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Catania 9-11/04/03 – Parrocchia Santi Pietro e Paolo

Riflessioni di G. Mazzillo

Tema generale: Un itinerario verso la Pasqua. Con Cristo nella costruzione della pace

1^ Riflessione: La passione di Gesù,storia di vinti vittoriosi.

L'accusa e la condanna.

 Mc 14,53-65:   <<Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti attestavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi. Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo: «Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo». Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde. Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte. Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: «Indovina». I servi intanto lo percuotevano>>.

 

Mc 14,1-5: <<Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato. Allora Pilato prese a interrogarlo: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato>>.

 Commento

Storia di ieri,storia di oggi. Carolyn Gilbert, 55 anni; Ardeth Platte, 66; Jackie Marie Hudson, 68 sono dichiarate colpevoli (si attendono gli anni di condanna, fino a 30) per aver simbolicamente colpito a martellate un silos di cemento armato con missili atomici. Data 8-04-03. Le colpevoli sono 3 suore. I silos nel Colorado, il tribunale di New York, uno degli USA, la cui leadership si dice impegnata a portare libertà e democrazia nei paesi oppressi e a distruggere armi di distruzione di massa, tra le quali le nucleari. Alla lettura della sentenza le suore condannate intonano inni religiosi, poi salutano rispettosamente la corte, segnandosi con la croce. La croce, appunto, il segno e il supplizio di Gesù. Ma perché è stato condannato Gesù? Le motivazioni del processo. Le motivazioni vere. La nonviolenza del "Beati i facitori di pace". Qumran.

Gesù è decisamente lontano dal loro “messianismo radicale”. Si distingue tanto dagli Zeloti, con il loro integralismo violento, che dagli Esseni, con la loro esasperata santità opponenti i “figli delle tenebre ai figli della luce”, i primi destinati alla salvezza, gli altri al fuoco. Sebbene ritroviamo sulle labbra di Gesù alcune espressioni dei testi di Qumran collegati a tali movimenti messianici, egli predica e pratica una misericordia che non allontana, ma avvicina i peccatori e gli impuri. Anziché coltivare progetti di insurrezione violenta e di un regno che si abbatte sulla terra, Gesù ne disegna le caratteristiche nella sua lenta e complessa maturazione. Egli attribuisce a se stesso le caratteristiche del “figlio dell’uomo”, che anche i testi di Qumran mediano da Daniele, per descrivere il messia come colui che «non si allontanerà dai comandamenti dei santi»[1][14], e che sarà motivo di gioia e di speranza per pii ed i giusti. Così, ad esempio, troviamo in un frammento:

«Attingete forza voi che lo servite, voi che cercate il Signore. Forse che non dovreste trovarlo proprio voi, voi tutti che con cuore così perseverante lo attendete? Perché il Signore si metterà alla ricerca dei pii (hasidim) e chiamerà per nome i giusti (zaddikim). Sui miti planerà il suo spirito e i credenti ricreerà attraverso la sua potenza»[2][15].

Quasi in parallelo, Gesù tratteggia l’adempimento dei compiti del Messia davanti ai discepoli del Battista con queste parole:

«Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6).

E con ciò, applica a sé la profezia di Isaia 61, già rievocata nella sinagoga di Nazareth. Una profezia sorprendentemente vicina a un altro testo di Qumram, dove è scritto del messia:

 «I pii glorificherà al trono del Regno eterno. I prigionieri libererà, i ciechi farà vedere e gli op[pressi] egli riabiliterà». «...allora guarirà i malati, risveglierà i morti e annuncerà gioia ai miti, ... guiderà i santi e li custodirà...»[3][16] .

