Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Convegno  di Amnesty International
«Non sopportiamo la tortura»

Catanzaro 13/12/01

Testo della relazione di  Giovanni Mazzillo
 «Torturare l'uomo è attentare alla santità di Dio»

I parte
Improponibilità della tortura da qualsiasi punto di vista

1) Testi e dichiarazioni

Partiamo dai testi, che non mancano. Ce ne sono come dichiarazioni di associazioni, testi giuridici e pronunciamenti magisteriali

A) Movimenti di opinione nella chiesa

Qualche stralcio dal documento conclusivo del Forum di cattoliche e di cattolici europei (FEC) a Santa Severa, Roma (7-10 ottobre 1999) (Testo molto critico e in qualche punto eccessivamente animoso. Fonte ADISTA n. 78 -1 novembre 1999 ).

«2.1) Da quando sono in Europa, i cristiani hanno fatto troppo spesso ricorso alla forza. Più e più volte capi militari o semplici soldati si sono combattuti, giustificando spesso le loro campagne di conversione o di conquista con una sedicente "missione" consacrata dal "Signore della storia". Conquiste di conversione o di colonizzazione, crociate e "guerre sante" hanno seminato la devastazione degli animi e dei Paesi conquistati. "In nome della verità" migliaia di uomini e di donne sono morti nelle camere di tortura o sul rogo. Anche la gioiosa liberazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 all’inizio fallì».

«3.5) Noi pensiamo che sia giunto il tempo di opporci finalmente all’inaccettabile rifiuto della Santa Sede di sottoscrivere la Convenzione europea dei diritti umani. Essa deve dimostrare il suo pieno e non equivoco sostegno dei pari diritti delle donne nella Chiesa stessa: non semplicemente a parole, ma con i fatti».

«Ci sentiamo anche obbligati a lavorare per l’abolizione della pena di morte in tutti i Paesi del mondo».

«Nella Chiesa cattolica, coloro che cercano nuove strade per la diffusione del Vangelo e nuove strade di dialogo con le altre religioni e con il mondo, e che reclamano una profonda riforma della Chiesa cattolica romana, non dovrebbero essere più repressi o emarginati. Chiediamo che, nello spirito del Concilio Vaticano II, si apra nella Chiesa una stagione di dialogo creativo senza esclusioni o scomuniche».

B) Testi giuridici di diverso valore sui diritti umani

Fonte: F. COMPAGNONI, «Carte dei diritti» in Dizionario di teologia della pace, Dehoniane, Bologna 1997

Ci sono carte dei diritti di diverso valore. Escludendo quelli di natura filosofica e storica (cf. voce «Diritti umani»), abbiamo testi con valore giuridicamente cogente ed altri senza. La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (ONU nel 1948), non è obbligante le convenzioni che ne sono derivate lo sono (o meglio lo dovrebbero essere). L'elenco riportato è il seguente:

1926, Convenzione contro la schiavitù (convenzione della Società delle nazioni, ripresa dall'ONU come propria); 1948, Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio; 1949, Convenzione per la repressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione; 1951, Convenzione relativa allo status dei rifugiati; 1952, Con la convenzione sul diritto di rettifica; 1952, Convenzione sui diritti politici della donna; 1954, Convenzione sullo status degli apolidi; 1957, Convenzione sulla cittadinanza delle donne sposate; 1965, Convenzione sul consenso per il matrimonio, l'età minima e la registrazione del matrimonio; 1965, Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale; 1966, Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali; 1966, Patto internazionale sui diritti civili e politici (questi due patti, approvati il 16.12 sono la trascrizione giuridica della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo). Essi sono comunque entrati in vigore internazionale solo nel 1976, raggiunto il numero minimo di ratifiche previsto); 1966, Protocollo facoltativo relativo al patto internazionale sui diritti civili e politici (anch'esso in vigore dal 1976, ma con poche adesioni); 1968, Convenzione sulla non prescrittibilità dei delitti di guerra e crimini contro l'umanità; 1973, Convenzione internazionale sulla repressione e punizione del delitto della politica di apartheid; 1979, Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione della donna; 1984, Convenzione contro la tortura e le altre forme di trattamento o punizioni crudele, disumana e umiliante; 1989, Convenzione sui diritti dell'infanzia.

