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Sulle
tracce storiche di Gesù, nella riscoperta della pace come cuore del vangelo
(Locri 28-05-03).
Origine: Gesù realizza il messianismo biblico.
Relazione alla settimana biblica di Lucera (14-03-03)
L’argomento
è sicuramente affascinante, ma anche complesso. Per procedere con un minimo di
ordine in un orizzonte così vasto, lo svilupperò in riferimento alla tipicità
dell’annuncio del Regno di Dio da parte di Gesù (prima parte); al
radicamento nella bibbia dello shalom messianico (seconda parte);
al fatto che Gesù realizza lo shalom messianico e impegna i suoi
discepoli nella sua promulgazione (terza parte).
Almeno
alcune delle classiche premesse introduttive sono indispensabili. La prima
riguarda la persona e l’agire di Gesù. Come risulta dalla critica storica e
dagli esiti degli stessi studi biblici, non è possibile la ricostruibilità
storica di un’esatta cronologia degli avvenimenti che ne hanno segnato il suo
passaggio tra noi. Come è noto, non disponiamo di fonti “non canoniche”
sufficientemente informate sulla vita di Gesù, mentre le fonti bibliche
risentono troppo di ricostruzioni letterarie che non sono sembrate concedere
molto, se non limitatamente a ciò che R. Fabris raccoglieva in una
"cartella anagrafica di Gesù"[1].
Ciò riguarda pochi dati come assolutamente certi, tra i quali il nome di Gesù:
Jeshù, abbreviazione di Jehoshùa;
i suoi genitori, Joseph e Myriam; il tempo
della sua nascita, individuata nell'epoca del re Erode (tra il 5/6 a. C.); il
suo stato civile di celibe e la sua professione di carpentiere.
A ciò sono tuttavia da aggiungere, come elementi decisivi, il messaggio
della via maestra dell’amore e della resistenza al male con il bene, in quanto
elementi collegati comunque all’interiorizzazione del progetto di Dio da parte
di Gesù e a una sorta di radicalità spirituale. Ciò è alla base del suo un
ripudio da parte delle autorità giudaiche e romane di Gerusalemme, fino alla
sua condanna a morte sulla croce, come avveniva per gli zeloti dell’epoca.
Il
più recente studio su Gesù
di J. P. Meier
ne parla come di “un
ebreo marginale”, il cui messaggio s’incentra su un Regno di servizio, con
in prima fila gli umili. Partendo dall’ebraicità di Gesù, che
l’ultima fase della ricerca storica ha messo in luce, lo studioso americano
evidenzia però una “marginalità” di Gesù, almeno rispetto al mondo
religioso e cultuale della sua epoca[2].
Delle 4 parti della monumentale ricerca di Meier facciamo qui riferimento
soprattutto alla prima e alla seconda[3].
Tale ricerca, minuziosa e persino pignola, appare su alcuni punti molto, troppo,
cauta. Vuole sgombrare il terreno dai numerosi riduzionismi ai quali la
ricostruzione storica di Gesù è stata piegata. Contiene critiche rivolte sia
ai “fondamentalisti e conservatori”, a corto di argomenti storici, sia alle
cosiddette letture parziali, accusate alquanto frettolosamente di essere
sociologicamente inquinate di marxismo[4].
In questo caso occorre però riconoscere che lo studio non mostra un rigore
critico pari a quello
storico, dal momento che spesso identifica un tale sociologismo marxista
semplicemente con una non meglio precisata “teologia della liberazione”[5].
A
tale riguardo ci sentiamo di annotare, pur riconoscendo la distanza di Gesù
dalle interpretazioni teologiche di stampo zelota o di messianismo terreno[6],
che in Meier come in altri autori sembra essere presente un pregiudizio
sistematico verso quanti, e noi siamo tra questi, non accettano che
l’escatologia di Gesù riguardi solo un futuro tutto di là da venire. Il
rischio che affiora è un’interpretazione spiritualistica, non
sufficientemente adeguata alla globalità della salvezza dell’epoca, tipica
dell’agire di Gesù, come fatto interiore ed esteriore, terreno e
ultraterreno, personale e collettivo. Un esempio? Le beatitudini di Gesù,
interpretate solo come promesse, trascurando il fatto, riconosciuto dalla
maggior parte dei biblisti, si pensi all’opera di J. Dupont, che esse sono un
pronunciamento salvifico di Dio nell’oggi e rappresentano uno sconvolgimento
del giudizio dell’uomo[7].