Tuttavia, a fronte di una giustizia legale, Gesù parla della superiore giustizia, radicata in quella di Dio, e della sua regalità a vantaggio dei poveri e di coloro che non contano niente. Per lui il Regno predicato per gli infelici non dipende dalle virtù dei poveri. È il Regno delle beatitudini che rivelano la sorprendente gratuità di Dio e la natura “particolare” del suo stile di regnare[4][17]. Gesù si distanzia decisamente anche da ogni pretesa di purezza legale (tanto degli Esseni che dei Farisei) e dalla radicalità apocalittica, che arrivava all’idea della “guerra santa”, come attestano ancora alcuni scritti di Qumran:

«... il tempo in cui tu hai loro comandato ... non a ... e voi  mentirete sul suo patto ... essi dicono: “fateci fare la Sua guerra ... perché abbiamo profanato” ... i vostri [nemi]ci devono essere annientati e non devono sapere che con il fuoco ...»[5][18].

La strada di Gesù, invece, è quella di chi ripudia la violenza. Si potrebbe dire che se nei testi di Qumran c’è la formulazione della beatitudine dei violenti, tanto da scrivere «... fatevi coraggio per la guerra e ciò dovrà esservi computato a giustizia…»[6][19], nel Vangelo c’è l’affermazione contraria. Si tratta di un’affermazione certamente vicina al pensiero, all’animus di Gesù ed è la beatitudine dei facitori di pace. Proprio costoro sono quelli che Dio accoglie, “giustifica” e chiama suoi figli, sicché essi sono figli della luce e non coloro che si devono preparare alla guerra.

Gesù realizza il regno messianico della pace

Sono anche queste le ragioni che ci fanno concludere che Gesù è un re di pace perché è il messia ed è il messia perché è un re di pace. Pertanto è l’unto di Dio. Realizza le profezie che lo caratterizzavano come principe della pace:

«Un bimbo è nato per noi, c'è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno che egli viene a consolidare e a rafforzare con il diritto e la giustizia» (Is 9,5‑6).

Gesù adotta uno stile regale tutto suo, intriso di mitezza, sì da far ricordare il «re umile», venuto sull'asinello dei poveri e degli antichi patriarchi: «Ecco viene a te il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina» (Zc 9,9).

Lo stesso profeta aveva preannunciato il disarmo, affermando del messia:

«Farà sparire i carri (di guerra) da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco da guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti» (Zc 9,10).

Ciò in armonia con la grande profezia che nel tempo messianico vedeva i popoli dediti finalmente alla costruzione della pace:

«forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra» (Is 2,4).

Per tutte queste ragioni la notte della nascita del Messia è un annuncio inequivocabile: «gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Come a dire: la pace costituisce il motivo fondamentale per rendere gloria a Dio. La pace sulla terra è la gloria di Dio.

È un programma confermato e mai smentito da Gesù, che, come abbiamo visto, collega nel suo insegnamento la gloria di Dio nel cielo e la venuta del suo Regno con la pace da costruire sulla terra (Mt 5, 1-11). Al punto che, quando ne vede i primi frutti, esulta di gioia indicibile (Lc 10,21-22; Mt 11, 25-26).

Egli coinvolge i suoi discepoli nella stessa missione, in un annuncio che si traduce in gesti: «Entrando nella casa, rivolgete il saluto [cioè augurate lo shalom]» (Mt 10, 11). È lo shalom che prende corpo nella prassi, conformemente all’imperativo: «guarite gli infermi , risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni»(Mt 10,8).

Non dobbiamo inoltre dimenticare che il binomio pace-gloria è presente anche nella scena dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Luca riformula infatti l'acclamazione messianica di «Osanna al figlio di David», con «Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli». Ricollega la gloria a Dio e la pace questa volta nei cieli, ma quasi a dire: «si realizza oggi la pace che Dio vuole nel cielo».

Si tratta del compimento di ciò che Gesù ha perseguito in tutta la sua vita. Con quella prassi che si può chiamare “prassi di pace”. I suoi passaggi più importanti sono, come già visto altrove[7][20], un agire che valorizza la convivialità, che esalta la misericordia che richiama continuamente al servizio. Pertanto: il perdono predicato e praticato, la resistenza al male con il bene, le reiterate indicazioni a recare un messaggio che aggreghi i dispersi e rinfranchi gli scoraggiati.

