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La parrocchia come luogo di educazione alla pace

[Pubblicato in Pax Christi Italia (a cura di), Comunità cristiane per una cultura di pace, Queriniana, Brescia 1983, 161-168]

L'evangelizzaziotie come messaggio di pace

L'annuncio del Vangelo è annuncio della salvezza che raggiunge gli uomini in una comunità attraverso Gesù Cristo. Le caratteristiche della salvezza, quelle dell'Annuncio e della comunità sono in stretta relazione con il tema della pace. I contenuti e il metodo dell'evangelizzazione dovranno tener conto di questo rapporto, in modo che l'annuncio del Vangelo rimanga fedele alle consegne del Risorto fatte ai suoi fin dalla sera della Pasqua: «Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi!» (Gv. 20,19); «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me così anch'io mando voi» (Gv. 20,21). La evangelizzazione è dunque legata a un messaggio che inizia con un saluto e un programma di pace: «In qualunque casa entriate prima dite: Pace a questa casa!» (Lc. 10,5).

La relazione esistente tra evangelizzazione e pace può essere constatata partendo da diverse angolazioni prospettiche. In questo quaderno sono già stati messi in risalto gli aspetti più generali riguardanti la relazione esistente tra Pace e Giustizia e tra queste due e l'Evangelizzazione come Annuncio di una Salvezza che raggiunga l'uomo nella sua concretezza storico-sociale. Le vie della pace cercate e celebrate alla luce della Parola passano per le vie dove camminano gli uomini con la loro storia piena di sofferenze, di ricerche e di speranze. La costruzione di una pace che sia frutto di giustizia passa a sua volta attraverso la costruzione di condizioni precise, dove «uomini di pace» realizzino gesti e strutture di pace. Nel mio intervento io mi limiterò ad esaminare brevemente uno dei luoghi dove ciò può avvenire: la comunità parrocchiale.

Parrocchia come luogo di «presa di coscienza»

Se la parrocchia è il luogo dove si proclama e si attualizza la parola di Dio e se la Parola e l'Eucaristia sono rispettivamente annuncio e segno profetico e manifestativo di pace, la parrocchia è il luogo dove si celebra la pace e prima ancora il luogo dove si prende coscienza dei contenuti di pace della rivelazione stessa e degli ambiti umano-sociali che essa raggiunge. I contenuti del messaggio e gli ambiti umano-sociali dove esso si proclama e si attualizza sono il punto di partenza e quello d'arrivo dell'annuncio di pace. Entrambi presuppongono una presa di coscienza in primo luogo della comunità parrocchiale, vista come assemblea che recepisce l'annuncio e lo incarna nelle situazioni storico-sociali del suo tempo.

La prima coscientizzazione è di natura tematica. Riguarda i contenuti del messaggio e la loro valenza storica. Nel momento in cui la comunità parrocchiale vive come assemblea, che adora il Mistero di Dio e ascolta la sua Parola, recepisce un messaggio che è espressione di «pensieri di pace». La comunità scopre che i «pensieri di pace» non significano irenismo o concordiamo che copre e nasconde i conflitti e le situazioni di ingiustizia, ma che, al contrario, i «pensieri di pace» del Signore che parla sono pensieri di giustizia e annuncio di liberazione da ogni forma di oppressione. La parola di Dio viene accolta come profezia che denuncia le forme di ingiustizia e di oppressione e annuncia la costruzione di rapporti interumani non più basati sulla violenza, ma sull'amore. Denuncia e annuncio sono caratteristiche del messaggio stesso e non possono non essere con-proclamati. Appartengono alla proclamazione e ignorarli significa edulcorare e addirittura falsificare la Parola. La proclamazione e l'ascolto della Parola sono dunque strettamente collegati a una presa di coscienza della valenza pacifica e antiviolenta del messaggio. Tale valenza appare nel suo duplice aspetto di superamento delle forme di violenza (aspetto negativo) e di costruzione di rapporti umani basati sulla reciproca accoglienza, il reciproco perdono e la fraterna condivisione (aspetto costruttivo).

