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Da Adista Documenti N°54 (10-07-06)
PACE È VITA: TUTTA LA VITA, OGNI VITA, SEMPRE E OVUNQUE. LA RIFLESSIONE DI PAX CHRISTI PER IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA
Partecipando al cammino comune verso il Convegno Ecclesiale di
Verona (ottobre 2006), intendiamo condividere la nostra riflessione con tutti
gli aderenti a Pax Christi, con il popolo di Dio in cammino e con i suoi
pastori, con le associazioni cattoliche, con le comunità cristiane, con il
movimento ecumenico, con gli operatori di pace variamente ispirati, con i
compagni di viaggio di qualunque orientamento, convinti che la vita e la pace
contengano la sostanza dell'unico Vangelo di Cristo "nostra pace" (Ef 2, 14).
1. La pace di Cristo "nostra pace" è pienezza di vita
Una forte e profonda spiritualità della pace ci spinge, anzitutto, a contemplare
"il Vivente in eterno" creatore dell'universo (Sir 18, 1), il Dio "amante della
vita" (Sap 11,26), colui che "distruggerà per sempre la morte" (Is 25,8), che
"dà la vita ai morti e chiama all'essere le cose che non sono" (Rom 4, 17). Egli
si è incarnato, tramite lo Spirito, nel volto di Gesù Cristo, "il Verbo della
vita" (1Gv 1,1), il solo che ha "parole di vita eterna" (Gv 6, 68) e ci dona la
vita "in abbondanza" (Gv 10,10). Egli è per tutti "via verità e vita" (Gv 14,6).
È "la resurrezione e la vita" (Gv 11,25). Grati e stupiti, esultiamo al pensiero
di essere "risorti con Cristo" (Col 3,1). Per questo, "l'essere umano che vive è
la gloria di Dio", scriveva Ireneo di Lione che indicava come scopo della nostra
esistenza "la visione" dell'Eterno.
Sappiamo che "la speranza non delude perché "l'amore di Dio è stato riversato
nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo datoci in dono" (Rom 5,5).
Sentiamo che Dio, fonte della vita, ci rinnova e ci trasforma. Ci fa "nascere
dall'alto" (Gv 3, 3-8).
Egli entra in relazione con noi tramite la sua grazia trasformante."Il principio
creativo di tutte le cose - scrive Benedetto XVI nella "Deus caritas est" - il
Logos, la ragione primordiale - è al contempo un amante con tutta la passione di
un vero amore" (n. 10).
Avvertiamo con gioia orante che "Dio è amore e chi sta nell'amore dimora in Dio
e Dio dimora in lui" (1 Gv 4,16). Siamo consapevoli che "poiché l'amore è da
Dio, chi ama è generato da Dio e conosce Dio" (1 Gv 4,7).
Ascoltiamo sempre con trepidazione e slancio la beatitudine rivolta agli
"operatori di pace" che "saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9). Cerchiamo di
vivere la dimensione familiare della vita divina per mezzo della nostra azione
conviviale che cerca di evidenziare la presenza divina nella famiglia umana e in
ogni esperienza rivolta al bene. Per noi la scelta della vita e quella della
nonviolenza costituiscono un unico multiforme impegno. La pace è un bene
completo e globale. È benedizione e pienezza di vita: shalom.
2. I blocchi contrapposti
Oggi, quando si affrontano i temi della vita e della famiglia, in particolare
della vita nascente e della bioetica, spuntano quasi sempre due schieramenti
contrapposti orientati ad esasperare i toni, a dividere il mondo in bene e male,
vita e morte, buoni e cattivi.
a) Da un lato, c'è chi ripropone costantemente i diritti dell'embrione, il
superamento della legge 194, il rifiuto di patti di solidarietà civile o altro,
quasi ossessionato dalla sessualità e dalla bioetica, quasi indifferente al
fatto che al mondo ogni 6 secondi muore un bambino per fame, ogni minuto muore
una donna per parto, mentre si spendono cifre spaventose per sviluppare il
sistema della guerra. Chi invoca i "valori cristiani" in riferimento solo
all'embrione non solo limita l'ambito di iniziative per la promozione della vita
ma rischia di essere strumentale e di venire strumentalizzato. C'è anche chi
ragiona in termini di schieramento politico-elettorale, anzi prefigura una sorta
di "religione civile" contro un presunto "secolarismo" o "edonismo" e non tiene
conto dei problemi esistenziali, degli itinerari personali, delle vicende intime
di molte donne, di molte persone e di molte famiglie. Nessuno può credere a chi
si accalora per difendere il diritto alla vita degli embrioni ma non sembra
interessato alla vita delle persone nate sempre e ovunque.
