Giovanni Mazzillo <info autore> | home page: www.puntopace.net
Convegno “Per una società più
giusta. Globalizzare per umanizzare”
- Maratea 28-31/10/03
G.
Mazzillo Introduzione al Gruppo di lavoro “Globalizzazione e fede” -
“Tutti gli uomini sono l’immagine di Dio” (Giovanni XXIII)
L’obiettivo
del mio intervento è di esplicitare che solo se la fede è autenticamente fede (e non fideismo, fondamentalismo
e simili) può condurre a una società
più giusta, perché
solo allora evita le storture e l’intolleranza, la demonizzazione dell’altro
(degli altri) e la sua potenziale e talora reale distruzione del diverso (dei
diversi). Per ciò che ci riguarda non è cristiana e nemmeno “mossa dall’autentica fede” la
concezione che esclude i diversi. È cristiana, invece, e mossa realmente
dalla fede quella che arriva a ciò che, soprattutto da don Tonino Bello in poi,
è stato chiamato “convivialità
delle differenze”[1].
Tutto
ciò richiede innanzi tutto un passaggio
dall'ostilità verso l’altro come diverso alla metanoia come ininterrotta riscoperta di Dio e della sua novità,
della sua “Alterità”. Un passaggio che comporta anche altri momenti
che qui non posso fare altro che menzionare e che considero ugualmente
importanti come il passaggio dalla pretesa di imporre fardelli sulle spalle
degli altri all'assunzione di un impegno per la liberazione degli oppressi; il
passaggio dalla accentuazione della propria identità alla scoperta della
creaturalità universale come corresponsabilità per il futuro del mondo.
Tralasciando questi aspetti che ho approfondito altrove[2],
mi soffermo qui sul più generale e fondamentale processo che deve farci passare
dall'ostilità al diverso alla metanoia
come continua risposta al Dio dell'amore, perché è proprio questo che rende
possibile l’umanizzazione
come globalizzazione degli effetti della universale creaturalità, che considera
ogni uomo, tutti gli uomini, nessuno escluso, come immagine di Dio e pertanto
suoi figli. Cercheremo di arrivarci attraverso tre punti:
1) Il superamento della religione come reale o potenziale oppressione;
2) La fede come richiesta di perdono in quanto continuo ritorno alla
conversione; 3) Un comune impegno perché ogni religione sia strumento di pace e
non di violenza.
Parto
da un fatto storico
recentemente affiorato in un libro che ricostruisce circa mille anni di storia
nella terra del Mercurion da cui
provengo[3].
A Tortora il 31 luglio del 1709 moriva nella prigione baronale, ritengo, di
crepacuore e al seguito dei maltrattamenti subiti, Dianora Laico, incarcerata con la figlia
Caterina per disposizione del tribunale ecclesiastico di Cassano allo Jonio con l'accusa di
stregoneria[4].
È un fatto che suscita una forte emozione e un'immediata reazione di sgomento
critico, ancora più accentuate quando si sa che tutto ciò è accaduto nella
stessa terra nella quale e si è nati e si vive. Un fatto che testimonia che
ancora agli inizi del 1700 l'inquisizione
era all'opera e povere donne potevano essere incarcerate e processate in nome
della fede e con la motivazione della difesa della fede. Non è che un
caso di abuso della religione e della fede, anche se si tratta della nostra
fede, che si aggiunge, purtroppo ai tanti altri di natura simile. Gli stessi
che, in occasione dell’attentato dell’11 settembre, hanno fatto scrivere a J.
Saramago:
«Di
qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto degli esseri umani morti nei peggiori modi
che degli esseri umani potessero inventare. Uno di questi, il più
criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è
quello che, dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere in nome di Dio»[5].
È
sempre utile domandarsi
come ciò sia potuto accadere e per giunta in una comprensione della fede
che parte dall'amore come valore fondamentale, tanto da accogliere il dato
primario della rivelazione partendo dall'amore (dall'amore dell'altro come amore
di Dio e partendo dal presupposto che Dio stesso è l'amore). È utile intanto
per chiedere perdono e ciò va fatto, perché, se è vero che non siamo stati
materialmente noi a compiere simili misfatti, essi sono stati peccati della
Chiesa della quale facciamo parte, come attesta la dottrina della communio
sanctorum.