Se
Meier fa riferimento anche al valore del presente, questo appare come
conversione intima e individuale, che non investe un cambiamento di prospettiva
con risvolti storici e sociali ben precisi.
E
con ciò tocchiamo una seconda premessa, che qui non può che essere accennata e
che è stata trattata in maniera più diretta nel volume “Gesù e la sua
prassi di pace”[8]:
l’attendibilità storica dei vangeli non già sulle vicende cronologiche della
vita di Gesù, ma sul suo progetto teologico, un progetto passato ai suoi
discepoli attraverso la loro frequentazione del maestro.
Quel “progetto teologale”, più che “teologico” è certamente una
rivisitazione e una re-interpretazione di ciò che la Bibbia diceva rispetto a
un argomento particolarmente scottante alla sua epoca, il messianismo. E con il
messianismo l’altro argomento, che nel vangelo sembra fargli coppia, e che è
l’annuncio del Regno di Dio. È a partire dalla congiunzione di questi due
grandi temi che, a mio avviso, si può e di deve cogliere l’agire di Gesù
come vero e proprio agire di pace.
Un
riferimento può essere utile, per evidenziare la paradossalità e la specificità
di un tema così vasto come il Regno di Dio nella predicazione e nell’agire di
Gesù. Riguarda il detto di Gesù che nel Regno di Dio il più piccolo è più
grande del Battista (Mt 11,11). Le spiegazioni del detto di Gesù si sono
sprecate e sono lungi dall’essere approdate a una soluzione unitaria. A noi
sembra esemplare, perché ci consente di cogliere la consapevolezza di Gesù sul
fatto che il Regno, da lui annunciato e impiantato, sia un regno della
misericordia e dell'amore. Un regno pertanto diverso da quello annunciato dal
Battista, tratteggiato a tinte fosche come regno del giudizio e della
consunzione del fuoco purificatore che stava per abbattersi sulla terra[9].
Per
Gesù il Regno costituisce un particolare intervento di Dio tra gli uomini.
Questi sono chiamati sì alla conversione, alla metanoia, ma lo sono
secondo particolari modalità: sono invitati da Gesù a far festa, dopo i giorni
dell’austero richiamo del Battista[10].
Se, giustamente, il Regno non si può ridurre a un "simbolo in
tensione", come affermato da qualcuno[11],
deve essere una realtà escatologica, cioè ormai definitiva e irreversibile,
che, seppure non ancora compiuta, è stata già decisamente avviata.
Se
queste sono le caratteristiche principali del Regno di Dio,[12]non
possiamo trascurare che cammina in questa direzione la beatitudine di Gesù «Beati
i facitori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Sebbene
nella sua formulazione questa non si ritenga una delle «ipsissima verba Jesu»,
non si può misconoscere che sia una sintesi riuscita di una predicazione e di
un agire che ha per soggetto Gesù e coloro ai quali egli rivolge il suo
messaggio. È, infatti, una partecipazione all’attività benevola di Dio, ed
è nel solco di quella fusione tra agire di Dio e agire dell’uomo, che
troviamo in passaggi evangelici come questo:
«Avete
inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli
anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu
lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne
con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non
volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai
il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri
persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo
sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli
ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno
così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che
cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque
perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,38-48).
Gesù
allude ad una radicalità nella benevolenza verso gli altri (mi sembra
questo il senso più con vincente dell’espressione «siate perfetti
come il Padre») che partecipa della radicalità dell’amore di Dio verso gli
uomini. Quanti vivono così possono anche essere incompresi e insignificanti
secondo la logica umana. Tuttavia partecipano a quella corrente dell’amore di
Dio che riceve nel Regno una sua rappresentazione teologica. Di esso sono parte
costitutiva e sono pertanto veramente beati. Sono chiamati ad essere tali.
