Giovanni Mazzillo <info autore> | home page: www.puntopace.net
Premessa
Il mio
contributo intende negareribadire, dimostrandone le ragioni, la totale qualsiasi illegittimità morale e giuridica e morale alla della cosiddetta guerra
preventiva. Cercando di guardare,
oltre le coperture ideologiche,
ai motivi reali delle guerre, cercherò di ricostruire nella storia della
teologia l’idea della legittima difesa personale e per estensione quella della
guerra difensiva, per indicare la sua inapplicabilità alla situazione
strategico-militare contemporanea. In alternativa, mostrerò la via della
resistenza nonviolenta come via nuova prevista anche dallo stesso in insegnamento
morale del Magistero cattolico. Terminerò con un riferimento a un’opzione
fondamentale: quella per un mondo più giusto senza guerre in alternativa all’opzione a scelta pratica consumata dai
tanti, per un mondo sempre più ingiusto con le guerre. Tre punti: 1) Difendersi e difendere non
implica necessariamente l’uso della violenza; 2) Il punto d’arrivo: la
guerra preventiva nasce dal mito del neoliberismo; 3) Scegliere un mondo di pace e non un
mondo di guerra.
1) Difendersi e difendere non implica necessariamente
l’uso della violenza
Il contributo a me richiesto mi costringe obbliga di ad andare indietro nel tempo, per affrontare
una approccio alla guerra di stampo tradizionale, la cosiddetta “guerra giusta”
(più esattamente “guerra di difesa”) o
guerra come estrema soluzione, cui fanno riferimento la Carta
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale e, sebbene
in maniera oggi profondamente
problematica, anche alcuni documenti
del Magistero cattolico. Dico subito
che è una posizione di fatto non più rispondente alle attuali situazioni e
condizioni in cui avviene una “guerra moderna”. Nel passato la sua concezione
rispondeva ad alcuni criteri e nasceva in un contesto complessivo certamente
diverso dal liberismo quasi totale
in cui viviamoe della
globalizzazione
oggi. Tuttavia era anch’essa il frutto di una concezione della vita e del
mondo. Questa giustificava quella e non viceversa. In ogni caso, implicava
anche sia un
particolare concetto difesa sia e dei mezzi per conseguirliconseguirla.
Partendo daIn tempi
a noi più vicini, la ferocia, la devastazione e l’inutilità della guerra sono
state denunciate in interventi papali e magisteriali, a partire da Papa
Benedetto XV e sono molto espliciti. Definita da questo papa «un´inutile
strage», la guerra non trova di fatto oggi nel magistero cattolico sostenitori
che la difendono. Richiamando Giovanni Paolo II, che l’ha definita «il mezzo
più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti», il Catechismo degli
adulti della CEI scrive sulla guerra:
«Il
mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri
mezzi, come la trattativa e l'arbitrato internazionale. Si dovrebbe togliere ai
singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è
stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie» (n. 1037).
Come si noterà si usa il condizionale, non perché non sia sufficientemente
convinti sul piano ideale, ma per l’oggettiva difficoltà di recepire tali
indicazioni da parte dei soggetti politici, che sono poi, in definitiva, quelli
che dichiarano le guerre.
Ma proprio la considerazione di ciò comporta provoca nel magistero una
doppia linea. Questo, da un lato,Da un lato, si dichiara l’adesione a una teologia della pace,
fondata sul Vangelo. Anche Iil testo considerato afferma infatti:
«Agli
occhi del cristiano la guerra contraddice il disegno di Dio sulla storia, la
sua iniziativa di riconciliazione in Cristo, “nostra pace” (Ef 2,14). Non c’è
conquista che possa giustificarla. La pace è preferibile alla vittoria» (ivi).;
DDall’altro lato,a, lo stesso magistero si assiste ancora al non
riesce a superare totalmente superamento idel principio della
guerra dedotto dalla legittima difesa, che «non si può negare» ai popoli come
ai «singoli uomini». Tuttavia almeno per ciò che riguarda i più recenti
pronunciamenti e lo stesso catechismo Catechismo degli adulti ciò della CEI costituisce anche un
progresso rispetto al Catechismo della Chiesa Cattolica, da cui è riprende l’idea della guerra
difensiva come un diritto che non si può negare ai popoli[1]. Ciononostante si afferma:
«Oggi
la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto
armato diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere
nell’opinione pubblica il ricorso a
forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti
a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di
polizia internazionale» (n. 1038).