b) Dall'altro lato, c'è chi ripete antichi pregiudizi verso la religione
cattolica considerata sempre antimoderna, clericale, intollerante, contraria
alla scienza e alle donne. Alcuni propongono una visione riduttiva del
"laicismo" come pura separazione degli ambiti di intervento e netta divisione
tra morale e politica (laicità, invece, è termine sempre positivo e progettuale,
intrinseco alla fede cristiana). Chi invoca la tolleranza, non può confonderla
né con l'appiattimento delle identità, né con l'indifferenza ai valori
fondamentali, né con una ragione utilitaria e tracotante, priva del senso del
limite. Molti, poi, difendono un'idea di libertà totale e puramente
individualistica senza riferimenti etici o vincoli giuridici. Alcuni comunicano
l'idea che tutto sia possibile, senza regole; che la tecno-scienza sia sempre
usata per il bene dell'umani-tà. Come se non esistesse la mercificazione della
vita nascente. Come se non operassero da tempo ditte e multinazionali rivolte
alla produzione e alla manipolazione degli embrioni a fini di lucro o per
allarmanti sperimentazioni. Come se non valesse in questo campo il principio di
prudenza. Come se il liberismo assoluto o i poteri imperiali, condannati in
ambito internazionale, non esistessero nella sfera della vita privata. Chi lotta
contro le guerre o respinge il pensiero unico neo-liberista o rifiuta gli
organismi geneticamente modificati non può accantonare l'idea che l'aborto è
sempre un male, non può sottovalutare l'impegno per la difesa della vita
nascente, la "biodiversità" globale, la cura di ogni vita secondo un'etica della
responsabilità.
3. Un discernimento a tutto campo
Nella percezione comune, sulla scena politica e mediatica, per responsabilità
differenti (informative, politiche, ecclesiali), il magistero episcopale appare
quasi esclusivamente attento ai temi della vita nascente e della famiglia. Da
parte nostra avvertiamo il bisogno di offrire forme di discernimento e di
iniziativa incalzante su temi ed emergenze ugualmente gravi dal punto di vista
etico: l'invio e la presenza di truppe italiane in Iraq; la diffusione di un
sistema di guerra, l'uso della guerra, anche preventiva, come strumento normale
della politica, l'"esportazione" della democrazia con mezzi illegali e immorali,
l'enfasi sullo scontro delle civiltà; una visione parziale e militarizzata della
sicurezza (che, oltre a logorare e a svuotare lo stato di diritto, alimenta il
terrorismo che presume di combattere); la scarsa attenzione per la cancellazione
del debito estero dei Paesi più impoveriti; la noncuranza per gli inviti papali
a favore di un'amnistia giubilare per i detenuti; la violenza mafiosa sulla
quale i ragazzi di Locri e il movimento "Libera" ci hanno offerto segnali
importanti di intervento nonviolento; la "questione morale" come questione
democratica, l'illegalità economica e finanziaria, il conflitto di interessi
nella gestione della cosa pubblica; il logoramento del diritto, lo svuotamento
della Costituzione; l'introduzione della tortura nell'ordinamento giuridico;
l'accoglienza degli immigrati, l'attenzione particolare alle immigrate e ai loro
figli; la disoccupazione o l'occupazione sempre precaria; le varie forme di
povertà; la mercificazione della salute e dei beni essenziali; la deriva
neoliberista dell'econo-mia; il clima di arroganza favorito dagli interventi
degli "atei devoti" che credono di dettare legge anche in casa ecclesiale dove
spesso trovano ascolto e sostegno; il tentativo di trasformare il cristianesimo
in una religione politica.
Su molte questioni inerenti la qualità della democrazia, in particolare sulla
pessima proposta di "deforma" della Costituzione approvata dalla maggioranza
parlamentare nel 2005, riteniamo utile sviluppare le idee emerse (ancora poco
note) alla 44.ma Settimana Sociale dei cattolici italiani, tenutasi a Bologna
nell'ottobre 2004 e le indicazioni prodotte dal seminario "Costituzione e
nonviolenza" organizzato dal Centro Studi di Pax Christi, svoltosi presso la
Casa della pace il 28-29 gennaio 2006.
In questo periodo, avvertiamo con sofferenza la diffusione di dichiarazioni che
presentano come "diritto sacrosanto" quello della difesa armata preventiva
contro i ladri, così come previsto dalla legge approvata dalla maggioranza
parlamentare nel gennaio 2006. A tale riguardo, siamo di fronte a una
regressione pericolosa. L'esperienza statunitense ci dice che ogni giorno
muoiono 9 bambini per motivi connessi a errori nell'uso delle armi da parte
proprio dei familiari, che la criminalità non solo non diminuisce ma può trovare
alimento in dispositivi che facilitano l'uso delle armi, che si diffonde la
cultura e la pratica delle armi, che una persona sembra meno importante di una
cosa. Chi invita a non votare candidati favorevoli a provvedimenti ritenuti
dannosi in ambito bioetico e familiare, dovrebbe estendere l'invito a chi
sostiene l'omicidio preventivo sia in ambito privato che in quello
internazionale. Sembra che la pratica illegale e immorale delle guerre
preventive si stia estendendo ovunque. Anche nei rapporti personali il diritto
della forza pare prevalere sulla forza del diritto. Davanti a provvedimenti
simili e ad altri analoghi, noi cristiani dovremmo sentire offesi e mercificati
proprio i valori della vita e della persona umana che diciamo di difendere.
