Giovanni Mazzillo <info>                                                           www.puntopace.net  

 

Dio alla ricerca dell’uomo  
(Parrocchia S. Luca Messina 4-5/10/2007)

 

I° Incontro:  Dio, l’Assoluto che ci libera da ogni assolutismo

 

[Per  il secondo incontro cliccare sulla riga sottostante]

II°  Incontro: Fede è offrire spazio alla crescita dell’umano (in noi e negli altri)

 

1) Partiamo da qualcosa di attuale.

a) IL MESSAGGERO  Venerdì 28 Settembre 2007 

«I militari sparano: 9 morti. Centinaia di monaci arrestati. Altolà di Bush: basta violenze.

Birmania, fuoco sulla folla. Ucciso un fotografo giapponese. Caccia ai reporter stranieri»

Il canto dei monaci liberi

 

Questo dovrebbe fare

chi pratica il bene

e conosce il sentiero della pace:

essere abile e retto,

chiaro nel parlare,

gentile e non vanitoso,

contento e facilmente appagato;

non oppresso da impegni e di modi frugali,

calmo e discreto,

non altero o esigente;

incapace di fare

ciò che il saggio poi disapprova.

Che tutti gli esseri vivano felici!

Che nessuno inganni l'altro

né lo disprezzi

né con odio o ira

desideri il suo male.

Come una madre

protegge con la sua vita

suo figlio, il suo unico figlio

 

 

 

così, con cuore aperto,

si abbia cura di ogni essere,

irradiando amore

sull'universo intero;

in alto verso il cielo

in basso verso gli abissi,

in ogni luogo, senza limitazioni,

liberi da odio e rancore.

Fermi o camminando,

seduti o distesi,

esenti da torpore,

sostenendo la pratica di Metta;

questa è la sublime dimora.

Il puro di cuore,

non legato ad opinioni,

dotato di chiara visione,

liberato da brame sensuali,

non tornerà a nascere in questo mondo.

 

Ciò che colpisce immediatamente me è il parallelismo tra

«Praticare il bene e conoscere il sentiero della pace».

Ciò si oppone direttamente a quanto è scritto in formulazione negativa:

Che nessuno inganni l'altro né lo disprezzi né con odio o ira desideri il suo male.

Comporta uno sguardo e una cura d’amore:

Come una madre protegge con la sua vita suo figlio, il suo unico figlio così, con cuore aperto, si abbia cura di ogni essere, irradiando amore sull'universo intero; in alto verso il cielo in basso verso gli abissi, in ogni luogo, senza limitazioni, liberi da odio e rancore.

b) «Il quotidiano della Calabria» (04/10/2007) pag. 7

«Mafia, la voce dei Vescovi». A novembre verrà letta nelle parrocchie la nota che contiene riflessioni e indicazioni operative

Nel riquadro della stessa pagina il resoconto del viaggio di una delegazione della Locride a Duisburg in Germania, lì dove la ‘ndrangheta’ calabrese ha insanguinato una città, nella costernazione di tutti.

Il vescovo Bregantini ha concelebrato domenica 30 settembre u.s. una messa nella cattedrale della città con un Vescovo locale invitando tutti a una ripartenza nella fede e nella convinzione che non il prepotente, non il ricco, non l’oppressore, ma il povero,  l’umile, il bisognoso vince realmente, al pari di Lazzaro, di cui si era letta la parabola proprio domenica scorsa.

Ma è proprio dal messaggio della parabola di Lazzaro e del ricco senza nome (noto come “epulone”) che ci viene offerta la giustificazione del tema:

  «Il Dio di Gesù sulle tracce dell’uomo».

Alla luce di quella parabola, dove il gaudente sulla terra diventa il perdente e il perdente diventa il vincente, potremmo anche dire: il Dio di Gesù è il Dio che rende vincenti gli sconfitti della terra. E i ricchi? Il Dio di Gesù è anche sulle loro tracce, perché al pari di un altro ricco, questa volta, convertito, cioè Zaccheo, sappia fare riparare  l’ingiustizia commessa e condividere i beni dei quali è in possesso.

