Giovanni Mazzillo <info>                                                           www.puntopace.net

Le acquisizioni sulla pace dal Vaticano II in poi. Essere mossi dalla pace per mobilitarsi per la pace

(Incontro a Taranto 21/11/2007)

1. Il patrimonio dottrinale dopo il Vaticano II

Una sintesi si può trovare a partire dalla 37^ Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2005 del 2004. Parlando di «Un impegno sempre attuale: educare alla pace»,  Giovanni Paolo II aveva indicato un inscindibile rapporto tra annuncio del vangelo e annuncio della pace:

«I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente illustrati. Ora non rimane che operare, affinché l'ideale della pacifica convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli individui e dei popoli. Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace è annunziare Cristo che è « la nostra pace » (Ef 2,14), è annunziare il suo Vangelo, che è «Vangelo della pace» (Ef 6,15), è chiamare tutti alla beatitudine di essere « artefici di pace» (cfr Mt 5,9)».

«Proclamare la pace» come «annunziare Cristo che è “la nostra pace”» sono espressioni inequivocabili, così come era inequivocabile già in Paolo nella lettera agli Efesini lo stretto rapporto tra vangelo e pace nell’espressione «lieta notizia della pace» (euangelion tēs eirēnēs). La lieta notizia, l’euangelion è pace, perché Cristo che è «la nostra pace» (Ef 2,14). In quanto tale «ha abbattuto i muri di separazione», facendo saltare non solo delimitazioni convenzionali e confini, ma realizzando vincoli indissolubili di unità e carità tra i diversi. Vincoli che sono effettuati nel suo stesso, unico corpo: da quello morente sulla croce, a quello eucaristico e, in questo, a quello stesso corpo della Chiesa.

L’affermazione paolina, chiave di volta del magistero di pace, concludeva e rilanciava  un patrimonio, che a partire da Paolo VI, inventore delle giornate mondiali della pace, si è arricchito, di «vari capitoli di una vera e propria “scienza della pace”». Dopo L’istituzione della “Giornata Mondiale della Pace” l’1 Gennaio 1968 da parte di Paolo VI, i temi affrontati  sono in rapporto con i diritti e i valori fondamentali dell’uomo, e invitano tutta la chiesa ad una presa di responsabilità collettiva nell’impegno per promuovere la pace e ciò che la favorisce. Ecco in successione le formulazioni di Paolo VI:

«La promozione dei diritti dell'uomo, cammino verso la pace» (1969);  

«Educarsi alla pace attraverso la riconciliazione» (1970);

 «Ogni uomo è mio fratello» (1971);

«Se vuoi la pace, lavora per la giustizia» (1972);

«La pace è possibile» (1973);

 «La pace dipende anche da te» (1974).

Si tratta di un magistero che coinvolge tutti e singoli, con appelli successivi, quali:

«La riconciliazione, via alla pace» (1975);

«Le vere armi della pace» (1976);

«Se vuoi la pace, difendi la vita» (1977).

L’ultimo messaggio di  Paolo VI sembra riassumere il suo magistero in merito:

«No alla violenza, Sì alla pace»  (1978).

Giovanni Paolo II eredita questo patrimonio e lo sviluppa ulteriormente. L’intero arco del suo magistero di pace, di una vera «scienza della pace» sembra racchiusa in una sorta di inclusione letteraria. Gennaio 1979: «Per giungere alla pace, educare alla pace»; Gennaio 2004: «Un impegno sempre attuale: educare alla pace».  

Tra questa prima e la 25^ giornata di Giovanni Paolo II  si sviluppa una riflessione sulla pace, che affianca anche un percorso teologico, che parallelamente si va maturando anche in campo più specificamente teologico[1].

I temi successivamente toccati da Giovanni Paolo II tra il 1980 al 1985 sono manifestamente delle acquisizioni dottrinali e anche degli appelli e veri e propri impegni storici:  

1980: La verità come forza della pace;

1981: Per servire la pace, rispetta la libertà;

1982: La pace, dono di Dio affidato agli uomini;

1983: Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo;

1984: La pace nasce da un cuore nuovo;

1985: La pace e i giovani camminano insieme.

