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La libertà oggi,
un'illusione?
Relazione al convegno della Fraternità Carmelitana di Barcellona – Pozzo di
Gotto 6/08/03
La libertà oggi, un'illusione? Un tema enorme! Per la vastità del tema "liberta" e anche per la sfuggevolezza del concetto "illusione". E tuttavia la domanda è corretta e attuale, ci tocca tutti. Per l’importanza esistenziale che la libertà ha per tutti e per ciascuno di noi, per l'insistenza con la quale la libertà è declamata, propagandata, venduta e, nella maggior parte dei casi, strumentalizzata per vendere i propri prodotti, per sedurre con la propria immagine, per imporre la propria politica.
E qui siamo già in tema. Per procedere con un filo
unitario in un mare magnum come questo, toccherò 3
punti: 1) Libertà come
realizzazione umana¡ 2) Libertà inquinata e libertà minacciata¡ 3) Come
difendere (o riconquistare) la nostra libertà.
Sono state tentate tante strade per "definire la libertà", su vari piani e in differenti prospettive. Pochi hanno avvertito una sorta di paradosso strutturale, che nasce dal volere ricondurre ad una gabbia concettuale ciò che per essere libertà si sottrae a qualsiasi gabbia. Si può ovviare, riconducendo, da una parte, il concetto di “libertà” a ciò che è oltre il concetto, all'esperienza¡ e, dall'altra, tentando un'analisi su più piani, ma in ogni caso restando tenacemente attaccati all'uomo, perché la libertà è dell'uomo, è per l'uomo, nasce e muore con l'uomo.
Arriviamo così a una prima provvisoria acquisizione: la natura intrinsecamente antropologica della libertà. Parliamo, infatti, dell'uomo e della libertà come suo indispensabile corredo. Un corredo solo psicologico (l'uomo può e deve scegliere tra opzioni ugualmente valide)? Un corredo solo etico (l'uomo deve compiere spontaneamente il bene)? Un corredo solo finalistico (l'uomo deve perseguire un determinato obiettivo?). Non uno solo di essi, ma tutti insieme e ciascuno con la sua importanza. Insomma, un corredo antropologico nelle diverse dimensioni che esprimono il vissuto dell'uomo, la sua dignità e la sua grandezza, ma anche le sue più profonde aspirazioni, i suoi sogni, al pari dei suoi grandi ideali. Le sue possibili cadute e che cadute! Classicamente si è pensato di osservare il diamante della libertà almeno su 3 sfaccettature: libertà da, libertà di, libertà per.
Per la prima dimensione, la libertà da, è a tutti
evidente che la libertà è innanzi tutto affrancamento da ogni tipo di
condizionamento, sia di carattere fisico, che di natura psicologica e sociale.
Perché l’essere umano possa realizzare se stesso deve innanzi tutto essere
esente da impedimenti, di qualsiasi genere, che ne impediscano i movimenti, lo
sviluppo, la crescita; insomma la sua autodeterminazione.
Un’autodeterminazione, beninteso, che non può avvenire senza un contesto e
dunque in maniera assolutamente incondizionata, e, tuttavia
un’autodeterminazione vera e propria non imposta dall’esterno, né per
plagio, né per manipolazione più o meno nascosta. Essere liberi significa non
essere costretto a qualcosa e, prima ancora, non essere costretto da qualcuno o
da qualcosa.
La seconda dimensione già considerata, la libertà di, riguarda il non
essere costretti a fare qualcosa, non essere predeterminati a una scelta, ma
avere effettivamente la possibilità di scegliere. Se la prima dimensione è situazione
di libertà, la seconda è predisposizione alla opzionalità. Di
fronte a diverse possibilità realmente perseguibili, la liberà è tale quando
se ne può perseguire una, senza che nulla e/o nessuno imponga una scelta al
posto di un’altra. Ciò tocca ovviamente più il piano psicologico che quello
etico. Eticamente parlando, le scelte non sono intercambiabili, perché non si dà
una sorta di indifferentismo etico. Se così fosse, uccidere o non uccidere
sarebbero sullo stesso piano e così ogni altro comportamento eticamente
vincolante. E tuttavia la libertà di scegliere di fare il bene oppure di fare
il male deve psicologicamente esistere, altrimenti non solo non ne saremmo
responsabili, ma semplicemente non esisterebbe alcuna libertà.
