Giovanni Mazzillo <info autore> | home page: www.puntopace.net
Corso di aggiornamento ecclesiologico per gli
insegnanti di religione della diocesi di Siracusa – Zafferana, 8-13/7/1999
TRACCE
didattiche (riviste dall’autore)
Ciccare
sulla parte sottostante che interessa
A) Esperienza di Chiesa e nozioni generali di
ecclesiologia
B) Concezioni tradizionali e acquisizioni
moderne sulla Chiesa
C) Un popolo che cammina nella storia costruendo la
storia?
D) L'attualità del dialogo interreligioso e i suoi
nodi storici e dottrinali.
********************************************
Ci sono oggi nuovi studi di
ecclesiologia e tuttavia si nota il problema della irrilevanza della Chiesa per
la coscienza dell’uomo contemporaneo:
C’è
una rilevanza del sacro/sacrale; del mistero/misterioso; del potere
diplomatico/mediatico del papa e della gerarchia; e tuttavia molti non si
nascondono un’irrilevanza esistenziale e politica della propria appartenenza
alla Chiesa.
Inoltre
non si può misconoscere un aumentato valore attribuito all’esperienza della
fede vissuta nel recito sacrale ed affettivo dei propri gruppi e
contemporaneamente un maggiore disimpegno per le associazioni tradizionali
delle parrocchie. Gli studi di ecclesiologia più recenti oscillano tra
sacramentalità e bilanciamenti dogmatici. A questo riguardo richiamano i limiti
dottrinali, teorici, dai quali non uscire anziché fare proposte positive e
dinamiche. In realtà ciò di cui c’è maggiormente bisogno è la riscoperta e
valorizzazione del proprio compito nel popolo di Dio, in maniera più consona al
vangelo. Spesso si assiste a una sorta di ricerca della propria identità
ecclesiale, ma in collegamento con la ricerca di gratificazioni (da quelle del
prestigio del diacono a quella dell’impiego per l’insegnamento della
religione).
Le cause sono complesse. Sono da ricercare tra quelle strutturali (l’attuale organizzazione
della Chiesa e l’organizzazione della società, della famiglia ecc.) e quelle culturali (il valore preminente del
privato, la cultura del frammento, la difficoltà dell’impegno esistenziale
ecc.); tra quelle teologiche (nozioni
sulla Chiesa e conoscenza di essa) e quelle esperienziali
(vedi sopra).
I contesti sono ugualmente difficili da riassumere:
Oltre ai contesti generali sul valore della fede e della religione, ci sono quelli più specifici inerenti alla propria
regionalità (sia quella dell’appartenenza al Sud, che di appartenenza alla
Sicilia); essi riguardano concezioni
globali sulla vita, sulla persona umana, sul valore del tempo e in
definitiva sul significato della storia.
I contesti ecclesiali sono
immediatamente rilevati dall’esperienza della propria parrocchia e in molti
casi ancora dalla figura del proprio parroco, talvolta fanno riferimento alla
figura del vescovo o più in genere a quella che viene chiamata semplicemente
“la curia”.
In ogni caso la propria
esperienza di Chiesa condiziona la concezione che si ha di essa e viceversa.
- Il
tema della Chiesa è più di un semplice tema. È piuttosto un problema della
rilevanza della Chiesa per noi stessi, per la nostra esperienza di esseri umani
investiti dalla Grazia, per la nostra esistenza.
-
Occorre fronteggiare il pericolo che in questo passaggio di secolo (di
millennio) corre lo stesso cristianesimo, oltre che la Chiesa di oggi: di
scadere in una religiosità senza Dio, dopo essere passati in questo secolo
attraverso una fede in Cristo senza Chiesa.
Qualcuno tematizza il bisogno
di esprimere la realtà della Chiesa in maniera più adeguata alla sensibilità
moderna: invece della "Chiesa Madre" utilizzare piuttosto l’immagine
della “Chiesa sorella”, o della “Chiesa amica” (M. Kehl).
La nostra scelta teologica
prima ancora che linguistica è di parlare della Chiesa prevalentemente come popolo di Dio, perché, convocati dalla
Grazia, (cioè dall’azione libera e gratuita, salvatrice e redentiva
dell’Unitrinità di Dio); proprio noi insieme
con altri costituiamo la Chiesa, noi
e non altri.
Quanti rifiutano la Chiesa
come scelta e quanti altri la rifiutano nei fatti?
Quanti hanno un rapporto di
fede autentico con Cristo e quanti altri lo hanno prevalentemente con i suoi
intermediari, i santi, oppure hanno solo un approccio sociologico alla
religione cristiana, più che alla fede?
5) Che cosa dice la gente
della Chiesa? Che cos’è la Chiesa per te?
Partendo dalla pagina
evangelica in cui Gesù domanda ai suoi discepoli cosa dica la gente di lui e
cosa dicono loro, si può formulare così la doppia domanda.
Sul
significato della Chiesa per la nostra gente: le risposte si possono riassumere come segue.
La Chiesa è:
una dispensatrice di sacramenti (è obbligata
a questo perché fa parte della società ed è a questo deputata);
una compagna di strada (in questa risposta è
presente la ricerca di un accompagnamento e di un senso ulteriore, forse anche
la ricerca di una qualche trascendenza);
una trascinatrice di masse (in tutte le sue
forme, da quelle miracolistiche a quelle carismatiche).
Innanzi tutto di fronte alle
risposte della “gente”, si deve precisare che la Chiesa come dispensatrice di sacramenti manifesta una concezione unilaterale
e teologicamente insufficiente. Manca l’annuncio del Vangelo. La stessa
Trascendenza è presupposta ma non tematizzata. Non è né esplicita e solo
presupposta come sacralità necessaria.
Sulla Chiesa come compagna
di strada si può affermare che è
ancora troppo poco. È preferibile la Chiesa come dispensatrice di
sacramenti dove la Grazia viene almeno cercata - sebbene in modalità
insufficiente. Sulla Chiesa come trascinatrice
di masse occorre dire con
chiarezza che è una concezione del tutto errata.
Per non incorrere in errori
grossolani, la soluzione migliore è partire da Vangelo, domandandoci che
cos’era la Chiesa per Gesù.
Abbiamo così la possibilità
di cogliere il significato della Chiesa a partire dall’agire di Cristo.
Il Vangelo ci indica che la
Chiesa deve essere come è stato Gesù: dispensatrice di vita e di speranza (Mc 6,30 - 44)
* vedi qui il testo[1].
