Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

Rapporto tra cristiani e musulmani oggi ed impegno per la pace nel mondo (Catanzaro 14/03/06)[1]

0. Introduzione

0.1 Il punto di vista di un musulmano (Khaled Fouad Allam Islamologo, docente presso le università di Trieste e Urbino)[2]

Egli ritiene che oggi il primo errore di esponenti della cultura e della politica sia di pensare l’Islam e i musulmani non integrabili in Occidente, perché resterebbero sempre uguali a se stessi.

La tesi compare già nel 1935 nello storico belga Henri Pirenne (Maometto e Carlomagno),[3] che sostiene che a differenza del mondo germanico, che si era integra in quello romano, il mondo islamico era rimasto completamente refrattario a ogni integrazione, aveva incrinato l’unità mediterranea e aveva spinto l’Europa verso il Medioevo.

Secondo questa tesi, la conquista musulmana tende sempre a un’islamizzazione totale, come dimostrerebbe l’esempio della Spagna del IX secolo, nella quale era stato distrutto il latino, tanto da dover tradurre in arabo persino i testi dei concili.

In effetti la storiografia più attenta dà di ciò un'altra spiegazione. Evidenzia come tra il IX e XII secolo l’Islam con la sua filosofia e le sue scienze – e pertanto con la sua lingua - abbia un valore cosmopolita, avendo qualcosa da offrire e sia portatore di modernità.

È una situazione irripetibile e non più attuale. Oggi l’Islam può provocare delle conversioni, ma così come succede con il buddhismo, gli Hare Krishna, i testimoni di Geova ecc.  Inculcare il pericolo dell’islamizzazione massiccia serve solo ad alimentare paure e xenofobia.

Anche il discorso della forte e inattaccabile identità degli emigrati mussulmani ignora i fenomeni storici dell’emigrazione, che portano comunque a una diluizione dell’identità di partenza, sicché proprio l’immigrato non resta mai lo stesso di prima. In effetti il suo continuo confronto con una realtà completamente nuova lo trasforma, anche quando mantenesse un legame con la sua religione d’origine. Ne sono une esempio i nostri emigrati all’estero e gli stessi ebrei, che pur conservando una identità precisa, si sono sempre adattati alle situazioni di arrivo e spesso hanno pagato la loro appartenenza con sospetti e persecuzioni.

Si commette così un terzo errore relativamente alla sfera religiosa, dimenticando che altro è la religione nella terra di partenza (il valore della territorialità nella struttura delle comunità musulmane) altro è essere minoranze all’estero, dove la fede subisce un forte processo di individualizzazione e passa attraverso una scelta sempre più personale, non essendo controllata da strutture pubbliche .

L’islamista conclude che si commette un quarto errore, quando si ritengono i musulmani come appartenenti a un’altra umanità. Ma così si costruiscono i miti di distruzione collettiva. Occorre invece ripartire dai Vangeli, che  rivelano agli esseri umani la loro responsabilità sulle violenze commesse nella storia.

0.2.«Noi, videosorvegliati speciali»