In questo contesto si comprende meglio quell’altra dimensione, chiamata libertà per. È la libertà guardata dal suo punto d’approdo. La libertà evidentemente vive per una finalità. Non fosse altro, secondo la nostra impostazione, che per poter consentire all’uomo di realizzarsi. Su quest’accezione della libertà come autorealizzazione umana occorre ancora spendere qualche parola, perché tale impostazione, sebbene facilmente condivisibile (per la nostra cultura, la nostra impostazione occidentale di base, ecc.) non sembra a prima vista necessariamente, inestricabilmente e immediatamente collegata a quella. Non siamo proprio di fronte a due elementi biunivoci. Se è vero che non c’è realizzazione di sé senza libertà, non è altrettanto vero che ogni libertà porta autonomamente e automaticamente l’essere umano alla realizzazione di sé. Perché ciò avvenga, data per indispensabilmente presupposta la libertà da, occorre non solo praticare tutte le dimensioni della libertà, in particolare quella di e quella per, ma occorre anche compiere delle scelte idonee a perseguire l’obiettivo dell’autorealizzazione medesima. Direi che occorre saldare armonicamente l’aspetto psicologico e quello etico, quello individuale-soggettivo con quello comunitario-relazionale. In questa prospettiva vedremo meglio, nel prossimo paragrafo, che come non c’è libertà senza affrancamento da tutto ciò che la condiziona, non c’è nemmeno libertà al di fuori di un’autentica relazione paritaria e reciproca.
Su questo punto vorrei partire da un esempio molto concreto, anche per dimostrare in maniera più stringente, qualora ce ne fosse il bisogno, l’enorme rilevanza pratica di ciò che andiamo dicendo. In un dibattito recentemente iniziato sul mio sito di riferimento[1], che parte dalla seduzione della pubblicità, il discorso è ben presto caduto su «Come vivere in un mondo globalizzato senza lasciarsi strappare l’anima»[2]. È stato davvero liberante per me sentire i buoni propositi di un diciassettenne, Sergio T., realizzatore di video con spot pubblicitari, con i quali attirare l’attenzione di turisti bighellonanti la notte nei nostri luoghi balneari dell’Alto Tirreno. Al mio invito a non lasciarsi risucchiare da una macchina che, con la pubblicità e con i suoi allettamenti, rischia di trasmettere una falsa percezione del mondo, risponde di non essere disposto né disponibile a «diventare uno stupido burattino di questo mondo troppo globalizzato!», perché, sono ancora le sue parole, «riesco a distaccarmi bene dalla seduzione e dall'apparenza». Egli muove ancora un’accusa ben precisa, confessando che gli ammiccamenti sensuali di qualche spot sono stati in realtà voluti dai committenti, che gli hanno anche fornito il materiale da inserire e conclude: «L'errore vero e proprio sta in questa nostra società materialista e spudorata che per pubblicizzare un anello o un bracciale si serve di una donna nuda!!». In realtà tradisce però un disagio e anche una necessità: «Però facciamo tutti parte di quest'ultimo [mondo globalizzato] e devo riuscire a far coesistere il mio pensiero e quello degli altri... In effetti se il cliente mi chiede di inserire nella sua pubblicità quel video io devo realizzarlo... però questo "realizzare" non vuol dire che io concordo con l'uso di "quel nudo", perché quando viene proiettata quella pubblicità se qualcuno viene turbato da quelle scene, di certo il responsabile non sarò io, ma chi ha voluto che realizzassi quel video!».A parte ogni altra considerazione sulla tradizionale dottrina della non cooperazione (formale e materiale) e sull’obiezione di coscienza, effettivamente sproporzionata nel caso in questione e che qui tralascio, così come ho fatto con lui, non sfugge a nessuno che il vero problema è proprio quel dover “coesistere” con il mondo globalizzato. Fino a che punto coesistere e collaborare con esso? E se questo mondo minacciasse davvero la libertà degli individui? Se addormentasse le coscienze e istupidisse le menti fino al punto di rendere alcuni (speriamo il meno possibile) solo compratori ubbidienti e acritici, oggi pronti a pagare alla cassa magari con la carta di credito e domani pronti a votare gli stessi artefici del loro stordimento, che, guarda caso, potrebbero anche presentarsi come grandi e innovatori politici alle elezioni?
