Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

ANNUNCIO DEL VANGELO IN UNA COMUNITÀ  MISSIONARIA

Relazione alla Gi.o.c/Carlopoli94/Mazzillo

 Precisazioni preliminari. Carattere missionario della Chiesa e vocazione missionaria di ogni battezzato

Il carattere missionario della Chiesa e la vocazione missionaria di ogni battezzato sono aspetti non periferici, ma costituiscono una delle dimensioni fondamentali dell’agire cristiano (Cfr.  Ad Gentes, nn. 5, 6, 7).

Lo “spirito missionario” non è da confondere con i diversi atteggiamenti che esso può assumere  e che, di fatto, ha assunto nella storia. Missione non è proselitismo, né integrismo. Tali atteggiamenti nascono da una visione distorta non solo dell’agire cristiano, ma del mondo e degli uomini in generale. Solo in una visione settaria e manichea, che vede nel proprio gruppo tutto il bene (o la salvezza) e negli altri tutto il male (o la perdizione) può attecchire il proselitismo integrista, che vuole livellare tutti e tutto, ponendo pesi non richiesti sulle spalle degli altri, cosa che Gesù aveva già condannato nel Vangelo (Mt 23,1-15).

Missione è entrare nella logica del Vangelo e diventare annunciatori della “buona novella”. In tempo di crisi è recare il messaggio della speranza, in tempo di conflitto e di divisione è recare un annuncio di pace, diventando un esempio vivente di dialogo e di costruzione di rapporti nuovi e riconciliati.

I dinamismi della missione secondo la Parola di Dio

La concezione vetero-testamentaria della missione si può chiamare centripeta: ha  come polo Gerusalemme e le sue istituzioni più sacre: il tempio, la terra santa, lo stesso popolo d’Israele. Verso questo polo devono orientarsi le altre genti per tributare onore all’unico Dio di tutti i popoli e vivere in pace con Israele. Il popolo d’Israele ha un compito di richiamo e di testimonianza. La testimonianza scaturisce dall’adempimento delle clausole dell’alleanza e dalla  manifestazione da parte di Dio del suo amore di predilezione per Sion.

La concezione sinottica e giovannea della missione si può chiamare  profetico-escatologica. Gesù annuncia la venuta del Regno di Dio, offre i segni della sua presenza in mezzo agli uomini e chiama ad una radicalità etica (Gesù come luce, pane, vita del mondo).

Gesù vive la sua vita pubblica come missione in mezzo al suo popolo, per radunare quanti sono dispersi, per salvare quelli che sono perduti. Non aspetta che gli altri lo cerchino e vadano da lui, ma si mette sul cammino degli uomini, soprattutto degli “affaticati e oppressi” che egli chiama a sé (Mt 11, 28).

La sua missione è missione di pace, perché annuncio e realizzazione della benevolenza del Padre, inizio di una nuova fraternità basata non sui legami del sangue e della razza, ma sulla comune figliolanza di Dio. Le parabole della misericordia di Dio (Lc cap. 15) sono l’espressione letteraria e teologica di un amore  che previene, che rispetta la libertà, che attende, che perdona ed accoglie.

Gesù associa alla sua missione anche i discepoli. Li manda ad annunciare il Regno di Dio (Lc 10,1-12), li prepara alla loro futura missione, quando egli non sarà più visibile, anche se  resterà presente “tutti i giorni fino alla fine del mondo”, affinché tutti i popoli diventino suoi discepoli” (Mt 28,16-20).

La missione è  nel libro degli Atti non più centripeta, ma, per così dire centrifuga. Inizia dal Cenacolo, nel giorno della Pentecoste, si estende a tutta Gerusalemme, alla Giudea, alla Samaria, alla Galilea, al mondo medio-orientale, fino a raggiungere gli “estremi confini della terra”.

Lo stile della missione descritto dagli atti  è non soltanto esemplare, ma normativo per ogni ulteriore missione della Chiesa. Non è integrista, ma improntato alla spiritualità della diaspora e della testimonianza.

