Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Disagio giovanile e tossicodipendenza. Scalea 11/10/2003

1) C’è disagio e disagio.

C’è un disagio che più che essere tale in termini sociologici è un inquietudine che l’essere umano si porta dentro: da quando cominciò a rivolgersi verso un Tu, cercato negli antri delle caverne, o nell’infinito azzurro del cielo, di giorno, o nello smarrimento che si prova di fronte al firmamento, di notte. Un’inquietudine che si coglie, ad esempio, anche in una poesia, da me trovata recentemente in un autore forse ufficialmente “a-teo”: Arsenij Tarkovskij, poeta russo vissuto prima del crollo del muro di Berlino. Una poesia che sembra essere la chiave per cogliere il messaggio del discusso film di Marco Bellocchio
“L’ora di religione”.

Eccone i versi:

E' fuggita l'estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Ne' il bene ne' il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l'ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami...
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Mi chiedo e vi chiedo: Perché tutto ciò che abbiamo e che viviamo ora per ora momento per momento non basta?

Non basta a noi, più avanti nel tempo, che pure con quest’inquietudine avremmo dovuto imparare a convivere e invece non lo abbiamo mai imparato a abbastanza.

Non basta di certo ai giovani, nei quali l’inquietudine, la voglia di sperimentare, la volontà di sapere e di cercare dovrebbe essere, e forse ancora è,  molto più viva.

Un’inquietudine che è fonte d’infelicità? No, se essa è stimolo del vivere e molla della ricerca.

È però più espressione che fonte d’infelicità, quando la ricerca si è compiuta, avvitandosi su se stessa, ha bruciato le tappe, ha schiacciato sentimenti e relazioni, ha spalmato esperienze forti sull’arco del tempo di chi è giovane di corpo e a poco a poco si ritrova vecchio dentro.

Esagerazioni di un educatore, per giunta prete? No, piuttosto registrazione di un diffuso senso di frustrazione, che recentemente è stato segnalato anche dall’autorevole rivista scientifica New Scientist. Si tratta del risultato di un’indagine, condotta per 3 anni da sociologi e psicologi, a livello internazionale, con l’obiettivo di appurare quali fossero i paesi più felici del globo. Sorpresa: non solo non sono quelli più ricchi dove si vive con maggiori agiatezze, ma sono quelli più poveri. Al primo posto la Nigeria, con il 68 %, il Messico con il 59 %, il Venezuela con il 58, El Salvador con il 55, il Portorico con il 51 ecc… Sotto il Vietnam e la Colombia (49-48 %) l’Olanda e poi la Danimarca (47-46 %). Per trovare l’Italia bisogna andare molto più in basso (con una percentuale attestata solo sul 17 %). Un’indagine seria, che ha evidenziato come non abbondante denaro, immarcescibile bellezza, perenne giovinezza, ma qualità di rapporti buoni e positivi, amicizia autentica, fede profonda sono la ragione della felicità degli intervistati[1].

2) Dov’è la nostra tragedia

Essa comincia dal fatto che proprio denaro, potere, giovinezza, bellezza, fisico palestrato, sesso anticipato e consumato, vanità e simili è ciò che da noi è più inseguito, additato a supremo senso della vita, agognato come strumento della felicità.

Una piccola riprova. È di oggi la classifica dei libri più venduti in quest’ultima settimana. Qual è al primo posto? Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, di Melissa P., diciassette anni[2], un paese vicino all’Etna. È il suo diario, iniziato quando lei era quindicenne. Come lei stessa conferma all’intervistatore: “Assolutamente, tutto quello che ho scritto è successo. Diciamo al 90 per cento”. Ed esattamente che cosa? “Anche i rapporti con cinque uomini?”, chiede forse un po’ smarrito l’intervistatore. Risposta: “Soprattutto quelli”. “E i rapporti con il professore, con l’amica, con l’uomo conosciuto in chat?”. Risposta”Anche”[3].

Ecco come un’inquietudine, mal compresa, strumentalizzata, esasperata dal pansessualismo, dalle grandi industrie delle mode e dei cosmetici, dalle multinazionali degli inganni della felicità a portata di mano, pardon, di sesso, diventa materia di illusione e di seduzione. Ecco come i giovani sono spremuti finché c’è da spremere (oggi anche editorialmente) e poi buttati via. Quando? Quando saranno vecchi? No, molto prima. Basterà che dal sesso facile passino presto, o spesso contemporaneamente, agli spinelli e poi da questi alla cocaina e all’eroina o peggio alle pasticche.