4. Vita e pace: unico Vangelo
Di fronte a nodi problematici così vasti e complessi, è possibile
un'argomentazione dialogica senza frasi ultimative, senza esasperazioni faziose,
senza schematismi, senza contrapposizioni pregiudiziali? Nessuno può pretendere
di "possedere la verità", soprattutto in ambito giuridico-politico, su argomenti
straordinariamente complessi e delicati come quelli riguardanti la bioetica, la
vita nascente, la realtà familiare, la ricerca della felicità, le problematiche
interconnesse della vita e della pace. La prima nostra preoccupazione riguarda
proprio la pratica della ricerca della verità nel dialogo e l'acquisizione di
una visione globale e unitaria dei problemi. La vita e la pace sono sorelle che
camminano assieme. O crescono assieme o cadono assieme.
La dinamica assai varia delle esperienze personali, "la dimensione affettiva
delle relazioni sociali" e "le varie forme di rappresentazione pubblica degli
affetti hanno un grande bisogno di aprirsi alla speranza e, quindi, alla
ricchezza della relazione" ("Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo" n.
15,a).
I credenti, quindi, non possono annunciare il messaggio cristiano della vita
sempre con processi alle intenzioni, con giudizi perentori, offrendo divieti e
condanne. Possono annunciare la bellezza della vita solo in modo globale e
gioioso, favorendo un clima di fiducia e di serenità, valorizzando il decisivo
contributo femminile. Se Maria, definita "donna che ama" da Benedetto XVI nella
"Deus caritas est" (n. 41 e 42), non avesse pronunciato il suo libero e amante
"sì", da lei non sarebbe nato il figlio di Dio, non sarebbe diventata "madre
della Parola incarnata" e "madre di tutti i credenti".
Con tutti i nostri limiti ma anche con il nostro entusiasmo di operatori di
pace, anzi di amici della nonviolenza, riteniamo necessario ricordare a noi
stessi, alle comunità cristiane e a tutti i nostri compagni di strada che la
vita va tutelata e promossa nella sua varietà e interezza sempre e ovunque. La
vita è un bene globale, comune, conviviale, interdipendente, laico, cristiano,
ecumenico, interreligioso, universale. Solo se coerente e completa "la scelta
della vita" diventa verace, credibile e autorevole. Il Vangelo della vita e
Vangelo della pace formano l'unico Vangelo di Cristo, figlio del Dio vivente,
"via, verità e vita", "nostra pace".
5. La pace ama la vita, ogni vita, sempre e ovunque
È importante fare sintesi, superare le asimmetrie teorico-pratiche o la
separazione, enfatizzata dai media, tra campo bioetico e campo sociale, tra
etica privata ed etica pubblica. Bisogna pensare e vivere i temi della vita e
della pace in modo coerente e completo come beni globali, interconnessi, nel
contesto di un intreccio indissolubile, di una reciproca fecondazione. È,
quindi, urgente sperimentare la costruzione di percorsi comuni, laici-cristiani,
riconoscendo la complessità delle problematiche, la dimensione aperta della
ricerca, il valore del dialogo, l'importanza della lettura dei "segni dei
tempi", la legittimità di diverse risposte politiche in ambito giuridico, il
valore della laicità come progetto di convivialità umana, la democrazia come
partecipazione responsabile alle scelte comuni.
Per questo motivo percepiamo che ci sono dimensioni vitali e relazionali non
ancora toccate e sapienze non ancora udite e vissute. La pace, che per noi è
azione nonviolenta, ama la vita, ogni vita, si prende ogni giorno cura della
vita di tutti e per tutti, con i beni a disposizione sulla tavola comune, in un
ambiente pulito. La pace è vita da gustare, da curare e da condividere. Se la
violenza è necrofilia, amore per la morte, la nonviolenza è sempre biofilia
operante, sanità mentale, respiro del cuore. Aiuta a vincere la paura. Tenta la
riconciliazione nella verità, risana le ferite, ricostruisce i rapporti
lacerati, sa che è possibile e necessario cambiare per vivere e vivere con
dignità. Suscita la gioia di vivere e il piacere di comunicare.