Chiamati a gioire della venuta di Dio tra gli uomini. Ne sono un avamposto nella
storia.
Quello
annunciato e avviato da Gesù è un regno che non nasce dal nulla. Ha una sua
lunga preparazione nella Bibbia e affonda le sue radici nel messianismo, cioè
nell’annuncio e nella realizzazione della pace, dello shalom biblico.
Pur
parlando di pace, occorre dire che la Bibbia ci presenta spesso un Dio
“schierato”. Lo troviamo al fianco degli oppressi e delle vittime
dell'ingiustizia. Il suo regno non è simile agli altri regni che tollerano e
persino producono ingiustizia su ingiustizia. È piuttosto un regno di giustizia
e di pace. La pace, che affiora in tutta la ricchezza dello sholom come
realizzazione, felicità e benessere dell’uomo, è spesso collegata al
ristabilimento della giustizia. Talora passa attraverso l’alleanza e la legge
(la torah). In Isaia, nell'Antica
Alleanza, «effetto della giustizia sarà la pace» (Is 32,17), in Giacomo,
nella Nuova Alleanza, «un frutto di giustizia viene seminato nella pace per
coloro che fanno opera di pace» (Gc 3,18). Siamo in presenza di una reciprocità,
dalla doppia formulazione «la pace nasce dalla giustizia», «la giustizia è
frutto della pace». Una reciprocità che rimanda a un orizzonte più ampio,
riguardante la presenza di Dio, la sua signoria (il suo regno), la sua
benevolenza verso la storia
di
Israele e la storia umana.
Ora
il regno di Dio non è da intendersi come semplice contenitore di pace e di
giustizia, ma soprattutto come catalizzatore di una loro sintesi armonica, a
partire dall'agire di Dio, che si manifesta sempre più chiaramente come agire
misericordioso verso i peccatori e verso gli infelici e
come
forza liberante verso gli oppressi e i diseredati. È una regno che tende
continuamente a ristabilire il diritto e la giustizia. Tutto ciò si raccorda
con il tema dell'alleanza e con la promessa del ristabilimento del regno
messianico. Una realtà, in definitiva, che esprime il manifestarsi storico di
Dio in un regno di pace:
«Le
montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai miseri del suo popolo
renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore. Il
suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli. Scenderà
come pioggia sull'erba, come acqua che irrora la terra. Nei suoi giorni fiorirà
la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna» (Sal
72,3‑7)
Il
binomio pace e giustizia diventa un
trinomio, include il «suo regno» e risuona come una promessa: allude ai tempi
del messia. È un tema frequente, pur nelle sue tante variazioni. In ogni caso
si tratta di un futuro su cui Dio impegna se stesso, impegna la terra al pari
del cielo. Ricordate?
«Misericordia
e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno, la verità germoglierà
dalla terra e la giustizia
si
affaccerà dal cielo» (Sal 85,11‑12).
Nella
Bibbia sono ancora menzionati insieme la giustizia e il diritto come prassi
regale di Dio, la grazia e la fedeltà (Sal 89, 15; Sal 97, 1‑2). Si
tratta pur sempre della giustizia come zedaqà di Dio, santità ed
equanimità, ma anche misericordia e tenerezza di colui che è «misericordioso
e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34,6). In
Zaccaria, la pace è menzionata insieme con la verità e resta nell’ambito
dell’intervento salvifico messianico:
«Così
dice il Signore degli eserciti[13]:
Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di
Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la
pace» (Zc 8,19).
In
questo contesto si comprende perché la salvezza operata da Dio abbia origine da
un «seme di pace» (Zc 8,7‑8.12). In sintesi, si può affermare che il
messianismo fiorisce dalla pace e fa germogliare, a sua volta, frutti e semi di
pace. Talora alleanza e pace compaiono in parallelismi che ne fanno quasi dei
sinonimi. L'alleanza è talvolta chiamata alleanza di pace (Nm
25,12;
Is 54,10; Ez
34,25),
ed è un’alleanza per la vita e non per la morte, al punto che Malachia parla
esplicitamente dell’opera di Dio verso il suo popolo come «alleanza di vita e
di pace» (Ml 2,5).