Deve ancora essere un luogo e l’occasione di decisioni
importanti per la propria vita, anche a costo di affrontare
incomprensioni e difficoltà (Lc 12,49 - 53) * vedi qui il testo[2].
Inoltre deve essere è una realtà viva che rende
testimonianza nel mondo (Lc 12, 1-7) * vedi qui il testo[3].
Alcuni hanno detto
che la Chiesa è innanzi tutto un “sacramento fondamentale”. Cioè è segno
espressivo ed efficace di una realtà trascendente che è quella di Cristo.
La sacramentalità dell’agire
complessivo della Chiesa avviene attraverso e in forza della sua unione con
Cristo, con gli uomini che soffrono e con il “popolo crocifisso”. Infatti la Chiesa è corpo storico
oltre che corpo mistico (Ellacuria);
Occorre pertanto precisare il
giusto senso del concetto di sacramento, per fugare il pericolo della magia.
l’Eucaristia è “fonte e culmine” della Chiesa e del suo agire (dono di Dio agli
uomini per la salvezza del mondo, secondo il senso della Kenosis, cioè dello
svuotamento del Cristo). È l’offerta volontaria di Cristo che fonda la
Chiesa, nell’azione dello Spirito e nella compiacenza del Padre. Essa è però
diretto e immediato riferimento alla storia degli uomini. Il suo stesso corpo e
il suo sangue sono riferimento al corpo e al sangue degli uomini, e ciò è
normativo anche per la Chiesa.
Per intendere correttamente
tale sacramentalità occorre storicizzarla. Occorre vederne anche il valore
nella storia e nella società in cui viviamo e non solo in rapporto alla propria
vita personale e a quella del proprio gruppo. Si può fare una sintesi,
mostrando gli aspetti qui implicati nell’eucaristia che sono il punto di
partenza per la sacramentalità della Chiesa. Nella prima colonna indicheremo
l’impostazione della Chiesa come “corpo mistico” e le linee che ne discendono.
Nella successiva, la realtà della Chiesa anche come corpo storico e le
conseguenze storico-sociali, che non sopprimono le prime, ma sono
indispensabilmente da aggiungere ad esse:
ASPETTI |
Corpo mistico |
Corpo mistico e corpo storico |
carne e sangue
(pane) e (vino) |
dimensione sacramentale:
corpo e sangue di Cristo |
+ dimensione
sociale: |
unione |
realtà liturgica:
unione a Cristo |
realtà
esistenziale: |
comunione |
gratificazione all’interno del proprio gruppo |
impegno nella
realtà circostante |
liberazione |
liberazione solo dal peccato individuale |
liberazione anche dalle forme di peccato strutturale |
donazione |
sacrificio della volontà e della propria
intelligenza |
impegnare la propria vita per la giustizia e la pace |
1) Il problema della legittimazione della Chiesa
a) Un Problema tipicamente
europeo: «La Chiesa ha il doppio compito di lasciarsi interamente determinare
da Cristo e dalla Rivelazione e coerentemente di legittimare questa sua
identità all’interno della storia universale in quanto essa integrandosi nella
storia universale adempie la sua funzione e la sua missione» (L. Boff)[4].
La domanda del teologo latino-americano al tempo della sua promozione dottorale
in Germania riecheggiava quella di Bonhoeffer «Che cosa significa la Chiesa per
un mondo senza religione (religionslose
Welt?)». Ma per noi la domanda è ancora corretta? Il nostro mondo è
diventato un mondo senza religione?
b) La domanda più impellente
sembra invece essere: «Che identità di Chiesa è quella con la quale abbiamo
oggi a che fare?». In effetti partendo dalla sua concezione teologica di
Chiesa, questa riceve la sua legittimazione teologica presso gli uomini non
solo di oggi ma di ogni tempo.
c) Ciò solleva il quesito di
fondo: «può la Chiesa fornirsi una sua autoconcezione arbitraria, oppure deve
riferirsi a una identità che le è prescritta dal di fuori di essa?».
d) È in gioco un principio
teologico di fondo. La legittimazione della Chiesa non viene né da se stessa,
né dai teologi. Non è nemmeno fornita dalla modernità e dalla sua nuova
sensibilità. Proviene infatti dalla Parola di Dio. Ciò significa che la Parola legittima la Chiesa, fornendole
una fisionomia e un’identità di fondo. Ne segue l’urgenza di
attraversare alcuni passaggi ecclesiologici obbligati. Per noi (tenendo
presente la nostra situazione) questi si concretizzano nei seguenti:
dall'apologetica
del miracolismo al narrare Dio con una
vita credibile;
dalla carità
come virtù individuale alla
riscoperta dell'amore come dinamismo
teologale;
dalla Chiesa
societas alla Chiesa come comunità;
dalla Chiesa come comunione alla Chiesa come popolo di Dio.
e) Per la discussione
- La Chiesa ha bisogno di
maquillage oppure necessita di qualcos’altro per essere più accettata dagli
uomini? Di che cosa?
- Che cosa significano per
noi gli indispensabili passaggi che la Chiesa deve attraversare per essere se
stessa?
Esse ruotavano più intorno
alla gerarchia che intorno alla Chiesa, tanto da far parlare Congar di “gerarcologia”
più che di ecclesiologia.
Il cambiamento radicale di
prospettiva è avvenuto quando, riscoprendo il valore primario della Parola di Dio, la
teologia ha potuto riprendere i capisaldi dell'ecclesiologia delle origini.
Alla Parola di Dio è stato così riconosciuto un valore non solo “dottrinale” ma
di fondazione e di costituzione della Chiesa: un valore di principio cui essa
deve fare costante riferimento. Si tratta di riscoprire continuamente il
vangelo (e in questo senso vale l’espressione «nuova evangelizzazione»). Ma ciò
può significare per la Chiesa solo una cosa:
autoevangelizzazione,
nel senso che essa deve lasciarsi continuamente annunciare da Cristo la Parola
di Dio e praticare la strada della conversione. Solo lasciandosi convertire,
può e deve annunciare agli uomini: «Convertitevi e credete al Vangelo».
L’evangelizzazione diventa così l’annuncio della buona notizia: la grazia e la
salvezza irrompono nel mondo, particolarmente per coloro che Dio ha sempre
prediletto: i poveri e i disperati, quanti non hanno nulla, nemmeno una
speranza di salvezza.