Ne deriva una lettera in questi termini

«Caro amico cristiano, ti scrivo questa lettera in un momento di profonda tristezza e disperazione. Ci sono parole che feriscono, che sembrano farci precipitare in un grande abisso, perché aggiungono sofferenza alla sofferenza, dolore al dolore. Così ho letto di recente che il cardinale Biffi avrebbe invitato le autorità italiane a scegliere fra gli immigrati gli appartenenti al cristianesimo perché noi musulmani saremmo in qualche modo una minaccia per l’identità europea e per il cristianesimo. Ti devo dire che ho veramente paura perché fu così che un secolo fa iniziarono i pogrom; il resto della storia lo conosciamo. Noi musulmani, immigrati, stranieri, non vogliamo diventare gli ebrei del XXI secolo. La cultura del sospetto è sempre il primo passo verso l’annientamento dell’altro. Ma, ti assicuro, la mia paura non è quella del cristianesimo in sé, la mia paura è che «apprendisti stregoni» utilizzino il cristianesimo o qualsiasi altra religione per erigere nuove barriere. Per questo motivo Beirut e Sarajevo sono state messe a fuoco e sangue, lo dobbiamo ricordare. Ti assicuro che ho sempre considerato il cristianesimo come la religione del perdono e della compassione; ed anche noi musulmani, nel più profondo della nostra sofferenza, abbiamo visto nel martirio avvenuto pochi anni fa in Algeria dei sette monaci cattolici di Timirin l’immagine di Cristo che accetta la propria morte come redenzione dei peccati altrui. Ed anch’io ho pianto quando ho saputo della loro terribile sorte, perché essi ci avevano offerto la propria morte in segno d’amore per noi musulmani. E quanti musulmani, donne, bambini, uomini di buona volontà sono morti nel silenzio della storia perché pensavano che l’islam fosse innanzitutto religione del rispetto e della misericordia? Così come io non posso identificare in Gesù Cristo l’inquisizione o la colonizzazione, ma riconosco in esse la violenza della storia e la follia degli uomini, non voglio che in noi si identifichino temibili avversari, esseri violenti, peggio, una religione della crudeltà. So bene che le cose da noi non sono facili: la prova è che alcuni di noi, e non sono pochi, a rischio della propria vita, in questi ultimi anni hanno gridato che l’islam non era un «mostro». La lista di coloro che si battono per un umanesimo dell’islam è lunga: per questo, il dialogo lo temono in molti. La vera debolezza, la fragilità umana la vedo proprio nella volontà di dominio dell’uno sull’altro, perché la violenza è espressione di fragilità e non di forza. Caro amico, costruire la convivenza non è facile ma non ci sono alternative, proprio per evitare che la storia stessa si trasformi in inferno. Non ha detto il Santo Padre «Vi ho dato il perdono, datemi la speranza!»? (28 settembre 2000) [4]».

0.3. Attualità del tema

Quanto riportato esprime più di un’opinione personale. Esprime la considerazione condivisibile e condivisa che non le religioni in sé, né le culture che le accompagnano, ma le interpretazioni umane arricchiscono o impoveriscono le religione stesse. Ne fanno veicoli di tolleranza e di civiltà, oppure strumenti di scontro, di oppressione, di distruzione. Il fondamentalismo fanatico e intollerante nasce proprio qui. Nasce con il pretesto ideologico che gli altri sono pericolosi perché diversi da noi e pertanto sono nemici di Dio e propri nemici.

Tuttavia occorre tener presente che quanti arrivano a simili conclusioni non sono la maggioranza dei credenti. Sono al contrario persone, inclini alla violenza, che invocano Dio a copertura della loro intolleranza e del loro odio verso gli altri. Alla fine non risultano nemmeno veramente credenti.

A noi cristiani come a tutti i credenti in un Dio che ha benevolenza verso tutti, anche verso i “diversi” da noi spetta smascherare come falsa e contraria alla volontà di Dio ogni ideologia fondamentalista. Possiamo arrivare a ciò, studiando anche la religione degli altri, ed entrando in dialogo con loro. Ma soprattutto cominciando a condividere un comune impegno, perché tutte le religioni portino a una maturazione  effettiva dell’uomo, nella nonviolenza e nella ricerca continua della pacifica convivenza, su strade condivise, per migliorare la situazione sociale degli uomini in qualunque parte della terra e a qualunque popolo appartengano.

Non partiamo dal nulla, ma abbiamo dei punti di riferimento importanti, come, ad esempio, dichiarazione sottoscritta ad Assisi, il 2002, insieme con il papa, dai rappresentanti delle religioni più diffuse nel mondo. Dopo averla presentata, faremo riferimento alle comuni radici delle grandi religioni monoteiste, per terminare con alcuni accenni su Islam e pace.