Venendo
a Gesù, il suo agire è in piena sintonia e continuità con quello di Dio. La
sua beatitudine sui costruttori di pace, come figli di Dio non è che la
realizzazione di quanto già visto. Egli proclama che il Regno è venuto e
coloro che vi appartengono ne sono i figli. Ne sono come gli operai e i
tessitori, perché sono facitori (artigiani) della pace. Sono gli eirenopoioi, cioè i poioi (realizzatori), dell’eirene (pace).
Il pensiero di Gesù ha una continuità anche in quello biblicamente molto
radicato di Paolo, che scrive:
«Il
Regno di Dio...non è questione di cibo o di bevande, ma è giustizia, pace e
gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose è bene accetto a
Dio e stimato dagli uomini» (Rm 14,17‑18).
Come
a riecheggiare l’annuncio e la prassi di Gesù, Paolo eclama:
«diamoci
dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19).
Del
resto, il suo epistolario rievoca le concatenazioni bibliche già accennate,
quando declina lo shalom messianico
con
la
giustizia, la gioia (Gal 5,22; Rm 15,13), l'unità
(Ef 4,3).
Ci
sembra fuor di dubbio che lo shalom sia bene il messianico per
eccellenza. Essa è pertanto il contenuto più proprio della promessa di Dio. Il
«il popolo giusto che mantiene la fedeltà» (Is 26,2) è lo stesso di cui si
dice che «il suo animo è saldo; tu (Dio) gli assicurerai la pace, pace perché
in te ha fiducia» (Is.26,3).
Occorre
tuttavia precisare che nell’intera Bibbia la pace non è superficiale armonia
che lascia intatta la violenza degli oppressori sugli oppressi. Con parole
drammatiche e forti la Bibbia parla della fine della tirannia e della città dei
dominatori. Così, ad esempio, è scritto:
«Confidate
nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna; perché egli ha
abbattuto coloro che dimoravano in alto; la città eccelsa l'ha rovesciata fino
a terra, l'ha rasa al suolo. I piedi la calpestano, i piedi degli oppressi, i
passi dei poveri» (Is 26,4‑6).
È
un tema che mette in risalto la giustizia di Dio contro l’ingiustizia dei
tiranni e dei potenti della terra. Lo ritroviamo nella spiritualità dei poveri
di Dio (gli anawim Jahvè) fino ad arrivare a Maria di Nazareth e al suo Magnificat:
«Ha
spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro
cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato
di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc
1,51-53).
La
pace, allora, è un bene
messianico, anche perché ristabilisce
la giustizia violata e rappresenta l’effetto dell’opzione di Dio per
gli oppressi. Non è la falsa pace condannata da Geremia: quella superficiale di
chi nasconde l’opera di Dio e tende di sottrarsi a lui, di coloro che
proclamano: «Pace, pace» mentre non c'è pace, «perché dal piccolo al grande
commettono frode» (Ger 6, 13‑14).
3.1.
Beati i figli della pace e non i figli della guerra
La
pace è allora esigente. Gesù ne è ben cosciente e ci ha avvertiti:
«Sono
venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è
un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia
compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico,
ma la divisione” (Lc 12, 49-51).
Si
tratta di una divisione non voluta né da Gesù, né dalla pace, né dai suoi «facitori».
Tuttavia sembra una conseguenza di quella radicalità messianica di tipo
particolare, alla quale chiama Gesù, una radicalità che di certo si distingue
da quella dei maestri del suo tempo. Alcuni di essi erano come ossessionati
dall’ideale di una purezza legale tanto esigente quanto lontana dai semplici e
dal popolo della terra.