La nostra tragedia è qui. La nostra è diventata una macchina di infelicità e sapete perché? Perché è un insuperato ed insuperabile specchietto delle allodole; un richiamo a paradisi inesistenti, un invito continuo e ossessivo a soddisfazioni che non durano nemmeno l’arco di un sorriso.

Il disagio giovanile, quello sociologico negativo, si alimenta non più e non solo di infanzie vissute male, di privazioni e di incertezze: si alimenta di miti irraggiungibili, di felicità inarrivabili, di promesse irrimediabilmente fallimentari.

Questo disagio voglio indicarvi oggi, perché è quello in cui la qualità della vita cede il passo alla quantità delle opportunità e delle convenienze; in cui l’essere veri e autentici non ha senso, perché ha senso il riuscire e l’avere, o almeno l’apparire: apparire belli, apparire forti, apparire maschi; apparire al passo con i tempi; apparire come vuole la moda, che vive di apparenze: apparenze nuove sempre inventate e di stagione in stagione cancellate.

3) Una esperienza piccola, piccola, ma che va controcorrente

C’è bisogno allora d’invertire la rotta. C’è bisogno di riscoprire ciò che l’indagine del New Scientist ha confermato: rende felice un animo la buona qualità delle relazioni. Aggiungo che, dal mio piccolo di educatore, noto che l’impegno verso gli altri, una crescita di sensibilità verso la pace e verso la giustizia, l’impegno verso il rispetto della natura sono ottimi antidoti contro le lusinghe ingannevoli dell’avere e del potere. Capovolgono infatti la prospettiva e fanno cogliere il vuoto di un progetto di vita danzato sul nulla.

L’impegno per la pace e la crescita in tal senso dei giovani migliora certamente l’approccio verso il mondo e anche verso se stessi. Ritengo perciò che quell’inquietudine che ci fa affermare “eppure questo non basta” può e deve diventare predella di lancio per cercare ancora, cercare sempre, cercare più in alto, cercare più avanti. Ciò che rende grande un essere umano è proprio questa ricerca.

La lotta alla tossicodipendenza è da intendere pertanto sia sul livello dell’intervento per il recupero, ben al di là della semplice riduzione del danno, sia sul livello della prevenzione. Su questi due versanti è fondamentale la qualità non delle nozioni impartite o da impartire, ma l’istituzione di una capacità critica e autocritica che, faccia porre degli interrogativi, aiuti a smascherare le false promesse, permetta di recuperare il proprio valore, incluso quello del proprio corpo e quello del proprio tempo e soprattutto del proprio futuro.

È una fede più che un compito? È l’una e l’altro, ma di certo non si può vivere senza una fede: fede almeno nell’uomo e nel suo mistero, nel suo futuro.

Più che una fede confessionale, occorre recuperare la fede nell’amore e nelle sue possibilità. La ricerca di ciò che non basta corre allora spedita con la ricerca di un amore autentico che sa scoprire il voler bene come il volere il bene dell’altro, mentre oggi è spesso solo la ricerca adolescenziale del proprio star bene.

È una fede che sa coltivare i sogni e li sa custodire, aiuta a realizzarli. Quali sogni? Quelli dei nostri giovani ad avere un mondo più vero di quello che molti stanno loro propinando, un mondo simile a quello intravisto appena da un grande giovane dentro e che non ebbe nemmeno il tempo d’invecchiare, perché ucciso per avere osato sognare tanto, Martin Luther King, con la cui celebre pagina “Ho fatto un sogno” termino il mio intervento:

Ho fatto un sogno,

ho sognato come un giorno

ogni valle sarà innalzata,

ogni montagna sarà spianata

e la gloria del Signore sarà rivelata

e ogni carne la contemplerà.

Questa è la nostra speranza

questa la fede che porto con me.

Con questa fede saremo in grado 

di trarre dalla montagna

della disperazione

la pietra della speranza.

Con questa fede, saremo in grado

di trasformare le nostre discordie

in una meravigliosa sinfonia

di fratellanza.

 

(Martin Luther King)



[1] Cf. “la ricchezza non fa la felicità”, in La Repubblicai (3/19/2003) 33.

[2] Cf. Tuttolibri di La Stampa (11/10/2003) p. 2; cf. anche il suo supplemento Specchio dello stesso giorno: “La prima volta e poi tutte le volte” p. 29.

[3] In Specchio cit.