È
dunque questo il punto. È l’apprensione sottesa all’interrogativo del tema
affidatomi: la libertà oggi, un’illusione?
Per la verità io
non so quanto questa sia oggi un’illusione, ma di certo posso dire che molti
sono gli illusi che pensano di essere liberi, senza esserlo veramente; molti
sono i difensori e gli irretiti di una falsa libertà; ancora più numerosi i
frastornati. Il quadro si aggrava se si pensa che coloro che seducono e vendono,
addomesticano le coscienze e le rendono acritiche, sono anche coloro che parlano
ossessivamente di libertà, contrabbandando spesso un’equazione, e cioè che
solo loro possono garantire la libertà e con essa anche la felicità.
Diffondono l’idea di una libertà che negli spot e nei programmi, sia
aziendali sia, eventualmente, politici, dipende solo e direttamente da quei
prodotti. In realtà è una libertà molto limitata, perché indotta, è vero,
non tanto da chi li confeziona e
reclamizza, ma da chi incassa da quelle vendite. Chi vuole può leggersi
il seguito delle mie argomentazioni nella pagina web indicata, con le quali è
poi convenuto, verbalmente, anche il mio stesso interlocutore. Qui mi preme
sottolineare che l’affermazione della libertà come valore e come valore
assoluto non basta. Non basta nemmeno quella di una non meglio definita libertà
come realizzazione dell’uomo. Non basta perché, come premettevo, mai come
oggi e per i meccanismi accennati, la libertà risulta alla fine inquinata e
minacciata.
Alcuni interventi critici, in questo senso, ci sono stati ed altri si registrano di tanto in tanto. In riferimento specifico a quella che noi consideriamo la nostra più grande conquista, il benessere di stampo consumistico, già A. Kojève nel 1947, presentando la Fenomenologia dello Spirito di Hegel non solo sottolineava che perché ci sia il padrone occorre che ci sia anche il servo, ma preconizzava che alla fine tanto il signore che il servo sarebbero stati dominati dal capitalismo[3]. Con altre parole e sotto altre varianti, la critica verso la strada intrapresa dalla società moderna è venuta da M. Heidegger[4]. In tempi a noi più vicini, E. Severino ha stigmatizzato la situazione socio-politica contemporanea come avviata ormai verso un dominio sempre più massiccio non solo della tecnica ma dei mass-media[5]. Ha aggiunto che corre pericolo di restarvi invischiata anche la Chiesa, che, per combattere un simile stato di cose, si vede costretta a ricorrere agli stessi mezzi “tecnici”. Ma in questa lotta sarà sconfitta, a motivo dei suoi principi morali, attenti ai diritti umani, perché gli altri non avranno alcuno scrupolo e in più hanno risorse economiche ben più grandi di quelle di cui la Chiesa possa disporre. Il futuro paventato è massificante, con una globalizzazione che imporre sempre più selvaggiamente e ad li fuori di regole morali, la legge del più forte. Anche se da un’altra prospettiva Severino arriva a conclusioni simili a quelle di F. Fukuyama, dopo il crollo del muro di Berlino[6].