La seconda coscientizzazione riguarda l'analisi della realtà storico-sociale nella quale vive la comunità parrocchiale. I contenuti del messaggio erano punto di partenza di una presa di coscienza della comunità che esamina se stessa, la realtà concreta nella quale essa vive e le varie forme di convivenza umana su di un piano più generale. L'analisi di questi ambiti costituisce il punto d'arrivo di un ascolto della Parola, che sia attento non solo ai significati storiografici (riguardanti il passato), ma anche a quelli storici (riguardanti il presente) del messaggio di Dio come messaggio di pace. La costruzione delle condizioni della pace non può non partire da questa presa di coscienza, con la quale si ascolta ciò che Dio ha realizzato e si attualizza ciò che si è ascoltato. L'attualizzazione avviene a vari livelli, corrispondenti ai diversi ambiti interumani già accennati.

A livello comunitario l'attualizzazione del messaggio di pace come presa di coscienza riguarda l'individuazione dei conflitti presenti nella comunità stessa. E preoccupante notare come nelle nostre comunità parrocchiali i conflitti esistenti tra gli stessi cristiani siano per lo più taciuti (almeno ufficialmente), «per amore della pace» - si dice - proprio lì dove essi per amore della pace andrebbero invece chiamati con il loro nome, non fosse altro che per tentare una soluzione o una riconciliazione. Individuare i conflitti non è in questo caso da «guerrafondai» ma da «costruttori di pace», che secondo la parabola matteana della riconciliazione fraterna, sono gli stessi che lasciano l'offerta ad aspettare sull'altare, pur di mettersi d'accordo con i propri fratelli. Se la parrocchia è un luogo di educazione alla pace, lo è non solo in un modo teorico, ma anche e soprattutto in un modo pratico. Nella comunità si impara non già a «nascondere la polvere sotto il tappeto», ma ad affrontare i conflitti e a cercare di risolverli senza ferirsi reciprocamente. Di che natura siano i conflitti di cui parlo, ogni comunità deve saperlo da sé. Ciascuna di esse ne ha di tipici e di atipici. Solo a titolo di esempio basterà accennare qui ai conflitti di ordine «religioso-cultuale» (su modi di celebrare, di continuare o di sopprimere alcune espressioni cultuali tradizionali), ai conflitti di ordine sociale (tra cristiani appartenenti a classi sociali più agiate e meno agiate, tra operai e padroni, operai e studenti, tra anziani e giovani ecc.), a quelli di ordine politico-partitico e così via.

A livello di analisi della realtà circostante più immediata (città, paese, istituto, seminario ecc.) i cristiani come costruttori di pace prendono coscienza comunitariamente delle strutture violente e delle condizioni di non-pace nelle quali si trovano a vivere. Anche qui lo spettro delle possibilità è molto ampio e non si possono che dare alcuni esempi.