Sono ancora da ricordare i documenti nell'ambito sociale e culturale dell'Ufficio internazionale del lavoro (ILO) e dell'UNESCO (Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura). Si consideri comunque che non tutti gli Stati appartenenti all'ONU hanno aderito a tutte le convenzioni: mentre 86 e 82 hanno aderito ai Patti sui diritti dell'uomo, ben 124 hanno accettato la Convezione contro la discriminazione razziale.

Esistono inoltre organizzazioni regionali del tipo: la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 4.11.1950), all'interno del Consiglio d'Europa, che ha redatto patti e trattati regionali sui diritti dell'uomo. Ne sono un esempio la Carta sociale europea (1961), la Convenzione europea per combattere il terrorismo (1977), la Convenzione contro la tortura e trattamenti disumanizzanti (1987). Anche l'Organizzazione degli Stati americani (OSA) ha redatto una Convenzione americana dei diritti dell'uomo (San José de Costa Rica, 1969); mentre dall'Organizzazione dell'unità africana (OUA) è stata prodotta una Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli (Nairobi, 28.6.1981).

La Convenzione europea (entrata in vigore già nel 1953, con adesione di 21 Stati del Consiglio d'Europa) dispone dal 1959 della Corte europea dei diritti dell'uomo (Strasburgo).

BIBLIOGRAFIA riportata  - Basic Documents on Human Rights, a cura dii. BROWNLIE, Clarendon Press, Oxford 1983 (continuamente aggiornato); LAGELÉE G. -VERGNAUD J. -L., La conquête des droits des hommes, Le Chercie Midi Editeur, Paris 1988; PECES-BARBA MARTINEZ G., Derecho positivo de los derechos humanos, Editorial Debate, Madrid 1987; Codice internazionale dei diritti dell'uomo, a cura di M. SCALABRINO SPADEA, Pirola, Milano 1991

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C) Pronunciamenti magisteriali

- Catechismo della Chiesa cattolica (CCC)

È una bestemmia torturare in nome di Dio

CCC 2148 La bestemmia si oppone direttamente al secondo comandamento. Consiste nel proferire contro Dio - interiormente o esteriormente - parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell'abusare del nome di Dio. San Giacomo disapprova coloro "che bestemmiano il bel nome (di Gesù) che è stato invocato" sopra di loro ( Gc 2,7 ). La proibizione della bestemmia si estende alle parole contro la Chiesa di Cristo, i santi, le cose sacre. E' blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte. L'abuso del nome di Dio per commettere un crimine provoca il rigetto della religione.

2297 …. La tortura, che si serve della violenza fisica o morale per strappare confessioni, per punire i colpevoli, per spaventare gli oppositori, per soddisfare l'odio, è contrario al rispetto della persona e della dignità umana. Al di fuori di prescrizioni mediche di carattere strettamente terapeutico, le amputazioni, mutilazioni o sterilizzazioni direttamente volontarie praticate a persone innocenti sono contrarie alla legge morale [Cf Pio XI, Lett. enc. Casti connubii: Denz.-Schönm., 3722].

2298 Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l'ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l'ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro abolizione. Bisogna pregare per le vittime e per i loro carnefici.

- Commissione Teologica Internazionale La Chiesa e le colpe del passato"

«5.3. L'uso della violenza al servizio della verità

Un altro capitolo doloroso sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità ".(78) Ci si riferisce alle forme di evangelizzazione che hanno impiegato strumenti impropri per annunciare la verità rivelata o non hanno operato un discernimento evangelico adeguato dei valori culturali dei popoli o non hanno rispettato le coscienze delle persone a cui la fede veniva presentata, come pure alle forme di violenza esercitate nella repressione e correzione degli errori.

Analoga attenzione va riservata alle possibili omissioni, di cui i figli della Chiesa si fossero resi responsabili nelle più diverse situazioni della storia riguardo alla denuncia di ingiustizie e di violenze: " Vi è poi il mancato discernimento di non pochi cristiani rispetto a situazioni di violazione dei diritti umani fondamentali. La richiesta di perdono vale per quanto è stato omesso o taciuto per debolezza o errata valutazione, per ciò che è stato fatto o detto in modo indeciso o poco idoneo ".(79)

-…. Sul piano interreligioso è opportuno rilevare come per i credenti in Cristo il riconoscimento delle colpe passate da parte della Chiesa sia conforme alle esigenze della fedeltà al Vangelo e dunque costituisca una testimonianza luminosa della loro fede nella verità e nella misericordia del Dio rivelato da Gesù. Ciò che va evitato è che simili atti siano equivocati come conferme di eventuali pregiudizi nei confronti del cristianesimo. Sarebbe inoltre auspicabile che questi atti di pentimento stimolassero anche i fedeli di altre religioni a riconoscere le colpe del proprio passato. Come la storia dell'umanità è piena di violenze, genocidi, violazioni dei diritti umani e di quelli dei popoli, sfruttamento dei deboli e divinizzazione dei potenti, così quella delle varie religioni è cosparsa di intolleranza, superstizione, connivenza con poteri ingiusti e negazione della dignità e libertà della coscienze. I cristiani non sono stati un'eccezione e sono consapevoli di quanto tutti siano peccatori davanti a Dio!