Cosciente di tutto il valore di un agire informato dalla pace e ad essa sempre orientato, Gesù non si stanca di affermare la novità del regno: «avete inteso che fu detto agli antichi ... ma io vi dico» (Mt cc. 5,20-48), richiamando alla speranza persino nel momento del giudizio: «Alzatevi e sollevate la testa, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28)[8][21].

Egli dà finalmente corpo a quelle parole di Geremia, che dalla sofferenza dell’esilio rievocava il cuore della promessa di Dio:

«Io conosco i progetti fatti a vostro riguardo ... progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).

In Gesù si realizzava l'identificazione del profeta Michea tra il messia e la pace, quando preannunciandone la venuta, affermava: «e sarà lui la pace» (Mi 5,4)[9][22].

Identificatosi nella sua missione di pace, Gesù diventava infine pace egli stesso, soprattutto negli ultimi giorni della sua vita terrena. Al punto che Paolo ha potuto scrivere di lui: «Egli infatti é la nostra pace», in un contesto storico che confessa che Cristo è «Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14). Facitore di pace («beati i facitori di pace!)», Gesù compiva adesso la pace nel suo corpo e attraverso la croce (Ef 2,15‑17). 

Gesù: è questa la volontà di Dio, operare la verità, fare la pace, perché essa, come la prima, ci renderà liberi. Le 3 condannate:''Molto, molto duro. Sappiamo che è la volontà di Dio..." [Da Il Manifesto 33 (9-04-03) 9].


2^ Riflessione: «Uniti  a  lui  con una morte simile alla sua, lo saremo anche  con la sua risurrezione» (Rm 6,5).

Il titolo della seconda riflessione rimanda immediatamente a un altro di San Paolo, che afferma: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Il nostro intento è di cercare di capire insieme che cosa voglia dire essere uniti a Cristo nella sua morte, per esserlo anche nella sua risurrezione.

Intanto riascoltiamo il racconto della morte di Gesù.

Qui sono anche espressi le nostre promesse e i nostri tradimenti

Mc 14, 26-31 <<E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno   disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». Allora Pietro gli disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò». Gesù gli disse: «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano anche tutti gli altri>>...

Mc 14,66-72 <<Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò: «Non so e non capisco quello che vuoi dire». Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è di quelli». Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: «Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo che voi dite». Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte». E scoppiò in pianto>>…

La via dolorosa, itinerario di incontri, di solidarietà e d’indifferenza

Mc 15,16-32: <<Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte. Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo. Cominciarono poi a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce. Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio, e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra. . I passanti lo insultavano e, scuotendo il capo, esclamavano: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: «Ha salvato altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano>>.

La testimonianza di Etty Hillesum[10], un ragazza ebrea, solidale con la sorte del suo popolo:

 «La prossima settimana probabilmente tutti gli olandesi saranno chiamati al controllo. Di minuto in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso, come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore umano, e io vedo e vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre, sempre più in pace, e c’è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me. E ora al lavoro»[11].

 La crocifissione: tortura di ieri, tortura di sempre
(vedi www.puntopace.net/Mazzillo/Amnesty-controtortura01.htm)

Pronunciamenti magisteriali

- Catechismo della Chiesa cattolica (CCC): È una bestemmia torturare in nome di Dio

CCC n. 2148 La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro "che bestemmiano il bel nome (di Gesù) che è stato invocato" sopra di loro ( Gc 2,7 ). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. E' blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.

2297 …. La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contrario al rispetto della persona e della dignità umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale [Cf Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: Denz.-Schönm., 3722].

2298 Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l'ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l'ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro abolizione. Bisogna pregare per le vittime e per i loro carnefici.

