Giovanni Mazzillo                                                                                  www.puntopace.net

 

6 - 12 agosto 2007
Settimana di spiritualità della pace presso la comunità di S. Maria delle Grazie a Rossano Calabro


L'oggi e gli interrogativi sulla fede
L'immagine di Dio, la figura di Cristo e l'esperienza della Chiesa

1° Foglio di lavoro  (d. Giovanni Mazzillo)

1) Introduzione generale. Interconnessione tra esperienza religiosa, informazione/i su Cristo ed esperienza di Chiesa
- L’esperienza religiosa è sempre mediata da una comunità                di appartenenza (TRADIZIONALE)

                                                                                                              di realtà vissuta in prima persona (COINVOLGENTE)
 

-  Persistenza dell’esperienza religiosa ben al di là dell’annuncio della sua fine

- L’esperienza “religiosa” (?)  nella negazione dell’esperienza religiosa

Alcuni hanno visto nella religione solo una sorta di funzione antropologica. È da citare la posizione di chi ritiene che in astratto le religioni siano un orientamento generico, in concreto, invece, siano «sistemi di orientamento» dell’uomo (J. Waardenburg)[1], fino ad arrivare alla dichiarazione di chi ritiene ormai completamente vuoto il concetto stesso di religione. È la posizione radicale di W. C. Smith, che considerandolo un concetto fuorviante ed inutile, propone la sua sostituzione con una coppia di concetti come «tradizione cumulativa» (cumulative tradition) e “fede” (faith)[2].

Un esempio di posizione “atea”. «Es kommt kein Morgen mehr ... Ihr sterbt mit allen Tieren/ Und es kommt nichts nachher…»[3]. (Non viene più alcun mattino / Voi morite con tutti gli animali /  E niente viene dopo). H. Küng si chiedeva a riguardo: Non viene alcun mattino oppure viene un mattino migliore?   Viene il niente oppure il niente finisce?

In ogni caso e per ciò che ci riguarda, all’esperienza religiosa sono appese le nostre più importanti domande esistenziali: il senso del vivere e del morire, l’origine e la fine (il fine?) della vita individuale e collettiva, l’origine e la fine del cosmo.

L’insieme delle domande si raggruma intorno all’idea di Dio

2)  Introduzione al lavoro di gruppo:  “Un muro ci separa da te, o Dio: è costruito con le tue immagini” (Rainer Maria Rilke, Das Stundenbuch)        

     Se le domande fondamentali si raggrumano intorno all’idea di Dio questa è però collegata a una sua immagine: è l’immagine sia individuale (a partire dalle nostre esperienze e conoscenze individuali), sia collettiva (secondo le idee ricevute dalla tradizione o dall’ambiente a noi circostante)

Dal Dio guerriero al Dio garante dell’ordine, dal Dio che sacrifica e vuole il sacrificio al Dio che guarda con clemenza, dal Dio nascosto al Dio evidente….

tutto ha origine da un  coacervo esistenziale di cui dobbiamo prendere coscienza: perciò occorre partire dal vissuto  dei partecipanti…divisi in piccoli gruppi e che raccontano la loro storia…..

  

2)  Ascolto del vissuto e conclusioni

Dio resta pur sempre da cercare. Mentre si rivela, si sottrae contemporaneamente alla conoscenza, perché rende nota la sua distanza sia dall’uomo sia dai modi umani di rappresentarlo. Quanto più si avvicina, tanto più ci apparirà lontano. Il suo raggiungerci sarà anche il nostro perderlo. Nelle religioni talora è avvertito nelle stesse indicazioni che si danno sul nome di Dio. Tra i novantanove nomi divini attribuitigli nel Corano, due sono particolarmente significativi ad indicare contemporaneamente la sua vicinanza e la distanza. Allah è chiamato al-Dhāhiru, cioè l’Evidente e anche al-Bhātinu, cioè il Nascosto[4], tenendo ben presente che la doppia denominazione non è contraddittoria, dal momento che

«ciò che è più straordinario, è che Egli non Si manifesta in nessuna delle Sue forme epifaniche senza essere velato da queste stesse, e non è velato da alcuna senza precisamente manifestarSi in esse»[5].