[La] domanda di perdono non deve essere intesa come ostentazione di finta umiltà, né come rinnegamento della sua storia bimillenaria certamente ricca di meriti nei campi della carità, della cultura e della santità. Essa risponde invece a un'irrinunciabile esigenza di verità, che accanto agli aspetti positivi, riconosce i limiti e le debolezze umane delle varie generazioni dei discepoli di Cristo ". (100) E la Verità riconosciuta è sorgente di riconciliazione e di pace, perché, come afferma lo stesso Papa, " l'amore della verità, ricercata con umiltà, è uno dei grandi valori capaci di riunire gli uomini di oggi attraverso le varie culture».

NOTE  (78) Tertio millennio adveniente. (79) Giovanni Paolo II, Discorso del 1 settembre 1999, in L'Osservatore Romano, 2 settembre 1999, 4.

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2) È blasfemo torturare anche senza ricorrere al nome di Dio: torturare l'uomo è negare Dio

Dalla Bibbia:

«Chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora» (Pr 14,31);

«Chi deride il povero offende il suo creatore, chi gioisce della sciagura altrui non resterà impunito» (Pr 17,5);

«Ma egli libera il povero con l'afflizione, gli apre l'udito con la sventura» (Gb 36,15)[1].

L'etica religiosa giudaica è contrassegnata da una denuncia profetica vigorosa contro ogni sorta di oppressione dei più deboli. Bastano a dimostrarlo ancora alcuni esempi:

«Perfino sugli orli delle tue vesti si trova il sangue di poveri innocenti, da te non sorpresi nell'atto di scassinare, ma presso ogni quercia» (Ger 2,34);

Per i padri della Chiesa si tenga presente l'intramontabile e felice principio di Ireneo: "Gloria Dei vivens homo: vita autem hominis visio Dei" (La gloria di Dio è l'uomo vivente: la vita poi dell'uomo è la visione di Dio) - Sant'Ireneo di Lione, Adversus Haereses IV, 20, 7: SCh 100, t. II, 648.

II parte
Tre tesi sulle religioni e il rispetto dei diritti umani
(a maggior ragione contro ogni forma di tortura)

Ripresa dal precedente testo su religioni e diritti umani

1. L'esperienza religiosa autentica tende necessariamente all'autopurificazione di ogni religione 

Mi riferisco all'«esperienza religiosa autentica» per salvaguardarla dalle sue superstizioni, esagerazioni e mistificazioni. Con ciò non voglio dire che abbiamo fin dall'inizio una sorta di letto di Procuste su cui misurare in anticipo l'esperienza religiosa e dichiararla immune dalle sue falsificazioni. Il senso del mio contributo va in un'altra direzione. Cerca di documentare quanto sia invece necessaria una continua circolarità tra la resa della fede alla Trascendenza e il controllo critico della ragione rispetto alla sua percezione ed espressione, proprio al fine di salvaguardare la purezza dell'esperienza religiosa come esperienza della Trascendenza. In tale complesso ed indispensabile discernimento la Trascendenza deve poter restare tale, "trascendente", ma l'uomo deve mantenere integra la sua realtà e dignità, in qualche maniera la sua trascendenza. Se uno di questi due minimali eppure indispensabili e insopprimibili poli dell'esperienza religiosa subisce una menomazione, l'esperienza religiosa risulta ben presto deformata, viziata e non di rado patologica. In altre parole, l'esperienza della Trascendenza si può impiantare e pur con tutti i limiti può essere tematizzata e pertanto "presentata", solo se mantiene quella tradizionale duplice dimensione che è spesso richiamata, sebbene in altri contesti, nell'approfondimento teologico: quella verticale, come riferimento alla Trascendenza e quella orizzontale, come richiamo alle sue immediate e dirette conseguenze sull'uomo in relazione con gli altri. Una dimensione, che potremmo dire meglio, è trasversale, perché attraversa ogni rapporto tra l'uomo e la realtà che lo circonda.