Spetterà all'intuito di fede individuare le fonti dei conflitti, evitando da un lato il facile sociologismo e l'ipercriticismo e dall'altro la superficialità e il semplicismo. In una città, ad esempio, dove prospera l'industria bellica (fabbricazione e vendita di armi) i cristiani non potranno fare a meno di denunciare la violenza e il potenziale di morte della produzione bellica. Lì dove periferie di megalopoli fanno di poveri sradicati ed emarginati potenziali delinquenti o candidati alla droga e alla prostituzione non basterà inveire contro i costumi corrotti dei nostri tempi. Bisognerà piuttosto nominare le cause di tali mali. A chi si conserva sufficientemente libero di spirito, per non lasciarsi impigliare nelle strumentalizzazioni e semplificazioni di comodo, non potranno non apparire nella loro brutalità le «violenze strutturali», che nascono da una cultura di morte e generano a loro volta solo morte. Accanto alla coraggiosa denuncia della mafia, per portare un altro esèmpio, occorrerà denunciare con altrettanto coraggio, come ha fatto recentemente il cardinale di Palermo, anche tutto ciò che per non aver lottato adeguatamente contro di essa, finisce con il favorirla. Nello stesso modo non basterà semplicemente parlare degli emigranti nella giornata annuale dedicata a essi, ma occorrerà, ad esempio, denunciare nelle parrocchie del Nord le malversazioni, gli sfruttamenti e i pregiudizi di cui questi vengono fatti oggetto e nelle parrocchie del Sud occorrerà insistere nel valorizzare gli uomini e le risorse ivi presenti, perché altri non emigrino. In entrambi i casi però si dovrà prendere coscienza dell'inumanità (e quindi della violenza) di un sistema economico che può trasferire uomini (sradicandoli ai loro affetti, ai loro cari e alla loro terra) ma non capitali e strutture produttive. Nei paesi bisognerà parimenti prendere coscienza delle forme di violenza o anche solo di immobilismo e di potere che impediscano una crescita veramente umana della comunità. Lo stesso vale per le comunità più piccole o settoriali (collegi, seminari, comunità religiose ecc.) dove la presa di coscienza di situazioni non in sintonia con il Vangelo e la volontà di volerle superare in nome dello stesso Vangelo costituiscono il primo passo di una comunità che diventi luogo di educazione alla pace.

A livello di analisi della situazione storico-sociale più in generale, la parola di Dio può e deve fornire ai cristiani i criteri per dare un giudizio secondo l'occhio e i «pensieri di Dio» di fatti ed avvenimenti, che sono da vagliare profeticamente, si da discernere in essi «i segni dei tempi» e le strutture e gli strumenti di una cultura che, qualora fosse contro l'uomo, è di per se stessa una bestemmia contro il suo Creatore che ha fatto l'uomo «a sua immagine e secondo la sua somiglianza». Si prenderà coscienza anche delle espressioni di una cultura di vita che preme spesso più nei cuori che non nelle strutture, perché questa si trasformi anche in gesti e strumenti di vita. Questo secondo aspetto dell'educazione alla pace come costruzione delle condizioni della pace interessa naturalmente anche gli altri livelli già visti.

La costruzione della pace anche in questo aspetto può e deve essere compito di una comunità che, per essere raccolta in nome di Dio, si considera suo Popolo. Vediamo come questo può avvenire, riferendoci a qualche esempio concreto.

L'esperienza della comunità come costruzione di una pace che nasca dal popolo

L'espressione «costruire una pace che nasca dal popolo» era il tema dell'incontro internazionale che «Pax Christi» tenne in Calabria nell'estate del 1978 e di cui riporto, al termine del mio intervento, la lettera data in consegna ai partecipanti dell'incontro, nella veglia di preghiera conclusiva. A coloro che curarono la realizzazione di esso e accolsero i partecipanti (la parrocchia dove io ero allora parroco era uno dei luoghi dove membri della comunità parrocchiale insieme con partecipanti all'incontro, venuti da diverse nazioni europee, pensarono e sperimentarono, anche se per pochi giorni, un modo nuovo di costruire la pace, partendo dalla gente) la costruzione della pace apparve e appare tuttora come un'esperienza di comunità, al di là delle barriere di diverse culture e nazionalità, la quale inizi privilegiando «gli ultimi della società, che sono i primi nel progetto del Vangelo».

Se la pace è frutto della giustizia, non può non partire che dalle vittime dell'ingiustizia e delle varie forme di violenza, dal momento che essa incarna la Parola di giustizia che Dio pronuncia a vantaggio di coloro che piangono curvi dinanzi ai violenti e ai potenti di questo mondo. Sono costoro il popolo di Dio come popolo delle beatitudini, per i quali è proclamato un Regno dove «ai poveri è annunciata la lieta novella, la libertà ai prigionieri e agli afflitti la gioia». La pace nasce pertanto dal popolo, come popolo di Dio e popolo di poveri ai quali Egli si rivolge. Nasce però originariamente da Dio, che «volge il suo sguardo sul povero». I cristiani che vorranno costruire una pace che nasca dal popolo, con la consapevolezza di iniziare con questo popolo di Dio, costruiranno una pace che è al contempo dono di Dio e compito affidato agli uomini come servizio, diakonia verso coloro che Cristo stesso è venuto a servire.