La missione si esplica attraverso questi passaggi:

- coglie le tracce del passaggio di Dio negli uomini e nei popoli ai quali si è mandati, con la consapevolezza che il Vivente ci precede;

- valorizza gli aspetti positivi di “pre-evangelizzazione”, rappresentate da queste tracce che in concreto sono i valori

- purifica dagli aspetti negativi le culture o le realtà con cui viene a contatto, con l’appello alla conversione e la proposta di un approfondimento ed affinamento proprio di quei valori che essa trova;

- sublima in una visione cristiana, dando ulteriore senso e prestando ulteriori motivazioni, i valori umani con i quali viene a contatto. 

La missione è inoltre annuncio di una gratuità  e di una salvezza, che non hanno altra giustificazione che l’amore di Dio, al quale i destinatari della missione sono tutti chiamati. Nella testimonianza di una carità, che è parabola di un modo di vivere, la missione è proposta di una fraternità che si realizza  abolendo ogni forma di sfruttamento  e di discriminazione e istituendo un modo di vivere solidale.

La missione segue la strada tracciata da Cristo: strada che preferisce andare verso gli svantaggiati, anziché aspettare, strada che è preferenziale, anche se non escludente, a vantaggio degli impoveriti, dei sofferenti e di quanti Gesù ha effettivamente privilegiato durante la sua missione.

Valore della missione in una comunità missionaria

  Perché la comunità?

Cristo, l’inviato dal Padre, missionario per eccellenza, rimane ed è pur sempre la stella polare che fa ritrovare ogni volta quella costellazione e tutte le altre eventuali costellazioni, verso le quali ci si è mossi e si è in cammino. La centralità di Cristo è dunque indiscussa e indiscutibile. È Lui che bisogna annunciare, ed è da Lui che bisogna ogni volta ripartire. Ma che ha a che fare tutto ciò con l’ecclesialità, e con la Chiesa? Le risposte e questa domanda non può prescindere della stessa domanda e dalla sua formulazione. Ci troviamo qui di fronte a uno di quei tipici casi in cui la risposta non può essere data in generale, ma deve evidenziare quelle che si chiamano pre-comprensioni (cioè le risposte nascoste e pur presenti nella domanda che pilotano la risposta).

Porre infatti la domanda “perché la Chiesa, quando basterebbe Cristo?” significa aver già optato per una fede che si accontenta di se stessa e di un rapporto religioso diretto e individuale con Cristo, senza badare ad alcuna mediazione, ma anche senza badare alla realtà del popolo di Dio nella quale la nostra fede personale sempre di muove e dalla quale è sorretta.

Senza Chiesa il singolo cammino è il cammino solitario di chi guarda verso le stelle allo stesso punto, fino al limite delle sue forze, “ballando con i lupi”, quei lupi che sono le sue paure e speranze. Fiaccato della stanchezza ed ebbro di spazio, danzerà fino all’alba. Ma quando avrà elevato lo sguardo ai ritroverà più solo...

Il Cristo da cui un movimento cattolico internazionale desume la connotazione cristiana, non è semplice figura ideale o solo un ispiratore  storicamente già vissuto e finito. Cristo è sceso nelle coordinata dallo spazio e del tempo. Ha  identificato il suo progetto di vita nel progetto di pace del Padre e giunto alla morte, a motivo della sua fedeltà allo stesso progetto, ha affidato questo medesimo progetto alla Comunità di quanti in nome suo e in forza del suo Spirito si sarebbero ritrovati a riproporre l’attualità del suo Vangelo. Questa comunità è il popolo che ha visto quel progetto irreversibilmente avviato proprio dalla sua risurrezione. Per queste ragioni si deve prima o poi passare dalla danza solitaria al paziente cammino con gli altri.

Il passaggio teologico da compiere è  tutto in questa sofferta congiunzione e chi ne ha afferrato l’inseparabile connessione tra Cristo e la Chiesa non si chiede più “perché la Chiesa, perché il popolo di Dio?”. Ma anche affermando tutto ciò non si pone la  parola “fine” al nostro travaglio. Non basta l’ecclesialità per averne risolto ogni problema. La questione che immediatamente affaccia è infatti quale ecclesialità, quale Chiesa?