2) La religione giudaico-cristiana contiene un capovolgimento strutturale rispetto al sacro: dal sacrificio imposto all'uomo al sacrificio volontario di Dio

Riferendoci a valori quali questi ultimi menzionati da Gesù, la giustizia, la misericordia e la fedeltà, diremo innanzi tutto che sono valori umani e religiosi nello stesso tempo, valori teologali oltre che teologici. Partendo da essi possiamo passare alla seconda parte di questo contributo, nella quale osserviamo che nel giudaismo-cristianesimo è presente il capovolgimento della affermazione religiosa fondamentale: dal Dio che vuole il sacrificio umano al Dio che sacrifica se stesso per amore degli uomini.

Operando un salto dalla critica pacata dei filosofi e dalle invettive dei poeti e dei profeti, possiamo cogliere lo stesso anelito in chi, al pari del premio Nobel per la letteratura, Josè Saramago, ha potuto scrivere, all'indomani della distruzione delle "Torri gemelle" di New York:

«Uccidere in nome di Dio   di JOSE' SARAMAGO

 «In un luogo dell'India. Una fila di pezzi d'artiglieria in posizione. Legato alla bocca di ciascuno di essi c'è un uomo. In primo piano nella fotografia un ufficiale britannico erge la spada e sta per dare l'ordine di fare fuoco. Non disponiamo di immagini dell'effetto degli spari, ma anche la più ottusa delle immaginazioni potrà "vedere" teste e tronchi dispersi nel campo di tiro, resti sanguinolenti, viscere, membra amputate. Gli uomini erano ribelli.

In un luogo dell'Angola. Due soldati portoghesi sollevano per le braccia un nero che forse non è morto, un altro soldato impugna un machete e si prepara a separargli la testa dal corpo. Questa è la prima fotografia.   Nella seconda, stavolta c'è una seconda fotografia, la testa è già stata tagliata, è infilzata in un palo, e i soldati ridono. Il nero era un guerrigliero.

In un luogo di Israele. Mentre due soldati israeliani immobilizzano un palestinese, un altro militare gli rompe a martellate le ossa della mano destra. Il palestinese aveva lanciato dei sassi.

Stati Uniti dell'America del Nord, città di New York. Due aerei passeggeri nordamericani, sequestrati da terroristi legati all'integralismo islamico, si lanciano contro le torri del World Trade Center e le distruggono.   Allo stesso modo, un terzo aereo provoca enormi danni all'edificio del Pentagono, sede del potere bellico degli States. I morti, sepolti tra le macerie, ridotti in briciole, volatilizzati, si contano a migliaia. Le fotografie dell'India, dell'Angola e di Israele ci esplodono con orrore in faccia, le vittime ci vengono mostrate nell'istante stesso della tortura, dell'attesa agonica, dell'ignobile morte.  

A New York, tutto è sembrato irreale al principio, un episodio ripetuto e poco diverso da tante catastrofi cinematografiche, veramente avvincente per il grado di illusione raggiunto dal creatore degli effetti speciali, ma privo di rantoli, di fiotti di sangue, di carni schiacciate, di ossa triturate, di merda. L'orrore, nascosto come un animale immondo, ha aspettato che uscissimo dallo stupore per saltarci alla gola. L'orrore dice per la prima volta "eccomi" quando quelle persone si lanciano nel vuoto come se avessero deciso di scegliere una morte che gli appartenga.   Adesso l'orrore apparirà ad ogni istante nello spostare una pietra, un pezzo di parete, una lastra di alluminio contorta, e sarà una testa irriconoscibile, un braccio, una gamba, un addome aperto, un torace schiacciato. Ma perfino questo è ripetitivo e monotono, è in qualche modo già noto per le immagini che ci sono giunte di quel Ruanda di un milione di morti, di quel Vietnam cotto al napalm, di quelle esecuzioni in stadi pieni di gente, di quei linciaggi e di quei pestaggi, di quei soldati iracheni sepolti vivi sotto tonnellate di sabbia, di quelle bombe atomiche che rasero al suolo e calcinarono Hiroshima e Nagasaki, di quei crematori nazisti che vomitavano cenere, di quei camion per sgomberare cadaveri come se di immondizia si trattasse». 

«Di qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto degli esseri umani morti nei peggiori modi che degli esseri umani potessero inventare. Uno di questi, il più criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è quello che, dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere in nome di Dio»[2].