Per ecclesiologia piramidale
s’intende quella concezione che immagina la Chiesa come una piramide, il cui
vertice è costituito dal papa, rappresentante di Cristo in terra, e, procedendo
verso il basso, dalla restante gerarchia, fino ad arrivare alla base, che
sarebbe il popolo, turba fidelium o plebs Dei. Non è l’ecclesiologia che consente l’utilizzo del popolo di
Dio come categoria teologica determinante, anche perché qui il popolo di Dio è
solo una parte della Chiesa e corrisponde a ciò che per la società prima romana
e poi feudale era la blebs o i
plebei, sottoposti ai patrizi, corrispondenti ai soggetti gerarchici.
L’ecclesiologia alternativa è costituita dallo schema circolare, che pone al
centro della realtà del popolo di Dio e l’azione della Trinità, e in particolar
modo dello Spirito Santo, che suscita e sostiene vocazioni diverse e differenti
doni e carismi.
Concezione piramidale della Chiesa
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Papa
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Cardinali
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Concezione circolare
I motivi che sorreggono la
legittimità del popolo di Dio come categoria teologica fondamentale sono
molteplici e di notevole importanza. Basta dire che se la costituzione Lumen gentium al n. 6 non colloca il
popolo di Dio tra le altre immagini della Chiesa (tempio, ovile, casa, ecc.).
Ciò significa che gli attribuisce un significato che è molto di più di una
metafora: è una realtà storica e, in questo senso una categoria teologica. Il
Vaticano II dedica pertanto l’intero
capitolo II al popolo di Dio.
Le ragioni a favore
dell’ecclesiologia del popolo di Dio vanno in definitiva dalla sua utilizzazione
nell’ecclesiologia dei primi secoli[5] alla sua riscoperta e valorizzazione nel
Vaticano II[6].
Il popolo di Dio è stato visto come vero e proprio soggetto storico in alcuni autorevoli documenti magisteriali[7].
Anche le precisazioni ecclesiologiche, alquanto restrittive, del 1992 su Alcuni aspetti della Chiesa intesa come
comunione, pur ribadendo la piena adeguatezza del concetto di comunione per
esprimere, nell’ottica del Vaticano II il «nucleo profondo del mistero della
Chiesa», hanno confermato la necessità di «di un’adeguata integrazione del
concetto di comunione con quelli di popolo di Dio e di corpo di Cristo», da
affiancare a un più attento rilievo «al rapporto tra la Chiesa come comunione e
la Chiesa come sacramento»[8].
In sintesi possiamo ritenere che il popolo di Dio è soggetto storico e, in quanto tale, è categoria teologica pienamente
adeguata ad esprimere la natura misterica della Chiesa, con tutte le sue
implicanze storico-sociali.
È pertanto non immagine retorica, ma soggetto
concreto, definibile a partire dalla consistenza reale e comunitaria del
progetto salvifico di Dio.
Questa concezione
costituisce un correttivo di quell’uso e talora abuso di una terminologia che
ricorre alla comunione e che mentre
ripete il termine “comunione, comunione”, non adempie talora nemmeno il puro e
semplice livello della corretta “comunicazione”, dimensione pur costitutiva
della comunione medesima[9].
Comunione e dialogo, in una visione introversa della Chiesa rischiano, a lungo
andare, l’ideologizzazione[10],
scadendo in una visione o prevalentemente sociologica come “l’ideologia della
comunità”, oppure in una sorta di giustificazione teorica di nuove forme di
compattamento e talora di centralismo che il Vaticano II sembrava aver ormai
superato.
Alla luce di quanto detto, si
deve ritenere che la comunione è non solo espressione, ma anche humus e clima teologale indispensabile per comprendere la sacramentalità della
Chiesa e il valore ecclesiologico pieno della singola comunità in quanto
fondata su «una realtà ontologicamente
e temporalmente previa a ogni singola Chiesa particolare»[11].
Ma è parimenti l’unico clima teologicamente giustificabile per intendere
l’indefettibilità della fede. Infatti la presenza dello Spirito Santo, artefice
della comunione, è “necessariamente sovrana ed immediata” e ciò costituisce il
fondamento teologico del “senso di fede” dei fedeli, ma anche il fondamento
dell’unità e diversità dei ministeri e dei carismi[12].
Tutto ciò costituisce insomma la realtà della Chiesa, in quanto realtà misterica
e quindi in comunione e in quanto
realtà storico-sociale e quindi
soggetto in cui si attua la comunicazione. La prima e fondamentale forma di
comunicazione è infatti la rivelazione, che al pari della trasmissione della
fede, che ad essa sempre si riferisce, è un’ulteriore e determinante forma
comunicativa. Eppure sia l’una che l’altra rimandano alla dimensione storica
della Chiesa, insomma danno ragione e consistenza teologica alla realtà del
popolo di Dio in quanto vero soggetto storico e vera grandezza teologica.
Il popolo di Dio come corpo
storico oltre che mistico, compie alcune opzioni di fondo per camminare nella
storia, come ci indica il cap. 7 della Lumen
gentium , alla ricerca della patria definitiva e per costruire una storia
sulla terra conforme al progetto di Dio. Per questo scopo, fa continuo ricorso
alla Parola di Dio, che ne traccia il percorso, oltre a disegnarne
l’identità
a)
un’opzione teologica (scegliere sempre Dio e la sua Parola);
b)
un’opzione cristologica (scegliere sempre Cristo e coloro che Cristo ha
prediletto);
c)
un’opzione ecclesiologica (avere sempre un’identità di Chiesa che sia
consequenziale con le opzioni precedenti).
L’opzione teologica
rende possibile il primo passaggio: dal supernaturalismo ad un’evangelizzazione
attraverso una vita credibile; l’opzione cristologica rende possibile il
secondo: dalla carità come virtù individuale alla riscoperta dell'amore come dinamismo teologale;
l’opzione ecclesiologica rende infine praticabili gli ultimi e decisivi
passaggi: dalla Chiesa societas alla Chiesa come comunità; e dalla Chiesa come
comunione alla Chiesa come popolo di Dio.
a) «Solo chi ama gli uomini
può capire il Vaticano II». Ciò riprende la concezione fondamentale dell’amore
come via di autentica conoscenza (cf. Agostino e soprattutto il vangelo di
Giovanni, che parla del praticare la verità, più che conoscerla: «Ma chi opera la verità viene alla luce, perché
appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» - Gv 3,21).