Non un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra

Il tema non è accademico, né pretestuoso. Né basta rispondere: “Ma è ovvio: la Chiesa di Cristo!”. Basta solo aver riflettuto e fatto esperienza in un qualsiasi cammino di fede, per sapere che se la Chiesa è una e unica come Cristo è uno e unico, molteplici sono i modi di capirla e di presentarla, come diversi e divergenti sono le immagini di Cristo che la nostra storia della Cristianità ci ha trasmessi. Tra le immagini di Cristo e le diverse tipologie della Chiesa (in quanto schemi mentali e comportamentali) c’è infatti uno stretto rapporto. Per citarne solo qualcuno, se Cristo è presentato come Pantocratore onnipotente, e “sovrano di tutti i sovrani” la sua comunità, la Chiesa è facilmente portata a ritenere se stessa società perfetta e assoluta, regale e onnipotente anche e soprattutto in contrapposizione alle altre regalità mondane. Queste hanno due sole possibilità: o accettare la subordinazione a quella regalità ecclesiale (divenuta presto ecclesiastica o clericale) oppure vedersi condannate alla subordinazione alla regalità del male e dei suoi angeli malefici. Ma se l’immagine di Cristo muta in quella del servo obbediente al Padre che dona tutto se stesso per la pace del mondo, allora anche la Chiesa dovrà rivedere il suo ruolo nel mondo. Non sarà più preoccupata di come essere al di sopra del mondo, ma di come essere a servizio degli uomini e come consacrare le sue energie perché gli uomini conseguano finalmente quella pace messianica che Cristo ha voluto per noi. Farà così il passaggio da un modello messianico-regale a un modello messianico-profetico. Vivrà di conseguenza la missione come testimonianza dell’amore di Dio e come servizio degli uomini, in primo luogo dei più infelici.

Questi due modelli di intendere la missione, (quello messianico-regale e quello messianico-profetico) non sono che due esempi collocati a un capo e all’altro delle diverse posizioni teologiche. Tra esse si apre una varietà di forme miste e fluide che sono da decifrare di volta in volta per poter individuare il modello di Chiesa ivi sottostante e tentare di interloquire per contribuire e correggerlo dall’interno. Con quale criterio? Ovviamente con un criterio che non è solo ecclesiologico, ma prevalentemente cristologico. Da ciò dipende anche la concezione dell’evangelizzazione, che è direttamente collegata alla missione.

Convertirsi a Cristo per convertire le Chiesa

È di fondamentale importanza un itinerario di continua conversione a Cristo perché ci si possa convertire non solo alla Chiesa e nella Chiesa, ma si possa insieme contribuire a convertire la Chiesa. Ciò non significa che qualcuno di noi si arroga il diritto di convertire gli altri, ma che insieme ci si mette in stato di conversione perché la Chiesa affronti e pratichi l’autoevangelizzazione e a partire da questa intenda correttamente la missione come  evangelizzazione e, se è il caso, come ri-evangelizzazione. In questo contesto l’auto-evangelizzazione non può diventare un nuovo slogan accanto ad altri già assunti, ma deve prevedere analisi e interventi su a) soggetti, b) contenuti, c) modalità e puntuali verifiche dell’evangelizzazione.

a) Soggetti. Chi annuncia e a chi il vangelo? Chi sono i soggetti dell’evangelizzazione e chi i destinatari? In che misura una particolare aggregazione ecclesiale può essere  portatrice di una specificità vocazionale ed essere costantemente fedele all’unico vangelo di Cristo? Se si dice in genere che tutta la Chiesa è missionaria, non si può sottacere che una simile affermazione non ha migliorato di gran che né la qualità, né le modalità dell’annuncio. Al contrario, fa correre il rischio di deresponsabilizzare i singoli dal compito primario dell’annuncio, delegando la missionarietà a tutti, cioè a nessuno. Da qui la necessità di chiarire ulteriormente come dell’unica missione siamo tutti protagonisti, ma con specifiche responsabilità e competenze.

2) Contenuti. Quali sono i contenuti della missione? Che modello cristologico ed ecclesiologico viene trasmesso? Che modello etico? Come passare dalla troppo spesso reclamizzata e, quasi mai qualificata, nuova evangelizzazione, ad un’evangelizzazione che rinnovi la Chiesa, i rapporti nella stessa comunità ecclesiale, oltre che al di fuori di essa, sia  proposta credibile e costituisca un progetto di rapporti umani riconciliati e aggreganti che non rinunciano al valore di una solidarietà non solo retoricamente ripetuta, ma anche collettivamente realizzata? Cosa ha annunciato e cosa stiamo annunciando noi tutti in quanto Chiesa “occidentale” (con la nostra storia di sfruttamento coloniale, e il nostro benessere, non sempre solidale, né attento alla cultura e l’identità del diverso)? Come possiamo convertirci ai valori nel Vangelo noi per primi, nel mentre annunciamo il Vangelo agli altri?