Gesù
è decisamente lontano dal loro “messianismo radicale”. Si distingue tanto
dagli Zeloti, con il loro integralismo violento, che dagli Esseni, con la loro
esasperata santità opponenti i “figli delle tenebre ai figli della luce”, i
primi destinati alla salvezza, gli altri al fuoco. Sebbene ritroviamo sulle
labbra di Gesù alcune espressioni dei testi di Qumran collegati a tali
movimenti messianici, egli predica e pratica una misericordia che non allontana,
ma avvicina i peccatori e gli impuri. Anziché coltivare progetti di
insurrezione violenta e di un regno che si abbatte sulla terra, Gesù ne disegna
le caratteristiche nella sua lenta e complessa maturazione. Egli attribuisce a
se stesso le caratteristiche del “figlio dell’uomo”, che anche i testi di
Qumran mediano da Daniele, per descrivere il messia come colui che «non si
allontanerà dai comandamenti dei santi»[14],
e che sarà motivo di gioia e di speranza per pii ed i giusti. Così, ad
esempio, troviamo in un frammento:
«Attingete
forza voi che lo servite, voi che cercate il Signore. Forse che non dovreste
trovarlo proprio voi, voi tutti che con cuore così perseverante lo attendete?
Perché il Signore si metterà alla ricerca dei pii (hasidim)
e chiamerà per nome i giusti (zaddikim).
Sui miti planerà il suo spirito e i credenti ricreerà attraverso la sua
potenza»[15].
Quasi
in parallelo, Gesù tratteggia l’adempimento dei compiti del Messia davanti ai
discepoli del Battista con queste parole:
«Andate
e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista,
gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i
morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che
non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6).
E
con ciò, applica a sé la profezia di Isaia 61, già rievocata nella sinagoga
di Nazareth. Una profezia sorprendentemente vicina a un altro testo di Qumram,
dove è scritto del messia:
«I
pii glorificherà al trono del Regno eterno. I prigionieri libererà, i ciechi
farà vedere e gli op[pressi] egli riabiliterà». «...allora guarirà i
malati, risveglierà i morti e annuncerà gioia ai miti, ... guiderà i santi e
li custodirà...»[16]
.
Tuttavia,
a fronte di una giustizia legale, Gesù parla della superiore giustizia,
radicata
in quella di Dio, e della sua regalità a vantaggio dei poveri e di
coloro che non contano niente. Per lui il Regno predicato per gli infelici non
dipende dalle virtù dei poveri. È il Regno delle beatitudini che rivelano la
sorprendente gratuità di Dio e la natura “particolare” del suo stile di
regnare[17].
Gesù si distanzia decisamente anche da ogni pretesa di purezza legale (tanto
degli Esseni che dei Farisei) e dalla radicalità
apocalittica, che arrivava all’idea della “guerra santa”, come
attestano ancora alcuni scritti di Qumran:
«...
il tempo in cui tu hai loro comandato ... non a ... e voi
mentirete sul suo patto ... essi dicono: “fateci fare la Sua guerra ...
perché abbiamo profanato” ... i vostri [nemi]ci devono essere annientati e
non devono sapere che con il fuoco ...»[18].
La
strada di Gesù, invece, è quella di chi ripudia la violenza. Si potrebbe dire
che se nei testi di Qumran c’è la formulazione della beatitudine dei
violenti, tanto da scrivere «... fatevi coraggio per la guerra e ciò dovrà
esservi computato a giustizia…»[19],
nel Vangelo c’è l’affermazione contraria. Si tratta di un’affermazione
certamente vicina al pensiero, all’animus di Gesù ed è la beatitudine
dei facitori di pace. Proprio costoro sono quelli che Dio accoglie,
“giustifica” e chiama suoi figli, sicché essi sono figli della luce e non
coloro che si devono preparare alla guerra.
Sono
anche queste le ragioni che ci fanno concludere che Gesù è un re di pace perché
è il messia ed è il messia perché è un re di pace. Pertanto è l’unto di
Dio. Realizza le profezie che lo caratterizzavano come principe della pace:
«Un
bimbo è nato per noi, c'è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno
della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà
fine sul trono di Davide e sul regno che egli viene a consolidare e a rafforzare
con il diritto e la giustizia» (Is 9,5‑6).
Gesù
adotta uno stile regale tutto suo, intriso di mitezza, sì da far ricordare il
«re umile»,
venuto
sull'asinello dei poveri e degli antichi patriarchi: «Ecco viene a te il tuo
re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio
d'asina» (Zc 9,9).