- Commissione Teologica Internazionale La Chiesa e le colpe del passato" :

«5.3. L'uso della violenza al servizio della verità

Un altro capitolo doloroso sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità ".(78) Ci si riferisce alle forme di evangelizzazione che hanno impiegato strumenti impropri per annunciare la verità rivelata o non hanno operato un discernimento evangelico adeguato dei valori culturali dei popoli o non hanno rispettato le coscienze delle persone a cui la fede veniva presentata, come pure alle forme di violenza esercitate nella repressione e correzione degli errori.

Analoga attenzione va riservata alle possibili omissioni, di cui i figli della Chiesa si fossero resi responsabili nelle più diverse situazioni della storia riguardo alla denuncia di ingiustizie e di violenze: " Vi è poi il mancato discernimento di non pochi cristiani rispetto a situazioni di violazione dei diritti umani fondamentali. La richiesta di perdono vale per quanto è stato omesso o taciuto per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo indeciso o poco idoneo "(79)..

Dalla Bibbia:

«Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora» (Pr 14,31);

«Chi deride il povero offende il suo creatore, chi gioisce della sciagura altrui non resterà impunito» (Pr 17,5);

«Ma egli libera il povero con l'afflizione, gli apre l'udito con la sventura» (Gb 36,15)[12].

L'etica religiosa giudaica è contrassegnata da una denuncia profetica vigorosa contro ogni sorta di oppressione dei più deboli. Bastano a dimostrarlo ancora alcuni esempi:

«Perfino sugli orli delle tue vesti si trova il sangue di poveri innocenti, da te non sorpresi nell'atto di scassinare, ma presso ogni quercia» (Ger 2,34);

Per i padri della Chiesa si tenga presente l'intramontabile e felice principio di Ireneo: "Gloria Dei vivens homo: vita autem hominis visio Dei" (La gloria di Dio è l'uomo vivente: la vita poi dell'uomo è la visione di Dio) - Sant'Ireneo di Lione, Adversus Haereses IV, 20, 7: SCh 100, t. II, 648.

Siamo chiamati, proprio noi, ad aiutare Dio

Il grido di Gesù, grido di ogni innocente che muore:

 Mc 15, 33-41: <<Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto  in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!». C'erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di ioses, e Salome, che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme>>.

Il grido: Dio dove sei?

Una risposta sconvolgente:   Aiutare l’amore a restare sulla terra.

Etty esprime un pensiero ardito, ma coerente: aiutare Dio a portare il fardello e la sfida nell’amore, quando esso è messo in scacco:

«E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. Su tutta la superficie terrestre si sta estendendo piano piano un unico, grande campo di prigionia e non ci sarà quasi più nessuno che potrà rimanerne fuori. È una fase che dobbiamo attraversare. Qui gli ebrei si raccontano delle belle storie: dicono che in Germania li murano vivi o li sterminano coi gas velenosi. Non è granché saggio raccontarsi storie simili, e poi, se anche questo capitasse in una forma o nell’altra, è per responsabilità nostra? Da ieri sera piove con una furia quasi infernale. Ho già vuotato un cassetto della mia scrivania»[13].

Affidare al vento il proprio testamento d’amore

L’ultima cartolina di Etty, datata 7 settembre 1943, buttata da una fessura del treno fu trovata da qualcuno, fu effettivamente spedita; diceva così:

«Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: «Il Signore è il mio alto ricetto». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche della mia ultima lunga lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty»[14].

I personaggi cambiano, la sofferenza è sempre la stessa, come è la stessa la speranza: l’uscire dal campo o restarvi schiacciati con la certezza che qualcuno raccoglierà una povera cartolina affidata al vento, degli ebrei di ieri, di Rachel, americana, schiacciata da un israeliano meno di un mese fa.

Rachel ed il suo martirio (www.puntopace.net/rachel/rachel1.htm).

