Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Sequela d i Gesù e nonviolenza

Introduzione

Iniziamo partendo dalla Trasfigurazione, invitando a guardare con Gesù oltre il muro delle apparenze per cogliere la realtà nella sua vera natura. Vogliamo lasciarci ammaestrare da Gesù per imparare a vedere e guardiamo al cieco nato guarito in due riprese (Mc 8, 22-26). Dapprima è accompagnato per mano da Gesù fuori dal villaggio, mentre è solo con lui, Gesù gli tocca gli occhi con un po' di saliva (contatto fisico che esprime intimità) e inizia a vedere. Solo in un secondo tempo è guarito completamente: c'è bisogno di un altro intervento di Gesù. Il giorno della Trasfigurazione è quello giusto per chiedere la grazia di vedere. Mosè ci offre un esempio di questo. Eb 11, che descrive la fede non per concetti, ma attraverso personaggi della storia della salvezza, ci dice al v. 27 "[Mosè]...per fede lasciò l'Egitto... rimase saldo come se vedesse l'invisibile". Vedere l'invisibile è la capacità di cogliere le cose dalla prospettiva di Dio e secondo la direzione che Dio imprime alla storia. Cosi una storia di schiavi si trasforma in storia di uomini liberi, guidati da Mosè che ha saputo vedere in un gruppo di oppressi e di vinti un gruppo di uomini liberi.

"Solo guardando al di là di questo mondo in cui tutto passa e muore si trova la vera gioia nella speranza di un'altra vita di cui questa è solo il preludio, vita in cui il bene fatto, l'amore di cui sono assetati i nostri spiriti e i nostri cuori ci soddisferà pienamente ed eternamente. Questa speranza è nella fede e nella verità che Dio ci ha rivelate e che sono belle come un poema, come il più bello dei poemi: il poema dell'amore divino che è il più meraviglioso e avvincente dei poemi pieni dei nostri poveri amori terrestri... in questa fede e in questa speranza, nella contemplazione di queste bellezze e nel compimento della legge di carità, amare gli uomini come Dio li ama è la base della morale cristiana... sono felice e i miei giorni trascorrono in una pace profonda". Questo è lo sguardo di Charles de Foucauld.

Quando nella profondità della storia si intravedono fiumi sotterranei "carsici", con questo sguardo rinnovato per il collirio che Dio ci dà, possiamo affrontare realisticamente il tema della nonviolenza, che è molto più che rinuncia alla violenza: è la mitezza evangelica.

La nonviolenza è un cammino lungo, dura tutta la vita, non si impara una volta per sempre. E' necessario procedere per tappe:

a) approfondimento teorico

b) radicazione evangelica

c) allenamento pratico

d) scelta dello stile nonviolento come prassi di vita

L’in-tenzione progettuale deve essere un'effettiva tensione verso qualcosa che si può raggiungere solo con gradualità e mai del tutto completamente. Ciò significa non eliminare la tensione ma utilizzarla per cambiarne la natura. La tensione infatti, vissuta di solito come dato negativo è la molla che mi fa prendere a cuore le sorti dell'altro, anche quello che si pone contro di me, per aiutarlo a non considerarmi concorrente, avversario o antagonista, ma piuttosto collaboratore ad uno stesso progetto: quello di un'esistenza personale e riconciliata. Ci sono forme sottili di antagonismo, come nella cultura meridionale che, aperta al diverso che viene da fuori, è più diffidente nei confronti del vicino, da cui bisogna "guardarsi", in cui sembra annidarsi un potenziale nemico.

Il passaggio avviene attraverso un primo cammino: quello che va dall'intenzione cosciente e teorica (pur indispensabile) all'essere in tensione costruttiva e costante, in un darsi mai per vinto dalla violenza in tutte le sue forme, da quelle di carattere passivo (indifferenza, rinuncia, rassegnazione) a quelle di carattere attivo (collaborazione materiale -non direttamente voluta-, collaborazione formale -coscientemente voluta- con le molteplici forme di violenza presenti nel proprio contesto vitale). In questo modo l'informazione sulla nonviolenza diventa anche formazione alla nonviolenza e training alla resistenza nonviolenta al male.