Il principio riguarda sia l’amore verso Dio che verso il prossimo. Chi li ama
entrambi li conosce anche; costui sarà in grado di capire il Vaticano II.
b) La Chiesa non esiste per
sé, ma per volere ed azione della Trinità ed è per la salvezza del mondo. Una
concezione clericale porta a una Chiesa introversa; una concezione basata sul
popolo di Dio porta invece - come deve essere - a un’ecclesiologia estroversa[13].
c) Perché la Chiesa sia
estroversa deve essere solidale, sì da rendere la solidarietà suo principio
etico fondamentale.
Gaudium et spes,
Nr. 1: «Le gioie e le
speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto
e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze
e le angosce dei discepoli di Cristo».
Da dove nasce questa stretta
unione della Chiesa con tutta la famiglia umana? Nasce dalla stretta unione con
Dio. Perché talora manca alla Chiesa la solidarietà verso gli uomini? Perché le
manca la vera familiarità con Dio.
La vera famiglia di Dio è
quella che compie la verità: Mt 12,47-50: <<Qualcuno
gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti».
Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i
miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia
madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che
è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre»>>.
a)
Fino a che punto possiamo affermare di essere quella Chiesa che è famiglia di
Dio in quanto compie la volontà del Padre?
b)
Che cosa significa per noi oggi compiere la volontà del Padre?
c )
Quale posizione prendi rispetto alle opzioni fondamentali della Chiesa? Che
cosa c’è ancora da aggiungere?
La Bibbia ha talora
termini molto negativi verso le religioni delle “genti”, che adorano idoli
inani e morti[14].
Una critica aspra si rinviene in Baruch, (interessi materiali dei sacerdoti e
pratiche orgiastiche: Bar 6, 4-71).
Per una seconda
linea biblica anche i pagani possono essere retti e praticare la giustizia. Nel
Nuovo Testamento Paolo condanna le false religioni, perché esse hanno distolto
gli uomini dalla vera conoscenza di Dio. Egli enuncia tuttavia un principio
fondamentale: Dio si fa conoscere e si manifesta anche ai pagani[15].
Nella religione si deve praticare l’adorazione del Dio “ignoto” di cui egli
parlava all’Aeropago di Atene (cf. At 17,22-27), un Dio di cui tutti i popoli
vanno alla ricerca «andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno
di noi».
C’è inoltre una
critica biblica verso il ritualismo giudaico senza pratica di fede e di
giustizia. Ciò significa che non le forme storiche delle singole religioni in
se stesse, ma la vita corrispondente a queste, è oggetto di verità o di
falsità, di vera o falsa adorazione di Dio. Da questa duplice linea negativa e positiva[16] emerge l’universalità della volontà salvifica
di Dio per tutti i popoli, sicché è netta l'affermazione che tutti sono chiamati
alla salvezza, sebbene non sia sempre chiaro se occorra passare per la completa
adesione dei popoli alla religione di Israele[17].
Ci sono passi
biblici nei quali il Dio d’Israele parla degli altri popoli come di popoli che
egli ha ugualmente a cuore. In Amos troviamo la sorprendente affermazione da
parte di Dio che alcuni popoli stranieri, notoriamente pagani, come gli Etiopi,
i Filistei e gli Aramei, sono equiparati a Israele, al punto di essere stati
liberati come il popolo eletto dalla sua mano potente: «Non siete voi per me
come gli Etiopi, Israeliti? Parola del Signore. Non ho fatto io uscire Israele
dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftòr e gli Aramei da Kir?» (Am 9,7).
Ciò dimostra la sovrana
libertà di Dio e la sua benevolenza verso tutti, espressa con concreti
interventi salvifici anche a vantaggio dei pagani[18].
L’idea è confermata dall’agire di Gesù, e da quell’affermazione degli Atti
degli Apostoli che suona come una dichiarazione di principio sulla bocca di
Pietro nel discorso al pagano Cornelio[19] e in altri passi del NT[20],
che del resto potevano attingere ad episodi e detti di Gesù dalla portata
universalistica. Cf. la sua contrapposizione alla ideologia nazionalista e
discriminante degli zeloti[21] e gli elogi che Gesù indirizza a pagani che mostrano
disponibilità ad accogliere la sua parola. Ne sono un esempio alcuni testi
sinottici[22].
Già nell’AT Dio,
non esclude nessuno, ma si intenerisce anche per popoli pagani[23],
assiste il re pagano come Ciro chiamandolo “mio eletto” (Is 45,1-7). Collegata
all’idea della misericordia verso i popoli, è l’idea della benedizione che si
estenderà a tutte le genti. Abramo ne sarà il segno e il punto di riferimento:
«Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché
tu hai obbedito alla mia voce» (Gen 22,18; cf, 28,14)). Tutto ciò non rimane
una vaga promessa. L’Apocalisse mostra la realizzazione di quelle parola,
quando descrive: «Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva
contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi
davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano
palme nelle mani» (Ap 7,9).
I Padri della Chiesa risentono della duplice linea biblica. Alcuni prendono una posizione risolutamente radicale contro la salvezza dei non cristiani, come ad esempio, Taziano, Tertulliano, Teofilo d’Antiochia. Altri, come Giustino, avanzano la teoria del logoi spermatikòi, le ragioni seminali o i semina Verbi dei padri latini, in forza della quale si ravvisano nella sapienza culturale-letteraria del mondo greco-romano le sementi del Verbo, cioè i frammenti e i germogli di verità, che il Verbo stesso ha profuso anche tra i pagani. A ciò si congiungono l’idea della “preparazione evangelica” e della “pedagogia divina”, che giustificano uno specifico intervento divino, una sorta di rivelazione tutta particolare anche nei confronti dei pagani[24].
Secondo i Padri, il
messaggio evangelico si innesta in tale humus,
predisposto dalla pedagogia divina, secondo un movimento che è
contemporaneamente di correzione e di integrazione[25].
Un altro spunto interessante nella dottrina della rivelazione di Dio ai pagani
è l’“ispirazione segreta”: Dio avrebbe svelato in maniera segreta la sua
volontà anche ad altri popoli non ebrei né cristiani.
Da Tommaso d’Aquino
le religioni non cristiane sono considerate un male in quanto religioni[26],
tuttavia, al pari di Origene, Agostino ed altri, anche Tommaso ammette la
possibilità della rivelazione e dei miracoli anche presso i non cristiani[27].