Un appello in tal senso lo troviamo ancora nell’omelia di Duisburg, dove si parla dei pericoli della ricchezza e si invita alla condivisione del denaro. Il Vescovo di Essen, Franz Grave,  invita  ad «aprire i cuori e le porte ai poveri sulla scia del Vangelo domenicale», ammonendo che il ricco della parabola si è reso conto del suo disastro, troppo tardi, solo dopo la sua morte. Il vescovo di Locri Giancarlo Bregantini, chiedendo perdono a nome di chi ha sparso tanto sangue, invita a intessere relazioni solidali e fraterne in un ambiente dove il rischio è quello di pensare solo agli interessi materiali.  E aggiunge:

«Non vince il potente, il prepotente o il mafioso, vince, invece, chi è umile, chi bussa, chi è povero, chi piange e soprattutto chi sa condividere i propri beni ed il proprio tempo con gli altri, seminando  ovunque chicchi di frumento che, lasciati cadere nella terra, fanno germinare una spiga di grano che diviene pane di speranza e di solidarietà».

Il messaggio viene da un vescovo? Viene da più lontano. Viene da chi ha raccontato la parabola di Lazzaro e del ricco senza nome.   

In ogni caso attraverso Gesù è Dio stesso che viene alla nostra ricerca e ci chiama a rivedere l’impostazione della nostra vita.

2) L’uomo alla ricerca di se stesso.

Perché la ricerca di Dio possa aver luogo è innanzi tutto necessario che l’uomo sia disponibile a ritrovare, e, prima ancora,  a cercare se stesso.

Ciò significa che noi non di rado ci perdiamo? In che maniera?

Il Vangelo ci offre alcuni esempi pratici di smarrimento della propria vita, e talora con tanta ostinazione da non riuscire più a venirne a capo. Ci offre anche esempi positivi. Ma partiamo da alcune “tipologie” di smarrimento di sé, molto chiare nel Vangelo.    

Ne consideriamo tre. Ognuno di questi smarrimenti senza esito positivo nasce da un valore positivo, si circonda dell’aura del suo fascino,  ne resta tanto abbagliato fino all’assolutizzazione e infine alla  perversione di quel valore. 

L’essere umano può restare soggiogato da valori originariamente positivi come la proprietà materiale,  l’attaccamento alla legge, l’identità con il proprio popolo.

Nel primo caso, all’utilizzo dei beni materiali, resi a noi disponili per la condivisione, subentra l’ingordigia per essi e la loro idolatria, passando dall’amen a Dio all’adorazione di mammona. La parabola del povero Lazzaro e del ricco senza nome ne è la visualizzazione più plastica.

Nel secondo caso, l’osservanza della   legge di Dio, legata al dono che Dio ne ha fatto al suo popolo e alla stessa alleanza diviene un assoluto disumanizzante, che si ritorce contro gli uomini e contro gli inviati di Dio, fino a ucciderli, fino a uccidere l’autore stesso della legge, nella persona di suo Figlio. Parliamo dei “farisei” e del “fariseismo”.

Nel terzo caso, l’identificazione con il proprio popolo e con la sua sorte diventa motivo di isolamento dagli altri, fino a progettare e praticare la loro distruzione. È il caso degli zeloti, ma è anche il caso dei fondamentalismi di sempre

Sono tre tipologie emblematiche e che si presentano ben caratterizzate nel Vangelo.

Sono tre modalità di perdere se stessi, nello spossessarsi di sé e nel consegnarsi acriticamente e fanaticamente a ciò che invece era solo strumento di autorealizzazione umana e liberazione dell’uomo stesso.

 

3) Gesù libera gli uomini da ogni forma di assolutizzazione

Gesù si mette alla ricerca anche di questi esseri smarriti, per riportali alla libertà e alla possibilità di essere veramente felici.  Gesù è alla ricerca di ciascuno di noi che rischiamo di restare schiavi di uno e dell’altro valore, o forse di una sorta di mistura personalizzata di essi, dosati e  riciclati in mille forme.

È alla ricerca anche di chi nutre ormai solo disprezzo per tutto e per tutti, senza accorgersi di aver assolutizzato solo se stesso e la propria acrimonia.

Anche degli uomini disincantati e delusi Gesù è alla ricerca, per offrire loro nuovi motivi e soprattutto nuova energia per continuare a sperare e a costruire, forse a ri-costruire.

