Diario di un fine settimana
alle Sarre
Sabato 27 settembre con qualche difficoltà organizzativa, si è riunito
alla Sarre il gruppo “Punto Pace”. La sera del sabato era presente
soltanto la delegazione” maschile, formata da Sergio, Antonio, Mario,
Jacopo, Marco, Michele, Francesco di Catanzaro e il nostro D.J. Siamo
arrivati alle Sarre alle ore 18:00 e dopo aver fatto traslocare
Francesco Cristiano (abituale frequentatore delle Sarre) al piano di
sotto, ci siamo sistemati nel piano superiore della casa. Sistemati i
letti (operazione sempre un po’ difficoltosa per noi ragazzi, ma
necessaria), ci siamo trasferiti… in cucina. Abbiamo iniziato a pelare
patate. Patate e patate, l’una dopo l’altra, che insieme con i pomodori
per l’insalata costituivano la nostra cena. Il difficile, quanto
impegnativo lavoro di friggitorìa è stato assunto volontariamente, oltre
che dallo scrivente, anche da Sergio, sotto la benevola supervisione di
Don Giovanni e di Francesco. Abbiamo potuto così sperimentare un nuovo
modo di frittura delle patate, a quanto pare inventato dalla famiglia
Tranchino. Si tratta delle “patate a spaghetti”. La ricetta? Semplice:
basta mettere la patate crude in un normale Mulinex o simili, usando il
disco forato, come quello per grattugiare il formaggio. Friggendo ciò
che ne fuorisce, badando di stenderlo per bene nell’olio bollente, ne
derivano dei gustosissimi spaghetti... alla patata. Dopo la cena, che è
stato un vero successo,abbiamo visto all’aperto “Il Postino”, celebre
film di Massimo Troisi. Un film commovente e ricco di significati e di “metafore”,
le immagini poetiche, il cui uso è insegnato per la prima volta a Mario
(il postino) dal noto poeta Pablo Neruda. Discusso insieme il film, in
un impegnativo “cineforum”, siamo andati a dormire, dopo la suggestiva
preghiera della notte (la compieta) nella cappella della Sarre. Solo al
risveglio, alle ore 8, del mattino dopo siamo venuti a sapere dell’ormai
noto black out della corrente elettrica su tutto in territorio nazionale.
Nella prima mattinata si sono unite a noi anche le ragazze del gruppo
“Puntopace” (Giusy, Marta, Chiara, Biagina e Michela). Nella riunione
organizzativa abbiamo preso atto che Giusy doveva lasciare il suo
incarico di coordinatrice, compito finora svolto nel migliore dei modi
(grazie Giusy!), perché si trasferiva a Cosenza a motivo dell’università.
Ci avrebbe raggiunto spesso al fine settimana. Come coordinatore il
gruppo ha eletto me, mentre Sergio è stato confermato responsabile per
le pubblicazioni, il sito e il presente giornalino. Il resto del nostro
incontro è stato dedicatoall’ascolto di una cassetta di Don Tonino Bello
intitolata “ciò che era fin da principio”, una lettera ai catechisti,
intensa e poetica, con un linguaggio forse per noi un po’ complesso, ma
che dall’altra parte,ci ha lasciati estasiati dall’ espressività e dal
calore che quella lettera ha dato al nostro animo. La messa successiva è
stata molto sentita. Dopo il pranzo all’aperto, fatte le doverose
pulizie, il gruppo si è sciolto.
Antonio Benvenuto
Pranzo sotto il pergolato dell'eremo delle Sarre la domenica 28/09/2003
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Cinema per crescere
Sì, cinema d’autore, cinema che aiuta a riflettere e
pertanto fa crescere. E’ stato questo il motivo principale che ci ha fatto
decidere di vedere insieme alcuni film, che, dopo la proiezione, abbiamo
avuto modi di discutere insieme in alcuni incontri del nostro gruppo. Alcuni
di noi hanno assunto il compito di riferire su questi film. I loro
interventi sono riportati qui di seguito .
PICCOLO BUDDHA
OVVERO:
saper ascoltare la propria profondità, andando al di là
di se stessi.