La costruzione delle condizioni della pace passa pertanto attraverso l'opzione preferenziale di tutto ciò che con termini più moderni si può chiamare periferia (come insieme di realtà emarginate o minoranze oppresse) e base (come insieme dì realtà di partecipazione dal basso). In questa linea, dopo la presa di coscienza delle strutture violente, il superamento della violenza della divisione di classe passerà attraverso la realizzazione nonviolenta della condivisione. Un esempio di tale condivisione, quasi una parabola di Chiesa che dalla diakonia deduce anche la koinonia (come comunione di beni spirituali e materiali) fu l'incontro di «Pax Christi», dove ai partecipanti all'incontro internazionale vennero offerti dalle famiglie delle nostre parrocchie ospitalità e alloggio, mentre nelle assemblee anziani, operai e in genere gente semplice e povera poterono scambiare il dono dell'esperienza e di tante sofferenze con giovani che offrivano la freschezza di un rinnovato impegno per un mondo di pace. La scelta preferenziale della periferia significava e significa per la parrocchia di Orsomarso, dove io mi trovavo, la valorizzazione degli anziani, degli emigrati ritornati in paese, dei bambini lasciati sulla strada a giocare dalla mattina alla sera, della cultura popolare dimenticata o in pericolo di estinzione.

La costruzione delle condizioni della pace significa in una Comunità come la mia la costruzione del villaggio come realtà comunitaria aggregante e tesa a risolvere i problemi di emarginazione. La pace assume in questo caso i nomi nuovi di diakonia e di koinonia.

Costruzione della riconciliazione come costruzione della pace

Ciò che abbiamo visto finora rappresenta la costruzione di una pace che nasca da un popolo come popolo di Dio e popolo delle beatitudini. La costruzione della pace nasce però anche da un popolo che sia segno e parabola di riconciliazione. La riconciliazione si rende necessaria a vari livelli. Se la pace è dono e servizio a vantaggio degli ultimi e dei poveri, essa è nondimeno innanzi tutto capacità di riconciliazione con i propri fratelli. Il dono diviene in questo caso perdono. Il perdono rientra nella novità dei rapporti che il Vangelo esige dal popolo di Dio. la logica conseguenza di un modo di rapportarsi con gli altri ispirato alla gratuità e alla accoglienza reciproca. In quanto espressione di una cultura di vita, l'accoglienza vince le paure umane e diventa fraternità offerta a tutti, anche ai devianti e deviati, verso i quali diventa «apertura di credito» e offerta di possibilità di riscatto.

Ma in quanto superamento dell'angoscia del vivere, la riconciliazione è anche riconciliazione con se stessi. La pace nasce dal di dentro, «dal cuore dell'uomo» e si irraggia verso l'esterno, raggiunge gli altri e la natura. Sì, perché la pace è anche riconciliazione con la natura. La comunità parrocchiale educa alla pace in quanto educa alla riconciliazione con la natura come cosmo e come esistenza dell'uomo stesso. La riconciliazione ecologica è in fondo anche riconciliazione esistenziale. È la riappropriazione delle proprietà umane dell'uomo senza proprietà. La lettura comunitaria della parola di Dio e la preparazione dell'omelia domenicale, da noi fatta insieme a una parte rappresentativa della comunità parrocchiale, dimostra la validità di un metodo che, valorizzando il contributo di ciascuno e prendendo in seria considerazione gli interventi dai laici come tipi di lettura della propria realtà umana e ambientale, educa cristiani e parroco a una riconciliazione con il proprio ambito cosmico e umano. Si tratta infine di una riconciliazione con il Creatore della natura e dell'esistenza, che, grazie alla lettura ed attualizzazione del Vangelo, riconcilia continuamente l'uomo con il Padre nella sequela di Cristo.