Ma vediamo degli esempi positivi  di questa ricerca di Gesù in alcuni casi più emblematici del Vangelo.

Consideriamo il caso della liberazione dall’assolutizzazione della legge nella storia del Battista, dall’assolutizzazione dei beni materiali nel caso di Zaccheo e dall’assolutizzazione della propria nazione nel caso di “Simone lo zelota”.     

Giovanni Battista, uomo integro, votatosi a Dio e al suo popolo fin dalla fanciullezza, forse imparentato con gli esseni, che volevano la restaurazione religiosa d’Israele. Vicino almeno inizialmente a coloro che lasceranno vistose tracce con i rotoli di Qumram?  Di certo Giovanni dedicandosi a battezzare tutti coloro che si recavano da lui, rinuncia al fondamentalismo spirituale di coloro che si isolavano da tutti, ritenevano impuro persino il tempio, si dedicavano a lavaggi rituali estenuanti e pensavano di essere gli unici puri che si sarebbero salvati all’arrivo del regno di Dio.  Di Gesù Giovanni aveva segnalato la presenza nel mondo come «talja», che in aramaico può indicare oltre all’agnello anche il servo, da cui l’espressione “servo di Dio”.  Ne avrà seguito gli echi della prima predicazione. Deve aver però avuto qualche dubbio, nel momento in cui il suo agire non corrispondeva più al cliché che del Messia si erano fatti, fino a mandare alcuni dei suoi a chiedere direttamente a Gesù se fosse lui l’inviato di Dio e se fosse da aspettarne un  altro.

Gesù descrive i compiti del Messia a quei discepoli del Battista:

«Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6).

Il riferimento è alla profezia di Isaia 61, di cui aveva parlato anche nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,16-21) e che troviamo anche in un testo di Qumram:

 «I pii glorificherà al trono del Regno eterno. I prigionieri libererà, i ciechi farà vedere e gli op[pressi] egli riabiliterà»… «...allora guarirà i malati, risveglierà i morti e annuncerà gioia ai miti, ... guiderà i santi e li custodirà...»[1]  .

 Gesù tuttavia parla di una giustizia superiore a quella che anche i più pii possono praticare. Essa non nasce dai loro sforzi, ma dalla gratuità di Dio. Il Regno è predicato agli infelici non per le loro virtù. Gesù cerca gli uomini, ogni uomo, anche quelli che la legge considerava impuri. Al di là di ogni pretesa di purezza legale (comune agli esseni come ai farisei)

Agli osservanti farisei, che rimproverano i trasgressori delle norme rituali, Gesù risponde con espressioni che relativizzano la legge, il culto, il tempio. Proclama: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2, 27), o ,come traduce Ben-Chorin, «Il sabato è dato a voi e non voi siete dati al sabato»[2]. Spegne i facili entusiasmi dei discepoli sulla magnificenza del tempio (Mc 13, 2; Lc 21,5-6) ed indica nella povera vedova la vera fede che vale più del tempio e del suo tesoro (Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4). Mentre con la Samaritana sembra delegittimare tutti i templi: «È venuto il momento di adorare Dio in spirito e verità» (Gv 4, 24-25).

Giovanni avrà capito. In ogni caso egli ha dato la sua vita per quel regno di cui aveva indicato gli inizi in Gesù.

Di Zaccheo e anche di Maddalena si parla molto nella nostra catechesi. Forse più della seconda che del primo. Comunque sono due esempi di persone cercate da Gesù e salvate da un passato dedito a possedere beni materiali o forse uomini e vicende sentimentali. Chi lo sa?

  Di Simone lo zelota non si parla mai. Come non si parla degli zeloti. Ma molto verosimilmente essi sostenevano un messianismo radicale, per di più fino ad arrivare alla giustificazione della violenza e della «guerra santa». Se la strada di Gesù è quella di chi ripudia la violenza, a Qumran sono stati trovati testi che proclamano beati i violenti per il regno di Dio: «... fatevi coraggio per la guerra e ciò dovrà esservi computato a giustizia…»[3].

L’idea diventava ancora più chiara:

«... il tempo in cui tu hai loro comandato ... non a ... e voi  mentirete sul suo patto ... essi dicono: “fateci fare la Sua guerra ... perché abbiamo profanato” ... i vostri [nemi]ci devono essere annientati e non devono sapere che con il fuoco ...» [4].    