Anche nella riflessione teologica cristiana Dio resta mistero, perché è vicino e lontano nello stesso tempo, al punto che si raccomanda di

«[...] non confondere il Dio “ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile” (Liturgia di san Giovanni Crisostomo, Anafora) con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio»[6].

Concilio Lateranense IV «non si può rilevare una qualche somiglianza tra Creatore e creatura senza che si debba notare tra di loro una dissomiglianza ancora maggiore»[7]

D. Bonhoeffer: «Chi guarda Gesù Cristo vede realmente Dio e il mondo con un solo sguardo, e d’ora innanzi non può più vedere Dio senza il mondo, né il mondo senza Dio»[8].

2)  Attraversare il nulla per incontrare l’Inesprimibile

Canto dei Navayos[9]:

«Con un vuoto di fame in me io cammino, / Cibo non potrà riempirlo; [...]

Con un vuoto di spazio in me io cammino, / Nulla potrà riempirlo; [...]

Con uno spazio di tristezza in me io cammino, / Tempo non lo terminerà; [...]

Con uno spazio di solitudine in me io cammino, / Nessuno lo colmerà; [...]

Per sempre solo, per sempre triste io cammino,

Per sempre vuoto, per sempre affamato io cammino,

Col dolore di grande bellezza io cammino;

Col vuoto di grande bellezza io cammino».

La conclusione non è però di sconfitta. Diventa preghiera, quasi contemplazione, di chi vuol continuare a restare in cammino, mentre parla con Dio:

«Ora con un Dio io cammino, / Ora i passi muovo tra le vette,

Ora con un Dio io cammino, / A passi di gigante, oltre le colline.

Io sono una preghiera in cammino. / Mai solo, mai piangente, mai vuoto,

Sul cammino delle età antiche, /Sul sentiero della bellezza. Io cammino»[10].

 

 

2° Foglio di lavoro  (d. Giovanni Mazzillo)

In Gesù Dio si fa nostro “prossimo”,  fino a condividere la nostra sorte

 

1)  La condivisione della sorte dell’uomo fino alla condivisione dell’abisso: Dio si fa uomo per conoscere l’abisso, perché proprio gli uomini raggiungono più rapidamente e più profondamente l’abisso (pensiero di M. Heidegger, mutuato da Hölderlin)[11].

La condivisione arriva fino all’accettazione delle possibilità più negative da parte degli uomini: l’incomprensione, l’isolamento,la solitudine, il non senso, la morte. Gesù condivide pienamente la  “condizione umana”. 

  In quanto Figlio condivide con il Padre e lo Spirito Santo la prerogativa di essere Signore Onnipotente (kÚrioj pantokr£twr, kyrios pantokratôr)[12], cf.  Apocalisse 1:7-8: “Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen. «Io sono l'alfa e l'omega», dice il Signore Dio, «colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente»”;

vi rinuncia in forza dell’onnipotenza dell’amore, che diventa solidarietà:

Filippesi 2:5-11: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù,

 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente(¡rpagmÕn)[13],

 ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini;

 trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.

 Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome,

 affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra,

 e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”.

La storia dei testimoni di Cristo marcia nella stessa direzione. Due esempi:

a) Edith Stein reagisce verso chi vuole salvarle la vita: «Non lo fate, perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta»[14].

In suo scritto si trova:

«Il Salvatore non è solo sulla croce […] Ogni uomo che nella successione dei tempi sopportò con pazienza un destino duro pensando alle sofferenze del Salvatore e che prese su di sé volontariamente una vocazione espiatrice, ha contribuito con ciò ad alleggerire il carico enorme dei peccati dell’umanità e ha aiutato il Signore a portare il suo peso»[15].

La decisione è sorretta dalla fede ed esprime un programma di vita: 

 «Se accettiamo l’intero Cristo con il fedele dono di noi stessi, egli ci guiderà per mezzo della sua Passione e della sua Croce verso la risurrezione. Dopo la buia Notte, splende dinanzi a noi la Fiamma vivente dell’amore».