In epoca rinascimentale N. Cusano aveva una visione positiva
sulle altre religioni, fino a dire che il Logos
si rispecchia in esse (la stessa predicazione di Maometto sarebbe da
considerare un riflesso di quel Logos e i segni cultuali di altre religioni
sarebbero da riferire ai sacramenti cristiani) e a parlare di una sola
religione espressa in riti differenti: una
religio in rituum varietate[28]
La posizione attuale, dopo le controversie del 1800, che vedremo, è quella del Vaticano II, che in tre aggettivi riassume il rapporto corretto tra la Chiesa e i valori religiosi e culturali degli altri popoli: purificare, assumere, perfezionare[29]. Ciò presuppone il riconoscimento della presenza e dell’azione del mistero pasquale anche presso le altre religioni[30]. Il passaggio da una teologia, che si esprimeva non di rado in termini di esclusione e contrapposizione, alla teologia conciliare si può sintetizzare con l’espressione di L. Sartori «da un’assolutezza escludente a una pienezza includente»: «Non rapporto secco fra un “sì” (“sì, solo la Chiesa cattolica è vera Chiesa, sacramento di salvezza”) e un “no” (“no le altre non sono vere Chiese”); ma un rapporto fra ciò che può dirsi “integrale” (cattolico) e ciò che invece resta ancora “parziale ...”[31]. Ma ciò comporta anche la valorizzazione degli elementi positivi presenti nelle altre religioni[32].
Assistiamo allo
sforzo, più simpatetico, e perciò più
oggettivo, mai compiuto dal
cattolicesimo, per cogliere dall’interno della problematica umana il valore di
ogni religione e della religione in assoluto. La prospettiva non era più quella
della verità o non verità oggettiva delle religioni acattoliche, ma quella
della ricerca dei significati e dei bisogni da queste espresse.
Partendo dal tema
cardine del Vaticano II della vocazione
dell’uomo, si può affermare che la “ricerca dell’uomo” è anche la “ricerca
di Dio” e viceversa, perché le due domande sono profondamente correlate. La
genesi dell’uomo, l’antropogenesi, è
condizionata e determinata dalla sua vocazione: l’uomo va alla ricerca di Dio
perché creato a sua immagine. Il senso della vita e della morte, il valore
dell’amore e della solidarietà interumana, il posto dell’uomo nella storia e la
meta finale di questa non sono disgiunti dal senso religioso, anzi
costituiscono il risvolto antropologico di ciò che proprio la religione cerca
di cogliere e di esprimere. Dobbiamo al Concilio la feconda correlazione tra
questi due aspetti di un’unica realtà, che pervade tutti i documenti e, si
potrebbe affermare, tutte le pagine del suo dettato, ma che affiora come tema
esplicito soprattutto in alcuni testi dedicati all’argomento delle religioni:
il documento sulla libertà religiosa e quello sulle religioni non cristiane.
Dignitatis Humanae esprime la scelta del taglio teologico per il quale il concilio ha
optato, approfondendo la libertà religiosa sul versante dei rapporti sociali e
basandola sulla dignità della persona umana. Si superava la concezione
magisteriale del 1800 per la quale le altre religioni non hanno diritto di
esistere perché erronee, al più sono da tollerare[33].
Si riprendeva invece il filone magisteriale contenente l’idea della presenza
della grazia e della salvezza anche fuori della Chiesa cattolica[34],
cui veniva in soccorso la dottrina dell’errore invincibile e dunque
incolpevole, affermando che con una vita onesta, e certamente sotto l’influsso
della Grazia, si può conseguire la salvezza[35].
Nel Vaticano II la libertà
nella pratica della propria religione si suppone ispirata da una coscienza
retta (anche se erronea), con una formulazione duplice: 1) nessuno può essere costretto ad abbracciare qualsiasi fede contro la
sua volontà; 2) nessuno può essere
impedito di manifestare la sua fede. Tale libertà deve essere tutelata,
preparata nell’educazione, garantita da disordini ed atti che possano nuocere
al bene comune.
La dichiarazione Nostra Aetate mostra un punto di
partenza antropologico e teologico nello stesso tempo: attraverso le religioni
l’uomo si interroga su se stesso e sull’ultimo significato del vivere[36],
sicché nelle religioni si ammette, al n. 2,
«una certa sensibilità di quella forza arcana che è presente nel corso
delle cose e degli avvenimenti della vita umana»[37].
Ciò si estende, al presente, ai diversi popoli e interessa gli uomini fin «dai
tempi più antichi». Talvolta, grazie ad essa, «si riconosce la Divinità suprema
o il Padre». Si menzionano innegabili aspetti positivi dell’Induismo[38],
e il valore del Buddhismo[39],
riconoscendo che «anche le altre
religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari
modi, l’inquietudine del cuore umano», perché «non raramente riflettono un
raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini».
Al n. 3 la
dichiarazione parla della religione musulmana, della quale riconosce alcuni
valori ed i punti di particolare vicinanza al cristianesimo (monoteismo,
importanza della misericordia, dottrina della creazione e della remunerazione
dopo la morte, venerazione di Gesù come profeta e onore riconosciuto alla
Vergine Maria come sua Madre, valore della preghiera, del digiuno,
dell’elemosina. Pur non nascondendo le incomprensioni del passato, si auspica
dialogo e stima reciproca con l’islam e anche con l’Ebraismo, considerato al n.
Sul valore
salvifico delle altre religioni cf. Lumen
gentium che ribadisce: «quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di
Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio e con l’aiuto
della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta
attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salute eterna» [40].
La costituzione precisava che «non
possono salvarsi quegli uomini i quali pur non ignorando che la Chiesa
Cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non
vorranno entrare in essa o in essa perseverare»[41],
ma ugualmente metteva in guardia contro l’incorporazione puramente formale:
«Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non
perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col "corpo",
ma non col "cuore"»[42].
E l'assioma Extra ecclesiam nulla salus? Già nella
lettera del S. Uffizio all'Arcivescovo Cushing di Boston, nel 1949, citato
anche in nota dalla Lumen gentium ,
si affermava con chiarezza che se è necessario appartenere alla Chiesa in
ordine alla salvezza eterna, è sufficiente un'appartenenza con il desiderio in
quanto votum implicitum Ecclesiae. Inoltre
troviamo nel Vaticano II una gradualità nell'incorporazione alla stessa Chiesa,
nella Lumen gentium, dal n. 14 (piena
incorporazione dei cattolici) al n. 15 (congiunzione -coniunctam- dei cristiani non cattolici) al n. 16 (ordinamento - ordinantur- dei non cristiani).