1) La Dichiarazione di Assisi 2002

Il cosiddetto ”Decalogo di Assisi per la pace” è preceduto da una Lettera del Santo Padre ai capi di stato e di governo, in cui leggiamo:

«Ho potuto constatare che i partecipanti all'incontro di Assisi erano più che mai animati da una convinzione comune: l'umanità deve scegliere fra l'amore e l'odio. E tutti, sentendosi membri di una stessa famiglia umana, hanno saputo tradurre tale aspirazione attraverso questo decalogo, persuasi che se l'odio distrugge, l'amore al contrario costruisce».

Il Decalogo stresso, sottoscritto il 24 gennaio 2002, presenta le religioni e il loro dialogo reciproco come strumenti d’amore e non di odio:

«1. Ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso e, condannando qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del terrorismo.

2. Ci impegniamo a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, affinché si possa giungere a una coesistenza pacifica e solidale fra i membri di etnie, di culture e di religioni diverse.

3. Ci impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, affinché si sviluppino la comprensione e la fiducia reciproche fra gli individui e fra i popoli, poiché tali sono le condizioni di una pace autentica.

4. Ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana a condurre un'esistenza degna, conforme alla sua identità culturale, e a fondare liberamente una propria famiglia.

5. Ci impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando ciò che ci separa come un muro insormontabile, ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può diventare un'occasione di maggiore comprensione reciproca.

6. Ci impegniamo a perdonarci reciprocamente gli errori e i pregiudizi del passato e del presente, e a sostenerci nello sforzo comune per vincere l'egoismo e l'abuso, l'odio e la violenza, e per imparare dal passato che la pace senza la giustizia non è una pace vera.

7. Ci impegniamo a stare accanto a quanti soffrono per la miseria e l'abbandono, facendoci voce di quanti non hanno voce e operando concretamente per superare simili situazioni, convinti che nessuno possa essere felice da solo.

8. Ci impegniamo a fare nostro il grido di quanti non si rassegnano alla violenza e al male, e desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all'umanità del nostro tempo una reale speranza di giustizia e di pace.

9. Ci impegniamo a incoraggiare qualsiasi iniziativa che promuova l'amicizia fra i popoli, convinti che, se manca un'intesa solida fra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a crescenti rischi di distruzione e di morte.

10. Ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia[5].

È interessante notare come in questa dichiarazione i rappresentanti delle religioni assumono impegni che, superando gli errori del passato, vanno nella direzione della difesa dei diritti di ogni essere umano. Sono diritti riguardanti una vita dignitosa per, dando voce alle minoranze oppresse e devono accompagnare l’impegno al dialogo e alla ricerca continua dell’amicizia reciproca. Solo così possiamo metterci nella direzione giusta per costruire un «mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia».

2) Le comuni radici delle grandi religioni monoteiste

Ciò che accomuna queste tre religioni è il cosiddetto monoteismo, la fede cioè in un unico Dio, al di fuori del quale non esiste altra divinità. Dio non è cercato al di fuori di sé, ad esempio in persone, animali, elementi naturali o oggetti sostitutivi. La sua realtà è la sua divinità e la sua divinità è la sua realtà, essendo Dio l’origine e il fondamento di tutto ciò che esiste e pertanto anche della religione. Secondo queste tre religioni, Dio, oltre ad aver creato l’uomo e il mondo, come suo ambiente di vita, si è manifestato facendosi conoscere attraverso la rivelazione. Questa è avvenuta tramite la sua comunicazione all’umanità attraverso uomini ispirati, il cui insegnamento, dopo essere stato trasmesso oralmente, è oggi disponibile per tutti attraverso i libri dove è stato messo per iscritto. Le tre religioni sono dette “Religioni del libro” ed hanno somiglianze non solo per questa concezione generale, ma perché credono che, oltre al medesimo Dio che ha parlato (Allah corrisponde al Dio chiamato Elohim in ebraico e al Dio di Gesù per il Cristianesimo), ci sono profeti e patriarchi comuni, che ne sono stati gli interlocutori. Così ad esempio, Abramo, Mosè, i profeti dell’Antico Testamento, Gesù e Giovanni Battista per il Nuovo. L’Islam aggiunge la rivelazione fatta a Maometto come definitiva e conclusiva rivelazione, cosa che i Cristiani e gli Ebrei non accettano, mentre Ebrei e Mussulmani non accettano la rivelazione definitiva di Cristo. Lo stesso Maometto (Muhàmmad) visse tra il 570 e il 632 d.C. Dieci anni prima della sua morte, l’egira del 622, è considerata il punto di riferimento cronologico di tutto l’Islam.