Proclamata santa da Papa Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1998, la sua festa ricorre il  9 Agosto (giorno del suo assassinio in un camera a gas ad Auschwitz)  sotto il titolo «Santa Teresa Benedetta della croce, martire e Patrona d’Europa». 

Nel suo pensiero l’intera nostra vita, sempre esposta alla morte è però sorretta dalla braccia di Dio:

«Il mio essere … è un essere inconsistente; io non sono da me, da me sono nulla, in ogni momento mi trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono attimo per attimo nuovamente l’essere. Eppure questo essere inconsistente è essere ed io in ogni istante sono in contatto con la pienezza dell’essere… So di essere conservato e per questo sono tranquillo e sicuro: non è la sicurezza dell’uomo che sta su un terreno solido per virtù propria, ma è la dolce, beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto, sicurezza, oggettivamente considerata, non meno ragionevole» (E. Stein, Essere finito ed essere eterno. Per un’elevazione al senso dell’essere, Città Nuova, Roma 1988, 92.95-96).

b) L’esempio di D. Bonhoeffer: proposta di pace in un mondo di inaudita violenza

«Quando intorno a noi il conflitto e la morte esercitano il loro selvaggio dominio, allora noi siamo chiamati a testimoniare l'amore e la pace di Dio, non solo con le parole e i pensieri, ma anche con l'azione. Leggete Giac. 4,1 ss. Quotidianamente chiediamoci dove possiamo testimoniare con l'azione quel regno in cui domina l'amore e la pace. Solo dalla pace tra due o tre persone può finalmente risultare la grande pace in cui speriamo. Poniamo fine ad ogni odio, sfiducia invidia. “Beati i pacificatori,perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)»[16].

Mattina della domenica in Albis 1945, a Schönberg, Bonhoeffer accoglie dietro l’insistenza anche dei prigionieri cattolici, e presente anche Kokorin, nipote di Molotov, a tenere un culto mattutino, a partire da Isaia: «Per le sue lividure noi abbiamo avuto la guarigione» (Is 53,5) e «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere, mediante la risurrezione di Gesù Cristo, dai morti a una speranza viva» (1Pt 1,3). Mentre parla, la porta si spalanca e si sente gridare: «Prigioniero Bonhoeffer, prepararsi a venir via!». La sua unica reazione: «È la fine, ma per me l’inizio della vita». Dopo un sommario processo a Flossenbürg, si avvia verso l’esecuzione. Prima di togliersi gli abiti da prigioniero, si inginocchia in preghiera e così anche prima di salire al luogo della forca. Avrà avuto ancora nel cuore, condividendo la sorte dei tanti uccisi, la convinzione che comunque occorre costruire la pace, pur rimettendoci di persona, per essere figli di Dio[17].

2) Le tante domande su Gesù e l’unica domanda su Cristo

Il problema storico è legittimo e doveroso. A quale realtà storica “sperimentale” corrisponde il dato di fede su Cristo? Le diverse interpretazioni: tra quella spiritualista, zelota, movimento di mendicanti, trasgressore, fondatore di una setta ecc.

Per la questione e i suoi passaggi   più significativi Cf. www.puntopace.net\Mazzillo\Gesustor06.htm

Aggiornamenti rispetto a ciò che ci è più vicino:

Corrado Augias in Inchiesta su Gesù  intervista il biblista Mauro Pesce sul periodo storico nel quale visse Gesù, le sue parole, la sua vita, la sua morte, sui tanti testi che ne parlano[18]. Tutto muove dall’ambiente giudaico del I° secolo nel tentativo di spogliare l’immagine di Gesù dalla stratificazione della successiva teologia. Risultato: un ebreo, fedele alla Legge e amante del suo popolo e delle sue tradizioni, ma anche critico verso una fede ridotta a formalità esteriori. Emerge un progetto innovativo con il riscatto degli emarginati da parfte di un uomo con personalità forte, mai conosciuta interamente, e coerente fino alla morte.

