UN CAFFE’ SOLIDALE CON … GLI ULTIM (Intervento di  Giuseppe Serio)

 

L’economia solidale si fonda sulla giustizia, non sul profitto,sulla dignità dell’uomo che è il capitale più prezioso del mondo, un capitale violato ogni giorno, quasi in ogni luogo. Le risorse economiche, è vero, sono il motore dello sviluppo sociale, ma sono anche un dono per tutti.

Nell’800, al di sotto della soglia di povertà, vi era l’85% della popolazio-ne mondiale; nel 900, il 30%; oggi è il 20%. Sembra un dato in discesa; invece, è in salita.

Lo sviluppo della dignità umana implica che l’economia sia una porta aperta a tutti, che il lavoro sia solidale, i suoi frutti siano una ricchezza per tutti affinché tutti vivano il presente sapendo che il futuro lo si costrui-sce partendo dalla persona.

 

1 Beni e felicità

L’economia può renderci più felici? R. Wright cerca la risposta riflet-tendo sulla correlazione tra PIL e grado di felicità media dei cittadini.Per esempio:se il reddito pro capite è di 10.000 euro all’anno, l’aumento del 5% comporta una soddisfazione aggiuntiva?

La felicità, dipende solo dal denaro, dai beni e dai servizi o anche dal “livello di fiducia reciproca tra cittadini”[1]? Dai rapporti di stima e di rispetto, dalla pace interiore, dalla serenità della coscienza? “In generale, la soddisfazione per la vita che si conduce, cresce mano a mano che si sale nella scale del reddito? Il denaro può farci felici più del matrimonio?”[2].

L’istruzione e la cultura aggiuntive -secondo Zamagni- equivalgono al doppio del reddito[3]

Le teorie economiche non sono strumenti neutrali di conoscenza del com-portamento; esse modificano i comportamenti umani e sono anche, diretta-mente o indirettamente, strumenti di modificazione degli assetti esistenti[4]. Dunque, l’economia non può essere disgiunta dai valori per-ché -se non è solidale- separa i ricchi dai poveri, genera conflittualità, alimenta l’odio ecc. L’ordine socio-economico oggi si fonda sulla poliarchia e sulle disu-guaglianze, non sulla sussidiarietà.

 

2 La diminuzione del bene relazionale

I poveri sono ricchi di tempo, cioè dello spazio virtuale in cui nasce l’amicizia e si rafforza la dignità che è un elemento essenziale per ostruire il bene relazionale, diverso dal bene posizionale (l’automobile, il cellulare) che potenzia la competizione.

Il consumismo sregolato è un fenomeno competitivo posizionale che alimenta i consumi senza regole: consumare di più, produrre di più, lavorare di più… E’ una gara disumana, anche stupida, che consiste nel produrre beni materiali che distruggono progressivamente i beni relazionali. Occorre, perciò, trasformare gradatamente la società dei consumi in società di consu-matori.

Zamagni ritiene che la crescita del reddito non comporta un aumento di felicità (è dimostrato da dati statistici e analitici di esperti del settore) Dunque, produrre di più per aumentare il reddito, equivale a conseguire un risultato stupido che, in termini concettuali, significa che più reddito -oltre il necessario- comporta meno felicità.

“Molti dei piaceri della vita non hanno prezzo, non sono in vendita, e quin-di non passano attraverso il mercato” [5]. Dunque, il modello del supermarket -fondato sul consumo sregolato- non assicura la felicità all’uomo della società contemporanea che vive come uno sbandato, senza una meta sicura

Lavorare di più e produrre di più serve solo a sottrarre tempo alle relazioni interpersonali sacrificando i beni relazionali, parentali ed amicali, che producono valori connotativi della dignità dell’uomo e che danno sen-so alla vita. Oggi ci sono più ricchi che in passato. Cercano ciò che non si può ac-quistare al mercato che non si può negoziare, per esempio l’amicizia, l’onestà, la libertà non sono beni negoziabili come un assegno di conto corrente.

 

3 Epulone e Lazzaro

Il profitto non sempre rispetta i ritmi e le esigenze dell’ambiente, le risorse culturali, i valori delle famiglie e dei popoli” [6]

L’educazione deve promuovere lo sviluppo umano, non la competitività: “la crescita della povertà costituisce il maggior ostacolo per uno sviluppo umano sostenibile”[7] La sperequazione tra i più ricchi e i più poveri della terra è cresciuta, in questi ultimi anni in modo spaventoso: un alto funzio-nario americano -che dieci anni fa guadagnava uno stipendio 42 volte maggiore di quello di un operaio- oggi ne percepisce uno 419 volte maggiore!

Nel 1980 gli USA producevano una ricchezza pari a 1.100 bilioni di dollari, fruita appena dal 5% delle famiglie. Nello stesso decennio, il capi-talismo ha vinto su tutti e tutto perché la politica non ha fatto da contrap-peso allo strapotere della new econmy. Il mercato è più forte dello stato. Epulone ha conquistando il mondo, popolato da miliardi di Lazzari; ha imposto il super-market; ha contrapposto cultura di mercato a cultura solidale.

“Non ho nulla contro la globalizazione. Ce l’ho contro questo tipo di globalizzazione che permette a pochi di vivere come nababbi a spese dei morti di fame” [8]. Nel mondo ci sono 400 ricchissimi “che concentrano nelle proprie mani più della metà della ricchezza totale destinata a tutti gli abitanti del pianeta”[9]. L’altra metà, però, non è di tutti gli altri: l’80% appartiene all’Occidente, il rimanente 20% ai Lazzari del resto del pianeta.

 

Economia ed istanze critiche

La globalizzazione potrebbe essere una formidabile opportunità per ridistribuire la ricchezza secondo criteri di economia di comunione e di solidarietà.

La Politica -svolgendo il suo ruolo, che è la promozione del bene comune- potrebbe delineare un nuovo modello socio-economico in cui tutti abbiano le stesse opportunità di lavoro e di crescita culturale per vincere le povertà economico-educative andando contro corrente, partendo dalla sfera del bene comune dove il valore universale della pace occupa il primo posto assieme a quello della giustizia.

Il senso della responsabilità è un elemento di qualificazione dell’uomo che, purtroppo,“ha costruito la sua visione della vita attorno alla proprietà privata e al denaro [promettendo] a tutti dignità e felicità”[10] e deludendo tutti per gli esiti di una modernità che non può realizzare le promesse fatte in nome del “progresso”.

La mia proposta: costruire la società più giusta partendo da chi sa porsi al primo posto nella gerar-chia dei valori non competitivi.


 

[1] STEFANO ZAMAGNI in Il futuro dell’uomo. Fede cristiana e antropologia EDB Bologna 2002  p. 264

[2] ROBERTO PUTMAN, Una lettura socio-economica della globalizzazione, Roma, CEI 2003 p. 264

[3] STEFANO ZAMAGNI, Idem  p. 266

[4] Cfr STEFANO ZAMAGNI,, in op cit  p 42

[5] ROBERT LAME, The Loss of Happiness in the Market Democracies, Yale University Press, 2000 p 59

[6] STEFANO ZAMAGNI, op cit  p 268

[7]  Idem, op cit. p. 403

[8]  ALEX ZANOTELLI, Salome,Ngugi:i volti della globalizzazione, in Segno nel mondo, n. 11 p. 5

[9] Ibidem

[10] GIANNI COLZANI Il cittadino globale in Aa. Vv. Globalizzazione Comunicazione Tradizione. Progetto di ricerca

                                     interdisciplinare,,,Roma Edizioni CEI 2003,p 76