Leggendo pagine allarmanti come quelle citate, alle quali si potrebbero aggiungere tante altre, da quelle più cinematografiche a quelle dei romanzi, e non mi riferisco a quelli fantascientifici, si comprende bene come la libertà non sia solo inquinata, ma anche effettivamente minacciata. Che cosa possiamo e dobbiamo fare allora? Abbiamo un compito noi credenti in Cristo, nell’uomo e nel suo futuro? E qual è questo compito?
Ci possono essere alcune indicazioni pratiche, come quelle
emerse nel citato dibattito sulla pubblicità e che sono riportate nel sito.
Esse riguardano la formazione e la personale autoformazione. Formazione e
autoformazione, continua, costante, metodica a non cedere all’omologazione acritica di un mondo, che se non è del
tutto globalizzato, appare per certi aspetti omogeneizzato. Intendo con
quest’espressione l’esasperato duplice effetto di imitazione e di
mondializzazione di fenomeni quali la moda, soprattutto quella giovanile, dai
bracciali ai beretti, dai piersing ai tatuaggi e simili e i
fenomeni quali la diffusione di prodotti, tra i quali quelli alimentari,
per lo più nocivi alla salute. Ma intendo anche un diffuso disinteresse per i
problemi degli altri, rinunciatario e di comodo.
Formazione ed
autoformazione allora a non lasciarsi ingabbiare nel consumo prima e nel sistema
mentale dopo, del consumo a tutti i costi di quei prodotti che promettono senso
di identità, eterna giovinezza, successo nella vita, facilità di approccio (e
che approcci!) alle donne (o reciprocamente agli uomini). Occorre prepararsi e
preparare a smascherare questo mondo talora “firmato”, talora no, che
comunque è ingannevole e fittizio. Svegliarsi ed aiutare gli altri a svegliarsi
dal duplice inganno in cui, per esempio, ci troviamo in Italia, dove gli
artefici infaticabili del fittizio confezionano adesso anche le leggi, tutte
ovviamente favorevoli a questo mondo di promesse e seduzioni, che intorpidisce
le coscienze.
Se non possiamo proprio uscire dal sistema, perché ne siamo anche noi tasselli, seppure piccoli, possiamo e dobbiamo però starci in un modo critico e non rassegnato. Se siamo nel sistema possiamo non essere del sistema. Perché? Perché abbiamo altri valori nei quali crediamo, un’altra cultura alla quale ci riferiamo, altri sogni che culliamo. Sogni di gran lunga più grandi di quelli di restare eternamente giovani, avvenenti, palestrati e vincenti. Il nostro futuro qualitativamente migliore è anche il futuro degli altri, nella misura in cui alle cose preferiamo le persone, ai prodotti anteponiamo le relazioni, al consumo sempre e a tutti i costi, sostituiamo un consumo critico e intelligente, che sa anche risparmiare per amore degli altri e della natura.
Se c’è una globalizzazione dei profitti e dei mercati
che schiaccia i più deboli, noi siamo per una globalizzazione dei diritti e
delle uguali opportunità, rese davvero disponibili per tutti, perché la libertà
sia veramente tale e non corredo solo di chi se la può permettere.
Lo siamo come credenti in Cristo e nel regno di Dio che Gesù ha annunciato come regno di giustizia e di fratellanza. Ma lo siano anche in compagnia di chi crede in un futuro diverso del nostro mondo e quindi in un’accezione “altra” della libertà, diversa da quella inquinata e controllata di cui parlavamo.
Siamo tutti parte del mondo, ma siamo ugualmente critici della direzione che questo ha preso e condividiamo un assunto di fondo, simile all’affermazione contenuta in un frammento di Eraclito (n. 112), dove troviamo scritto che la virtù suprema è nel «dire le cose vere e farle». Un’affermazione che a noi fa venire in mente quella del vangelo di Giovanni, dove Gesù dice che occorre «fare la verità»[7].