Benedetto XVI in Gesù di Nazaret;  afferma già nella premessa del libro: «Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio. Io sono convinto … che questa figura storica è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni … figura storicamente sensata e convincente…ho solo cercato di applicare i nuovi criteri metodologici, che ci consentono una interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede … non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (cfr. Sal 27,8)»[19]. Per questo occorre guardare alla profonda unità di Gesù con il Padre. Ciò si evince dappertutto: dal battesimo alle tentazioni di Cristo, fino al “discorso della montagna”, nel quale si manifesta la potenza di Dio e contemporaneamente la sua vicinanza al popolo a partire dai poveri di Dio. Ma oltre alle grandi immagini tratte dal Vangelo di Giovanni (acqua, vite, pane, pastore ) sono evidenziati due momenti importanti: la confessione di Pietro e la Trasfigurazione, fino ad arrivare all’ultimo capitolo sui titoli che Gesù ha dato a se stesso, Figlio dell’uomo, Figlio e «Io Sono», espressioni con le quali Gesù vela e svela il mistero di sé. Se Mosè, che pure aveva parlato “faccia a faccia” con Dio, non aveva potuto vederlo, Gesù vive al cospetto di Dio come Figlio e si sente in profonda comunione con Lui. Qui è la risposta alla domanda sull’autorità della sua dottrina e sulla realtà di Gesù.

E tuttavia restano fondamentali  domande quali il rapporto di Gesù con i movimenti rivoluzionari e con gli Esseni, contro la perversa dottrina della “guerra santa”,  il valore da lui dato alla dignità dell’uomo e della donna, il ruolo dell’uomo nel Regno di Dio e soprattutto la scelta del Figlio di Dio di attraversare la vita e la morte come figlio dell’uomo. Gesù è il «testimone fedele» (o màrtys o pistòs, Ap 1,5), fedele a Dio e all’uomo, come due facce di un’unica fedeltà da parte di colui che è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Si tratta di una fedeltà che esprime adeguatamente l’originalità e la singolarità di Gesù, perché è nello stesso tempo fedeltà all’Antica Alleanza, della quale egli ritiene che «non passerà neppure un iota o un segno» (Mt 5, 17) e fedeltà alla sua umanità e a quella del suo popolo, in quanto popolo di Dio che si estende anche i non Ebrei. Per tutti alla fine egli sa di offrire interamente la sua vita. Martirio come fedeltà suprema, per un’alleanza che è per tutti e non per un ristretto numero di persone.

 

 

3° Foglio di lavoro 

Chiesa di Dio, popolo delle beatitudini

1)  La Chiesa creatura della Parola di Dio[20]

È la Parola di Dio a generare la Chiesa e non viceversa e tuttavia essa prende forma e riceve accoglienza, “udienza”, interpretazione, discernimento e trasmissione nella Chiesa. Tanto la Parola che la Chiesa hanno un’intima, costitutiva e determinante natura trascendente.

    a) La Parola radice e  áncora del popolo di Dio: «Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino» (Ap 22,16).

La radice è il Verbum Dei. È il Logos. Parola di Dio in quanto debar Jahve: dal comando di Dio, al suo precetto, alla parola rivolta ai profeti, alla parola efficace, fino ad essere creatrice. L’insistenza di un’espressione che sottolinea nella specificità della storia d’Israele la realizzazione della Parola di Dio: «si realizzò la Parola di Jahve».

b) La Parola come voce che convoca e raduna (chiamata ed alleanza). L’ekklesìa è l’insieme dei “chiamati” (kletoi) del Signore. Si tratta di una voce (vox) con la quale Dio parla ed agisce, offre l’alleanza e chiede che essa sia trasmessa alle future generazioni. L’assemblea di Dio nasce anche nel NT ascoltando quella voce che s’identifica con la Parola, che è Gesù, in primo luogo come voce che chiama gli affaticati e gli oppressi: cf. Mt 11,28-30. Ad Antiochia, «dopo la lettura della legge e dei profeti» , annota Luca (At 13,15), Paolo annuncia solennemente il vangelo al popolo là radunato. Esso si ritrova numeroso il sabato successivo, «per ascoltare la parola di Dio» (At 13,44). La gelosia di una parte dei giudei, offre a Paolo e agli altri la motivazione definitiva per rivolgersi ai pagani, tanto che «la parola di Dio si diffondeva per tutta la regione» (At 13,42).

c) La Parola come tavola imbandita (nutrimento e accompagnamento della Chiesa). La Chiesa è comunità di discepoli e di fratelli. Il primo nutrimento è la Parola di Dio: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).

