Giovanni Mazzillo <info autore> | home page: www.puntopace.net
Gesù
Cristo mediatore e la nostra spiritualità [Traccia della riflessione
al Ritiro clero di Cosenza 16.01.97]
Alla fine di un millennio la comunità cristiana contempla Cristo, lo Spirito Santo e il Padre. I protagonisti di una storia eterna, una storia d'amore, una vicenda di tenerezza infinita. Comprendiamo meglio il senso delle cose che viviamo, guardandole a ritroso. Comprendiamo meglio persino l'amore:
«tanto
ci amammo, ma fu come velato il nostro amore, poi che l'amore in ogni tempo
ignora la sua profondità fino all'ora del distacco» (K. Gibran ).
A Cristo, nel volgere da un millennio all'altro, esprimiamo il nostro amore:
«tanto
ti amammo, ma fu come velato il nostro amore...».
Ci rivolgiamo a Lui, contempliamo Lui,
Cristo, l'eterno veniente nel mondo
Colui che è, che era e che sarà.
Esprimiamo il nostro amore di uomini, di credenti, di presbiteri,
un amore velato dall'usura del tempo, intensificato nel distacco di un tempo.
Parlo non di un tema teologico qualsiasi,
ma dell'Amico ai suoi amici,
dello Sposo alla sua Sposa, che è la Chiesa.
Di Colui al quale abbiamo affidato la nostra vita.
Parlo dell'Inviato del Padre
a coloro che sono mandati dal Figlio,
Perché convocati dal suo Spirito.
Ma come parlare di Cristo?
Occorre parlare con la vita
«gridare
il Vangelo con la vita» (C. De Foucauld)
Né possiamo rassegnarci a tacere, perché
«Quello che vi dico nelle tenebre ditelo
nella luce, e quello che ascoltate
all'orecchio predicatelo sui tetti»
(Mt 10,26)
Racconto le opere meravigliose della Uni-Trinità d'Amore
che è Dio
Vita d'amore comunicata a noi dal Messaggero dell'Amore,
da Colui che è stato nel mondo Pellegrino d'amore
che gridava con la vita l'amore
che grida il Vangelo dell'Amore all'inizio di uno nuovo millennio:
l'amore da sempre presente in Dio
l'amore coltivato per noi nel silenzio di Dio.
La Parola che accese le galassie, accende gli uomini d'amore per trasmettere amore.
Cristo è la Parola uscita dal silenzio di Dio,
che riempie la nostra solitudine di compagnia.
è la stella che brilla nel buio del mondo,
è la mano che si protende ad innalzare ed abbracciare da terra
gli infelici del mondo.
È sacerdote, perché ci ricongiunge con Dio e con il suo silenzio,
mentre pronuncia la parola con la quale chiama i nostri nomi,
mentre ci ricongiunge con la parte più autentica di noi stessi.
Chiede anche a noi di partecipare al suo sacerdozio:
nel ricongiungere gli uomini a Dio e alla parte più autentica di se stessi
nell'essere la sua mano che si protende ad innalzare ed abbracciare da terra
gli infelici della terra.
È Parola che proclama nella storia e nel tempo il continuo "ti amo" di Dio
a noi tutti,
nella storia e nel nostro tempo
nella nostra vita di presbiteri.
La nostra vita raccoglie il "ti amo di Dio" che è Cristo.
Lo custodisce come Maria nello stupore di una vita spesa per gli altri.
Lo restituisce e lo dona al mondo per il quale l'Amore è venuto.
La nostra spiritualità di presbiteri nasce alla scuola della Parola, coltivata
come Maria, presso Maria
Al fiat di Maria fa eco il nostro «Tu sei la mia vita, altro io non ho».
Così noi rispondiamo,
così diciamo: «Altro non ho», ho la voce che esce dal silenzio
e talora ho solo il Tuo silenzio, ho la carezza di Dio che tu sei, o Cristo,
e talora non sento nemmeno quella. Mentre altre volte mi basta e mi avanza.
Ho le tue icone, quella della mia stanza,
quelle che guardo nella mia preghiera.
Eppure parlare con le icone «è dura arte e mai l'impari interamente»
e il giorno dopo devi ricominciare da capo,
come se tutto ciò che hai fatto il giorno prima non fosse servito a niente.
Così è della fede, così è la fede
non l'hai mai posseduta, ma piuttosto ne sei avvinto,
e vai nel mondo, vai sulle strade come gli altri,
sapendo che non sei interamente come gli altri.
Ho davanti il Suo volto: tu, Cristo sei il Suo volto per me,
il volto del Padre, il volto dell'invisibile.
Ho afferrato il lembo del tuo mantello, perché sono stato afferrato da Te.
«Mi
hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi
hai fatto forza e hai prevalso» (Ger 20,7).
Eppure molto più di un profeta: «Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona!» (Mt 12,41).
Il profeta (nabhi) è colui che è chiamato» (accadico nabu, chiamare);
è colui che proclama (arabo naba'a, proclamare);
è colui che parla (etiopico nababa, parlare).
ma è anche colui che guarda e vede ciò che gli altri non scorgono
(nella Bibbia altri nomi diversi da nabhi, per indicare il profeta,
sono, sebbene molto rari: ro'e, veggente e hoze, spettatore).