Lo
stesso profeta aveva preannunciato il disarmo, affermando del messia:
«Farà
sparire i carri (di guerra) da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco da
guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti» (Zc 9,10).
Ciò
in armonia con la grande profezia che nel tempo messianico vedeva i popoli
dediti finalmente alla costruzione della pace:
«forgeranno
le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la
spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra»
(Is
2, 4; cf. anche Mi 4,3).
Per
tutte queste ragioni la notte della nascita del Messia è un annuncio
inequivocabile: «gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini
che egli ama» (Lc 2,14). Come a dire: la pace costituisce il motivo
fondamentale per rendere gloria a Dio. La pace sulla terra è la gloria di Dio.
È
un programma confermato e mai smentito da Gesù, che, come abbiamo visto,
collega nel suo insegnamento la gloria di Dio nel cielo e la venuta del suo
Regno con la pace da costruire sulla terra (Mt 5, 1-11). Al punto che, quando ne
vede i primi frutti, esulta di gioia indicibile (Lc 10,21-22; Mt 11, 25-26).
Egli
coinvolge i suoi discepoli nella stessa missione, in un annuncio che si traduce
in gesti: «Entrando nella casa, rivolgete il saluto [cioè
augurate
lo shalom]» (Mt 10, 11). È
lo shalom
che
prende corpo nella prassi, conformemente all’imperativo: «guarite gli infermi
, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni»(Mt 10,8).
Non
dobbiamo inoltre dimenticare che il binomio pace-gloria
è presente anche nella scena dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Luca
riformula infatti l'acclamazione messianica di «Osanna al figlio di David»,
con «Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli». Ricollega la gloria a
Dio e la pace questa volta nei cieli, ma quasi a dire: «si realizza oggi la
pace che Dio vuole nel cielo».
Si
tratta del compimento di ciò che Gesù ha perseguito in tutta la sua vita. Con
quella prassi che si può chiamare “prassi di pace”. I suoi passaggi più
importanti sono, come già visto altrove[20],
un agire che valorizza la convivialità, che esalta la misericordia che richiama
continuamente al servizio. Pertanto: il perdono predicato e praticato, la
resistenza al male con il bene, le reiterate indicazioni a recare un messaggio
che aggreghi i dispersi e rinfranchi gli scoraggiati.
Cosciente
di tutto il valore di un agire informato dalla pace e ad essa sempre orientato,
Gesù
non
si stanca di affermare la novità del regno: «avete inteso che fu
detto agli antichi ... ma io vi dico»
(Mt cc 5,20-48), richiamando alla speranza persino nel momento del giudizio: «Alzatevi
e sollevate la testa, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28)[21].
Egli
dà finalmente corpo a quelle parole di Geremia, che dalla sofferenza
dell’esilio rievocava il cuore della promessa di Dio:
«Io
conosco i progetti fatti a vostro riguardo ... progetti di pace e non di
sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).
In
Gesù si realizzava l'identificazione del profeta Michea tra il messia e la
pace, quando preannunciandone la venuta, affermava: «e sarà lui la pace» (Mi
5,4)[22].
Identificatosi
nella sua missione di pace, Gesù diventava infine pace egli stesso, soprattutto
negli ultimi giorni della sua vita terrena. Al punto che Paolo ha potuto
scrivere di lui: «Egli infatti é la nostra pace», in un contesto storico che
confessa che Cristo è «Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo
il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14).
Facitore di pace («beati i facitori di pace!)», Gesù compiva adesso la pace
nel suo corpo e attraverso la croce (Ef 2,15‑17).
Nella
lettera agli Efesini di Paolo troviamo menzionato soprattutto uno dei grandi
effetti della riconciliazione operata da Cristo: la rappacificazione tra ebrei e
pagani.
Non
è però da dimenticare che la riconciliazione che Cristo morto e risuscitato
opera sui diversi i livelli e tra tutte le realtà esistenti.