(Marco Mariano)
Tra le tante attività che svolgiamo nel Punto Pace una di quelle che
seguo con maggiore interesse è il cineforum. Ultimamente il film che mi ha
colpito di più è:"Piccolo Buddha". Il film è ambientato tra America e Tibet
e parla di due monaci buddhisti che partono dal Tibet per ritrovare in
America la reincamazione del loro maestro. Qui iniziano ad avere incontri
con Jesse, il ragazzo nel quale pensano di averlo individuato, e con la sua
famiglia. Il ragazzo, prendendola come un gioco, si dimostra subito
interessato e Lama Norbu, quasi sottoforma di favola, gli racconta la storia
di Buddha. Prima di essere chiamato Buddha, che significa “illuminato”,
Siddharta — questo era il suo vero nome — era figlio di un re che non voleva
che il figlio conoscesse il dolore. Un giorno però il principe decise di
uscire dal suo castello e nonostante i tentativi del padre di nascondere la
povertà e la sofferenza, arrivò a una strada dove trovò tanta gente povera,
che non aveva alcunché nemmeno per sfamarsi. Dentro Siddharta nacque un gran
senso di colpa per la vita vissuta fino a quel momento, che mista a un senso
profondo di compassione, lo fece decidere ad andar via dalla reggia, per
inoltrarsi nei boschi. Qui, insieme con altri asceti, inizia una vita
austera, fatta di rinunce e di meditazione, allo scopo di estromettere il
dolore dalla vita stessa. Dopo un po' di tempo, capisce che la via giusta da
seguire non è il sacrificio, ma l’eliminazione del desiderio, che è causa di
tanta sofferenza.
La storia è accolta con interessa da Jesse, che alla fine si ritrova in
Tibet insieme ad altri due contendenti, che presumono anche loro di
reincarnare il maestro. Sono tutti insieme quando rivivono la vicenda di
Buddha che non cade nelle grandi tentazioni che volevano distoglierlo dalla
sua missione. Come finisce la storia? Chi è la reincarnazione del grande
maestro?“. I monaci alla fine dichiarano i due ragazzi e la ragazza
reincarnazioni del loro maestro. Di questo film mi ha colpito l'umiltà e la
semplicità dei monaci, che inizialmente a casa del ragazzo si siedono sul
pavimento invece di stare sulle poltrone”. Inoltre non cercano di convertire
nessuno. Cercano solo di esprimere il loro pensiero, cosa che mi fa capire
la grande tolleranza del Buddhismo per altre religioni. Infine credo che tra
Buddhismo e Cristianesimo ci siano molte analogie e tra queste, nel film, la
somiglianza delle tentazioni di Buddha con quelle di Gesù.
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L'ora
di religione
(Regia di Marco
Bellocchio)
Ovvero: sentire che nulla può soddisfare
pienamente il cuore umano
(Michele Limongi)
Il film vede come protagonista un affermato pittore,
che apprende con meraviglia la notizia di beatificazione di sua madre,
morta per mano di uno dei suoi fratelli, in un momento di follia. Tale
notizia lo turba, perché non avrebbe mai pensato che sua madre potesse
diventare una santa, una concezione questa che gli è totalmente estranea,
anche perché si dichiara ateo. Tuttavia nel suo atteggiamento non si
coglie un rifiuto, ma un travaglio che lo porta a chiedersi quale sia il
senso della vita. Forse già questo è sentirsi vicino a Dio, come la stessa
repulsione che egli prova dinanzi alla falsità dei parenti, che vedono
nella canonizzazione della madre un puro affare economico. Forse è per i
primi dubbi teologici del figlioletto Leonardo, forse è per tutto questo
che incomincia in lui una ricerca interiore, un po’ come capita a tutti
noi. Dovremmo un po’ soffermarci ed ascoltare il nostro bisogno di
ricerca, perché è questa ricerca che ci permette di trovare la strada
giusta, di conoscere l’amore verso Dio e verso il prossimo, ed è quello
che dà senso alla vita. Nel film è recitata una poesia molto bella, la cui
frase che racchiude il vero significato di tutto è “… eppure questo non
basta”. Soffermandoci su questa frase, scopriremo il succo vero della
vita: qualsiasi cosa che ci offre la vita deve essere considerata
importante in quanto è dono di Dio, ma nessuna ci dà la gioia totale, la
serenità completa dell’amore di Dio. Il lavoro dà soddisfazioni, la
fidanzata è bellissima, i soldi ci permettono di vivere, “eppure questo
non basta”. Dovremmo inserire tutti i nostri interessi nella prospettiva
dell’amore di Dio, un po’ come in un quadro dove il paesaggio che fa da
sfondo colora, dà più rilievo ai personaggi. Sottolineo dovremmo, compreso
me stesso, in quanto tale ricerca è presente in tutti noi, solo che alcuni
la seguono e altri invece la respingono. Molte volte è la delusione verso
Dio, pensare che Dio sia lontano, che fa scaturire in noi la repulsione a
non seguire tale strada. Eppure Dio ci è vicino in ogni istante, anche nei
momenti più brutti. Paragono l’opera di Dio ai segnali stradali. Noi
sappiamo guidare, come nella vita siamo padroni di noi stessi e liberi, ma
se talvolta sbagliamo strada, per errore, ci vengono in aiuto i segnali
stradali, che ci riportano sulla strada giusta. Così Dio, ci ha dato la
libertà di pensare e di agire, così come un genitore per far felice il
figlio, gli concede di seguire i suoi sogni; ma è sempre lì, pronto ad
aiutarci, ad indicarci la strada giusta. Dovremmo avere il coraggio di
cambiare e non avere paura a lasciare quella strada che ci porta molte
volte ad essere egoisti, spinti anche da futili motivi legati alla vita di
ogni giorno. Dobbiamo pensare che la strada di Dio porta all’amore e alla
serenità dell’animo. Penso che se uno prova ad amare il prossimo, riesce
anche a trovare quella tranquillità e quella pace che è molto difficile
trovare oggi.