3) Quali sono gli strumenti per l’autoevangelizzazione? Quali stiamo già adoperando? Quali sono stati i più utili, quali i più deboli e quali sono da revisionare? Come arrivare a una valorizzazione di strumenti che si sono mostrati più validi e consoni alla natura stessa dell’annuncio (che richiede sobrietà, povertà, solidarietà, in una parola, amore senza riserve  etc.)? Infatti, alla fin dei conti “missione è avere il coraggio di amare senza riserve” (Loreto N. 1). E in quanto tale, la missione nasce dall’amore: l’amore per Cristo, per l’uomo, per gli ultimi.

Tende alla realizzazione dell’amore. È un amore senza riserve, perché è frutto della sequela di Gesù. Si pone tra mistica e politica, intendendo per mistica lo sforzo di comprendere la realtà con gli occhi di Dio e di amare ogni uomo come Gesù lo ama; e intendendo la politica è lo sforzo di realizzare rapporti interumani che siano ispirati alla “promozione”, vale a dire alla liberazione, alla redenzione e alla costruzione di una società fraterna secondo il cuore di Dio.  Missione significa tutto questo.

Le irrinunciabili opzioni della missione

In sintesi, si può affermare che la missione nasce nella comunità da una serie di opzioni riconducibili alla fedele recezione della Parola di Dio secondo una scansione, che considerata dal basso verso l’alto, tocca tre ambiti distinti e congiunti tra loro. Dal momento che l’incontro con la Parola è  innanzi tutto incontro con il Vangelo, questo appare inequivocabilmente come messaggio di amore per gli uomini, di preferenza per gli “ultimi”, di misericordia per gli erranti. La comunità cristiana è pertanto chiamata ad attuare precise esigenze evangeliche secondo tre opzioni. La prima è  un’opzione antropologica. È quella di Dio nei confronti degli uomini. Il cristiano la vive di riflesso. Sceglie l’uomo, il suo consimile, perché questi è stato scelto da Dio. Non ci sono altre giustificazioni o altre motivazioni. Tale scelta è  per Dio solo grazia, per il credente non può  essere altro che dono.

La seconda opzione è  quella preferenziale. È la scelta di quelli che il Vangelo chiama “piccoli” e “ultimi”, è l’opzione dei poveri (riscoperti come impoveriti) secondo il canone delle Beatitudini, rilette come appello e provocazione ad andare dai poveri(secondo la logica dell’incarnazione) e ad andare con i poveri (nella condivisione). È la provocazione a diventare poveri (nella conversione e nella sequela di Cristo). Il cristiano diventa povero per denunciare l’ingiustizia della ricchezza che divide gli uomini e per annunciare un nuovo modo di ridistribuirla fraternamente. Così  egli solidarizza con chi è  povero. Non l’amore verso la povertà , ma l’amore verso gli uomini spinge alla povertà .

La terza opzione è quella teologale. È diventare capaci di misericordia, per ottenere misericordia. Si comincia ad avere misericordia con se stessi, perché  Dio ha misericordia di noi e si finisce con l’avere misericordia per gli altri, perché  Dio è grande e “fa sorgere il suo sole sopra  malvagi e sopra  i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45). Nella misericordia verso gli erranti si testimonia la volontà  e la possibilità  di cambiare anche le situazioni più  difficili.  Il dono della prima opzione è preferenza della seconda, diventa perdono. Per dono infatti si usa misericordia.

Ma in questa maniera l’evangelizzazione è soprattutto conversione a Dio e all’altro, è capacità di recepire  ancora una volta il Vangelo, facendo spazio al diverso. È, in una parola, autoevangelizzazione ed evangelizzazione di tutta la Chiesa e di ogni singolo cristiano, perché ciascuno di noi è missionario, ma è contemporaneamente destinatario della missione.