La Remptoris missio di Giovanni Paolo II (1990) ribadisce il valore
centrale della redenzione di Cristo, sicché altre mediazioni di vario tipo e
ordine sono partecipazione alla
mediazione di Cristo, non parallele
né complementari[43]. L’affermazione rafforza il senso
dell’azione del suo mistero pasquale, rivissuto anche nelle altre religioni in
riferimento alla Chiesa , anche se per vie misteriose[44].
C’è un maggiore
riconoscimento del valore delle espressioni collettive quali le culture e le
religioni. Al di dentro di esse e persino attraverso di esse si può mediare
quel dialogo salvifico con Cristo nell'autenticità di chi corrisponde
all'azione dello Spirito. C’è anche una conseguenza ecclesiologica, che muove
dalla considerazione che chi risponde all’azione dello Spirito intercetta anche
il cammino del popolo di Dio, come popolo messianico. È il popolo «costituito
da Cristo per la comunione di vita, di carità e di verità», ma che è stato
assunto da lui «come strumento di redenzione per tutti, ed è inviato a tutti
gli uomini come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5,12-16)»[45].
Le altre religioni partecipano pertanto, con un legame ad esso, al mistero di
Cristo, anche per il fatto che la sconfitta della morte si compie attraverso la
partecipazione alla sua risurrezione.
La posizione dell’enciclica
appare quella del “cristocentrismo inclusivo”, nel senso che esprime «una
pienezza includente», esprimendo nette riserve sulle prospettive teocentriche o
regno-centriche, ritenute facilmente condivisibili dalle altre religioni[46].
In diversi passaggi sottolinea l’azione dello Spirito, che è «protagonista
della missione» in quanto spinge all’annuncio come alla conversione[47].
Ma la sua azione è parimenti all’opera negli uomini come nelle religioni[48],
sicché. «la presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui,
ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito,
infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità
in cammino»[49].
Il successivo intervento
della Commissione Teologica Internazionale ha ribadito le riserve sul
pluralismo teocentrista, ma ha anche riconosciuto la possibilità di arrivare a
Dio persino attraverso immagini false di lui ed anche attraverso riti e
concezioni mitologiche. Contiene l’ammissione che «un atto salvifico si può
avere anche attraverso una mediazione erronea; ma questo non significa il
riconoscimento oggettivo di tale mediazione religiosa come mediazione
salvifica, benché questa preghiera autentica sia stata suscitata dallo Spirito
Santo»[50]
Sosteniamo qui la posizione
che ritiene le religioni come cammini non
paralleli, ma convergenti verso la
strada maestra che è Cristo. ritenendo che
a)
nelle
religioni avviene l’incontro tra la ricerca dell’uomo da parte di Dio e la
ricerca di Dio da parte dell’uomo .
b)
Cristo è non
una via tra le altre, ma la Via, perché costituisce il punto d’incontro di
questi due reciproci percorsi.[51],
c)
la centralità
di Cristo è come punto iniziale e meta finale della storia: se tutto infatti è
stato creato «per mezzo di lui» ed «in vista di lui» (Col 1,16) e con la sua
incarnazione si è unito ad ogni uomo[52],
ciò significa che le religioni diventano, con le culture e i popoli
interessati, luoghi e strumenti di incontro con Dio.
d)
l’incontro in
Cristo fonda e giustifica la ricerca continua dei momenti di dialogo, di
collaborazione e di crescita comune con gli altri popoli.
[1] Marco 6,30-44:
<<Gli apostoli si riunirono attorno a
Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse
loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era
infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo
di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in
disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città
cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta
folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise
a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i
discepoli dicendo: «Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali
perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano
comprarsi da mangiare». Ma egli rispose: «Voi stessi date loro da mangiare».
Gli dissero: «Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro
da mangiare?». Ma egli replicò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». E
accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci». Allora ordinò loro di farli
mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. E sedettero tutti a gruppi e
gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli
occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli
perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si
sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei
pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini>>.
[2] Vangelo di Luca 12,49-53:
<<Sono venuto a portare il fuoco sulla
terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere;
e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a
portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una
casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre
contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre,
suocera contro nuora e nuora contro suocera>>.
[3] Vangelo di Luca 12,1-7:
<<Nel frattempo, radunatesi migliaia di
persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai
discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. Non c'è
nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto.
Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò
che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui
tetti. A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo
non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui
che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico,
temete Costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure
nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro
capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri>>.
[4] L.Boff, Die Kirche als Sakrament im
Horizont della We1terfahrung. Versuch einer Legitimation und einer
struktur-funktionalistischen Grundlegung
der Kirche im Anschluß an das II. Vatikanische Konzil, Paderborn 1972.
[5] Cf. O. Semmelroth,
«La Chiesa nuovo “popolo di Dio”», in G. Baraùna,
La Chiesa del Vaticano II, Firenze
1965, 439-452.
[6] Cf. G. Mazzillo,
«L'eclissi della categoria "popolo di Dio", in Rassegna di Teologia 36 (1995) 553-587; Idem, <<Un'ecclesiologia
“relativamente maneggevole”>> in Rassegna
di teologia (RdT), 38 [1997] 537-552). Cf. anche S. Dianich, che dedica un intero
capitolo al tema «”popolo di Dio”: la forma fondamentale dell'aggregarsi dei
cristiani», ma constata anche la scarsa fortuna da esso avuta
nell'ecclesiologia recente [S. Dianich,
Ecclesiologia. Questioni di metodo e
una proposta, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1993, 231-255].
[7] Cf., ad esempio: «Cosi, si converrà facilmente
che, senza il ricorso al paragone del “corpo di Cristo” applicato alla comunità
dei discepoli di Gesù, è assolutamente impossibile cogliere la realtà della
Chiesa. Le lettere di san Paolo, nel loro insieme, sviluppano, infatti, quel
paragone in varie direzioni, come nota la stessa Lumen gentium al n. 7. Tuttavia, benché ponga in giusto rilievo
l’immagine della Chiesa “corpo di Cristo”, il
concilio dà maggior risalto a quella di “popolo di Dio”, non fosse altro
che per il fatto che esso dà il titolo al capitolo II della stessa
costituzione. Anzi, l’espressione “popolo di Dio”, ha finito per designare
l’ecclesiologia conciliare. Difatti, possiamo
asserire che si è preferito “popolo di Dio” alle altre espressioni, cui il
concilio ricorre per esprimere il medesimo mistero, quali “corpo di Cristo”
o “tempio dello Spirito santo”» (Commissione
Teologica Internazionale, Temi
scelti di ecclesiologia, 1985, 2.1:
EV 9, 1683. Le sottolineature sono mie).
