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle stesse armi.

Anzi, a proposito di questo, è necessario aggiungere che il giudizio morale è ancora più severo. Come si sa, si tratta di un commercio senza frontiere, capace di oltrepassare persino le barriere dei blocchi. Esso sa superare la divisione tra oriente e occidente e, soprattutto, quella tra nord e sud, sino ad inserirsi - e questo è più grave - tra le diverse componenti della zona meridionale del mondo. Ci troviamo di fronte a uno strano fenomeno: mentre gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell'ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti del mondo. E nessuno ignora - come rileva il recente Documento della Pontificia Commissione Iustitia et Pax sul debito internazionale - che in certi casi i capitali, dati in prestito dal mondo dello sviluppo, son serviti ad acquistare armamenti nel mondo non sviluppato.

Se a tutto questo si aggiunge il pericolo tremendo, universalmente conosciuto, rappresentato dalle armi atomiche accumulate fino all'incredibile, la conclusione logica appare questa: il panorama del mondo odierno, compreso quello economico, anziché rivelare preoccupazione per un vero sviluppo che conduca tutti verso una vita 'più umana' - come auspicava l'Enciclica Populorum Progressio -, sembra destinato ad avviarci più rapidamente verso la morte[20].

"(...) La solidarietà ci aiuta a vedere l' 'altro' - in persona, popolo o nazione - non come uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più, ma come un nostro  'simile', un 'aiuto' (cfr. Gn 2,18-20), da rendere partecipe, al pari di noi, del banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di qui l'importanza di risvegliare la  coscienza religiosa degli uomini e dei popoli.

Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva preoccupazione per la propria sicurezza, a spese non di rado dell'autonomia, della libera decisione, della stessa integrità territoriale delle nazioni più deboli, che sono comprese nelle cosiddette 'zone di influenza'  o nelle  'cinture di sicurezza'.

Le 'strutture di peccato' e i peccati che in esse sfociano, si oppongono con altrettanta popolo di Dio radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nostra espressione dell'enciclica paolina, è 'il nuovo nome della pace'.

In tal modo la solidarietà dai noi proposta è via alla pace e allo sviluppo. Infatti, la pace nel mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere che l'interdipendenza esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia ad ogni forma di imperialismo economico, militare o politico e la trasformazione della reciproca diffidenza in collaborazione. Questa è, appunto, l'atto proprio della solidarietà tra individui e nazioni.

Il motto del pontificato del mio venerato predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace come frutto della giustizia. oggi si potrebbe dire con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (cfr. Is 32,17; Gc 3,18): opus hominum coniunctionis pax", la pace come frutto della solidarietà[21].

Giovanni Paolo II Pace con Dio creatore Pace con tutto il creato. Esortazione apostolica. Messaggio per la giornata mondiale della pace 1990 (Vaticano 8.12.1989).

12. Ma c'è un'altra pericolosa minaccia che ci sovrastala guerra. La scienza moderna dispone già, purtroppo, della capacità di modificare l'ambiente con intenti ostili, e tale manomissione potrebbe avere a lunga scadenza effetti imprevedibili ed ancora più gravi. Nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chimica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuove armi offensive, capaci di alterare gli equilibri naturali.

Oggi qualsiasi forma di guerra su scala mondiale causerebbe incalcolabili danni ecologici. Ma anche le guerre locali o regionali, per limitate che siano, non solo distruggono le vite umane e le strutture delle società, ma danneggiano la terra, rovinando i raccolti e la vegetazione e avvelenando i terreni e le acque. I sopravvissuti alla guerra si trovano nella necessità di iniziare una nuova vita in condizioni molti difficili, che creano a loro volta situazioni di grave disagio sociale, con conseguenze negative anche di ordine ambientale".



[1] Atti dei martiri (tradizione di E. Contucci),  Milano 1958, 195-196. Cfr. anche edizione critica di R. KNAPF, Ausge- wählte Märtyrerakten, Tübingen 1924 (3.a ed. riveduta da G. Kruger). Citazioni ricavate da: M. TOSCHI, Pace e vangelo. La tradizione cristiana di fronte alla guerra, Queriniana 1980 146ss.

[2] Atti dei martiri, op. cit., 210-213.

[3] Citato da:  M.TOSCHI, Pace e vangelo, op. cit., 151-152.

[4] Citata in: M. TOSCHI,Pace e vangelo, op. cit., 187, che, per questa e le altre testimonianze, riprende le Fonti francescane, Bologna 1977 (a cura della Biblioteca francescana di Milano).

[5] Ivi, 188.

[6] L'evangile e la force,(a cura di M. Martin Lot) Paris 1964, 110ss, citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 205.

[7] Lezioni sul diritto di guerra (a cura di M. Barbier), Ginevra 1966, cit. M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 211.

[8] Brani attinti da Contro la guerra, (a cura di F. Gaeta), L'Aquila 1968 76ss, citati in : Citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 216-219. L'edizione critica è Desiderii Erasmi Roterodami Opera Omnia, ed. Clericus, voll 10 (11 tomi) Lugduni Batavorum, 1703-1726.

[9] Ivi, cfr. Citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 222-223.

[10] Discorsi e radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Tipografia poliglotta Vaticana, I, pp. 305-307.

[11] Ivi, VI, pp.244ss., citato da: Citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 246-247.

[12] Ivi, X, p. 319ss, in Citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 248-249.

[13] Ivi, XVIII, p. 737ss; citato da: Citato in M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 254ss.

[14] Discorsi, messaggi, colloqui del santo padre Giovanni XXIII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Radiomessaggio natalizio ai fedeli e ai popoli del mondo intero (1959), II pp. 85ss, citato da Citato in: M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 257ss.

[15] Discorsi, messaggi, colloqui del santo padre Giovanni XXIII, op. cit., II pp. 316-317, citato in: M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 260.

[16] Discorsi, messaggi, colloqui del santo padre Giovanni XXIII, op. cit., IV pp. 524ss, citato in: M. TOSCHI, PAce e vangelo, op. cit., 261ss.

[17] Citato in: Il disarmo e la pace. Documenti del magistero. Riflessioni teologiche. Problemi attuali, a cura di A. Cavagna e G. Mattai, EDB, Bologna, 1982, 102-106.

[18] Dives in misericordia, 11: EV 9/19.

[19] Redemptor hominis, 16: EV 1228-1229.

[20] Sollicitudo rei socialis, 24-25: EV X, 2580-2582.

[21] Sollicitudo Rei Socialis, 39: EV 2656-2659; hominum coniunctio traduce la parola "solidarietà", com'era nel primitivo testo: Opus solidaritatis pax.