«La chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra tradizione, la chiesa ha sempre considerato le divine Scritture e le considera come la regola suprema della propria fede» (Dv 21).

Gesù indica chiaramente il pane che bisogna chiedere e cercare: «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27). «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6,35). La cena con i suoi discepoli realizza queste parole. A questo nucleo della sua ekklesìa ora lascia la sua parola: «Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi… Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,3-4.7)

     d) La Parola come mandorlo che veglia e preannuncia (cammino del popolo di Dio nella storia e suo discernimento). «Poi la parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: “Geremia, che cosa vedi?” Io risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. E il Signore mi disse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per mandarla ad effetto”» (Ger 1,11-12).  Dio con la sua Parola giudica i popoli, ma che ha a cuore anche il loro destino.   La Parola di Dio è la solida speranza alla quale la Chiesa è ancorata: «In essa (speranza) infatti noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek» (Eb 6, 19-20).

2) Comunità inserita nella vita  della Trinità[21]

La Chiesa è comunità interamente legata al Padre, definitivamente salvata da Cristo e perennemente convocata dallo Spirito Santo (tutto ciò che si esprime nel simbolo: credo la Chiesa). Si tratta di una Chiesa popolo di Dio "in quanto popolo della nuova alleanza stipulata in Cristo" pertanto di una comunità dell’alleanza e di una comunità che è alleanza: alleanza con Dio e alleanza tra gli uomini. La Carta pastorale della Caritas (del 1995) ci aiuta a capire questa comunità come "chiesa verso la quale guardiamo e che ci impegniamo a costruire".

Essa è: "Una comunità di discepoli, chiamata e mandata. In particolare si connota come: - Popolo/famiglia di Dio - Popolo itinerante e pellegrino - Popolo che si fa profezia, libero e liberante- Popolo missionario nella storia e nel territorio" (Ivi, 19).

Che la Chiesa sia popolo di Dio è un dato rivelato. Ha una notevole consistenza biblica, perché la Bibbia parla di "popolo di Dio", sia in riferimento al popolo d’Israele della prima alleanza sia in riferimento al popolo di Dio della nuova e definitiva alleanza in Cristo. Qui ricorre come laós toû theoû, riprendendo l’antica formulazione del popolo di Jahvè. Indica la comunità appartenente a Dio, pur nelle varianti di "popolo mio", "popolo dell'alleanza" “popolo d’acquisizione” etc.

Ciò non significa l'abbandono della dimensione “misterica” della Chiesa, ma al contrario uno sviluppo di quest’aspetto, riconoscendo la ricchezza del "mistero" nell'uomo e nel tempo (vedi "segni dei tempi") e testimoniando la ricchezza immensa della vicenda umana sulla terra.  

L’impronta del Dio trinitario, cioè Comunità d’amore, è in ogni soggetto umano: "Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora" (Pr 14,31);  "Chi deride il povero offende il suo creatore, chi gioisce della sciagura altrui non resterà impunito" (Pr 17,5).  La dignità inalienabile di ogni uomo, nasce dal suo legame con il Dio Unitrinità d’amore ed è la base della cosiddetta teologia di comunione. Essa implica il dialogo come atteggiamento di fondo verso tutti e la solidarietà con tutti.  Comporta anche una particolare attitudine dei fedeli verso la realtà della fede e delle cose da credere, il cosiddetto "senso di fede" dei fedeli e la consistenza dell'unità come valore di fondo, pur nella diversità dei ministeri e dei carismi. Compiti e mansioni sono nella Chiesa direttamente da ricondurre all’azione dello stesso Spirito Santo.