L'enciclica "Deus caritas est" ci porta a contemplare nelle umane esperienze
d'amore (erotico e agapico) e nell'impe-gno per la giustizia e la caritas, la
presenza operante del-l'eterno amore incarnato nella trama della nostra fragile,
ferita eppure splendida umanità.
6. Vita, giustizia e pace
Ama la vita chi la promuove. Chi crea le premesse per il suo fiorire. Chi
previene ogni forma di violenza. Democrazia, dunque, è impegno costante di
partecipazione e di predisposizione delle condizioni per la difesa e la
promozione della vita. L'attenzione alla vita minacciata si estende sempre
all'impegno per la giustizia e la pace.
Nella "Centesimus Annus" del 1991, Giovanni Paolo II esclama: "no, mai più la
guerra che distrugge la vita degli innocenti, che insegna a uccidere e sconvolge
ugualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di
rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi
problemi che l'hanno provocata" (n. 52). Al n. 47, pur preoccupata per la "crisi
dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di
decidere secondo il bene comune", l'enciclica ribadisce che "la Chiesa rispetta
la legittima autonomia dell'ordine democratico" offrendo come contribuito
"quella visione della dignità della persona, che si manifesta in tutta la sua
pienezza nel mistero del Verbo incarnato".
Analoghe indicazioni incontriamo nella "Evangelium vitae" del 1995 (n. 90), in
tanti documenti magisteriali e, ultimamente, nella "Deus Caritas Est", là dove
si parla della autonoma attività politica dei laici vissuta nell'ambito della
"ragione autoresponsabile" come "impegno per la giustizia e servizio della
carità" (28) o come "carità sociale" (29). È il magistero della prassi.
Ecco perché diventa urgente favorire cammini di crescita comune, di impegno
civile e di corresponsabilità ecclesiale. Benedetto XVI, nel maggio scorso, in
occasione della vicenda referendaria sulla procreazione assistita, ha chiesto
"misure economiche e legislative che sostengano le giovani famiglie nella
generazione e nell' educazione dei figli", ha ribadito che "ogni essere umano
non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine". Ha, poi, ha
aggiunto: "la stessa sollecitudine per il vero bene dell'uomo che ci spinge a
prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita umana si
esprime nell'attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli ammalati, agli
immigrati, ai popoli decimati dalle malattie e dalla fame". Pochissimi, nel
pieno della polemica sugli schieramenti referendari, hanno messo in evidenza
questi elementi.
7. L'insegnamento cattolico per una nuova cultura della vita
Nonostante oscillazioni o parzialità, il magistero cattolico risulta molto più
ampio e articolato di quello che molti pensano. Citiamo, per brevità, il minimo
essenziale.
"Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il
genocidio, l'aborto procurato, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario;
tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le
torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello
spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni disumane di
vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la
prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose
condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici
strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste
cose, e altre simili, sono certamente vergognose, e mentre guastano la civiltà
umana, ancor più inquinano coloro che così si comportano che non coloro che le
subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore". Così il Concilio nella "Gaudium
et spes" (cap. II "La comunità degli uomini", n. 27 ).
Trent'anni dopo, nella "Evangelium vitae" (1995), si ricordano, tra i valori
fondamentali, "la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti
intangibili e inalienabili, nonché l'assunzione del ‘bene comune' come fine e
criterio regolativi della vita politica" (n. 70). Allora, esclama il papa,
"rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada
troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità" (n. 5). "È dunque
un servizio d'amore quello che tutti siamo impegnati ad assicurare al nostro
prossimo, perché la sua vita sia difesa e promossa sempre, ma soprattutto quando
è più debole o minacciata. È una sollecitudine non solo personale ma sociale,
che tutti dobbiamo coltivare, ponendo l'incondizionato rispetto della vita umana
a fondamento di una rinnovata società. Ci è chiesto di amare e onorare la vita
di ogni uomo e di ogni donna e di lavorare con costanza e coraggio, perché nel
nostro tempo, attraversato da troppi segni di morte, si instauri finalmente una
nuova cultura della vita, frutto della cultura della verità e dell'amore" (n.
77). [La cultura di morte è] "guerra dei potenti contro i deboli" (n. 12); "da
società ‘conviventi', le nostre città rischiano di diventare società di esclusi,
di emarginati, di rimossi e soppressi". [Se poi lo sguardo si allarga ad un
orizzonte planetario] "non occorre forse mettere in discussione gli stessi
modelli economici, adottati sovente dagli Stati anche per spinte e
condizionamenti di carattere internazionale, che generano e alimentano
situazioni di ingiustizia e violenza nelle quali la vita umana di intere
popolazioni viene avvilita e conculcata?"(n. 18).