[8] Congregazione
per la dottrina della fede, Alcuni
aspetti della Chiesa intesa come comunione.
Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica, Paoline, Milano 1992, n. 1,
p. 3.
[9] Pertinente e documentata ci sembra
l'affermazione di Dianich, quando afferma che quello della comunicazione è un
tema teologico. L'autore capovolge così la posizione di W. Bartholomäus, «La comunicazione nella
Chiesa. Aspetti di un tema teologico», in Concilium
14 (1978/1) 165-187. Cf. S. Dianich,
«Teorie della comunicazione ed ecclesiologia», in Associazione Teologica Italiana, L'ecclesiologia contemporanea, Messaggero, Padova 1994, 134-178.
[10]È l'opinione sentita a
Lovanio, al congresso internazionale di teologia del 1976. Cf. ciò che scrive
P. Franzen, «La comunione ecclesiale principio di vita», in G. ALBERIGO, L'ecclesiologia del Vaticano II.
Dinamismi e prospettive, Dehoniane, Bologna 1981, 172.
[11]Congregazione
per la dottrina della fede, Alcuni aspetti della Chiesa...,
cit., n. 9, p. 8.
[12] Cf. P.FRANZEN,
«La comunione...», cit., 179.
[13] Cf., a riguardo, S. Dianich, Chiesa
estroversa. Una ricerca sulla svolta dell’ecclesiologia contemporanea,
Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987; S.
Dianich - E. R. Tura, Vent’anni di Concilio Vaticano II.
Contributi sulla sua recezione in Italia, Borla, Roma 1985; G. Alberigo - J. P. Jossua, Il Vaticano II e la Chiesa, Paideia, Brescia 1985; G. Alberigo et al. L’ecclesiologia
del Vaticano II. Dinamismi e prospettive, EDB, Bologna 1981
[14] Cf. Salmo 115: «Gli idoli delle genti sono
argento e oro / opera delle mani dell’uomo. / Hanno bocca e non parlano, /
hanno occhi e non vedono, / hanno orecchi e non odono, / hanno narici e non
odorano. / Hanno mani e non palpano, / hanno piedi e non camminano; / dalla
gola non emettono suoni» (Sal 115, 4-7). Così è anche talora nei profeti, come
in Isaia (Is 44, 9ss. 18-20: stoltezza dei fabbricanti degli idoli e cecità di
cuore) e in Geremia sprezzante verso gli idoli che spaventano le genti: «...
sono come uno spauracchio / in un campo di cocomeri, / non sanno parlare, /
bisogna portarli, perché non camminano. Non temeteli, perché non fanno alcun
male, / come non è loro potere fare il bene» (Ger 10,5).
[15] «…Poiché ciò che di Dio si può conoscere è
loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato» (Rm 1,19).
[16] Cf. L. ARTISAS, “Teologia della religione”, in
La Scienza della religione oggi, LAS,
Roma, 198l, 256.
[17] Cf., ad esempio: «Alla fine dei giorni, il
monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei
colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno:
"Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri".
Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore» (Is 2,
2-3).
[18] Così anche in Isaia: «In quel giorno ci sarà
una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano
in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel
giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo
alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: "Benedetto sia
l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia
eredità"» (Is 19, 23-25).
[19] «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa
preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque
popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai
figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo,
che è il Signore di tutti"» (At 10,34-36).
[20] Cf. anche «se sapete che egli è giusto,
sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è nato da lui» (1Gv 2,29) e il
racconto del giudizio finale, nel quale il Re accoglie e benedice quanti, pur
non conoscendolo, lo hanno servito nel fratello affamato e assetato, forestiero
e nudo, malato e carcerato (Mt 25,31-46).
[21]Cf. G. MAZZILLO, Gesù e la sua prassi di pace, La
Meridiana, Molfetta 1990, 39-41.
[22]Si veda, ad esempio, Mt
15,28: «Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande la tua fede! Ti sia
fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita»; Mt
11,21-22 «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché se a Tiro e a Sidone
fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da
tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io
ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura
della vostra» e Mt 8,10-11 (=Lc 7,9): (vedendo la fede del centurione, Gesù
disse:) «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così
grande». Ed ancora: «Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e
dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei
cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà
pianto e stridore di denti» (Mt 8,11-12 = Lc 13,28-29).
[23] Cf. la risposta al profeta Giona, deluso per
la non avvenuta distruzione di Ninive: «Tu ti dai pena per quella pianta di
ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare,
che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver
pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila
persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una
grande quantità di animali» (Gn 4,10-11).
[24]Cf. L. ARTIGAS, Teologia della religione, cit. 81, 257 e
passim. Per un aggiornamento su questo argomento cf. G. BOF, “La dottrina sui
"semi del Verbo": origine e
sviluppi”, in Credereoggi 9 (1989/6)
[25]G. THILLS, Religioni e Cristianesimo, Assisi, 1970,
37.
[26]Summa Th. II-II, q 10 ad 11, dove si affronta il problema se siano da tollerare
i riti degli infedeli.
[27]Summa Th. II-II, q
[28]Sono idee espresse da N.
Cusano nel De pace fidei.
[29]LG 17, EV/1 327.
[30] [Il mistero pasquale della salvezza] «non vale
solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel
cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo infatti è morto per tutti e
la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò
dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a
contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale» (GS 22, EV /1 1389).
[31] Jesus 8 (1986/10) 9.
Sull'argomento lo stesso teologo è ritornato con sistematicità in L. SARTORI, L'unità della Chiesa. Un dibattito e un
progetto, Queriniana, Brescia 1989, cf. particolarmente pp. 26-38.