L'approfondimento teorico comporta un approfondimento sistematico e una verifica puntuale degli obiettivi raggiunti o mancati, giacché la nonviolenza non si impara mai una volta per tutte, essendo un processo globale che si muove nell'ottica dell'auto-formazione permanente e, per il credente in Cristo, in una sequela costante che non conosce sulla terra definitivi traguardi. Ecco perché la nonviolenza più che una tecnica da imparare va chiesta come grazia.

In questo lavoro formativo e informativo, studio e sperimentazione e valutazioni comunitarie vanno di pari passo. Cosi come va subito tematicamente precisato, oltre che praticamente verificato, che la nonviolenza non è solo una sorta di rinuncia passiva a qualcosa e dunque una "non violenza", ma una pratica di vita e uno stile e pertanto una nonviolenza, come unico concetto positivo e atteggiamento, come vera e propria "virtù", che come vedremo non è solo una virtù morale, ma teologale, perché impiantata in un progetto e un modo di agire che parte da Dio. In modo positivo Gandhi parla di forza della verità e il Vangelo parla di mitezza.

La radicazione evangelica comporta una vera e propria sperimentazione sul campo, che sa unire organicamente la contemplazione all'azione. Essere "contemplattivi" nelle profondità della storia e del mondo, di questo mondo uscito dalle mani di Dio, inquinato dall'uomo, redento da Cristo, ma ancora in attesa della liberazione definitiva.

Nella preghiera è possibile recuperare valori e dimensioni diversamente inaccessibili: il perdono gratuito, quello non solo a cose fatte, ma quello che previene, il saper ricominciare ogni giorno da capo, l'accettazione dell'incomprensione e della persecuzione, non solo nella Chiesa, ma anche da parte della Chiesa stessa, il dono del proprio tempo, delle proprie risorse e persino della propria esistenza. L’allenamento pratico, condotto secondo lo spirito e le modalità accennate, prevede una revisione continua del proprio operare, con la previsione degli ostacoli da superare, le insidie da evitare, i passi anticipatori e profetici da compiere. La scelta dello stile nonviolento come prassi di vita è insieme una grazia da chiedere continuamente nella preghiera e un impegno da coltivare nonostante tutto e contro ogni speranza, forti della Parola e dell'esempio del Risorto: "con la vostra perseveranza salverete le vostre anime" (Lc 21, 19; cf. Lc 12, 7; Mt 10, 30; Eb 10, 36; Eb 10, 39).

Beati i miti, perché possederanno la terra (Mt 5,5)

Chi sono i "praèis"che avranno in eredità la terra? Cerchiamo una risposta nella Scrittura.

Mt 11,28-30: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico è leggero". (cf. Sir 51,2Oss: "sottoponete il collo al suo giogo, accogliete l'istruzione", in cui il giogo di cui si parla è il dono della Sapienza). Nel testo di Mt 11,25 il giogo di cui Gesù parla ha questa reminiscenza: Egli ci propone la sua sapienza. Vediamo così che, anche se nell'AT si parla di un Dio forte che vince, la linea "rossa" che parla del Messia, lo presenta come facitore di pace. I cristiani, anch'essi facitori di pace, "saranno chiamati figli di Dio" come il Messia.

Mt 21,5: "Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su una asina, con un puledro figlio di bestia da soma" (Is 62,11; Zc 9,9: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra.)

2 Cor 10,1: "Ora io stesso, Paolo, vi esorto per la dolcezza (praytetos) e la mansuetudine di Cristo, io davanti a voi così meschino, ma di lontano così animoso con voi". Ef 4, 1-4: "Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine (praytetos) e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace"; Col 3, 12-13: "Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine (prayteta), di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri".

Dolcezza e mansuetudine sono legate alla vocazione ricevuta, prerogativa non solo di Paolo, ma di tutti coloro che imparano da Cristo.