E’ fuggita l'estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.
Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.
Ne' il bene ne' il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.
La vita mi prendeva,
sotto l'ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.
Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami...
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta. |
Le nostre attività di CINEFORUM sono continuate
anche con altri due capolavori del cinema: “Il posto delle fragole” di
Ingmar Bergman e “Morte a Venezia” di Luchino Visconti. Ma di questo
speriamo di poter parlare nel prossimo numero.
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IL
POSTINO
(Regia di Michael Radford in collaborazione
con Massimo Troisi)
Ovvero: come esprimersi al meglio
attraverso le immagini e la loro poesia
(Giusy Mazzillo)
Siamo nell’Italia del Sud, nel 1952, in
una piccola isola, dove gli abitanti sopravvivono a stento con la
pesca; anche il padre di Mario, il postino, è un pescatore, le cui
reti sono “tristi”, per lo scarso bottino quotidiano. Il postino,
arriva a far presto amicizia con il poeta Pablo Neruda, finito in
esilio su quell’isola, con un legame che diventerà sempre più
profondo, tanto che Neruda finirà poi di fare di Mario il suo
confidente personale e gli insegnerà persino la sua arte, aiutandolo
a conquistare la bellissima Beatrice. Il finale è molto doloroso
perché la morte del postino del film purtroppo coincideva realmente
alla morte prematura del grande attore napoletano. L’idea di girare
“IL POSTINO” era stata di Massimo Troisi, che dopo aver letto il
libro di Skarmera “Il postino di Neruda”, aveva voluto tradurlo in
un film. Le riprese sono iniziate nell’autunno 1993 a Pantelleria e
poi sono proseguite e Salina e Procida. Il film non è
particolarmente fedele al romanzo, soprattutto nel finale che è
completamente rivoluzionato. E’ un film, come dicevo, triste ma
bello, lento e profondo e questo potrebbe anche bastare. Racchiude
in sè il valore della poesia come quello del cinema e della cultura:
ci fa riscoprire la poesia come metafora di leggibilità del mondo e
come modo diverso di vedere le cose. Il film, oltre alla spontaneità
e semplicità del magnifico Troisi, si fa ammirare anche per la
magistrale interpretazione di Noiret, nelle vesti di Neruda, e della
Cucinotta, che interpreta Beatrice la donna amata da Mario. Ha dei
paesaggi indimenticabili, che vengono delineati da momenti di
altissima poesia. Inoltre non si può parlare del “postino” senza
spendere due parole sul grande Massimo Troisi, un personaggio
fantastico, che come attore non è mai appartenuto a nessun genere,
ma soltanto a se stesso. Possedeva una napoletanità calda e
generosa, candida e patetica. Egli non compiange mai il napoletano
nei suoi film, presenta, sì, i suoi problemi, ma ci dice che sono
risolvibili e che bisogna darsi da fare per superarli. Con il suo
umorismo semplice ci fa tornare bambini e ci fa abbandonare alla
risata liberatoria, quella per cui almeno per un attimo riusciamo a
dimenticare tutti i nostri guai. I suoi personaggi appartengono al
mondo giovanile napoletano, sono personaggi rubati alla realtà, ma
sembrano fatti apposta per far risaltare le doti comiche di Massimo.
Troisi era dunque così: napoletano ed italiano allo stesso tempo,
riusciva ad usare indifferentemente le lingue, il dialetto, i gesti,
il silenzio, l’allegria e la tristezza per esprimere un concetto e
le sue senzazioni.
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