L'autore distingue tra gli «dèi», nei quali afferma di non credere, e «il fattore dio», che è la loro rappresentazione e simulacro e diventa ben presto tirannia e valore assolutistico, giungendo ad affermare:

«Ma non sono stati loro, poveri dèi senza colpa, è stato il "fattore Dio", quello che è terribilmente uguale in tutti gli esseri umani dovunque siano e qualunque sia la religione che professano, quello che mantiene intossicato il pensiero e aperte le porte alle intolleranze più sordide, quello che non rispetta se non ciò in cui comanda di credere, quello che dopo essersi vantato di aver fatto della bestia un uomo ha finito col fare dell'uomo una bestia»[3]

La denuncia è certamente veemente. Non nasconde però che più che di Dio si tratta dell'uso strumentale e criminale del suo nome. La domanda di fondo che però interessa noi è se il Dio in cui si crede sia un Dio che ama gli uomini o sia un Dio che li opprime. Sembra questo il problema fondamentale della religione, dal momento che se essa perde la sua costitutiva tendenza ad autosuperarsi, si dimostra ben presto ammalata. Con ciò non scadiamo in un'ideologica credenza in una bontà innata o in una primordiale "età dell'oro", ma ci riferiamo al fatto che la religione troppo spesso si manifesta ambiguamente, così come è ambiguo l'uomo stesso. Infatti i sacrifici, il sacerdozio, il servizio a Dio, quando non tendono a (re)inserire l'uomo in un processo armonioso di vita relazionale con gli altri e con l'Assoluto, riflettono e aggravano strutture sociali compromesse

Sono collegati a questo tema argomenti teologici delicati e tuttavia decisivi. Da parte di Dio, la sua libertà, la sua (onni)potenza, e la sua volontà sull'uomo. Da parte dell'uomo, la sua obbedienza, la sua libertà, il suo rapporto con gli altri e la sua missione nel mondo.

Non pretendiamo di affrontare adeguatamente tali nodi nevralgici. Tuttavia partiamo dal presupposto che in una situazione così intricata quale è quella che viviamo, occorre almeno rifarsi ad alcuni principi più chiari, onde poterne trarre le opportune conseguenze. Lo dobbiamo per noi stessi e per la teologia che studiamo, ma anche per coloro che come Saramago, pur protestando contro le aberrazioni della religione, non si rassegnano a un nichilismo livellante e confessano, come lo stesso autore ha scritto più recentemente[4], la ricerca della verità come dimensione irrinunciabile e fondamentale di ogni uomo.

Rispetto alla libertà e all'(onni)potenza di Dio, possiamo senz'altro dire che entrambe non sono per la soppressione né per la menomazione della libertà e del valore dell'uomo, ma per il loro potenziamento.

Il cristianesimo e prima ancora il giudaismo, nonostante alcuni episodi biblici in senso contrario, marciano in una direzione ben individuabile: Dio è non solo amico dell'uomo, ma anche della sua libertà. Appare come colui che storicamente si impegna per la libertà del suo popolo. Come il profetismo dimostra, tutela i diritti dei più deboli, richiama al rispetto della giustizia verso i più svantaggiati. Sebbene gradisca i sacrifici offerti dall'uomo, non sembra gradire il sacrificio dell'uomo, se non come atto di amore e di dedizione, mai comunque come atto di autodistruzione o semplicemente come atto puramente cultuale.

