Dalla Stampa 24/02/2010
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GABRIELE BECCARIA


- INTERVISTA. "STA NASCENDO UN NUOVO PARADIGMA DELLA CONOSCENZA CHE SUPERERA' L'INCANTESIMO DI GALILEO"

"Dio esiste, parola di biologo"

Stuart Kauffman: si manifesta nell'infinita creatività dell'Universo     [Biologo
                                                                                               PROFESSORE ALLA TAMPERE UNIVERSITY OF TECHNOLOGY
                                                                                               E ALLA UNIVERSITY OF VERMONT]

IL LIBRO: «REINVENTARE IL SACRO» CODICE EDIZIONI

GABRIELE BECCARIA



Quattrocento e uno anni dopo la prima osservazione della Luna compiuta da Galileo, è arrivato il momento di «rompere il suo incantesimo». Non è un neo-inquisitore a spiegarlo, ma il contrario: è Stuart Kauffman, biologo e teorico della complessità, esempio perfetto di celebrità made in Usa. Ha scritto «Reinventare il Sacro» e ai colleghi propone un terremoto concettuale, basato sul teorema scientifico di un dio panteista, identificato con le impetuose metamorfosi del tutto, dai microbi alle galassie.

Professore, perché la scienza «classica» non basta e avrebbe bisogno di un cambio di prospettiva?
«Il perché me l’ha ispirato il mio quasi omonimo Gordon Kaufman, teologo a Harvard: l’unica idea che oggi abbia teologicamente senso - sosteneva già un decennio fa - è rinunciare al concetto di un dio soprannaturale e sostituirlo con quello che l’Universo sia naturalmente creativo. Io sono arrivato allo stessa conclusione, ma attraverso la scienza».

Dalla religione ai laboratori: com’è possibile?
«Con una battaglia contro la visione standard che si è affermata da Newton in poi, il riduzionismo: data una serie di leggi, come quelle della meccanica celeste, tutto avviene in rapporto alle leggi stesse. E’ la concezione dominante, che non è venuta meno neanche con l’avvento della meccanica quantistica e, quindi, con Bohr e Schroedinger, fino a grandi menti come Steven Weinberg. Se loro hanno ragione, l’Universo non può essere creativo. Il mio saggio, invece, sostiene una tesi radicalmente diversa, rompendo, appunto, l’incantesimo galileiano: non è vero che tutto ciò che accade sia descrivibile con le leggi naturali».

Molti scienziati non sono d’accordo: può fare un esempio?
«Lo farò con una domanda: è possibile immaginare in anticipo tutti i pre-adattamenti darwiniani degli umani?».

La sua risposta è un «no» secco, esatto?

Infatti. Pensiamo al cuore. La sua funzione evidente è pompare sangue, ma si può aggiungere che emette anche suoni regolari, i battiti. E allora Darwin ribatterebbe che comunque non si tratta di una funzione. Il cuore è stato selezionato per far circolare il sangue ed è questa capacità ad avere conferito un vantaggio selettivo agli organismi dotati di un cuore. Ecco il mio punto, che nasce dallo stesso Darwin: il suono martellante potrebbe rappresentare un “passo ulteriore”, ma in un ambiente diverso da quello che conosciamo e, quindi, stiamo parlando di un pre-adattamento, una trasformazione di cui non si può ancora prevedere l’esito evolutivo. E’ ciò che nel XX secolo è stato definito come “exaptation”».

Si riferisce alla presunta incapacità della selezione di «governare» le fasi incipienti di strutture complesse?

«E’ così. Un altro esempio è la vescica natatoria dei pesci. I palentologi sostengono che nacque come un pre-adattamento da pesci dotati di polmoni e che, quindi, l’organo si sviluppò in una fase successiva, quando acqua e aria si mescolarono. E di conseguenza le mie domande sono due. Prima: siamo di fronte all’emergere di una funzione che non esisteva? Sì, quella della stabilizzazione in acqua. Seconda: ha contribuito a cambiare i modi in cui la biosfera si è evoluta? Sì, certamente. Sono nate tante nuove specie di pesci. E di consegenza è cambiata anche la storia dell’Universo ed è qui che si torna alla questione cruciale, a cui ho accennato prima: sarebbe stato possibile prevedere tutti i pre-adattamenti darwiniani per tutti gli organismi oggi esistenti? La risposta è: no! Non si può prevedere l’emergere della vescica natatoria a partire dalla fisica e tantomeno si può simulare l’evoluzione della biosfera: non solo non sappiamo che cosa accadrà, ma nemmeno ciò che può accadere. Ed è qui che arrivo alla conclusione».

La spieghi: pensa così di ristabilire il contatto tra scienza e fede che oggi sembra irrimediabilmente spezzato?

«Se definiamo “legge naturale” la descrizione di processi regolari, può esisterne una per spiegare l’emergere della vescica natatoria? No. La sua manifestazione non vìola nessuna legge, eppure allo stesso tempo si spinge al di là. Ecco il punto del mio saggio: il dispiegarsi dell’Universo non è completamente descrivibile attraverso le leggi “standard” ed è il motivo per cui il riduzionismo è inadeguato. Non spiega l’innata creatività naturale che anima ciò che ci circonda e questo vale non solo per la biologia, ma anche, per esempio, per la storia o l’economia».

Come reagiscono i suoi colleghi a queste che sembrano provocazioni?

«La scienza non è in grado di conoscere e dedurre tutto e questa incapacità frantuma le barriere tra scienza e arte e ogni altra manifestazione del pensiero. La scienza è solo uno degli strumenti di conoscenza in un mondo di cui ignoriamo gli esiti. La conseguenza è profonda: c’è bisogno di un secondo Illuminismo che tenga conto dei diversi aspetti della nostra umanità e contribuisca a una civiltà globale diversa dall’attuale, capace di opporsi ai fondamentalismi. E non mi riferisco a un’unica realtà omogenea, ma a un’ecologia di civiltà che coevolvono insieme e condividono un senso del sacro che va oltre l’adorazione di una ristretta razionalità. Dio diventa la creatività dell’Universo, in cui siamo immersi e di cui facciamo parte».