Alcune formulazioni sembrano voler rispondere a un’obiezione che di solito si affaccia in ambienti spiritualistici, che dichiarano inutile l’impegno per la pace, perché essa sarebbe solo dono di Dio e frutto esclusivamente di una lavorio spirituale per far pace con se stessi. La formulazione del Papa per la giornata mondiale del 1982 «La pace, dono di Dio affidato agli uomini» non lascia adito a dubbi. La pace è sì dono di Dio, ma è affidato agli uomini e pertanto deve essere assecondato da noi uoomini, chiamati a collaborare con Dio nella storia e per il miglioramento della storia umana.  La pace è stata inoltre raccordata con la verità, come sua forza (espressione che a noi ricorda “la forza della verità”  di Gandhi), con la libertà, come sua condizione e corollario, e con il dialogo, come suo indispensabile strumento. Tutto ciò con due ulteriori agganci: il rinnovamento del cuore e la giovinezza della pace. In un duplice senso: perché la pace è sempre attuale e perché rappresenta una provvidenziale e indomabile ansia dei giovani.

Dal 1986 al 1996 i temi ruotano intorno a vere e proprie aperture di spazi mentali, sociali ed ecclesiali da compiere verso l’esterno e verso nuove situazioni che si affacciano all’orizzonte del mondo attuale:

1986: La pace è valore senza frontiere. Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace;

1987: Sviluppo e solidarietà, chiavi della pace;

1988: La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza;

1989: Per costruire la pace, rispettare le minoranze;

1990: Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato;

1991: Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo;

1992: I credenti uniti nella costruzione della pace;

1993: Se cerchi la pace, va' incontro ai poveri;

1994: Dalla famiglia nasce la pace della famiglia umana;

1995: Donna: educatrice alla pace;

1996: Diamo ai bambini un futuro di pace.

La pace richiede senz’ombra di dubbio il superamento dei confini e delle nostre frontiere e ciò appare ben chiaro fin dall’inizio. All’epoca la barriera tra Est-Ovest sembrava un’insormontabile barriera politica, accanto alla barriera economico-sociale Nord-Sud tuttora in auge e Giovanni Paolo II insisteva sul superamento di questi blocchi reali, causa anche di veri e propri blocchi “mentali”.


Altri collegamenti sempre attuali riguardano il rispetto della libertà religiosa e delle minoranze, la riconciliazione con Dio Creatore e con il suo creato, il rispetto della coscienza individuale e il compito dei credenti nella costruzione della pace.  Il Papa annotava un altro inscindibile nesso tra la costruzione della pace e alcuni aspetti fondamentali dell’agire umano nella storia: «Sviluppo e solidarietà, chiavi della pace». A queste “chiavi” si richiamò più direttamente il tema del 1993, mutuato dalla teologia della liberazione e oggi di uso comune, almeno nel linguaggio della Chiesa universale: «l’opzione preferenziale per i poveri». Tra questi poveri ci sono ovviamente non solo gli svantaggiati economicamente, ma gli indifesi, gli oppressi e gli emarginati. A questo compito di abbattimento di ogni barriera viene chiamata la famiglia  per edificare la pace della famiglia umana e la figura della donna, educatrice alla pace.  Sicché a un futuro di pace hanno diritto i bambini, perché ne ha diritto l’umanità futura.

E così arriviamo all’ultima fase di  Giovanni Paolo II. I suoi temi vedono la pace nelle sue cause e nei suoi frutti, in un nesso che spesso collega entrambi, perché la pace nasce da alcune condizioni, ma porta anche a situazioni migliori. Il tema del 2000, anno giubilare della redenzione, che ricorda la nascita di Gesù sulla nostra terra, è quello dell’annuncio degli angeli ai pastori: Gloria a Dio e pace agli uomini!  In sequenza le giornate sono queste:

 

1997: Offri il perdono, ricevi la pace

1998: Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti

1999: Nel rispetto dei diritti umani il segreto della vera pace

2000: « Pace in terra agli uomini, che Dio ama! »

2001: Dialogo tra le culture per una civiltà dell'amore e della pace

2002: Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono

2003: « Pacem in terris »: un impegno permanente

Come si noterà, accanto ai grandi temi biblico-teologici della pace, affiora sempre più chiaramente il grande, inscindibile nesso tra giustizia e pace, che però è accompagnato da quello del perdono. Pace, giustizia e perdono, con i loro addentellati sul piano del diritto e dell’impegno costante per una pace sulla terra (pacem in terris), sempre a favore degli  uomini che Dio ama, sono non solo connessi tra loro, ma sono espressioni storiche della dimensione cristocentrica della pace.

2. Corpo mistico e corpo storico di Cristo per contribuire con lui a realizzare la pace

I temi ricordati sono tutti, in varia maniera, dipendenti da un fatto storico e dalla sua comprensione teologica. Il fatto storico è Cristo. Storicamente parlando, è l’assassinio di un innocente, che muore perdonando i suoi assassini, a conclusione di una vita di predicazione e di prassi nonviolenta, di riconciliazione dei lontani con Dio e  di abbattimento di ogni steccato tra gli uomini. La sua predicazione e la sua vita sono l’emblema del superamento di ogni confine e dell’idea stessa del confine.