Rispetto alla potenza di Dio, è presente nel mondo giudaico l'idea di una sua autolimitazione. La mistica della Cabala ritiene che la sua (onni)potenza si sia contratta già durante la creazione. La creazione stessa non sarebbe altro che l'atto originario con il quale  cui Dio si è contratto e ritratto, al fine di far posto all'«altro da sé». L'infinito non solo ammette, ma realizza qualcosa fuori di sé, senza inglobarlo. È un pensiero presente in Izchaq Luria (1534-1572), che ne parla con il termine zimmum. Sembra un'idea esoterica, in realtà a tale dottrina, relativa alla prima alleanza, corrisponde quella cristiana della kenosis, della rinuncia volontaria da parte del Figlio di Dio alle sue prerogative divine. È un punto fondamentale e significa che Dio non richiede la rinuncia e il sacrificio da parte dell'uomo, come in un'alta percentuale delle religioni, ma è Dio che si sacrifica per amore dell'uomo. Il Dio-mana, in quanto "potenza" presente nelle religioni, oppure in quanto l'Assoluto, rinuncia alla potenza. Dal momento che, secondo la pienezza della rivelazione giudaico-cristiana, egli è Amore[5], si esprime solamente e totalmente come tale. Non sfugge la continuità con l'opera iniziata con la creazione, perché già quell'atto, afferma qualcuno, implica una qualche forma di volontà da parte di Dio di voler dipendere dalle creature e dall'uomo. Vertice e chiave della rivelazione dell'amore nel mondo è Cristo, che, secondo Simone Weil, «insegna all’essere finito a chiedere il limite, cioè a mendicarlo e a viverlo, proprio perché esso possa essere qualcosa anziché nulla»[6]. Se con la ragione possiamo e dobbiamo domandarci come sia possibile dire Dio nelle condizioni dolorose in cui versa la storia[7], la risposta è di spingere lo sguardo dalla nostra religione alla prospettiva di Dio. Alzare il nostro punto di vista per cogliere l’interezza della realtà, per andare incontro a Dio che è Amore sempre più grande.

Da questa prospettiva più alta, rivelata da Dio stesso, si può comprendere la libera volontà del Figlio di Dio di dare se stesso per amore e non, come ancora troppo spesso è dato di sentire, per una risarcimento di un'offesa comunque da riparare. Andando oltre l'ottica troppo umana del legalismo e lasciandosi guidare dall'ottica rivelata dell'amore, c'è da dire che  Cristo si è consegnato perché voleva dimostrare che il suo amore era più forte; che gli uomini avrebbero anche potuto ucciderlo, ma che non avrebbero ucciso il suo amore. Attraverso il dono di Cristo, la vita stessa resta illuminata dal sorriso della Grazia. Dio si manifesta amico dell'uomo e della sua libertà: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1).

Quanto alle religioni si può affermare che solo se la religione, purificando continuamente se stessa, resta amica di Dio resta amica anche dell'uomo. Le forme strutturali, attraverso le quali media il servizio a Dio (sacerdozio, tempio), quando non tendono a inserire l'uomo in un processo armonioso di vita relazionale con l'Assoluto, con se stesso, con la natura, risentono di strutture sociali compromesse, inquinate, che condizionano le religioni medesime. Qui l'Assoluto viene assunto come pretesto per l'assolutismo, il sacrificio diventa pretendere la vita e la libertà altrui senza vere motivazioni teologiche, che non ci possono essere, ma soltanto ideologiche.

3) L'esperienza religiosa autentica porta all'assunzione di una comune responsabilità verso il futuro degli uomini

Quest'ultimo punto non è che la conseguenza di tutto il discorso finora fatto. Riteniamo, infatti, che se la religione è autentica, comporti una responsabilità verso il futuro degli uomini e non possa in alcun modo giustificare l'emarginazione e la distruzione dell'altro. Non può né sostenere, né tanto meno fondare l'oppressione, dal momento che questa è, al contrario, frutto di una distorta concezione religiosa. Ciò vale anche per le norme etiche, che devono restare nell'ambito dell'atteggiamento amicale di Dio verso l'uomo, altrimenti diventano quei "fardelli" che, secondo l'insegnamento di Gesù, i dottori della legge non vogliono muovere neppure con un dito, mentre si accaniscono a imporle sulle spalle degli altri[8]. Imposizioni religiose di tipo oppressivo e lesivo della libertà compromettono la religione e non viceversa.

In positivo: i dettami delle religioni, e quanto in essi si riferisce all'uomo, non possono renderlo schiavo, ma piuttosto un alleato di Dio, perché l'uomo stesso possa conseguire la felicità. Solo una religione decaduta dalla sua purezza ritiene che l'uomo sia fatto per la legge e per l'asservimento ad essa e non piuttosto il contrario: cioè che essa sia fatta per l'uomo e per la sua felicità[9].

I fatti di questi ultimi mesi, ma più in generale la storia delle religioni e della chiesa, ci dimostrano che da una concezione oppressiva della religione si arriva facilmente alla contrapposizione tra gli uomini e tra le religioni. Dal "Dio violento" si passa fatalmente alla società violenta e conflittuale. Il Dio assolutista - ideologicamente strumentale - porta a vedere il nemico non solo in chi non si assoggetta servilmente alla legge, ma anche in chi è diverso da sé. Si arriva a una triplice esemplificazione, spaventosa per i suoi effetti: a) il nemico del rappresentante di Dio (clero, casta sacrale, casta oligarchica ecc.) è nemico di Dio; b) il nemico di Dio è nemico del popolo (deve essere eliminato dalla comunità); c) i nemici del proprio popolo sono nemici di Dio (devono essere ugualmente eliminati).