                                                                                                                                         



[1] Mia traduzione dal tedesco, dalla raccolta dei testi originali di R. Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus und die Urchristen. Die Qumran-Rollen entschüsselt, Bertelsmann, München 1993, 4Q521 (tavola 1) I frammento, 2 colonna, pag. 29 (ed. oginale inglese: Id., The Dead Sea Scrolls Uncovered, Element Books, Dorset 1992, England, tr. Italiana: Id., Manoscritti segreti di Qumran, Piemme, Casale monferrato 1994).

[2] Ivi.

[3] Ivi.

[4]A questo riguardo, il biblista Dupont scrive: «Gli autori che abbiamo ora citato, e molti altri con essi, si rendono conto che le beatitudini hanno un valore religioso, e in questo hanno certamente ragione. Ma pensano di poter scoprire questo senso religioso soltanto nelle disposizioni spirituali di coloro ai quali sono rivolte le beatitudini. Noi cercheremo di dimostrare che il privilegio dei poveri e degli sventurati trova, al contrario, il suo vero fondamento non tanto nelle disposizioni spirituali attribuite a queste categorie di persone, ma nella natura del Regno che sta per venire, nelle disposizioni di Dio il quale intende esercitare la sua regalità a favore dei pii diseredati. Le beatitudini sono prima di tutto una rivelazione sulla misericordia e sulla giustizia che devono caratterizzare il Regno di Dio» (J. Dupont, Le beatitudini I¸ Paris 1969, pag. 516.

[5] R. Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus..., cit., che fa riferimento a 4Q471, Framemnto 1, pag. 39.

[6] Ivi.

[7] Cf. G. Mazzillo, Gesù e la sua prassi di pace, Molfetta (BA) 1990, capitoli 8-9-10.

[8] Pur con un discorso che riprende schemi del linguaggio talora spaventoso di quel genere letterario profetico, Gesù annuncia la speranza e la gioia e sostanzialmente ripete il tenore delle beatitudini: il capovolgimento da una situazione di persecuzione e di sofferenza in una situazione di gioia e di liberazione messianica. Il rinnovamento reca anche quella palingenesi, cioè la rigenerazione totale già accennata, dell'intero cosmo (Is 66,22; cf. Is cc. 60‑62) ed è, in definitiva, il tramonto di un mondo violento e peccaminoso e l'inizio di quei cieli nuovi e terra nuova, «nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13). Del resto, alla ristabilita armonia creaturale, tipicamente messianica, allude anche la scena di Gesù nel deserto, in compagnia con le fiere e con gli angeli, di Mc 1,12‑13. Ciò potrebbe essere una testimonianza che la coscienza messianica, già presente nell' interpretazione teologica di Gesù, sia poi passata a quella della comunità primitiva: non una coscienza vuota, ma dai contenuti tipicamente messianici.

[9] Così come si trova in alcune accurate traduzioni di questo passo, il Messia è la pace e non piuttosto egli porterà la pace. Cf. Das Neue Testament, la traduzione adottata dalle conferenze episcopali di lingua tedesca, che traduce: «Und er wird der Friede sein».

[10] Ebrea olandese che non si oppone al suo internamento nei campi nazisti per condividere la tragica esperienza del suo popolo. Morì ad Auschwitz, a meno di trentanni.

[11] Etty Hillesum, Diario. 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, Adelphi, Milano 1985, pag. 160.

[12] L'idea ritorna diffusamente nei Salmi. Ne citiamo alcuni: Sal 72,4: «Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore»; Sal 72,13: «avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri»; Sal 107,41 «Ma risollevò il povero dalla miseria e rese le famiglie numerose come greggi»; Sal 109,31: «poiché si è messo alla destra del povero per salvare dai giudici la sua vita»; Sal 113,7: «Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero»; Sal 132,15: «Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri»; Sal 140,13: «So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri».

[13] Etty Hillesum, Diario, cit., 163.

[14] Ivi, pag. 149 -Etty Hillesum morì a Auschwitz il 30 novembre 1943.