Mentre annotiamo positivamente l’appello a favorire il
ricorso alla legittima difesa attraverso forme nonviolente, dobbiamo chiederci
da dove derivi
venga la
legittimazione della guerra, sebbene anche solo ammessa come diritto dei popoli
a difendersi. Come già accennato, deriva dalla legittima difesa del singolo.
Pensando ai regni e ai principati, prima ancora che esistessero le nazioni, la
difesa riguardava le aggressioni esterne di altri popoli in cerca di spazi
vitali, di bottini, di espansione politica. Si argomentava: come il singolo ha il diritto di difendersi
anche colpendo l’altro, quando non sia possibile fermarlo diversamente, così un popolo a nazione ha diritto di
difendersi anche colpendo il
popolo aggressore l’altra, quando non sia
possibile un’altra soluzione.
In ambito
civile, lLa legittima difesa è tuttora
invocata, soprattutto per il singolo, ma per estensione, anche per le entità
collettive. Bisogna però dire
che spesso però che essa si confonde spesso il
piano giuridico con quello etico, ritenendo morale ciò che è sanzionato dalla
legge, ma non viceversa. Ora, proprio questa grossolana e ancora insuperata
confusione è all’origine di molti malintesi. Infatti alla luce di una
valutazione etica non superficiale, né emotiva, proprio la difesa non può però essere
una sorta di dottrina morale utilizzabile per legittimare una scelta politica o
peggio militare, un’etichetta che copra o puntelli atti di governo diversamente
ingiustificabili. Sebbene sia stata spesso intesa così, la legittima difesa è
invece il ricorso a valutazioni morali per giudicare la legittimità dell’uso
della forza (ma comunque non necessariamente violenta verso l’altro) perché
individui o popoli possano difendersi da attacchi esterni che mirano a colpirli
direttamente e violentemente. Tali
attacchi riguardano diritti e valori fondamentali: in primo luogo quello della
vita e della libertà.
La questione, anche quando fosse posta in questi termini,
non esclude tuttavia una prima qualificazione differenziata dell’elemento qui
maggiormente in gioco: l’utilizzo della forza. Ma Ddicevamo che proprio la forza non è detto che debba essere necessariamente una
forza violenta. Non si può infatti
escludere, né in linea teorica, né partendo da esempi pratici, che proprio tale
“forza” di difesa possa essere di vario genere, ivi incluso quello nonviolento,
come la resistenza passiva, il boicottaggio, la disubbidienza civile e tutto
ciò che – da caso a caso – può essere un autentico ostacolo nonviolento,
sufficiente a neutralizzare gli
attacchi o le minacce di attacco.
Con questa qualificazione della “forza” reattiva come attività nonviolenta o insieme di atti nonviolenti, la questione della legittima difesa, tanto del singolo che della collettività assume una nuova luce e supera certamente le strettoie militaristiche in cui essa era ed è tuttora rinchiusa, anche a motivo degli apparati militari, che vi hanno costruito abnormi strutture e un esorbitante potere, e a causa delle industrie belliche, che vi hanno eretto i loro incontrastati e sempre crescenti imperi finanziari.