In ogni caso, nonostante queste ed altre notevoli divergenze, non deve essere sottaciuto il carattere della fede come dedizione a Dio e come attenzione verso i propri fratelli. Ciò accomuna le tre religioni in oggetto e nell’Islam si rinviene nella forma di “cinque pilastri”, simili a cinque comandamenti fondamentali: 1) La confessione del nome di Dio; 2) l’importanza della preghiera; 3) la pratica del digiuno (Ramadan); 4) l’elemosina come cura del prossimo; 5) pellegrinaggio alla Mecca.

Fondamentale per l’Islam è il Corano, il libro sacro che è alla base dei pilastri che lo sorreggono. Qui, almeno la prima parte, contiene un apprezzamento per la restante "gente del libro" (ebrei e i cristiani), riconosce come rivelazione di Dio il Pentateuco, i salmi di David e il vangelo di Gesù. In riferimento al cristianesimo, ritiene però erronea la dottrina della Trinità, confusa come Dio come Padre, Maria come Madre e Gesù come Figlio, mentre considera solo apparenti la crocifissione e la morte di Gesù. Di lui accetta invece la nascita verginale da Maria, i miracoli da lui compiuti, l’ascensione al cielo e il suo futuro ritorno.

La seconda parte del Corano reca le tracce di un cambiamento nella concezione religiosa di Maometto verso Ebrei e cristiani, quando egli non venne da loro riconosciuto come profeta di Dio. Maometto li accusò di aver falsificato la rivelazione e comunicò alcuni cambiamenti come rivelati da Dio, come, ad esempio, la direzione verso cui pregare: in un primo tempo Gerusalemme (Sura 2,136) e successivamente verso La Mecca (2,145).

Tuttavia non bisogna dimenticare i punti di convergenza, che sono notevoli, come la creazione di Dio del cosmo e dell'uomo (cfr. Sura 55). L’uomo stesso è ritenuto vicario di Dio e pertanto superiore agli angeli, pur essendo corruttibile e violento (Sura 2, 28-33). È parimenti importante la considerazione che alla misericordia di Dio è collegata la misericordia verso gli orfani e verso i poveri (4,2.11). Sono tutti punti importanti che indicano non solo attiguità tra fede cristiana ed Islam, ma anche compiti precisi da assumere verso il mondo.

Essi si basano su una comune convinzione, che nasce da una comune esperienza di Dio come somma Verità e Trascendenza. Lo conferma, dal mondo islamico, il principe El Hassan bin Talal di Giordania, uomo di dialogo e profondo conoscitore del cristianesimo, oltre che dell’Islam, al punto di aver ricevuto la laurea onoris causa alla Facoltà Teologica di Tubinga. Sul rapporto tra Islam e Cristianesimo egli afferma che nonostante ogni differenza «ciò che li accomuna è l'essenza della religione. La comune, certa coscienza che al di là di tutti i limiti della conoscenza umana, esista un'ultima somma verità: ciò che l'apostolo Paolo chiama ‘Sapienza nascosta di Dio (1Cor 2,7), che non può esse colta in parole e della quale ‘le labbra umane non sono in grado di parlare’ [...] Il corano insegna su questo: 'solo Dio conosce il significato' (3,7)»[6].