Dire e fare le cose vere. In riferimento alla libertà, si potrebbe tradurre: dire e fare la libertà. Dirla, perché sono tanti, potenti e ben equipaggiati con apparati propagandistici, gli ammaliatori che parlano di libertà mentre la vanno erodendo dall’interno. «Dire la libertà» significa individuarne la sorgente, seguirne intelligentemente i percorsi, sensibilizzare al suo fascino e alle false magagne, vendute in suo nome; indicarla come meta percorribile per tutti, senza rassegnarsi a che resti appannaggio di pochi.
Subentra pertanto quella già menzionata azione formativa
ed informativa, che non si stanca di individuare e superare i ristagni e i
pericoli ai quali la libertà è soggetta, tanto da concepire la stessa
formazione come educazione e come prassi di libertà. Non è stata ancora del
tutto assimilata e messa in atto adeguatamente la grande lezione del pedagogista
Paulo Freire, che parlava appunto dell’educazione
come pratica della libertà[8].
Attendono ancora di essere messe adeguatamente in atto le indicazioni di don
Lorenzo Milani, di Ernesto Balducci, di don Tonino Bello sulla libertà come
scrittura corale che non emargina alcuno, ma dà a tutti la possibilità di
esprimersi, di realizzarsi, insomma di essere se stesso[9].
Subentra, inoltre,
una vera e propria nuova prassi, a tutti i livelli. Questi possono e devono
investire il più possibile i diversi piani in cui si dipana la nostra
esistenza. Certamente possono e devono immediatamente essere attivate le forme
alternative alla standardizzazione della libertà come ipnosi collettiva e
occasione di arricchimento per pochi. All’informazione e alla
controinformazione si deve accompagnare, come strumento di pressione politica,
il consumo critico, fino al boicottaggio di chi utilizza la libertà per
dominare, addomesticare, soggiogare. A ciò si aggiunge la possibilità di
intervenire in questa direzione sia a livello di volontariato (nelle forme
aggregative collegate alla formazione alla mondializzazione, alla costruzione
della pace, alla salvaguardia della natura) sia a livello professionale, nello
scegliere e realizzare modalità di lavoro che trasmettano e diffondano ideali e
non allettamenti menzogneri. Insomma occorre lavorare non solo per mangiare, ma
perché la libertà sia un’occasione reale per tutti. Per mangiare e far
mangiare un pane, finalmente condiviso, per non mangiare rinunciando alla libertà,
ma condividendo il prezioso pane della libertà.
[1]
Vedi il sito www.puntopace.net, che raccoglie contributi, immagini,
riflessioni, preghiere mie e di un gruppo di amici che ritrovano in esso
almeno un luogo di ricerca per una vita più qualitativamente sensata.
[2] Cf. www.puntopace.net/in-un-mondo-globalizzato/come_vivere_in_un_mondo.htm.
[3] Cf. la sua Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi 1996.
[4] Cf. M. Heidegger, Ormai solo un Dio ci può salvare, (a cura di A. Marini), Guanda, Parma 1987, che riprende la sua critica all’imperversare (già allora) della tecnica, espressa nella lettera sull’umanesimo.
[5] Cf. la sua opera Il destino della tecnica, Rizzoli 1998.
[6] Cf. La fine della Storia e l’ultimo uomo, Rizzoli 1992.
[7] «Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3, 20-21).
[8] P. Freire, L'educazione come pratica della libertà, Mondadori, Milano 1973.
[9] Su don Tonino Bello, in particolare e sui risvolti sociali di una teologia dell’uguaglianza e della diversità, cf. soprattutto il primo dei miei recenti contributi alla settimana della pace a lui dedicata (Firenze, 1- 8 agosto 2003, www.puntopace.net/Mazzillo/firenze_agosto-2003.htm).