Va
fatto per crescere nella stessa fede, cogliendone e insegnando alle nuove generazione a cogliere
più organicamente e
direttamente il suo inscindibile rapporto con la carità, senza della
quale la fede corre sempre il rischio di diventare coercizione e potere sulle
coscienze altrui e persino sulla vita altrui (la storia della Chiesa insegna,
oltre all'11 settembre). È questo il passaggio che indichiamo come conversione in quanto superamento della
tentazione del potere e del teocentrismo come capofila di atteggiamenti
assolutistici e arbitrari in nome dell'Assoluto. Dalla mia parte, sono
grato allo stesso Assoluto, a Dio, che ha fatto comprendere alla comunità alla
quale appartengo che l'Assoluto richiede il radicale rispetto della coscienza e
della libertà religiosa degli altri. Qui non si può tergiversare, ma si deve
dire con chiarezza che atteggiamenti e fatti storici contrari a tale rispetto
sono e sono stati aberranti, sono e sono stati contrari alla stessa volontà di
Dio. Riguardano l’ostilità verso gli ebrei, la persecuzione fino
all'eliminazione degli eretici, i processi alle streghe, le conversioni forzate
di intere popolazioni, la sottomissione dei pagani e dei Saraceni, le crociate.
2) La fede come richiesta di perdono in quanto continuo
ritorno alla conversione
Se
occorre lasciare agli altri, come faccio, le analisi strettamente storiche, ciò
non significa tacere su
errori teologici veri e propri oggettivamente commessi in nome della fede,
quand'anche intenzionalmente si fosse voluta salvaguardare. A questo riguardo
basterà ricordare che la bolla
Exurge Domine di Leone X,
contro gli errori dottrinali di Lutero, toccava anche una sua affermazione oggi
condivisibile e condivisa: «È contro la volontà dello Spirito che gli eretici
siano bruciati»[6].
In
realtà, tanto bruciare gli eretici quanto trattare gli altri come nemici di Dio
sono formulazioni
dottrinali cristianamente insostenibili. Sono insostenibili anche in qualsiasi
altra “religione” che sappia cogliere il rispetto dell’altro, il
rispetto della diversità o almeno il rispetto della vita, come dato
fondamentale della fede. In questo senso la richiesta di perdono di Giovanni
Paolo II in materia non è un fatto liturgico o pastorale, ma espressione di un
processo dottrinale. Così come ha la sua massima importanza
Il
cosiddetto Decalogo di
Assisi per la pace,
datato 24 gennaio 2002, ha sullo sfondo tale idea delle religioni
come strumento d’amore e non di odio e si articola in questi dieci punti:
"1.
Ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la
violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso e, condannando
qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della
religione, ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del
terrorismo.
2.
Ci impegniamo a educare le
persone al rispetto e alla stima reciproci, affinché si possa giungere a
una coesistenza pacifica e solidale fra i membri di etnie, di culture e di
religioni diverse.
3.
Ci impegniamo a promuovere
la cultura del dialogo, affinché si sviluppino la comprensione e la
fiducia reciproche fra gli individui e fra i popoli, poiché tali sono le
condizioni di una pace autentica.
4.
Ci impegniamo a difendere
il diritto di ogni persona umana a condurre un'esistenza degna, conforme
alla sua identità culturale, e a fondare liberamente una propria famiglia.
5.
Ci impegniamo a dialogare
con sincerità e pazienza, non considerando ciò che ci separa come un muro
insormontabile, ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità
degli altri può diventare un'occasione di maggiore comprensione
reciproca.
6.
Ci impegniamo a perdonarci
reciprocamente gli errori e i pregiudizi del passato e del presente, e a
sostenerci nello sforzo comune per vincere l'egoismo e l'abuso, l'odio e la
violenza, e per imparare dal passato che la pace senza la giustizia non è una
pace vera.
7.
Ci impegniamo a stare
accanto a quanti soffrono per la miseria e l'abbandono, facendoci voce di quanti
non hanno voce e operando concretamente per superare simili situazioni,
convinti che nessuno possa essere felice da solo.
8.
Ci impegniamo a fare nostro
il grido di quanti non si rassegnano alla violenza e al male, e
desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all'umanità del nostro
tempo una reale speranza di giustizia e di pace.
9.
Ci impegniamo a incoraggiare
qualsiasi iniziativa che promuova l'amicizia fra i popoli, convinti che,
se manca un'intesa solida fra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo
a crescenti rischi di distruzione e di morte.
10. Ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia. [Testo ripreso da Internet, www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/2002/documents/hf_jp-ii_let_20020304_capi-stato_it.html]
Tutto
ciò è certamente agli
antipodi di quanto troviamo nella bolla
papale di Niccolò V al re Alfonso V re del Portogallo.
Era l'anno 1452 e quel testo, tra l'altro, recitava:
«La principale ansia che ci portiamo nel cuore è che i
nemici del nome cristiano dovrebbero essere repressi e soggiogati alla religione
cristiana, poiché nella loro furia violenta essi sono sempre ostili ai
fedeli di Cristo e disprezzano la fede ortodossa. Perciò in nome dell'autorità apostolica e sulla base di questa
lettera noi vi concediamo: la piena e libera facoltà di catturare e soggiogare
saraceni e pagani e altri infedeli e nemici di Cristo dovunque si trovino; di
invadere e conquistare i loro regni, paesi, principati e altri domini, terre,
luoghi, villaggi, campi e possessi; di prendere possesso di ogni bene vi
si trovi, sia mobile sia immobile, che sia posseduto da questi stessi saraceni,
pagani, infedeli e nemici di Cristo; di ridurre in schiavitù i loro abitanti; di appropriarvi perpetuamente
per voi e i vostri successori, i re del Portogallo, dei reami, dei ducati, dei
paesi, dei principati e altri domini, possessi e beni di questa sorte,
convertendoli al vostro uso e utilità e a quella dei vostri successori».
Le richieste di perdono per i peccati di
intolleranza di Giovanni Paolo II nel contesto dell’anno giubilare del 2000 e delle
sue visite in Palestina[7],
in Grecia[8],
e successivamente in Siria, sono di fatto vere prese di posizione contro un modo
erroneo e antievangelico di intendere la fede. Testimoniano che è possibile passare dal processo
al diverso alla metanoia, conversione,
come un andare oltre la propria nous (mente) umana e pertanto ritornare al Dio dell'amore, al Dio
che è Amore, riscoprendo non solo la sua tolleranza, ma il suo rispetto
della libertà, la sua misericordia, la sua tenerezza per gli uomini.
Ciò
dimostra anche tutti i limiti di quella posizione apologetica, e spesso
strumentale, di alcuni storici della stessa chiesa, che sostengono
un'incensurabilità non della storia, ma degli uomini di Chiesa dell’epoca,
che invece sarebbero giudicati con la «sensibilità» del presente. Non sono
d'accordo, perché ciò che qui è in gioco non è la sensibilità, ma veri
e propri principi etici ed evangelici ugualmente validi nel passato come
nel presente. E che essi fossero ben
vivi anche nel passato lo dimostrano gli esempi di santi e di uomini
spiritualmente liberi, che si sono opposti nel medioevo e nei secoli successivi
a quei comportamenti oggettivamente riprovevoli.
Si
pensi solo ad alcuni esempi noti, come quello di Francesco d’Assisi, ma anche dell’abate Gioacchino
da Fiore che a quell'epoca si sono pronunciati contro le crociate. Sulla
stessa scia, nella successiva epoca della conquista delle Americhe, alcuni si
sono opposti ai metodi di evangelizzazione forzata e alle forme di violenza
praticate sugli indigeni. Tra questi brilla la figura di Bartolomeo de las Casas, ma è meno conosciuto il
frate minino Bernardo Boyl,
ritiratosi dall’America, per una crisi di coscienza, appena si rese conto che
i metodi di evangelizzazione forzata e gli atti di violenza verso gli indigeni
erano contrari al Vangelo. Bernardo Boyl ne fece rapporto anche ai sovrani che
finanziavano le spedizioni. La bolla di Alessandro VI Piis Fidelium, del 25-6-1643 indirizzata a Bernardo Boyl,
dell’ordine dei Minimi, vicario dell’ordine per la Spagna, lo aveva inviato
a «predicare e seminare la parola di Dio» tra gli indigeni delle nuove terre,
ma dopo pochi mesi dal suo arrivo (con la seconda spedizione di Colombo), Boyl
fece presenti le difficoltà incontrate in una sua prima lettera al Re di
Spagna, pregandolo di poter tornare in patria. In realtà erano già emersi i
suoi contrasti con il Vicerè e con il governatore, tanto da comminarsi
reciprocamente alcune pene (l’interdetto da parte del religioso, il tagliargli
i viveri da parte di Colombo). Il rientro in Spagna avvenne con D. Pedro
Margarit, anche «per poter relazionare, a viva voce, la brutta piega che stava
prendendo la conquista di quelle terre e per evitare ulteriori mali a quelle
popolazioni»[9].