La "Evangelium vitae" invita alla mobilitazione gioiosa. "Mandati nel mondo come
‘popolo per la vita' , il nostro annuncio deve diventare anche una vera e
propria celebrazione del Vangelo della vita [...]. A tal fine, urge anzitutto
coltivare in noi e negli altri uno sguardo contemplativo. Questo nasce dalla
fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio (Sal.
139). È lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le
dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla
responsabilità. È lo sguardo di chi non pretende di impossessarsi della realtà,
ma la coglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore e in
ogni persona la sua immagine vivente (Gen 1,27, Sal 8,6)". Tale sguardo "si apre
a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla
solidarietà" (n. 83).
La traccia di riflessione per il Convegno Ecclesiale di Verona dell'ottobre 2006
afferma con decisione: "solo una cultura che sa dar conto di tutti gli aspetti
dell'esistenza è una cultura davvero a misura d'uomo. Insegnando e praticando
l'accoglienza del nascituro e del bambino, la cura del malato, il soccorso del
povero, l'ospitalità dell'abbandonato, dell'emarginato, dell'immigrato, la
visita del carcerato, l'assistenza all'incurabile, la protezione dell'anziano,
la Chiesa è davvero ‘maestra d'umanità'. Ma l'accoglienza della fragilità non
riguarda solo le situazioni estreme. Occorre far crescere uno stile di vita
verso il proprio essere creatura e nei rapporti con ogni creatura: la propria
esistenza è fragile e in ogni relazione umana si viene a contatto con altra
fragilità, così come ogni ambiente umano o naturale è frutto di un fragile
equilibrio".
("Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo" 15, c).
8. "Non uccidere" come progetto e impegno
La passione per la nonviolenza ci porta a evidenziare l'urgenza del "non
uccidere" sempre e ovunque come progetto quotidiano e planetario, come impegno
permanente, attivando una rete di politiche di prevenzione a favore di una
gestione positiva dei conflitti in ogni campo. Aspetto complementare del "non
uccidere" è il "non lasciar morire", cioè l'attivazione di interventi
nonviolenti preventivi, contemporanei e successivi alle violenze, l'apertura di
percorsi di guarigione e di riconciliazione personale, familiare, sociale, il
prendersi cura della vita al fine di rimarginare e curare le ferite delle
violenze, ricostruire la fiducia nei rapporti umani, aprire strade di
convivialità.
La trama colorata della vita e della pace è immensa: superamento dell'aborto,
paternità e maternità responsabile, politiche competenti e rispettose
nell'ambito dell'interruzione della gravidanza, della fecondazione assistita o
della cura di malattie come l'Aids; prevenzione e cura delle varie forme di
violenza contro le donne e i bambini nascenti e nati; prevenzione e cura delle
persone tossicodipendenti; rispetto delle biodiversità e dei beni essenziali
dell'umanità; accoglienza degli immigrati con cui costruire la cittadinanza
umana e la convivenza civile; attenzione ai problemi delle sorelle e dei
fratelli omosessuali; in ambito più vasto, politiche di disarmo, difesa popolare
nonviolenta, sicurezza umana inclusiva; lotta alla morte per fame o per
malattie; accesso ai farmaci essenziali; trasparenza per le "banche armate";
riduzione della produzione e del commercio delle armi; sminamento; azione contro
la tratta degli esseri umani e le nuove forme di schiavitù, la tortura, la pena
di morte, l'illegalità criminale, la complicità mafiosa; percorsi di
riconciliazione nella verità e nella giustizia; opposizione alla difesa armata
preventiva individuale; disoccupazione, precariato permanente, caporalato nel
mondo del lavoro soprattutto in alcune regioni; educazione permanente alla pace,
alla legalità, alla socialità, alla promozione dei diritti umani: sono tutti
capitoli dell'unico libro della vita e della pace nella nonviolenza per tessere
nuovi rapporti tra le persone e tra i popoli, nel privato e nel pubblico, nel
piccolo e nel grande, sempre e ovunque.
In particolare, riteniamo che per ogni guerra e per ogni violenza valga la
solenne affermazione presente nella "Evangelium vitae": "la scelta deliberata di
privare un essere umano innocente della sua vita è sempre cattiva dal punto di
vista morale, e non può mai essere lecita né come fine, né come mezzo per un
fine buono. È, infatti, grave disobbedienza alla legge morale, anzi a Dio
stesso, autore e garante di essa, contraddice le fondamentali virtù della
giustizia e della carità" (57). Per questo "si dovranno rimuovere le cause che
favoriscono gli attentati alla vita" (n. 90).
L'esplicita condanna della "Evangelium vitae" va estesa ad ogni vita. Essa
ricorda un'analoga solenne affermazione della "Gaudium et spes": "ogni atto di
guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste
regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e
con fermezza e senza esitazione deve essere condannato" (n. 80).