C'è un'alternativa? Sono convinto di sì, a determinate condizioni. La prima riguarda un cambiamento di prospettiva da proporre alle altre religioni, partendo dalla convinzione che, a fronte di tutti gli effetti nefasti di una visione religiosa ostile verso identità altrui, tutte le religioni possano e debbano essere fonte di amicizia e non di inimicizia tra gli esseri umani. L'invito è a riscoprire Dio come Padre di tutti o almeno come Referente o Riferimento ultimo di quanto esiste e quindi di tutti gli uomini. Ciò comporta anche una presa di coscienza critica verso tale Referente/Riferimento e coloro che lo rappresentano. Non contro Dio, ma per rispetto di Dio si deve proporre con l'esempio, oltre che con gli inviti formali, il superamento dell'assolutismo e di ogni forma di clericalismo. Occorre dire chiaramente che in qualsiasi culto e religione i "rappresentanti" di Dio, che si ritengono  o sono ritenuti tali, non sono i referenti ultimi e insindacabili del divino. Dio solo è referente ultimo e definitivo di se stesso. In questa maniera si recupera la Trascendenza come valore unico e criterio di discernimento, che smaschera gli abusi commessi in suo nome e richiama i suoi interlocutori al loro valore di servizio e di mediazione di una Trascendenza mai completamente raggiunta.

Si richiede un'opera che, condotta con coerenza, arrivi da parte dei rappresentanti autorevoli delle religioni al riconoscimento delle colpe storiche nelle quali in nome di Dio sono stati commessi atti e misfatti che con Dio non hanno niente a che fare. In quest'ottica, per ciò che ci riguarda, è da ricordare il documento "La Chiesa e le colpe del passato" della Commissione Teologica Internazionale[10], che pur con i suoi distinguo su giudizio teologico e giudizio storico, asseconda la prassi dell'attuale Papa di rivedere comportamenti e atti storici, quelli che certamente non hanno visto la Chiesa essere dalla parte della tolleranza e del rispetto del diverso e della pace evangelica. Il punto di arrivo di quest'operazione, che si prevede lunga, sofferta e tortuosa, non è, come qualcuno paventa, un cedimento verso il diverso, né conduce a sorta di azzeramento delle diversità. Non è motivato nemmeno da un'irenica concezione che livella tutte le religioni, ma piuttosto rappresentata il tentativo più serio che si possa fare di riandare all'essenziale di ogni fede religiosa, cogliendo in senso più generale, il rispetto della diversità rappresentata da Dio per le stesse religioni e, in linea immediatamente dipendente, il valore della diversità rappresentata anche per ogni singola religione rispetto alle altre. Sembra questa l'unica via praticabile perché le religioni non diventino «scontro di civiltà», come alcuni, alla Hungtington, teorizzano e come altri, alla Bin Laden, hanno tentato e tentano di fare.

Ciò comporta un indispensabile ed improcrastinabile compito educativo che le religioni devono assumere, innanzi tutto recependo ciò che l'analisi scientifica propone sulla stessa identità. Essa non è una realtà statica, né preconfezionata, né massificante. Si origina dinamicamente e secondo decisioni e scelte storicamente condizionate. Inoltre racchiude al suo interno diversità e modelli non riducibili a quell'unità che i suoi predicatori vorrebbero far credere con la loro nefasta tendenza 1) a creare dei nemici e 2) a demonizzarli, presentandoli come nemici, oltre che del proprio mondo culturale (identificato con la religione), anche di Dio stesso. Contro simili cortocircuiti le religioni devono intervenire, perché non avvenga che si distrugga il dialogo e la speranza di esso, dopo che, secondo l'espressione del Dalai Lama, è stata distrutta la "pietra" (le grandi statue di Buddha in Afghanistan), il "ferro" (le Twin Towers) e la "carne" (i corpi dei vivi negli eccidi che ne sono seguiti). Perché il dialogo religioso possa essere ristabilito, c'è indubbiamente bisogno di ascolto e di silenzio[11], ma c'è bisogno anche di una considerazione attenta della circolarità che s'instaura tra cultura, alterità ed identità[12].