Da tutto questo si ricavano indicazioni preziose. Ecco le più importanti:

- la mitezza è una caratteristica del Messia che viene;

- a tale mitezza sono associati i credenti, che possederanno la terra nel senso che faranno parte del Regno di Dio; "erediteranno": sono figli proprio perché ricevono l'eredità;

- la mitezza scaturisce dall'essere amati da Dio;

- è partecipazione alla corrente di amore del Padre e all'agire salvifico e amorevole di Gesù;

- la mitezza è in diretto collegamento con la pace, caratteristica fondamentale del Regno di Dio.

Mitezza come solidarietà con i poveri della terra

La mitezza è collegata inoltre all'umiltà di cuore (tapeinophrosùne) ed indica totale disponibilità di Cristo di fronte al Padre, in solidale sintonia con i poveri e gli oppressi per fondare sulla terra un altro ordine di governo e di diritto: al battesimo è come se il Padre si congratulasse con Gesù dopo che Lui si è identificato con loro. Quando Gesù esce dall'acqua, la Parola del Padre è rivolta a Lui, mentre nella Trasfigurazione la Parola del Padre è per i discepoli sbigottiti. Questa sintonia del Padre con il Figlio nasce dalla solidarietà: l'andare con gli infelici della terra è nella logica di Dio che parte sempre dagli infelici, non perché siano buoni, ma perché soffrono più degli altri ed un Padre si commuove sempre per i figli più infelici. Chiamati a vivere nell'ottica di Gesù, siamo chiamati a vivere questa stessa scelta. Fino a che punto? Il servo di Is 49,4 parla di "diritto", un nuovo diritto: il Messia è colui che interviene a vantaggio di chi è stato privato dei propri diritti, è Lui stesso povero, uno di loro. "Io ho risposto:"Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il mio Dio" (...) Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra"(Is 49, 4b), fino ad addossarsi l'iniquità degli altri.

"Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità" (Is 53, 11), praticando quanto enunciato nel Vangelo. Cf. Mc 10, 42-45: "Disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra di voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti""

L'ereditare la terra rimanda a un rapporto filiale. Indica partecipare a una sorte comune (kleromein), sicché il figlio sarà come il padre. E' evidente la connessione alla beatitudine "beati gli eirenopoioi (facitori di pace) cf. Ef.2,14a-16: "Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo (...) per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo". Proprio gli eirenopoioi sono infatti chiamati (cioè sono) figli di Dio.

Fare la pace è riconciliarsi a tutti i livelli:

- anzitutto con se stessi, con la parte più angosciata, quella che ci fa paura, la ferita che ci fa soffrire e che è come una fessura sulla morte,

-con la propria memoria, il proprio passato

-con il presente, la Chiesa in cui viviamo, senza amarezza, perdonando e chiedendo perdono.

Per questa riconciliazione è necessaria un' azione dello Spirito per cogliere sia gli errori che i germogli di speranza. Cosa fare quando siamo insoddisfatti della nostra Chiesa?

- o ci lasciamo andare ad un'amarezza senza fine,

- o chiediamo segni,

- o ci riconciliamo nella chiarezza e nella trasparenza, dicendo ciò che dobbiamo dire e andando avanti

Mitezza come prassi all'interno della realtà ecclesiale

La mitezza è dono e frutto dello Spirito Santo. Cf. Gal 5,22: "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé". Di quello stesso Consolatore dal quale sono visitati (paraklethesontai) quanti piangono (Mt. 5,4). Sono gli infelici e i perseguitati, ma sono anche quanti fanno lutto perché è stato tolto loro lo Sposo "Gesù disse loro: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però giorni in cui lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno"" (Mt 9, 15).

Se la pace deve caratterizzare i cristiani, chiamati ad avere gli stessi sentimenti che furono di Cristo (Fil 2, 5ss), occorre praticare la stessa correzione fraterna con lo stile della mitezza, al punto che Paolo chiede retoricamente: "Che volete? Debbo venire a voi con il bastone, o con amore e con spirito di dolcezza? (praytetos) (1 Cor 4,21). Del resto la mitezza è condizione per ricevere la Parola di Dio oltre che riconciliarsi con gli altri (Gc 1,21 "Perciò deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime").