Sono indicazioni che vanno tutte nella direzione di una teologia della
nonviolenza attiva ed efficace da testimoniare nella vita quotidiana e mondiale,
nell'intimo e nel pubblico, nel mondo e nella Chiesa. La nonviolenza è forza
dell'amo-re. L'amore è sempre universale e concreto, mai concluso, "processo che
rimane continuamente in cammino", ricorda la "Deus caritas est" (nn.15-18). Per
il cristiano che vive la corresponsabilità ecclesiale, esso si presenta come
"manifestazione dell'amore trinitario" (n. 19).
9. Famiglia, laboratorio trinitario della pace
Davanti a episodi sconvolgenti di violenza interna alle famiglie, che svelano
abissi di solitudine e di paura, di depressione e di disperazione, di
aggressività diffusa e di violenza diventata normalità (alimentata da strutture
economiche e da modelli devastanti di vita personale e sociale), intendiamo
ribadire che "l'amore è possibile" ("Deus caritas est", n. 39).
Esso comincia dall'intimità personale e dai rapporti familiari. Il vescovo
Tonino Bello definiva la famiglia "laboratorio trinitario della pace". "La
stessa espressione con cui possiamo descrivere il mistero trinitario - osservava
Tonino Bello - serve anche per descrivere la pace: convivialità delle
differenze... Le stesse parole che servono a definire il mistero principale
della nostra fede ci servono per definire l'anelito supremo del nostro impegno
umano. Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l'equa
distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il
proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze,
appunto".
"Ma c'è di più", osserva Tonino Bello, è una "tavola promessa" e "principio
permanente di critica"[ ...]. "La Trinità non è una specie di teorema celeste
buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui
devono scaturire l'etica del contadino e il codice deontologico del medico, i
doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le
linee ispiratrici dell'economia, le ragioni che fondano l'impegno per la pace e
gli orientamenti di fondo del diritto internazionale. La Trinità, dunque, è
storia che ci riguarda.. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l'esistenza
cristiana"[...].
"Il compito della famiglia è quello di camminare nella storia come icona della
Trinità [...]. Forse è giunto il momento che la famiglia, ‘agenzia periferica
della Trinità', prima di ogni altra istituzione prenda coscienza che le violenze
che si consumano al suo interno, le arroganze, gli abusi di potere, le disparità
tra uomo e donna, le ingiustizie contro i poveri, le emarginazioni razziali, la
difesa dei privilegi dei popoli ricchi, il mantenimento degli schemi che
distribuiscono gli uomini in categorie egemoni e categorie subalterne...sono
oggi le vere eresie trinitarie che essa è chiamata a combattere. La famiglia
[...] deve divenire il luogo dove si sperimentano le relazioni e,quindi, si
recuperano i significati [...]. Ora se la Trinità è il luogo privilegiato delle
relazioni - tant'è che i teologi definiscono le tre Persone divine come
‘relazioni sussistenti'- anche la famiglia deve essere lo spazio in cui, vivendo
l'uno per l'altro, vengono sbrecciati i gangli linfatici che secernono le
tossine di guerra: l'accumulo, il profitto, la carriera, il potere, la
sopraffazione dell'uomo sull'uomo [...].
La famiglia è il primo laboratorio in cui ci si educa al rispetto delle
diversità, e, quindi, alla lettura delle diversità non come innaturali,
diaboliche, disturbanti, controproducenti, mostruose, da eliminare [...]. La
paura dell'altro, del diverso, del marocchino, di chi viene a mettere in
discussione sicurezze antiche, produce preoccupanti tossine di rifiuto e mette
in crisi, anche nella nostra esperienza cristiana, consolidati concetti di
accoglienza. Non c'è da illudersi: è su questo fronte che, negli anni immediati,
si misurerà la nostra tenuta evangelica.
La famiglia, poi, proprio perché agenzia di comunione, deve riscoprirsi come
spazio sperimentale dell'esercizio critico nei confronti di ciò che nel mondo,
in termini planetari, minaccia la pace. La corsa alle armi e il loro commercio
clandestino, la militarizzazione del territorio, le folli spese per l'apparato
bellico, la distribuzione iniqua delle ricchezze della terra, i problemi della
fame e della miseria, il debito estero dei Paesi del Terzo Mondo, i rapporti
Nord-Sud... sono i capitoli su cui confrontarsi quotidianamente e per i quali la
revisione critica dei propri comportamenti deve scatenare la ricerca diuturna di
nuovi modelli di vita La famiglia deve riscoprirsi, infine, come palestra per la
pratica della non-violenza attiva..." ("Le mie notti insonni", San Paolo, Milano
1996, pp. 57-68).