Tenendo
conto anche di questi fatti storici, le comunità cristiane devono trarre
insegnamento per il presente e per il futuro. In un'autentica ricerca di
reciproca conoscenza, molti pregiudizi possono realmente cadere e gli animi di
tutti diventare più miti, nonviolenti e quindi disarmati.
A
queste condizioni, noi
cristiani possiamo e dobbiamo, proprio in qualità di "credenti" nel
Dio che è Amore, non ritenere gli appartenenti alle altre religioni temibili
concorrenti, o, peggio ancora, pericolosi nemici di Dio e propri nemici.
In questo senso, dobbiamo realisticamente ricondurre le vicende di intolleranza,
di violenza e di odio etnico e religioso a quei sedicenti religiosi, spesso
marginali e fondamentalisti, che seppure facciano scalpore, ciò avviene a
motivo della grande risonanza che ottengono dai mezzi di comunicazione di massa.
Essi non costituiscono però la maggioranza dei credenti. Al contrario, per
tutti costoro, come per la propria religione d’appartenenza, sono un vero
danno e una contro-testimonianza. Mostrandosi
ostili agli uomini, ai diversi da loro, mostrano una falsa immagine di Dio: un
Dio nemico e non amico dell'uomo, un Assoluto che è fonte di assolutismo e non
colui che è l'Amore assoluto. Dio finisce con l'essere identificato con
un Dio violento e intollerante, appare nemico degli uomini ed è pertanto
rifiutato.
De
deriva per tutti l'impegno alla conoscenza della religione altrui, a partire dai
valori dei quali essa si fa promotrice. È il primo passo per entrare in
dialogo, al fine di condividere un
comune impegno, che ritengo essenziale ad ogni religione: recare sollievo agli
uomini, soprattutto a coloro che soffrono miseria e privazione, oppressione e
violazione dei loro fondamentali diritti di persone umane. Mi sembra questa la
via, perché le religioni diventino strumenti di pace e non di tensione; di
convivenza pacifica e non di violenza e di guerra. È di particolare importanza,
in questa direzione, la dichiarazione che ad Assisi è stata sottoscritta, oltre
che dal papa, anche dai rappresentanti delle religioni più conosciute e diffuse
nel mondo.
3) Un comune impegno perché ogni religione sia strumento di pace e non
di violenza
Ne
deriva un programma di
formazione tutto proteso a globalizzare una fede rispettosa dell’uomo e della
diversità, dando un riscontro effettivo all'impegno sottoscritto a
favore di quanti «soffrono per la miseria e l'abbandono, facendoci voce di
quanti non hanno voce e operando concretamente per superare simili situazioni,
convinti che nessuno possa essere felice da solo».
Si
ritrova in simili testi lo stesso afflato spirituale presente nel libro della Sapienza:
«Hai
compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini,
in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla
disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti
neppure creata... Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore,
amante della vita» (Sap 11,23-26).
Ciò
corrisponde, nel giudaismo-cristianesimo ai progetti
di pace pensati da Dio per il popolo e riportati dal profeta Geremia. Essi
valgono per l'intera umanità:
«Io
conosco i progetti fatti a vostro riguardo... progetti di pace e non di
sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).
È
una pace che Gesù realizza come artefice di pace e come la pace stessa in
quanto tale, già secondo Michea (Mi 5,4 Is 9,5). Cantata sulla terra nella sua
nascita, essa corrisponde alla gloria di Dio nei cieli (Lc 2,14). Sarà
proclamata nel discorso della Montagna: «beati i costruttori di pace, perché
saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Sarà data ai discepoli e affidata al
loro agire e alla loro predicazione nella sera di Pasqua:
«Gesù
disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io
mando voi"» (Gv 20,21).
La
pace non può essere disattesa dal popolo di Dio. Non può essere trascurata
come annuncio e come prassi dalle confessioni cristiane. Proprio esse aderiscono
alla rivelazione che Dio è amore. Personalmente, ritengo che ciò sia paradigma e punto di partenza per alcune
puntualizzazioni sulla religione e sull'immagine di Dio. Le riprendo in forma di
tesi:
1)
Dio non vuole la sopraffazione di nessuno, nemmeno in nome della religione. Se
qualche religione uccide in nome di Dio non è una "vera" religione;
è religione in stato depravato, rovinata dall'intervento dell'uomo, non essendo
più uno strumento di congiungimento tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo e tra
questi e la natura, ma piuttosto uno strumento di dominio, di violenza, di
morte;
2)
Se qualcuno crede di uccidere o di opprimere in nome di Dio e a motivo di Dio,
si è già allontanato da lui; non resta che la conversione come via maestra per
ritornare alla fede;
3) Ritornare a Dio attraverso la religione significa
convertirsi alla nonviolenza come strada maestra ed espressione trasparente
dell'amore, quell'amore senza del quale Dio non è. Dio o è amore o non esiste.