La
sua pace è ri-donata da Gesù ai suoi discepoli la sera della Pasqua dopo la
sua risurrezione. Gesù riconferma la “sua” pace[23]
che riconcilia con Dio tutti gli uomini, tutto l’uomo e la stessa creazione.
È una pace che passa attraverso il ministero della riconciliazione e che Gesù
ugualmente affida ai suoi apostoli[24].
È una pace che avvia l’era definitiva della pace messianica e diventa
fermentazione di una liberazione destinata a tutta la realtà cosmica[25].
Si comincia così a realizzare il sogno profetico di quella nuova creazione, che
vedrà la riconciliazione anche tra gli animali dei campi, gli uccelli dell'aria
e i rettili della terra (Os 2,20).
Compito di riconciliazione e di discernimento
«La creazione stessa attende con impazienza la
rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità -
non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la
speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per
entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».
La nuova giustizia superiore all'antica:
Mt 5,19-22
«Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non
supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà
sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello,
sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto
al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna».
Mt 5, 38-48
a)
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma
io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia
destra, tu porgigli anche l'altra;
b)
e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu
lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne
con lui due. Dá a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere
le spalle.
c)
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così
anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa
fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
[1]
R. FABRIS, Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella Ed., Assisi
1983, 85ss.
[2] J.
P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1,
Queriniana, Brescia 2001.
[3] La
prima parte è intitolata Le radici del problema e tratta oltre alle
questioni di metodo anche quella delle fonti e dei differenti approcci al
Gesù storico; la seconda è su Le radici della persona, per
un’identificazione dell’ambiente in cui visse
Gesù e del rapporto della sua persona con esso; la terza
riguarda il suo ministero pubblico; la quarta si occupa degli ultimi
giorni tragici della vicenda di Gesù.
[4] J.
P. MEIER, Un ebreo marginale…, cit., pag. 20.
[5] Così,
ad esempio, nel 2° volume alla nota 33, Meier manifesta un’idea
preconcetta e piuttosto generica quando evoca la teologia della liberazione,
scrivendo di una «forzata attualità al modo della teologia della
liberazione». Tale posizione
non sembra del tutto coerente con la presa di posizione contro le
interpretazioni recenti
americane su Gesù solo come maestro di sapienza individuale. Di Gesù
l’autore dice che ha condiviso le posizioni escatologiche di Giovanni (ivi,
143-144). Ma allora è legittimo domandarsi: perché non fare un passo
avanti nel senso di una prassi che, distanziandosi dal Battista, manifesta
la concretezza di una salvezza con innegabili segni di guarigione e
liberazione degli uomini? Uno studio più attento della teologia della
liberazione avrebbe messo in luce, non solo le differenti forme da questa
assunte, ma anche il fatto che questa collega la prassi cristiana alla
storicità degli atti salvifici di Gesù. Si sarebbero evitate le generiche
insistenze contro la summenzionata teologia (cf. ancora nel 1° vol. la pag.
40 e nel 2° la nota 38 di pag. 447).
[6] Cf.,
ad esempio, quanto scritto su R. A. Horsey¸ Jesus and the Spiral of
Violence. Popular Jewish resistance in Roman Palestine, Harper & Row,
San Francisco 1987, pur con il giudizio più temperato sul volume dello
stesso autore in collaborazione
con J. S. Hanson, trad. it. Banditi, profeti e messia, Paideia,
Brescia 1995.
[7]Al
contrario, tutto è rimandato alla fine della storia, dal momento che Meier
può scrivere: «Allora e, solo allora, gli affamati sarebbero stati
saziati, i piangenti finalmente consolati, le iniquità di questo mondo
rovesciate e tutte le promesse elencate
nelle beatitudini di Gesù mantenute, per lui oltre che per coloro
che a lui prestavano ascolto» (J. P. MEIER, Un ebreo marginale…,
cit., 2, 1242).
[8]
G. Mazzillo, Gesù e
la sua prassi di pace, Merdiana, Molfetta (Ba), 1990.
[9]
Su questo cf. J. P. MEIER, Un ebreo marginale 2 ..., cit., p.
209 ss.