3)  Come Dio progetta la sua Chiesa

È un progetto che si può ricavare da alcune scelte prioritarie, che sono poi quelle del Vaticano II: a) La scelta di Dio e della sua Parola; b) La scelta della via di Cristo: l’incarnazione e il farsi prossimo dell’uomo; c) La scelta preferenziale per i più bisognosi. Queste tre scelte rendono necessari alcuni passaggi: dal supernaturalismo ad un'evangelizzazione attraverso una vita credibile; dalla carità come virtù individuale alla riscoperta dell'amore come dinamismo teologale; dall’impegno solo per la salvezza della propria anima all’impegno per gli altri e per il futuro del mondo.

Il cammino della Chiesa è segnato dalla sequela di Gesù come la strada di tutti, perché via ordinaria del popolo di Dio, comunità dei discepoli pellegrini e chiesa dei viatori (Lg 49), in comunione con i santi, in quanto essi sono "coloro che hanno seguito fedelmente Cristo", costituita da quanti "Obbedendo alla voce del Padre (...) seguono Cristo povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria" (Lg 41). Ciò vale anche per i laici: «La carità di Dio, "riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5), rende i laici capaci di esprimere realmente nella loro vita lo spirito delle beatitudini. Seguendo Gesù povero, non si abbattono per la mancanza dei beni temporali né si inorgogliscono per l'abbondanza di essi; imitando Gesù umile, non diventano vanagloriosi (cf. Gal 5,26), ma cercano di piacere a Dio più che agli uomini, sempre pronti a lasciare tutto per Cristo (cf. Lc 14,26) e a patire persecuzione per la giustizia (cf. Mt 5,10), memori della parola del Signore: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24)» (Aa 4).

La sequela non è solo una chiamata per i credenti convertiti, è anche una situazione: quella dei più poveri: "Coloro che sono oppressi da povertà, infermità, malattia e altre tribolazioni, o soffrono persecuzioni a causa della giustizia, sappiano di essere uniti in modo speciale a Cristo che soffre per la salvezza del mondo. Il Signore nel Vangelo li ha proclamati beati" (LG 41: EV/1, 395). Per questo è necessario adoperarsi per affrettare la venuta del Regno, prendendo coscienza di essere un popolo messianico.

4) La Chiesa come popolo messianico che si impegna per il futuro degli uomini e del mondo

"Questo popolo messianico ha per capo Cristo "consegnato per i nostri peccati, risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25), che regna glorioso in cielo dopo aver ottenuto il nome che è al di sopra di ogni altro nome. Lo statuto di questo popolo è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali, come in un tempio, inabita lo Spirito di Dio. La sua legge è il nuovo comandamento di amare come ci ha amati Cristo (cf. Gv 13,34). Il suo fine è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso, ma destinato a dilatarsi sempre più, per essere portato a compimento alla fine dei secoli, quando apparirà il Cristo vita nostra (cf. Col 3,4); allora "anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio" (Rm 8,21)"(LG 9).

Ecco allora le motivazioni profonde del compito affidato alla Chiesa, la cui legge suprema è quella di "amare come Cristo ci ha amato", per diventare strumenti di liberazione, perché “il popolo messianico, anche se di fatto non comprende ancora la totalità degli uomini e ha spesso l'apparenza di un piccolo gregge, è però per l'intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per la comunione di vita, di carità e di verità, viene assunto da lui anche come strumento di redenzione per tutti, ed è inviato a tutti gli uomini come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,12-16)” (Ivi).

C’è un anelito di ogni essere umano, che in Cristo è divenuto figlio di Dio e che, con la stessa natura, è in travaglio per perseguire la completa liberazione. È la base della teologia dei segni dei tempi, veri e propri momenti privilegiati di salvezza (kairòi),  che bisogna saper leggere negli avvenimenti storici e alla luce della Parola di Dio: La Gaudium et spes ne parla fin dal n. 4 in questi termini:

«Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico» (Gs 4).


 

[1] Cf. Cf. U. Berner, «Religione», in H. Waldenfels (a cura di), Nuovo dizionario delle religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, 758.