Il suo rivolgersi agli uomini più umili, per additare loro la carica d’Infinito, di cui sono capaci e portatori, costituisce l’essenza di un messaggio che riempie di stupore i destinatari del suo messaggio e suscita preoccupazione e paura nei detentori del potere, sia esso politico, sia esso religioso. L’avere additato agli uomini l’entità della loro grandezza e la strada per arrivarvi e per esprimerla suscita gioia nei poveri e negli infelici, ma scatena la paura nei potenti. 

La fede cristiana è fede nel Cristo che annuncia la pace ed è la Pace. Pertanto è anche fede “nella pace”. Ma è anche fede nell’uomo, essendo fede nel Figlio di Dio divenuto Figlio dell’uomo. Negare il valore dell’uomo è negare il valore di Cristo. Se nella prima Alleanza troviamo scritto che «chi opprime il povero offende il suo Creatore, chi ha pietà del misero lo onora» (Pr 14,31), si può affermare che per la definitiva Alleanza chi non crede nell’uomo non crede nemmeno in Cristo e chi lo opprime o semplicemente lo ignora opprime e ignora Cristo[2].  Un corollario con cui prima o dopo devono fare i  potenti e quanti ancora ritengono gli esseri umani limitati o solo fasci di bisogni da soddisfare o pezzi di cera da plasmare. Tutto ciò ovviamente secondo scopi inconfessabili, perché se gli uomini non valgono quanto Cristo, i dittatori e gli uomini di governo ne potranno fare carne da macello per le proprie guerre chiamate “giuste” e persino «preventive»,  mentre le multinazionali e le industrie ne faranno consumatori istupiditi dal "benessere" e dai grandi e piccoli narcotici di ogni giorno.

A fronte di tutto questo, Cristo è artefice di pace, perché innanzi tutto è artefice della dignità degli uomini, è l’autore e il segnaposto più alto della loro grandezza. Anche in questo primo senso Cristo è autore della nostra pace, anzi è la pace stessa. Quest'identificazione era già nel profeta Michea, che tracciava la netta coincidenza tra il messia e la pace, quando preannunciandone la venuta, affermava: «e sarà lui la pace» (Mi 5,4).

In Cristo l’abbattimento di ogni altro confine muove dal superamento di questo primo confine, quello che stringe il cerchio umano intorno al proprio limite e alla propria immanenza. Solo se questo cerchio è realmente spezzato – e nella fede confessiamo che esso è spezzato – ha senso l’affermazione che la pace è riconoscimento dei diritti umani, è opzione preferenziale per i più svantaggiati, è rispetto della libertà dei popoli e dei singoli, è perdono e infine è vincere il male con il bene.

Gesù può proclamare e ordinare «beati i facitori di pace (eirenopoiòi) perché saranno chiamati (cioè perché sono essi) i figli di Dio», perché i figli di Dio credono nella grandezza umana al di là dell’umano. Chi vive questa consapevolezza e si fa artefice di un mondo nuovo, lo può solo perché è destinatario e soggetto di un modo nuovo di capire l’uomo e la sua vicenda, il mondo e il suo futuro. Egli “fa la pace” perché abbatte il limite e pertanto supera gli altri limiti, non solo attraversa le frontiere, ma ne mostra l’insensatezza, a partire dalla stessa convinzione: non ci possono essere confini tra esseri umani che sono tutti ugualmente sconfinati, non esistono limiti tra uomini e donne per loro natura illimitati.

«Fare la pace»  fu per Cristo una missione e un’identificazione. Deve diventarlo parimenti per il cristiano.

Gesù, identificandosi nella sua missione di pace, diventava infine pace egli stesso, conformemente alle Scritture. E ciò accadeva soprattutto negli ultimi giorni della sua vita terrena. Si compiva liturgicamente il giovedì santo nel cenacolo, con il dono dell’eucaristia, con il segno di un’unità che né divisioni, né sofferenza e nemmeno la morte potranno eliminare e si consumava esistenzialmente il giorno dopo sulla croce, come atto di riconciliazione tra il cielo e la terra, tra Dio e l’uomo e pertanto tra l’Infinito e il finito che ad esso finalmente e definitivamente si ricongiungeva. In tutto ciò Cristo era artefice di pace ed era la stessa pace.