Ora si capisce la rivoluzione del Vangelo: «Beati gli artefici di pace!» (Mt 5,9). Proprio costoro sono quelli che Dio accoglie, “giustifica” e chiama suoi figli, sicché essi sono figli della luce e non coloro che si devono preparare alla guerra. Se qualcuno risultava zelota doveva essere stato un ex zelota, convertitosi alla nonviolenza, forse con fatica, forse alla fine. Ciò che invece non era avvenuto con Giuda.

 

II°  Incontro con d. Giovanni Mazzillo:  
Fede è offrire spazio alla crescita dell’umano (in noi e negli altri)

 

1) Custodi e sentinelle dell’Infinito

Il canto dei monaci birmani invitava: «con cuore aperto, si abbia cura di ogni essere, irradiando amore sull'universo intero».  L’invito che Dio rivolge attraverso le religioni non deviate dalla ricerca di potere da parte di uomini è ad essere custodi della natura, della vita, dell’uomo. Di più: ad essere custodi dell’Infinito che cerca di aprirsi un varco dentro di noi e tra di noi.  S. Paolo ha scritto: «In ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male»  (1Ts 5,18-22). Non spegnere lo Spirito non vuole dire evitare semplicemente l’atteggiamento distruttivo verso i carismi degli altri, ma si riferisce soprattutto allo Spirito presente nel proprio cuore e – potremmo dire – nel proprio quotidiano.  Riprende ciò che già Ezechiele aveva predetto: «Farò  entrare in voi il mio spirito e rivivrete;  vi  farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò» . Oracolo del Signore Dio!» (Ez 27,14).  Si tratta dello Spirito di Dio, che alla luce della teologia cristiana è identificato con lo Spirito Santo.

E tuttavia è anche lo Spirito come dimensione trascendente nell’uomo. Potremmo dire Trascendenza, o Infinito, presente in ogni uomo e nell’umano in genere.  Gesù ci ha insegnato a cercare sempre questo legame profondo di ciascuno attraverso la fede, quando a tutti coloro che gli hanno chiesto aiuto ha indicato l’origine della salvezza nella propria fede personale: «La tua fede ti ha salvato…!».  Ci ha ancora invitato a pregare: «Dacci oggi il pane quotidiano sovrasostanziale» (epioùsion, ™pioÚsion). Che cos’è? È il pane della sussistenza e non quello dell’abbondanza, perciò il pane “quotidiano”? O piuttosto è il pane della sopraesistenza? Cioè di quell’Infinito nascosto nel quotidiano e che trascende il quotidiano? In tal caso è il pane che ci conduce a cercare ogni giorno il regno di Dio?[5] Può essere anche la fame dell’Infinito e il pane che è Cristo che soddisfa quella fame:  «Procuratevi  non il cibo che perisce, ma quello che dura  per  la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà.  Perché  su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27).

In ogni caso dal nostro quotidiano, con cui facciamo i conti tutti i giorni della nostra vita, sale continuamente una domanda di senso. Di più: sale un anelito verso l’Infinito[6].  Dobbiamo sentirci ed essere custodi di quest’appello in noi e negli altri. Il loro infinito valore si fonda sull’Infinito che è in loro come in ogni essere umano. 

 

2)  Come coloro che scrutano l’orizzonte per intravedere e indicare una Presenza

 

Ma dalla Parola di Dio siamo anche invitati ad essere sentinelle del valore dell’uomo e del valore dell’umano: Profeta Abacuc (1.2-3; 2,1-4) <<Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non soccorri? Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti. … Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà». Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede>>.

Riprendiamo alcune espressioni del brano, che ci sembrano di grande attualità.

Innanzi tutto il grido di dolore che è anche una sorta di protesta, la quale nasce da una frequentazione di Dio e di immensa fiducia in lui: “Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti?”.  Domanda sincera ed accorata che diventa anche nostra nel dilagare della violenza, del cinismo, dell’indifferenza al dolore altrui.

Alla domanda subentra una decisione: non tirarsi indietro, ma salire più in alto, per vedere meglio e capire più profondamente: Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà, che cosa risponderà ai miei lamenti.