[2] È una tesi che mira più che a dissacrare, ad evidenziare gli aspetti soggettivi dell'atto religioso e ciò porterebbe alla fine dell'idea della religione come sistema di tipo oggettivo. Cf. W. C. Smith, The Meaning and End of Religion, New York 1962.

[3] Cf. www.phil.uni-sb.de/projekte/imprimatur/2001/imp010803.html .

[4] Corano LVII,3.

[5] Così afferma Sayyed Haydar Amolì nel Testo dei testi, come riportato in G. Mandel, I Novantanove Nomi di Dio nel Corano, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 192.

[6] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 42-43. A questo riguardo si riprende quanto espresso dal Concilio Lateranense IV «non si può rilevare una qualche somiglianza tra Creatore e creatura senza che si debba notare tra di loro una dissomiglianza ancora maggiore» [Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 806]». Cf. Associazione Teologia Italiana, Parlare di Dio. Possibilità, percorsi, fraintendimenti, (a cura di G. Mazzillo), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002.

[7] Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 806]». Cf. Associazione Teologia Italiana, Parlare di Dio. Possibilità, percorsi, fraintendimenti, (a cura di G. Mazzillo), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002.

[8] D. Bonhoeffer, Etica, Milano 1969, 61.

[9] Popolo indigeno del Nuovo Messico ("Navajo" oppure "Navaho"). Fieri oppositori  all'avanzata dei "bianchi", con gli Apache di Geronimo (seconda metà del 1800).

[10] Citato in A. Boccia, (a cura di) “Le religioni arcaiche”, in AA. VV., Le grandi religioni del mondo, Editrice Missionaria Italiana, Bologna s.a., 7.

[11] Cf. J-F. Courtine, «Les traces et le passage de Dieu dans les "Beiträge zur Philosophie" de Martin Heidegger», in Archivio di Filosofia 1-3 (1994), 522-523, che spiega questo pensiero appoggiandosi alla considerazione che se i mortali accettano la propria mortalità con serenità e consapevolezza superano anche gli immortali a motivo della conoscenza che essi hanno della morte e della fine, insomma dell'abisso(Abgründlichkeit). Cf. G. MAZZILLO, L'uomo sulle tracce di Dio. Corso di Introduzione allo studio delle religioni. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005.

[12] Da pas, tutto, e krateô: 1) avere potere, essere potente, dominare 2) ottenere possesso, 3) tenere.

[13] Da ¡rp£zw (harpazô), 1) afferrare, portare via con la forza; 2) afferrare, prendere per sé stesso impazientemente; 3) afferrare via, strappare.

[14] Giovanni Paolo II, Omelia per la canonizzazione di Edith Stein, Roma 11 ottobre 1998, in www.gesuiti.it/moscati/Ital3/GPaolo2_ES_Cn.html.

[15] P. Ricci  Sindoni, «Edith Stein come narrare il mistero», in Horeb tracce di spiritualità 5(2/1993, mag-ago), 68-72.

[16] D. BONHOEFFER, Gli scritti (1928-1944), Queriniana, Brescia 1979, 663-664.

[17] CF.  R. GRUNOW, «Dietrich BONHOEFFER», in P. VANZAN - J. SCHULTZ (a cura di), Mysterium Salutis 12. Lessico dei teologi del secolo XX, Queriniana, Brescia 1978, 586-592 (fonte E. BETHGE, Eine Biographie, - trad. italiana Dietrich Bonhoeffer. Una biografia, Queriniana, Brescia 1975).

[18] C. AUGIAS – MAURO PESCE, Inchiesta su Gesù, chi era l’uomo che ha cambiato il mondo. Mondadori, Milano.

[19]  JOSEPH RATZINGER, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazareth, Rizzoli, Milano 2007.

[20] Per il testo completo su quest’argomento  cf.  www.puntopace.net/Mazzillo/ParolaChiesaVivarium27-02-07.htm.

[21] Testo intero in www.puntopace.net/Mazzillo/GioieSperanze-Orsomarso21-01-06.htm. Altri testi in www.puntopace.net .