Nonostante le drammatiche tensioni tra mondo islamico e mondo giudaico, che insanguinano la Palestina, non bisogna dimenticare, che anche l’Ebraismo, al pari dell’Islam e del Cristianesimo è da Dio orientato alla pace e non alla guerra, allo shalom, che non è solo assenza di guerra e di violenza (sarebbe già tanto nella tormentata terra delle tre grandi religioni!). Lo shalom è benessere e prosperità, armonia e rispetto dell’insieme e dunque anche degli altri, dei diversi. A tanto invitavano anche i profeti e alla pace hanno fatto riferimento i grandi maestri d’Israele. I loro detti e i loro insegnamenti sono stati spesso oggetto di racconti fortemente sapienziali. Uno di questi narra che ad Elia, apparsogli sulla piazza del mercato, un rabbi domandò se qualcuno di tutti i presenti avesse avuto parte al mondo futuro. Elia rispose che non c'era nessuno tra loro. Indicò però due uomini, sopraggiunti nel frattempo, come coloro che ne sarebbero stati degni. Al rabbi che aveva chiesto ai due che cosa mai facessero, questi risposero: «i comici; quando vediamo gli uomini con la mente turbata li rallegriamo, e quando vediamo due che litigano, facciamo pace tra loro»[7].

Dal brano si ricava che riconciliare e portare gli uomini alla pace è preparazione e attuazione del regno di Dio. Corrisponde al grande detto di Gesù: «beati i facitori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt5,9). Del resto Gesù ha fatto proprio questo: «Egli infatti é la nostra pace (Ef 2,14). Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo un muro di separazione che era framezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14).

Giunti a questo punto, ci domandiamo come mai la religione, soprattutto quella monoteista, sia stata spesso fonte di guerra e di violenza e non forza fermentatrice di pace. Le risposte sono tante e le abbiamo esaminate altrove [cf. il contributo «Quale nonviolenza scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo?» - Marcia della pace di Locri 31/12/01 in www.puntopace.net/Mazzillo/testiMazzIncontri1.htm].

Qui basti dire, in estrema sintesi, che quando l'Assoluto non è rispettato come tale, ma diventa un’appropriazione degli uomini della religione, dei suoi rappresentanti, rischia non di rado l’ideologizzazione. Di fronte all'Assoluto, non sempre l’uomo coglie la sua radicale povertà e l’impellente bisogno di rappacificarsi con gli uomini e con le cose, di riconciliarsi con se stesso e con le sue paure e di smascherare la sua pretesa volontà di potenza. Purtroppo, nei pressi dell’”Onnipotente”, in molti casi si inebria di onnipotenza e pensa di far diventare onnipotente la sua religione e – ciò che è peggio – se stesso.

Colui che ha smascherato un simile processo e ha indicato l’onnipotenza di Dio nel suo rendersi disponibile all’uomo e soprattutto ai più inermi è stato Gesù di Nazareth. Di lui è scritto:

«Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-8).

«Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-10).

La kenosi di Dio (cioè lo svuotamento dell'Onnipotenza) appare a noi nella sete di giustizia e di pace della tradizione profetica. Essa raccoglie il grande programma di pace contemplato da Geremia e risalente fino a Dio, il quale aveva detto: «Io conosco i progetti fatti a vostro riguardo... progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).

Ma il Dio di cui parla Geremia è lo stesso delle tre grandi religioni monoteiste. È comunque un Dio che vuole la pace perché ama la vita. Chiama le creature e gli uomini a gioire con sé nell'amore della vita. Di lui le tre religioni possono sottoscrivere, come, insieme con gli esponenti delle altre religioni, hanno fatto ad Assisi i loro rappresentanti:

«Tu ami tutte le cose esistenti nulla disprezzi di quanto hai creato; che se avessi odiato qualcosa non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi?...Tu risparmi tutte le cose, perché sono tue, Signore amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose» (Sap 11,24-12,1).