L’ha ribadito Paolo, che ha potuto scrivere di lui: «Egli infatti é la nostra pace», in un contesto storico che confessa che Cristo è «Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14). «Facitore di pace», Gesù compiva la pace nel suo corpo e attraverso la croce (Ef 2,15‑17). 

La lettera agli Efesini menziona l’effetto più vistoso della pace di Cristo ai tempi di Paolo: il superamento del confine nazionalistico-religioso tra ebrei e pagani. Non si tratta solo della rimozione di un limite, bensì della costituzione di un particolare vincolo tra quanti un tempo erano divisi e nemici: un vincolo che, a partire dalla teologia paolina, è quella dello stesso corpo: corpo mistico e corpo storico. In Cristo e nei testimoni di pace si realizza, nel solco di Gesù e nell’unione mistica e storica reale con lui la storia della salvezza oggi, e la salvezza della storia di questo nostro mondo tormentato. In loro e in quanti ne seguono le orme, la Chiesa è corpo mistico, cioè realtà unitaria, radunata in Cristo e che nell’eucaristia si alimenta d’Infinito; ma è anche corpo storico, cioè realtà che opera, in forza dell’Infinito che la inibita e sospinge, un continuo superamento di ogni confine nella storia umana, degli uomini e dei popoli.

3. La pace dono e compito del popolo di Dio

In quanto popolo di Dio, siamo Chiesa che deve proseguire in una prassi, che non è solo storico-salvifica ma salvifico-storica. Essa non si può infatti limitare solo alla sua, pur essenziale, liturgizzazione, ma deve curarne l’applicazione “reale” in ogni situazione.

Tale prassi, collegata alla ricerca continua della giustizia e all’abbattimento di ogni discriminazione, è «euangelion tēs eirēnēs», vangelo della pace e con ciò realizzazione della salvezza, come apprendiamo ancora da Ellacuria:

Ai noi seguaci di Gesù Paolo ripete: «tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù», poiché siete «stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo», «non c'è qui (ouk eni) né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28).

La pace opera dunque su questi livelli e su tutti i livelli della realtà esistente. È ri-donata da Gesù ai suoi discepoli la sera della Pasqua dopo la sua risurrezione.

Gesù riconferma la “sua” pace,  che riconcilia con Dio tutti gli uomini, tutto l’uomo e la stessa creazione. È la sua pace, pace che egli ci dà come dono e come compito: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace.  Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). È una pace che passa attraverso il ministero della riconciliazione con Dio e tra gli uomini e che Gesù ugualmente affida ai suoi apostoli: «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 21-23). 

È una pace che avvia l’era definitiva della pace messianica e diventa fermentazione di una liberazione per tutta la realtà cosmica. Anche in questo senso la pace di Gesù è diversa da quella del mondo ed è una pace da annunciare all’intera creazione: «E disse loro: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura (pase the ktìsei)» (Mc 16,15). Infatti

«la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 19-21). 

In Gesù l’intera creazione si riconcilia, cominciando così a realizzare il sogno profetico di quella nuova creazione, che vedrà la riconciliazione anche tra gli animali dei campi, gli uccelli dell'aria e i rettili della terra (Os 2,20).

A quest’opera complessiva del pacem facere è pertanto chiamato tutto il popolo di Dio. È chiamata l’intera umanità. Ma, giunti a questo punto e constatato che ancora tale compito non sempre è registrato nella sua impellenza come compito personale, perlomeno non da tutti, anche se tutti ne dichiarano l’importanza, la domanda è: «Che cosa fare o che cosa continuare a fare e come essere oggi operatori di pace?». La risposta ovvia è che chi ne è cosciente deve fare quanto è in suo potere, perché il compito di Gesù sia adempiuto e che non bisogna lasciarsi scoraggiare da quanti non la pensano alla stessa maniera.


 

[1] Cf., L. LORENZETTI (a cura di), Dizionario di teologia della pace, Dehoniane, Bologna 1997, con lemmi talvolta simili a quelli qui affiorati e per ciò che mi riguarda,  G. MAZZILLO, La teologia come prassi di pace, La Meridiana, Molfetta (BA) 1988 e in riferimento al pensiero e all’agire di Gesù: ID., Gesù e la sua prassi di pace, La Meridiana, Molfetta (BA) 1990.  Più in generale, cf. ID., "Teologia fondamentale", in L. LORENZETTI (a cura di), Dizionario di teologia…cit., pp. 67-77.

[2] Per un approfondimento di questo argomento cf. "beati i miti, perché erediteranno la terra cf. la relazione sullo stesso argomento tenuta a Firenze durante la settimana della pace del 2002 [cliccare].