[32] Così si rendono anche ben comprensibili e
concretamente realizzabili le espressioni che si trovano in un interessante
documento del 1979 dei Vescovi dell’Africa del Nord, che vivono in un contesto
prevalentemente musulmano: «Il Regno di Dio non si realizza soltanto là dove
gli uomini ricevono il battesimo. Tale regno avviene dovunque l’uomo è
impegnato nella sua autentica vocazione, dovunque è amato, dovunque crea delle
comunità nelle quali si impara ad amare: famiglie, associazioni, nazioni.
Avviene dovunque il povero è trattato come un uomo, dovunque gli avversari si
riconciliano, dovunque la giustizia viene sviluppata, dove la pace prende
piede, dove la verità, la bellezza e il bene fanno crescere l’uomo» (Citato da
M. D. Chenu in Jesus, cit., 4).
[33] Cf. Syllabus
di Pio IX (1864) con la condanna dell’indifferentismo religioso: «[15] (Si
condannano le affermazioni che ritengono:) Ogni uomo ha la libertà di
abbracciare e coltivare quella religione che egli ritiene vera, perché
condottovi del lume della ragione. [16] Gli uomini possono raggiungere la via
della salvezza eterna e la salvezza eterna nel culto di qualsivoglia religione»
[H. DENZINGER - A. SCHÖNMETZER, Enchiridion
symbolorum definitiomum et declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Freiburg i. B., 1965 (36.a),
numeri (della nuova numerazione) 2915-2916]
[34]Sulla presenza della Grazia
anche tra i pagani e gli appartenenti ad altre religioni cf., ad es., DS 2305,
2429 (contro il Giansenismo); 3014 (Vat. I: “Dio aiuta e spinge con la sua
grazia anche gli erranti”).
[35]DS 2866 e l'allocuzione Singulari quodam (1954) (PII IX Acta 1/I, 626): cf. DS, pp.
570-571).
[36]Cf. n.
[37]NA
2, EV/1 856.
[38] «Gli uomini scrutano il mistero divino e lo
esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi
della filosofia; essi cercano la liberazione dalla angosce della nostra condizione
sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel
rifugio in Dio con amore e confidenza».
[39] Si afferma che in esso «viene riconosciuta la
radicale insufficienza di questo mondo materiale e si insegna una via, per la quale
gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato
di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per
mezzo dei propri sforzi e con l’aiuto venuto dall’alto».
[40]LG 16, EV/1 326.
[41] LG 14, EV/1
322.
[42] LG 14, EV/1
323.
[43]«Gli uomini, quindi, non
possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione
dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di
ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò
Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario
tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da
quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari» (EV/12 562).
[44]L'enciclica sulla missione
condensa questo pensiero ribadendo due fondamentali principi: «La mediazione
della Chiesa è da intendere, in maniera derivata, come applicazione storica
della mediazione di Cristo. Nel senso che la salvezza è sempre possibile anche
al di fuori dell'appartenenza esplicita istituzionale alla Chiesa, e tuttavia,
giacché ogni salvezza passa attraverso Cristo e dal momento che la Chiesa ne
costituisce la mediazione storicamente efficace, ogni salvezza passa - sebbene
misteriosamente - anche attraverso il sacramento universale della salvezza
voluta da Cristo» (EV/12 568).
[45]LG 9:
EV/1 309.
[46] Redemptoris Missio, n. 20, EV
/9, 583-584 : <<Ci
sono, poi, concezioni che di proposito pongono l'accento sul Regno e si
qualificano come «regno-centriche», le quali dànno risalto all'immagine di una
Chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a testimoniare e a
servire il Regno. [...] Da un lato, promuovere i cosiddetti «valori del Regno»,
quali la pace, la giustizia, la libertà, la fraternità; dall'altro, favorire il
dialogo fra i popoli, le culture, le religioni, affinché in un vicendevole
arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare sempre più verso il
Regno. Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di
negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il Regno, di cui parlano,
si fonda su un «teocentrismo», perché - dicono - Cristo non può essere compreso
da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si
possono ritrovare nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo
stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette
nella diversità delle culture e credenze, ma tacciono sul mistero della
redenzione. Inoltre, il Regno, quale essi lo intendono, finisce con
l'emarginare o sottovalutare la Chiesa, per reazione a un supposto
«ecclesiocentrismo» del passato e perché considerano la Chiesa stessa solo un
segno, non privo peraltro di ambiguità>>.
[47] Cf. soprattutto cap. III.
[48] «Lo Spirito si manifesta in maniera
particolare nella Chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione
sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. Il concilio Vaticano II
ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo mediante i “semi del
Verbo”, nelle iniziative anche religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi
alla verità, al bene, a Dio. Lo Spirito offre all'uomo “luce e forza per
rispondere alla suprema sua vocazione”; mediante lo Spirito “l'uomo può
arrivare nella fede a contemplare e gustare il mistero del piano divino”» (Ivi, n. 28: EV/9, 604).
[49] Ivi,
605.
[50]Commissione
Teologica Internazionale, «Il cristianesimo e le religioni», in Il Regno-Documenti 42 (1997/3) 75-89, qui 77 (punto I.4). L’ultima
precisazione fa riferimento al testo Pontificio
consiglio per il dialogo interreligioso e Congregazione per l’evangelizzazione
dei popoli, Dialogo e annuncio,
n. 27.
[51]Riprendiamo questa
precisazione, facendo tesoro di quanto asserito anche dalla «teologia del processo».
In particolare J. Cobb, ha enunciato la relazione tra le vie delle religioni e
la Via che è Cristo, insistendo soprattutto sull’atteggiamento spirituale di
chi non ha paura del nuovo, ma sa leggerlo nella luce di Cristo: «Come
alternativa a queste proposte io propongo la via della trasformazione creativa,
cioè La Via che è Cristo. Ciò che voglio mettere in evidenza è che seguire
questa Via non significa affidarsi ad un corpo stabilito di credenze,
atteggiamenti e azioni. La fede cristiana è fiducia nella via anche se non
sappiamo capire dove essa conduce. La fede cristiana è la volontà di
abbandonare la sicurezza di modelli stabiliti per affrontare nuove
provocazioni. Credenze estranee, con i loro atteggiamenti e le loro pratiche,
che hanno una qualche apparenza ali verità e di virtù, sono le più importanti
tra queste provocazioni» [J. Cobb, «Il
cristianesimo è una religione?», in «Concilium» 16 (1980/6) 955-971, qui 968].
[52] Cf., tra l’altro, GS n. 22 EV/1 1385-1390 e Redemptoris missio, n. 6 EV/12,
564.