Tradizionalmente, infatti, la stessa terminologia della
questione era ed è tuttora viziata da
un’equiparazione semplice, ma che è stata ed è ancora fonte di immani
tragedie e cioè la difesa è uguale a violenza, e in linea derivata,
l’istituzione della difesa è necessariamente guerra, da cui consegue che l’istituzione di ciò che ad essa attiene e
prepara è necessariamente di carattere militare e dunque è l’esercito. La prova più lampante di queste tre equiparazioni
interdipendenti è l’espressione ricorrente anche nei trattati di teologia
morale: lo ius ad bellum, il diritto alla guerra. In questo contesto, S. Tommaso, a partire
dalla Quaestio XL della sua Summa Teologiae, riconosceva tale diritto solo all’autorità
legittima, sempre in risposta a un’effettiva colpa altrui, e in presenza di
un’intenzione retta, vale a dire: quella di voler porre fine al male per
instaurare il bene. Su questa linea era stato elaborato anche il criterio di
una corrispondenza tra difesa e offesa, e, ciò che per noi è della massima
importanza, sulla differenziazione tra combattenti e civili innocenti. Si erano
poste così le premesse alla teorizzazione della guerra da parte del padre del
Diritto Internazionale, Ugo Grozio. Questi, nel suo testo De iure belli et
pacis, cioè del diritto della guerra e della pace, parlava di una guerra solennemente da
dichiarare dall’autorità preposta, di una necessaria limitazione degli effetti
della guerra stessa e di un insieme di limitazioni dettati dalla “retta
natura”. La dottrina conseguente ne seguiva appariva
con una sua coerenza teorica e costituisce ancora la base delle dichiarazioni
universali riguardanti i diritti delle nazioni. Tuttavia non è da dimenticare
che anche nella teorizzazione della guerra come difesa, essa restava pur sempre
un’extrema ratio, l’ultima possibilità dopo aver tentato tutte le altre
vie atte ad evitarla.
Da queste premesse è scaturita l’idea della cosiddetta
“guerra giusta”, che limitatamente alle restrizioni addotte, altro non sarebbe che guerra legittima e non
propriamente giusta. Ciò supera evidentemente anche qualsiasi
soglia di legittimità di ogni altro tipo di guerra non difensiva., n Non nascondo che sotto tale soglia non ne sono
mancate guerre neanche
nella storia della Chiesa, a partire dalle guerre indette per le crociate a
quelle motivate dalla conquista di popoli inermi e stranieri, a quelle
dell’espansione o per idel
mantenimento del potere temporale dei papi. Su queste non ci soffermiamo perché
lo stesso Magistero del Vaticano II e dell’attuale pontefice sono stati
sufficientemente chiari, fino al punto di chiedere espressamente perdono a Dio
e agli uomini[2].
Tornando alla guerra difensiva, gli studiosi più attenti annotano che oggi, sia generalmente nelle costituzioni nazionali (vedi in famoso articolo 11 di quella italiana) sia anche nello Statuto dell’ONU, l’unica concezione della guerra ammessa è quella della legittima difesa. Non nascondono tuttavia la difficoltà dell’identificazione della legittimità non tanto nei princìpi, quanto dei fatti che hanno portato e portano alla guerra. È sotto gli occhi di tutti, e non solo degli storici di professione, che non una sola delle parti coinvolte nelle innumerevoli guerre che hanno insanguinato e insanguinano l’umanità, ma tutte le parti si sono appellate e si appellano a motivi legittimi, in concorrenza tra loro. Ciò rende nei fatti impraticabile la stessa applicazione dei principi precedentemente riportati. Ma non è tutto. A ciò si aggiunge che dal medioevo ad oggi, le guerre se mai lo siano state per il passato, non sono più tra militari e per un’eventuale e limitata difesa della patria, ma coinvolgono un numero altissimo di civili. Tendono per loro stessa natura, con un’accentuazione crescente dopo la l’utilizzo delle armi a scoppio, alla distruzione e alla devastazione di intere regioni. E ciò rende del tutto impraticabile anche l’utilizzo delle limitazioni teoriche, a partire da quelle di Grozio.