 

Le Beatitudini come progetto di vita e disegno di Chiesa

"In povertà di carne, come sono

eccomi, Padre,

polvere di strada che il vento leva appena

in suo perdono"

(Salvatore Quasimodo)

Poter dire a Dio che siamo polvere di strada e dire l'eccomi di figlio.

Le beatitudini sono un testo unico: non c è nulla di simile nella letteratura contemporanea. Esplicitano il capovolgimento di valori che c'è nella Bibbia; sono in profonda sintonia con il canto di Maria:

"abbatte i potenti / innalza gli umili"

Il regno che già Maria custodiva nel cuore è una nuova società: ci facciamo aiutare da lei per accogliere questo dono nuovo. Non si tratta di cambiare i componenti per ricostruire la stessa realtà, ma si tratta di iniziare una realtà nuova e inedita.

Nella Bibbia ci sono tante beatitudini, una lunga scia, come nel salmo 1. Anche i Vangeli sono come un'inclusione: cominciano con "Beata te che hai creduto nell’ adempimento..." e si concludono con "Beati quelli che crederanno senza aver veduto"

È la stessa ottica di S. Paolo quando scrive:"quando sono debole, è allora che sono forte" e poi "perseguitati ma non abbandonati, colpiti ma non uccisi, portando in noi la morte di Gesù perché anche la sua vita sia manifesta..."

Abbiamo due redazioni delle Beatitudini: Mt 5 e Lc 6. La versione di Lc 6 è ritenuta più vicina all'originale (ipsissima verba), la più antica perché:

- più breve

- si rivolge in forma diretta agli uditori

- usa un procedimento che aiuta a memorizzare per contrapposizione e concatenazione.

In realtà il testo comincia con Lc 6, 17: una folla davanti a Gesù, proveniente da Tiro e Sidone, venuta per ascoltarlo (non per essere guarita).

"Beati voi... perché ...": non si tratta di moralismo consolatorio ma di un vero sovvertimento di valori... "già qualcosa avviene sulla terra per voi; io sono venuto per voi". Si passa poi alle contrapposizioni, una per una, con un discorso secco, immediato, storico.

Matteo, che scrive per la comunità giudeo-cristiana, rielabora le Beatitudini per dare un quadro d'insieme più largo. Il testo può trovare inizio in Mt 4, 23:

"Gesù andava intorno... curava ogni infermità", compresa quella della dispersione e della disperazione. Il popolo cui Gesù si rivolge è il popolo della terra, oggetto di disprezzo dei farisei. Tra questo popolo Gesù sceglie i dodici: segno che costituisce una nuova convocazione del popolo di Dio, proprio come Mosè aveva convocato le dodici tribù.

"Messosi a sedere..." => parla come maestro

"Si avvicinarono i suoi discepoli..." => un primo cerchio distinto da quello più largo della folla.

Leggendo le Beatitudini, ci soffermiamo precisando alcuni aspetti:

- "beati i poveri in spirito..."

Sono quei piccoli che Gesù chiama a sé, gli umili, gli innocenti (coloro che non nuocciono), i detentori del regno dei cieli, mentre i farisei, i sacerdoti rischiano di allontanarsi dal regno perché lo considerano un loro possesso.

- "beati quelli che hanno fame e sete della giustizia..."

Giustizia di Dio = verità, gloria di Dio, limpidezza, trasparenza di rapporti guardare, agire nella prospettiva di Dio, imitare la munificenza di Dio.

- "…saranno saziati..."

Sullo sfondo delle Beatitudini c'è il dinamismo evangelico della Kenosi (Fil 2) "da ricco che era si fece povero" (2 Cor)

Le Beatitudini corrispondono a questa logica e chi vuole viverle entra in questo movimento e si fa povero come Gesù, non perché la povertà sia bella, ma per solidarietà con gli "impoveriti". Quelli che gli uomini hanno "impoveriti" Dio li considera felici e vuole che noi interveniamo per ristabilire la situazione.

La buona notizia è che gli impoveriti vengono arricchiti dalla nuova creazione, dalla solidarietà, dal perdono.