Una pace che nasca da un popolo come realtà universale

Un popolo che medita sulla parola di Dio diventa popolo di Dio. Esso supera a poco a poco le visioni troppo particolaristiche, per aprirsi ad orizzonti più vasti. Le singole Comunità si aprono in questo modo ad una pedagogia che diventa cosmopolita. I passaggi di tale pedagogia possono essere:

1) La comprensione della storia dalla prospettiva delle vittime della storia stessa, a qualunque popolo esse appartengono. Ricordo ancora il grande effetto pedagogico che ebbe una volta un mio piccolo gesto nel giorno in cui in molte delle nostre chiese si celebra la messa per i «Caduti». A coloro che il 4 Novembre vennero a ricordarmi la ricorrenza, feci pressappoco questo discorso: «Celebro volentieri la messa per i “caduti in guerra” perché sono vittime della violenza. La celebro però per tutte le vittime della guerra, sia per i soldati italiani che sono stati uccisi dagli altri soldati stranieri, sia per gli stranieri che sono stati uccisi dagli italiani. Dinanzi a Dio siamo infatti tutti uguali. Siamo tutti figli suoi. Alla fin fine Dio non ha patria. La sua patria è tutto il mondo, dove egli vuole che noi viviamo in pace! »

2) La pedagogia della pace passa ancora attraverso una preghiera liturgica (utilissima è quella dei fedeli, specialmente nel caso sia fatta da loro stessi) che diventi grido di giustizia che sale dalla terra a nome degli oppressi e delle vittime della violenza dei nostri giorni.

3) Nel superamento di un terzomondismo o di un impegno giovanilistico estemporaneo, l'educazione alla pace deve diventare nelle nostre parrocchie espressione della sete della giustizia e di un nuovo ordine economico mondiale.

4) La costruzione della pace infine è pedagogia per acquisire la capacità di tessere incontri ed escogitare nuovi sistemi di comunicazione con altre Comunità e realtà impegnate nella ricerca della pace, al di là di qualsiasi frontiera e di qualsiasi barriera.

 

Incontro internazionale Pax Christi - Calabria 1978 veglia di preghiera a S. Maria delle Grazie (Rossano Calabria)

Abbiamo fatto tanta strada per incontrarci, chi è venuto da lontano, fin dal grande Nord della Norvegia, chi dai paesi vicini della Calabria, portando con sé il linguaggio della sua storia, personale e del suo popolo.

Ogni popolo ha al suo interno risorse profonde, nasconde in sé tesori di creatività, uomini e donne, anonimi ma autentici costruttori di pace.

Ogni nostro popolo ha in sé minoranze o gruppi marginali che per la loro stessa condizione si muovono in avanti verso il futuro e uniti oggi alla presa di coscienza delle donne, e alle ansie dei giovani, e dei popoli nuovi, muovono la storia. Con loro percorriamo il cammino della liberazione che porta alla pace.

In qualsiasi situazione, studenti o lavoratori, chiediamoci sempre per chi studiamo, per chi cerchiamo, a favore di quale progetto lavoriamo, perché la costruzione della pace parte dalle nostre stesse scelte di vita.

Preferiamo operare con gli ultimi della società che sono i primi nel progetto del Vangelo, con gli emarginati e gli handicappati in questo sistema che mette in disparte chi non produce e non aumenta il denaro. All'interno di ogni regione, particolarmente dove pochi vogliono operare perché manca ogni gratificazione che non sia la solidarietà vissuta, rompiamo le barriere di isolamento e di privilegio, rendiamo la vita più umana, la nostra terra più abitabile.

La pace non è solo un compito di politica internazionale, la si costruisce anche là dove un quartiere diventa partecipazione di popolo, là dove persone handicappate o non si adoperano per uno stesso progetto, dove un paese isolato diventa comunità, là dove vivere un segno di fede e di chiesa significa un cambiamento di rapporti tra la gente e la volontà che per tutti ci sia posto in una vita restituita a una più grande festa.