[2] Cf. in particolar modo, G. Mazzillo, «Rivelazione, comunicazione e irreversibilità dell'amore in un contesto di dialogo interreligioso», in Vivarium 9 ns (2001) 43-62 e Id., «Nuove prospettive nel dialogo tra cristianesimo e religioni?», in Rivista di Scienze Religiose 13 (2000) 191-225.
[3] Cf. G. Celico, Santi e briganti del Mercurion, Editur Calabria, Diamante (CS) 2002. Cf. la mia presentazione in www.puntopace.net/Mazzillo/SantiEBriganti.htm.
[4] Cf. G. Celico, Santi e briganti…, cit., 69.
[5] J. Saramago, "Uccidere in nome di Dio", in La Repubblica (20 settembre 2001), testo da Internet senza indicazione di pagina.
[6] H. Denzinger, Enchiridion, cit., 1483-1484.
[7] Cf. anche la confessione dei peccati in «Terra Santa» da parte di Paolo VI già nel 1964 e per una sintetica ricostruzione del processo di conversione Il Regno-Documenti 45 (2000/7) 223-230. Il numero precedente, il 6, riporta integralmente il testo della Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione, del 7/03/2000, (ivi, 137-152), mentre il successivo, il 7, riferisce sulla liturgia penitenziale del 12 marzo con la confessione delle colpe e la richiesta di perdono, tra l'altro per le crociate e l'Inquisizione, altrove citate esplicitamente e «qui omesse all'ultimo momento, per non irritare ulteriormente più di un esponente di curia, contrario in particolare ad annoverare le crociate nella richiesta di perdono» (Il regno (2000/6), cit., 146; 3) i peccati contro l'unità del corpo di Cristo; 4) le colpe riguardanti Israele; 5) le colpe commesse contro valori fondamentali quali l'amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni, comprese le conversioni forzate e il maltrattamento degli immigrati e degli zingari; 6) i peccati in rapporto alla dignità della donna e all'unità del genere umano, con riferimento a discriminazioni, offese contro la dignità e conseguente violazione dei diritti altrui; 7) i peccati relativi ai diritti fondamentali della persona, con la menzione dei poveri, nei quali tante volte i cristiani non hanno riconosciuto Cristo.
[8] «Per le occasioni passate e presenti, nelle quali figli e figlie della Chiesa cattolica hanno peccato con azioni o omissioni contro i loro fratelli e loro sorelle ortodossi, che il Signore ci conceda il perdono che imploriamo da Lui! Alcuni ricordi sono particolarmente dolorosi e alcuni eventi del lontano passato hanno lasciato ferite profonde nella mente e nel cuore delle persone di oggi. Penso al saccheggio disastroso della città imperiale di Costantinopoli che è stata per tanto tempo bastione del cristianesimo in Oriente. E' tragico che i saccheggiatori che avevano stabilito di garantire ai cristiani libero accesso alla Terra Santa, si siano poi rivoltati contro i propri fratelli nella fede. Il fatto che fossero cristiani latini riempie i cattolici di profondo rincrescimento» (Dal Discorso di Giovanni Paolo II a sua beatitudine Christodoulos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, venerdì, 4 maggio 2001.
Testo attinto al sito www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/2001/documents.htm).
[9] Cf. Bollettino Ufficiale dell’Ordine dei Minimi 38 (1992) n. 1-4, pag. 100. Ovviamente Boyl venne al più presto rimpiazzato, con la comunicazione al Papa, da parte del re di Spagna, che il suo rientro era stato causato da motivi di salute. Il Bollettino dell’Ordine dei Minimi 47 (1999) n. 1-4, ritorna sulla figura del religioso con uno studio di Fr. J. M. Prunés, o.m., alle pp. 105-129, dal titolo «Bernard Boil primo delegado apostolico nel nuovo mondo. Datos, interrogantes y documentos olvidados».