L’evidenza più lampante di tale salto di qualità (sarebbe da dire esattamente di efferatezza) della guerra si ha nella prima guerra mondiale, con un numero elevatissimo di civili uccisi, di feriti e di mutilati. Del resto la stessa dizione di “guerra mondiale” costituisce la prova più evidente che non ha ragion d’essere ogni precedente teoria sulla legittimità della guerra. Si arriva a vere e proprie distruzioni di massa e ciò ancora prima del famigerato, quanto anche militarmente ingiustificato, utilizzo dell’atomica nella seconda guerra mondiale (Hiroshima e Nagasaki).
Con la prima guerra mondiale, si è ingigantito il numero
delle vittime civili, dei feriti, mutilati, delle distruzioni di massa. Da allora iIl numero dei civili coinvolti è in
cresciuto in maniera esponenziale. Si calcola che è passato al 48 % della nella seconda guerra
mondiale, all'84 % della nella guerra di Corea, all'87 % della nella guerra in Vietnam.
Quanto a quella precedente contro l’Iraq, il numero esatto non si conosce,
nonostante i mezzi di comunicazione e di informazione (meglio sarebbe dire disinformazione)
di massa. Siamo arrivati inoltre all’atomica, e con essa all’anticreazione:
l’obiettivo è infatti distruggere tutti e tutto. Non per un incidente, ma per
la stessa sua natura e per la progettualità distruttiva (che diventa anche
autodistruttiva) che l’ha giustificata. Ad essa è assimilata, nel giudizio
morale del magistero cattolicola Chiesa,
come pure della stessa
morale razionale, la distruzione di città, di regioni e dei loro abitanti. La
sua condanna, come guerra totale è chiarissima nel Vaticano II. È l’unica
condanna esplicita, formale e solenne:
«Avendo
ben considerato tutte queste cose, questo sacrosanto sinodo, facendo proprie le
condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi pontefici,
dichiara: Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di
intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e
contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere
condannato»[3].
Questa dichiarazione netta sull’incondizionata immoralità della guerra totale è preceduta nel Vaticano II da altre espressioni, che sembrano essere una mediazione tra la tradizionale legittimità della guerra di difesa[4], con il riconoscimento del valore dell’esercito limitatamente alla salvaguardia della sicurezza[5], e il valore della disobbedienza verso gli atti criminali che mirano allo sterminio. A questo proposito si legge:
«Le
azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a questi principi e gli ordini
che tali azioni prescrivono sono crimini, né l'obbedienza cieca può scusare
coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzitutto enumerati i metodi
sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza
etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece
essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a
quelli che ordinano tali azioni»[6].
Il Concilio afferma inoltre espressamente il valore dei mezzi di difesa nonviolenti, alternativi a quelli tradizionali:
«Mossi
dal medesimo Spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla
violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di
difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si
possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della
comunità»[7].
Sebbene le due posizioni siano apparse una soluzione di compromesso, in effetti l’invito del Vaticano II è a guardare alla complessità della materia con una mentalità completamente nuova:
«Tutte
queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità
completamente nuova. Sappiano gli
uomini di questa età che dovranno rendere severo conto delle loro azioni di guerra,
perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro presenti
deliberazioni»[8].
Sicché, nonostante le ammissioni di stampo tradizionale, la
linea indicata
tracciata quasi
quarant’anni fa è l’invito addi adoperarsi per superare del tutto ogni ricorso alla
guerra[9].
L’alternativa è allora nella ricerca, oltre che delle sempre
menzionate soluzioni di ordine politico e diplomatico, anche di quegli
strumenti nonviolenti che sebbene non abbiano ancora nel magistero uno sviluppo
adeguato, sono tuttavia già indicati come linea di marcia del presente e del
futuro. Una conferma in tal senso viene anche da un documento della
Congregazione della dottrina della fede, del 1986, che a proposito della stessa
lotta armata di liberazione affermava:
"«Tuttavia l'applicazione
concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto
rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo sviluppo delle
tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso
alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza passiva"
apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di
successo»"
[10].