10. La Chiesa, famiglia di Dio nel mondo
Una forte teologia trinitaria offre parametri adatti a misurare la fedeltà degli
uomini a Dio infinito amore. Le comunità cristiane possono diventare famiglie
abitabili, promuovere il dialogo, creare spazi e momenti di ascolto e di
accoglienza, luoghi e itinerari formativi, assumendo stili di vita atti ad
accompagnare l'esperienza umana. La Chiesa può diventare compagna di viaggio,
estroversa, solidale. Il nostro servizio di testimonianza ci porta non solo ad
annunciare il Vangelo ma ad "agire evangelicamente" scoprendo e accogliendo i
segni dello Spirito presenti nella storia delle persone e dei popoli. A tal fine
è importante fare esperienza di uno stile di corresponsabilità per maturare
assieme nella fecondazione reciproca.
Una Chiesa sinodale è una Chiesa dei volti capace di esercitare il potere dei
segni conviviali.
Una nuova teologia della pace nella nonviolenza è, anzitutto, una scelta
educativa strategica. Tra i molti, hanno cominciato a testimoniarlo le suore
salesiane (Figlie di Maria Ausiliatrice) che, nel settembre 2002, in occasione
dei lavori del loro Capitolo generale, hanno scritto una lettera aperta alle
15.000 consorelle del mondo chiedendo di fare "voto di nonviolenza" contro la
guerra all'Iraq e tutte le guerre. Essa conteneva un programma di vita: "i
conflitti presenti in tante parti del mondo e i più forti venti di guerra di
questi giorni ci inducono a pensare e ad agire in modo alternativo. Raccogliamo
il grido delle madri che assistono impotenti alla morte dei loro figli e il
grido dei bambini e dei giovani che non conoscono il volto della pace. Per
rispondere a questo grido, facciamo nostro un gesto proposto dal movimento
cattolico internazionale per la pace ‘Pax Christi': esprimere con la vita il
voto di nonviolenza". Ovviamente, è un voto che non comporta obbligo canonico ma
nelle intenzioni delle proponenti, esso invita a percorrere una via giorno dopo
giorno assumendo alcuni impegni: vivere la pace ed essere costruttori di pace
nella vita quotidiana; accettare la sofferenza piuttosto che infliggerla;
perseverare nella nonviolenza nelle parole e nei pensieri; vivere in modo
semplice; operare cominciando a sopprimere le cause di violenza, dentro se
stessi e nel mondo.
In ambito ecclesiale, tra le altre scelte, è utile pensare alla diffusione delle
Commissioni diocesane "Giustizia e Pace", all'istituzione di una giornata
ecumenica europea "per la salvaguardia e la difesa del creato" (prevista per il
1 settembre), a settimane o a giornate ecumeniche o interreligiose. A tale
riguardo la Carta Ecumenica (aprile 2001) può illuminare il percorso verso la
terza Assemblea Ecumenica Europea che si terrà a Sibiu in Romania nel settembre
2007 e che avrà come tema "La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di
rinnovamento ed unità in Europa" (tema analogo a quello del convegno ecclesiale
italiano). In ambito internazionale appare significativa anche la IX Assemblea
del Consiglio Ecumenico delle Chiese che si è tenuta a Porto Alegre (Brasile)
nel febbraio 2006, con l'indicazione orante "Dio, nella tua grazia, trasforma il
mondo". Evidentemente la Chiesa come famiglia diventa necessariamente "una
famiglia di famiglie" accomunate da una forte spiritualità della pace che,
unendo contemplazione e azione, può diventare una potente risorsa pedagogica,
formativa, teologica, ecclesiale.
Segno realmente conviviale può diventare la sperimentazione della "diaconìa per
la pace": un "nuovo ministero" laico e cristiano, personale e comunitario,
maschile e femminile, quotidiano e planetario. Un "servizio della carità" nel
vivo dei conflitti. Una sorta di tavola della pace a quattro gambe: 1) ascolto
della Parola di Dio, preghiera e contemplazione, poesia e canto; 2) conoscenza
di testimoni (i volti della pace) e di esperienze (il mosaico delle
nonviolenze); 3) analisi e comprensione dei conflitti, studio dei problemi e
loro elaborazione teologica nel contesto di un'etica della nonviolenza; 4)
azione diretta nonviolenta, opera di riconciliazione, convivialità.
Per fare questo, occorre che si apra un'ampia e profonda riflessione orientata a
esplorare percorsi vitali condivisi. In vari momenti Pax Christi (a Bergamo, a
Molfetta 24-27 aprile 2003, al convegno di Trento 30-31 dicembre 2005) ha
espresso alcune urgenze ecclesiali: che i teologi elaborino ri-cerche utili
anche come proposte formative all'interno dei seminari o nella formazione
permanente dei presbiteri; che i sacerdoti esperimentino itinerari educativi,
celebrativi e testimoniali sui temi della pace; che i catechisti e gli educatori
propongano strumenti pedagogici per ragazzi e ragazze, giovani e adulti, atti a
suscitare una coscienza nonviolenta, una coscienza matura e responsabile capace
di scelte coraggiose davanti alla violazione della vita e della pace sempre e in
ogni luogo.