“Mettersi di sentinella”: è probabilmente il compito più alto di noi cristiani, ma mai come oggi il più disatteso. Per quali motivi? Forse perché abbiamo delegato ad altri tale compito dentro e fuori della nostra comunità ecclesiale? Forse perché essere di sentinella è troppo scomodo, costringe ad uscire dal mucchio, ci pone a rischio? Forse perché siamo stanchi di sogni non realizzati, di visioni non assecondate?

In ogni caso, nessuna delusione può uccidere la speranza, virtù teologale, al pari della fede, che non teme nulla, nemmeno una delusione sull’altra, perché la vera speranza rinasce sempre da ogni forma di cenere storica. Tutto si può incenerire, ma non la speranza.

In secondo luogo, perché la speranza nasce dalla contemplazione dell’Infinito che è noi. Nessuna cosa finita, nessun’autorità (di qualunque genere sempre finita) può esaurire o spegnere l’Infinito. Semplicemente perché non ne dispone: solo l’Infinito dispone di sé e di ogni altra cosa. Solo l’Infinito può corrispondere alla sete d’Infinito e soddisfarla.

 

Che cosa risponde Dio al profeta? Proprio questo: che la realizzazione promessa da Dio ha i suoi tempi, ma anche la sua inesorabilità, che nessuna cosa al mondo potrà mai arrestare: 

«Il Signore rispose e mi disse: “Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà”».

 

Ecco perché anche a noi la Parola di Dio risponde in maniera diversa da come immaginavamo. Ci fa salire ancora più in alto e scendere ancora più in profondità. In alto, per guardare ciò che accade nel tempo nella prospettiva dell’eterno. Nel profondo, per cogliere con i gemiti del mondo anche le dinamiche della sua crescita:

 

«Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede».

A una conclusione simile arriviamo attraverso il Vangelo che stiamo per leggere. Lc 17, 5-10: «Allora gli apostoli dissero al Signore: "Aumentaci la fede". Il Signore disse: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo sicomoro: "Sràdicati e trapiàntati nel mare", e vi ubbidirebbe».
            È la fede di chi sposta qualcosa di più dei sicomori o delle montagne. Vede al di là del prestabilito e costituito ciò che ancora non c’è nei fatti, ma c’è nei suoi sogni, quando questi corrispondono al sogno di Dio su di noi. Egli ci cerca proprio in questa capacità di inventiva di cui ci ha dotato con il suo Spirito.

            Se faremo quanto ci è stato affidato, saremo sentinelle del futuro. Esso verrà da sé, ma spetta a noi intravederlo e indicarlo. In ogni caso non saremo noi a produrlo, ma solo a segnalarlo e per questo e in questo senso restiamo pur sempre «servi inutili».   Gesù conclude: «Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"». Ma fare quanto dovevamo non è cosa da poco. Forse non è cosa di tutti.    


 

[1] Raccolta dei testi originali di R. Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus und die Urchristen. Die Qumran-Rollen entschüsselt, Bertelsmann, München 1993, PAG. 29.

[2] S. BEN-CHORIN, Fratello Gesù, cit., 88. L’autore citando una sentenza simile, riportata nel Talmud (Joma 85b), commenta dicendo “il sabato è dato come un piacere e una gioia, e non come una camicia di forza imposta dalla legge”.

[3] Il riferimento e a 4Q471, Framemnto 1, pag. 39.

[4] Ivi.

[5] L’epioùsion, confrontato con frammenti rimasti nel Vangelo secondo gli Ebrei, (Girolamo 31), assume carattere escatologico. «Panem nostrum crastinum da nobis hodie», «dacci oggi, senza più tardare, il pane che dovresti darci domani: dacci cioè quel Regno che avresti promesso per l'indomani; affretta cioè la tua venuta, o Signore» (da Pellegrino di Roma, 1945, sottotitolo La generazione dell'esodo, che riporta vita e pensiero di Buonaiuti. Fonte: www.gaffi.it/document/upload/PellegrinodiRoma.doc ).

[6] Cf. ELMAR KLINGER, L'assoluto nel quotidiano. La teologia spirituale di Karl Rahner, EMP e di K. Rahner cf. soprattutto: «L’esperienza religiosa oggi», nei Nuovi saggi.