[10]
Mt 11,16-19: «Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a
quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e
dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete
ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. E' venuto
Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E' venuto
il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un
beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa
giustizia dalle sue opere».
[11] Meier
critica a riguardo l’opinione di Perrin cf. ivi
293 ss.
[12] Cf.
ivi, pag. 365 ss.
[13] Più
opportunamente da tradurre “delle schiere celesti”, cioè
“dell’universo”.
[14] Mia
traduzione dal tedesco, dalla raccolta dei testi originali di R.
Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus
und die Urchristen. Die Qumran-Rollen entschüsselt, Bertelsmann, München
1993, 4Q521 (tavola 1) I
frammento, 2 colonna, pag. 29 (ed. oginale inglese: Id.,
The Dead Sea Scrolls Uncovered,
Element Books, Dorset 1992, England, tr. Italiana: Id.,
Manoscritti segreti di Qumran,
Piemme, Casale monferrato 1994). Altra edizione: F. GARCÍA MARTÍNEZ (a cura di),
Testi di Qumran (edizione italiana a cura di Corrado Martone), Paideia,
Brescia 1996.
[15] Ivi.
[16] Ivi.
[17]A
questo riguardo, il biblista Dupont scrive: «Gli autori che abbiamo ora
citato, e molti altri con essi, si rendono conto che le beatitudini hanno un
valore religioso, e in questo hanno certamente ragione. Ma pensano di poter
scoprire questo senso religioso soltanto nelle disposizioni spirituali di
coloro ai quali sono rivolte le beatitudini. Noi cercheremo di dimostrare
che il privilegio dei poveri e degli sventurati trova, al contrario, il suo
vero fondamento non tanto nelle disposizioni spirituali attribuite a queste
categorie di persone, ma nella natura del Regno che sta per venire, nelle
disposizioni di Dio il quale intende esercitare la sua regalità a favore
dei pii diseredati. Le beatitudini sono prima di tutto una rivelazione sulla
misericordia e sulla giustizia che devono caratterizzare il Regno di Dio»
(J. Dupont, Le beatitudini I¸
Paris 1969, pag. 516.
[18] R.
Eisenman - M. Wise (Hgg.),
Jesus..., cit., che fa riferimento
a 4Q471, Framemnto 1, pag. 39.
[19] Ivi.
[20]
Cf. il già citato G. Mazzillo,
Gesù e la sua prassi di pace, cit. cc. 8-9-10.
[21] Pur
con un discorso che riprende schemi del linguaggio talora spaventoso di quel
genere letterario profetico, Gesù annuncia la speranza e la gioia e
sostanzialmente ripete il tenore delle beatitudini: il capovolgimento da una
situazione di persecuzione e di sofferenza in una situazione di gioia e di
liberazione messianica. Il rinnovamento reca anche quella palingenesi,
cioè la rigenerazione totale già accennata, dell'intero cosmo (Is 66,22;
cf. Is cc. 60‑62) ed è, in definitiva, il tramonto di un mondo
violento e peccaminoso e l'inizio di quei cieli nuovi e terra nuova, «nei
quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13). Del resto, alla
ristabilita armonia creaturale, tipicamente messianica, allude anche la
scena di Gesù nel deserto, in compagnia con le fiere e con gli angeli, di
Mc 1,12‑13. Ciò potrebbe essere una testimonianza che la coscienza
messianica, già presente nell' interpretazione teologica di Gesù, sia poi
passata a quella della comunità primitiva: non una coscienza vuota, ma dai
contenuti tipicamente messianici.
[22]
Così come si trova in alcune accurate traduzioni di questo passo, il Messia
è la pace e non piuttosto egli
porterà la pace. Cf. Das Neue
Testament, la traduzione adottata dalle conferenze episcopali di lingua
tedesca, che traduce: «Und er wird der Friede sein».
[23]
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27)
[24] «Gesù
disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io
mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete
lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li
rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 21-23).
[25] Proprio per questo la pace di Gesù è diversa da come la dà il mondo (Gv 14, 27), ma è pur sempre salvezza da annunciare all’intera creazione (pase te ktìsei), perché “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 19-21).