Eternamente chiamato con il nome di Amore,
è l'Amore chiamato a venire nello spazio e nel tempo,
l'Amore che vive sulla terra con noi,
passo per passo, lacrima per lacrima(et lacrimatus est Jesus),
gioia per gioia, speranza per speranza («e Gesù esultò di gioia nel suo spirito...»),
così accompagna il cammino degli uomini,
compagno d'ogni uomo che chiama,
mentre risveglia dal suo profondo la capacità dell'amore.
Gesù chiama anche noi. A tre distacchi, a tre libertà.
La libertà dalle cose (Andrea e Simone lasciarono la barca, le reti e lo seguirono);
la libertà dalle persone (Giacomo e Giovanni lasciarono il padre Zebedeo
e i garzoni e lo seguirono);
la libertà da se stessi, dalla propria vita
(«chi vuol salvare la sua vita la perderà, chi perderà la sua vita la salverà»)
«[Gesù] trovò il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore". Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura"» (Lc 4,17-21).
Noi, mendicanti non solo di verità, ma mendicanti d'amore,
non permettiamo a noi stessi di inacidirci nell'isolamento,
ma cerchiamo sempre dove fioriscano le prime gemme dell'amicizia,
della fraternità, della comunità, dell'amore.
In Gesù annunciamo l'amore per chi ne è stato privato:
misericordia per i peccatori, riscatto e speranza per gli infelici,
amicizia e compagnia con i poveri.
Viviamo la preferenza di Dio per chi non e stato preferito, ma anzi svantaggiato.
Gesù annuncia il "mondo di Dio",
un mondo di fraternità nella paternità di Dio,
il regno dove il più piccolo diventa il più grande,
l'ambito di un amore al di là dell'invadenza dell'odio,
della grevità dell'indifferenza.
Noi presbiteri siamo testimoni di questo invisibile,
annunciamo l'invisibile, per renderlo visibile ed efficacemente storico,
come Mosè, che «per fede lasciò l'Egitto, senza temere l'ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l'invisibile» (Eb 11,27).
Esilio nella propria terra (una Calabria che amiamo, ma nella quale non stiamo bene), un esilio che si chiama emigrazione ed immigrazione, per altri come per noi,
esilio nella propria casa (non c'è casa che soddisfi la nostra aspirazione a una patria più grande, a una patria comune per tutti),
esilio talvolta nella nostra stessa chiesa, che vorremmo più libera, più accogliente, più convertita al Vangelo.
Mi fa cogliere il senso totale oltre il frammento
che affascina e blocca i miei contemporanei,
blocca talora anche me, che mi accontento
del piccolo segmento, e che mi fermo alla mia parte,
alla mia chiesa, al mio sudato ritagliato, angolo privato
Il Sommo Sacerdote mi restituisce la mia originaria grandezza,
mi richiama ad essere sacerdote, per gli altri,
per tutto, e pur nella mia piccolezza,
mi riporta alla mia dignità di figlio di Dio,
fratello della storia, amico della terra.
L'uomo del duemila che è in noi
pensa troppo a se stesso, ai propri stati d'animo,
ai propri stati d'umore.
Un suo cambiamento emozionale è più importante
del dolore degli altri,
del dolore del mondo.
Cristo mi incoraggia e sostiene ad offrire me stesso,
ad offrire il mio tempo,
a ricominciare pensando a «quegli altri».
Mi fa ricominciare ogni volta come se fosse un nuovo mattino,.
mi fa prendere congedo ogni giorno da me stesso, per scoprire meglio me stesso
«ricominciare significa prendere congedo».
L'annuncio della fine dell'esilio, è l'inizio di un nuovo mattino, di un nuovo millennio, senza esagerazioni di sorta, senza millenarismi, con la consapevolezza che la storia è redenta e che noi non siamo soli, né apparteniamo a noi stessi: «nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor ,3,21-23). Amen.
SUGGERIMENTI BIBIOGRAFICI
J. MOLTMANN, Chi è Cristo per noi oggi?, Queriniana, Brescia 1995;
M. ZANGHI', Dio che è amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova, Roma 1991.
Domande per i
gruppi di studio
1° arco di interrogativi (di carattere esistenziale più che pastorale):
Mi sento (ancora) chiamato? A che cosa?
Che cosa penso di dovere ancora
realizzare?
Che cosa non realizzerò
comunque, e come potrò
in ogni caso imparare la vivere il perdono di
Dio su di me,
lo stesso che annuncio agli
altri?
Come porto la vicinanza di Dio a
quanti lo sentono lontano?
Avverto soprattutto questo
problema?
2° arco di interrogativi (di
carattere ecclesiologico-pastorale)
La nostra attività pastorale nasce dalla
consapevolezza
che occorre annunciare Cristo
con la vita?
Mira a formare dei testimoni?
Oppure si limita a gestire
la distribuzione del sacro? La routine fino a che punto impedisce
la freschezza di un annuncio che
suscita senso di novità
e di "stupore"?
Le nostre realtà ecclesiali sono
luogo di incontro con il Cristo
sacerdote - re - profeta? In che
modo? Cosa manca ancora?