Il Dio di riferimento non è semplicemente l’Onnipotente, ma il Dio vivente che vuole la vita e non la morte, la salvezza e non la disperazione dell’uomo, la pace e non la guerra dei popoli. Non è un essere indifferente in un cielo lontano, ma crea il mondo e l'uomo, dirige la storia e interviene in essa: progetta e libera, punisce – talvolta – ma solo per richiamare e per salvare.

3) Islam e pace

Da quanto detto finora si ricava che nelle religioni, a partire dalle tre risalenti ad Abramo, dette perciò “abramitiche”, è di importanza fondamentale lavorare per la pace e per il bene degli uomini. Resta da considerare più da vicino come ciò interessi anche l’Islam, visto che ci siamo già soffermati sul giudaismo-cristianesimo.

Nonostante il fondamentalismo e le varie forme di violenza, che da alcune minoranze sono collegate alla propria religione, occorre dire che anche l’Islam conserva nella sua concezione di fondo l’ideale primario della pace. Il termine “pace” nell'Islam è salam, che deriva dal radicale salima, cioè star bene, non essere offeso, da cui salute, pace, ossequio. Il radicale si incontra già in epoca preislamica in espressioni tanto aramaiche che ebraiche. Al termine della preghiera ad Allah, il fedele si sente in dovere di offrire la pace anche agli altri, girandosi a destra e a sinistra. Lo stesso Maometto dava grande importanza alla pace, ricordandovi l'augurio degli angeli e il messaggio dei profeti.

Il termine “pace” ricorre spesso nel Corano. Ad esempio in: «In essa (notte del destino) discendono gli angeli e lo spirito con il permesso del Signore. Ed è subito gran pace fino allo spuntar del giorno» (97, 4-5). Oppure: «entrate in esso (paradiso) in pace. Questo è il giorno dell'eternità» (50,33; ma cf. anche 15,46; 10,25; 11,45[50]). Il paradiso è pertanto chiamato «casa della pace» (Dâr as-salâmi) (cf. 6,127; 10,26). L'augurio della pace è ancora quello che gli angeli rivolgono ad Abramo nell'annuncio del figlio Isacco (51,25; 11,69) ed indica una particolare benedizione ed una missione. Ma è anche l'ugurio e il benevenuto che sarà pronunciato ai fedeli passati nell'aldilà (10,10; 14,23; 16,32; 36,58; 39,73; 56,88-91). Indica la pienezza dell'approvazione divina su Giovanni il battezzatore e su Gesù («pace nel giorno del natale, pace nel giorno del trapasso, pace nel giorno della risurrezione»: 19,15; 19,33-34).

Si può parlare di alcune interpretazioni di base della pace islamica, considerata talora come stato reale-psicologico, in quanto beatitudine interiore, felicità; oppure come stato interpersonale, sociale. Le due dimensioni della pace comunque sono spesso da considerare insieme. Un problema a parte è quello del gihâd: la cosiddetta «guerra santa». In realtà, anche se invocata come movimento militare e insurrezione armata da fanatici e fondamentalisti, il termine deriva da giahada, che significa tentare, sforzarsi, esercitarsi. Il concetto indica, al fondo, lo sforzo per raggiungere un obiettivo: contro il demonio, contro le proprie passioni, e anche contro coloro che si oppongono ad Allah o all'Islam (politeisti, infedeli ecc.). In questo caso è considerato uno strumento per ristabilire la pax islamica, ed è visto come una via alla pace. Solo a partire da questo sviluppo, il termine gihâd è stato ed è interpretato nel diritto islamico restrittivamente come "guerra santa". Ciò però non sopprime quanto finora detto sulla pace e sul rapporto tra pace e giustizia esistente anche nel mondo islamico.