Il magistero solenne e verticale può, così, intrecciarsi al magistero quotidiano
e orizzontale di laici credenti, "tessitori di rapporti umani", "sarti del
mantello del diritto" e "testimoni di speranza" - come direbbe Tonino Bello -
perché innamorati del Cristo morto e risorto, "nostra pace". Collegandosi e
riconoscendosi tra loro, i due magisteri possono diventare il magistero grande e
vivo, semplice e profondo, dei volti di pace: il magistero credibile del popolo
credente in cammino.
11. Teologia, profezia e prassi di nonviolenza (un nuovo magistero per la pace)
Per anni, soprattutto negli ultimi tempi, Giovanni Paolo II ha invitato la
Chiesa a convertirsi, a dotarsi di una visione nuova del mondo, al "compito
immenso" di porre "innumerevoli gesti di pace" che "creano una tradizione e una
cultura di pace" (1 gennaio 2003). Le sue espressioni sui temi della guerra sono
brucianti: "avventura senza ritorno", "sconfitta dell'umanità", "suicidio
dell'umanità", "silenzio di Dio", "abisso del male", "crimine", "tragedia umana
e catastrofe religiosa", "vera passione di Cristo", "la violenza disonora la
santità di Dio e la dignità dell'uomo", "ci liberi Dio dal drammatico scontro di
religioni e di culture", "rifare l'uomo dal di dentro", "il diritto
internazionale deve evitare che prevalga la legge del più forte", "il fine non
giustifica mai i mezzi", "unico è il nostro avvenire", "abbiamo sperimentato la
potenza rinnovatrice del Suo perdono", "l'amo-re vince tutto"...
C'è qui una visione radicale, alternativa e globale del panorama internazionale,
orientata a produrre una nuova storia. "Il secolo XX ci lascia in eredità
soprattutto un monito: le guerre sono spesso causa di altre guerre [...]. Con la
guerra è l'umanità a perdere. Di fronte allo scenario di guerra del secolo XX,
l'onore dell'umanità è stato salvato da coloro che hanno parlato e lavorato in
nome della pace. È doveroso ricordare quanti, innumerevoli, hanno contribuito
all'affermazione dei diritti umani e alla loro solenne proclamazione, alla
sconfitta dei totalitarismi, alla fine del colonialismo, allo sviluppo della
democrazia, alla creazione di grandi organismi internazionali. Esempi luminosi e
profetici hanno offerto coloro che hanno improntato le loro scelte di vita al
valore della non-violenza" (Giovanni Paolo II, 1 gennaio 2000). La sua voce non
è stata ascoltata. L'eredità nonviolenta di Giovanni Paolo II non è diventata
magistero pubblico ecclesiale.
Spetta a noi, esercitando la nostra laicità credente (sacer-dotale-profetica-regale),
sviluppare e approfondire la teologia e la pratica della nonviolenza. Un giorno,
forse nel 50° anniversario della "Pacem in terris", una nuova enciclica o un
concilio ecumenico o un'assemblea interreligiosa proclamerà la nonviolenza come
unico vero annuncio cristiano. Sarà nuovo magistero ecclesiale.
La strada è aperta. È importante camminare assieme. Fare ed essere percorso
conciliare. La maturazione di un'autentica teologia della pace nella nonviolenza
può essere solo frutto dell'azione comune del popolo di Dio in cammino. Abbiamo
bisogno di vedere il mondo con gli occhi delle vittime, dei violentati, degli
uccisi, degli impoveriti e degli oppressi. È necessario mettere a fuoco lo
sguardo allargandolo".
Benedetto XVI invita alla "formazione del cuore", ad acquisire "un cuore che
vede" per offrire all'altro "lo sguardo d'amore di cui egli ha bisogno" ("Deus
caritas est" n. 31 e 18). È importante, allora, "pensare col cuore". Al nostro
Congresso Nazionale di Napoli (aprile 2005), abbiamo ricordato Etty Hillesum,
ebrea olandese immersa nel dolore di Auschwitz, che intendeva proporsi come "il
cuore pensante della baracca". Il nostro compito: diventare cuore pensante della
vita quotidiana e mondiale e testimoniare la bellezza della nonviolenza come
ideale e come metodo, come fine, mezzo e stile di vita, come polvere della
storia e soffio dello spirito, come luogo di relazioni conviviali.
L'amore per la pace che cura la vita sempre e ovunque custodisce in noi la
freschezza dell'alba. La pace è possibile. È nuova nascita. È parto di un mondo.
Consiglio Nazionale Pax Christi
Firenze, febbraio 2006