Chi dovrà cominciare o rilanciare quest'opera divenuta ormai indispensabile?  Chi avrà maggiore consapevolezza non solo dei pericoli che l'umanità corre  attraverso l'accelerazione della spirale dell'inimicizia e della violenza, ma del fatto che se Dio è più grande dell'uomo e se la Trascendenza deve restare tale, Dio non può essere limitato nella sua azione. Noi cristiani sappiamo che l'azione del suo Spirito riempie ogni angolo della terra. Conosciamo il principio cardine dell'agire trascendente del Dio in cui crediamo, cioè che egli «non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10, 33-34). Il fatto che la salvezza di Dio abbia assunto per noi una storicizzazione e rimandi continuamente l'agire del credente verso di essa, non deve farci cedere alla tentazione dell'integrismo o di un'identità "forte", da incrementare menomando le identità delle altre religioni. Pretendere di imporre con la violenza, seppure in diverse e subdole maniere, la propria religione deve essere indicato chiaramente come atto peccaminoso, perché contrario alla stessa religione. Lo stesso deve potersi dire più in generale della libertà, in considerazione del fatto, come si è già accennato, che il Dio che si è a noi rivelato si è impegnato e si impegna per la libertà dell'uomo. La stessa chiesa cattolica, difendendo i diritti umani, ha compiuto un passo irreversibile e certamente rivoluzionario nel senso qui indicato. La dottrina dell'alleanza e del  dialogo salvifico, con la sempre reale possibilità data all'uomo di rifiutare Dio, è l'antidoto migliore contro la sopraffazione e i fondamentalismi.

Le religioni devono, come sostiene qualche teologo, confrontare il loro potenziale salvifico con i problemi più impellenti dell’umanità, fino ad arrivare alla proposta dell’assunzione di una comune responsabilità nei confronti del mondo e del suo futuro[13]. Si tratta di diventare coscienti di una responsabilità globale di fronte al mondo e a ciò che aspetta l'umanità di domani. Paradossalmente questa responsabilità è oggi, e su questa ci siamo maggiormente soffermati, quella di liberare gli uomini dalle forme patologiche assunte dalle religioni, quando queste si scagliano contro l'uomo e contro la sua stessa umanità. Per troppo tempo e troppe volte alcune di esse sono state strumento di oppressione, di emarginazione, di ostracismo, di tortura e di eliminazione degli "infedeli", degli "eretici" o semplicemente dei "diversi. E' venuto il tempo che esse siano strumenti efficaci di liberazione per essere all'altezza di quella Trascendenza alla quale si richiamano e che non di rado adorano!



[1] L'idea ritorna diffusamente nei Salmi. Ne citiamo alcuni: Sal 72,4: «Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore»; Sal 72,13: «avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri»; Sal 107,41 «Ma risollevò il povero dalla miseria e rese le famiglie numerose come greggi»; Sal 109,31: «poiché si è messo alla destra del povero per salvare dai giudici la sua vita»; Sal 113,7: «Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero»; Sal 132,15: «Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri»; Sal 140,13: «So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri».

[2] J. Saramago, «Uccidere in nome di Dio» in La Repubblica (20 settembre 2001).

[3] Ivi.

[4] Cf. TTL, inserto de La Stampa, 17/11/01.

[5] Alla base c'è la rivelazione di Cristo, ben sintetizzata nella I^ lettera di Giovanni con le sue affermazioni che sembrano il culmine della rivelazione tutta: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4, 7-9).

[6] R. Gallinaro, La Cristosofia di Simone Weil fra religione, filosofia ed etica, Luciano editore, Napoli 2000, 14.

[7] Cf. Ivi, 31.

[8] Cf. Lc 11, 45-48: <<Uno dei dottori della legge intervenne: «Maestro, dicendo questo, offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri>>.

[9] Cf. Mc 2,27: <<E (Gesù) diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato»>>.

[10] Cf. Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione: la chiesa e le colpe del passato, Paoline, Milano 2000.

[11] Cf. sull'argomento Dalai Lama «Tempo di silenzio e di ascolto», in Domenica - Inserto culturale de Il Sole 24 ore [25/11/01] pag. VII.

[12] Sull'argomento cf. «Focus on line» dibattito nella settimana tra 25/11-2/12 a Milano tra Giulio Giorello e Franco Cardini, in Domenica - Inserto culturale …, (cit., pag. IX).

[13] Cf. P. Knitter, Una terra molte religioni. Dialogo intereligioso e responsabilità globale, Cittadella, Assisi 1998.