In esso sarà bene distinguere una tendenza teocratica-fondamentalista e legalista, che parte dal principio che applicando per intero il messaggio coranico, si ottiene un mondo di pace e di giustizia. Con la conseguenza di avere uno stato islamico e di imporre le regole dell'Islam a tutti. Questa tendenza radicale ritiene che solo attraverso questa via si avrà la città della pace (Dâru s-salâmi), che è anche casa della giustizia (Dâru l-cadali), mentre il resto del mondo non ancora islamico è casa della guerra (Dâru l-harbi). È La tendenza che si ritrova nei vari fondamentalisti, a partire da quelli deliranti, che hanno provocato e provocano stragi, non accettate da altri più moderati, fino ad altri come quelli del movimento wahhabita (dell’Africa orientale). Si contrappone comunque al movimento ahmadiyya (di origine indiana) ed è riscontrabile più nell'Islam sunnita che in quello sciita.

C’è però nello stesso mondo islamico anche una tendenza aperturista-liberale. Parte dal presupposto che la realtà è mutata rispetto al mondo islamico del Profeta e ciò non rende più praticabile l'ideale islamico della prima tendenza. Ammette chiaramente che anche l'universo coranico risente delle differenti tendenze culturali e linguistiche di tanti musulmani. Tra essi hanno una loro particolarità quello francofono (Algeria, Marocco, Tunisia, Sénégal); quello anglofono (India, Egitto, Pakistan); quello di ispirazione italiana (Libia, Somalia). Qui si cerca un equilibrio tra pace, giustizia ed uguaglianza, rileggendo in chiave moderna i grandi temi religiosi dell'Islam. Occorre infine menzionare una tendenza mistica, che ripercorre l'itinerario dei mistici dell'Islam ritiene che attraverso l’ascesi si perviene alla pace, perché Dio stesso è pace. La pace è infatti uno dei nomi di Dio e deve permeare anche l'agire dei suoi fedeli.

 

Bibliografia minima

D.L. e J.T. CARMODY, Pace e giustizia nelle Scritture delle grandi religioni, EDB, Bologna 1991, 141; M. CASSESE, Religioni per la pace, Asal, Roma 1987. R. SWANGER, Brauchen wir einen Sündenbock, Gewalt und Erlösung in den biblischen Schriften, München 1978. G. BARBAGLIO, Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane, Cittadella, Assisi 1991, 23. N. LOHFING, «Il Dio violento dell'Antico Testamento e la ricerca d'una società non violenta», in: La civiltà cattolica 135 (1984) vol 2, 30-48. R. GIRARD, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980.

 


 

[1] La seconda parte del contributo, contenente nozioni più comuni, riprende testi precedenti dell’autore, in particolare  «Cristianesimo e Islam alla prova della convivenza pacifica in un mondo sempre più multireligioso»
(Conferenza-incontro a Roggiano Gravina 21/03/02)
vedi voci pubblicate nel sito www.puntoipace.net .

[2] Tra i libri di Fouad Allam Khaled cf. Lettera all'OccidenteEinaudi, 2006-03-14 e Arabia, Rizzoli, 2005. Cf. anche la sua intervista in /www.ism.unisi.ch/archivio-articoli-intervista-allam.pdf .

[3] H. PIRENNE, Maometto e Carlomagno, Laterza, Bari 1939.

[4] Questa lettera fu riportata da alcuni quotidiani il 28 settembre 2000.

[5] Testo ripreso da Internet, www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/2002/documents/hf_jp-ii_let_20020304_capi-stato_it.html .

[6] PRINZ EL HASSAN BIN TALAL VON JORDANIEN, «Elf Gebote für Geschwisterlichkeit», in Publik-Forum s.a. (26/10/01 n.20) Dossier IV.

[7] Citato da D.L. e J.T.CARMODY, Pace e giustizia nelle Scritture delle grandi religioni, EDB, Bologna 1991, 141.