2) Il punto d’arrivo: la guerra preventiva
nasce dal mito del neoliberismo
Dal discorso fin qui condotto si deduce che sul piano morale la stessa guerra difensiva è oggi problematica. Ciò prescinde da ogni altra considerazione relativa alla logica evangelica del rifiuto totale della violenza, su cui però noi cristiani non dovremo smettere di interrogarci. In ogni caso e a maggior ragione è da sottolineare l’immoralità della guerra preventiva, oggi unanimemente riconosciuta da tutti gli interventi autorevoli del Papa e dei vescovi che si sono pronunciati in materia[11]. Proprio essa è giuridicamente destituita di qualsiasi legittimazione anche dagli organismi internazionali oltre che da quelli attinenti al diritto a qualsiasi livello[12].
Come tutte le idee, anche le più disastrose per l’umanità
(si pensi al razzismo e al
nazionalsocialismo), questa della guerra preventiva si è affacciata alla chetichella e sotto la copertura dell’indispensabile
sicurezza e della necessaria difesa di una nazione e di una civiltà. In
riferimento alla minacciata guerra all’Iraq, la cosiddetta difesa riguarderebbe
la nostra civiltà occidentale di fronte a diverse minacce di possibili attacchi, in primo luogo quella del da parte dei terroristimo.. Per difendersi, si è detto, è legittima
anche la guerra preventiva, atta a colpire, per neutralizzarli, quanti
costituiscono un’effettiva minaccia nel senso indicato. La dottrina della
guerra preventiva è stata proposta prima in alcune esternazioni del presidente
G. Bush e poi sancita in un documento strategico degli Usa. È quello del 17
Settembre 2002 (The National Security Strategy of the United States of
America - September 2002), che tradisce ben presto la culla in cui nasce e
la fede in cui crede. È il credo nel neoliberismo portatore di felicità e di
benessere per tutti ed è la fede in se stessi, cioè negli Stati Uniti d’America, come popolo prescelto per diffondere
e difendere tali beni:
«Gli Stati Uniti staranno al fianco di
qualunque nazione che voglia costruirsi un futuro migliore perseguendo i
benefici della libertà per il proprio popolo. Il libero commercio e il libero
mercato hanno dato prova della loro capacità di far superare l'indigenza ad
intere società, e gli Stati Uniti lavoreranno quindi al fianco di singole
nazioni, intere regioni e tutta la comunità commerciale globale per costruire
un mondo che commerci liberamente e cresca quindi nella prosperità …. Oggi,
l'umanità ha tra le mani la responsabilità di far trionfare la libertà a
dispetto di tutti i suoi nemici. Gli
Stati Uniti accolgono con gioia la responsabilità di guidare questa grandiosa
missione» (George W. Bush I. nell’Introduzione).
Nello stesso documento la doppia fede ideologica (nel libero commercio e libero mercato e nel proprio infallibile ruolo guida del mondo) è intrepidamente propagandata contro altre ideologie, non lasciandosi nemmeno sfiorare dal dubbio che possa cadere essa stessa nell’ideologia. In evidente riferimento alle visioni ideologiche precedenti si afferma:
«La
grande lotta è finita. Le visioni militanti di classe, nazione e razza che
promettevano l'utopia, ma davano miseria, sono state sconfitte e screditate»
(I).
Il doppio credo nell’infallibile neoliberismo e
nell’indiscutibile leadership statunitense, al pari di
ogni altra fede fondamentalista, siè ammantata di assoluto e
diventa ben presto assolutismo. Diventa progetto di vera conquista degli altri
spazi possibili. Il campo è allora
libero per progettare l’intervento sistematico e preventivo, prendendo a
pretesto il terrorismo internazionale. Ecco le testuali parole del documento:
«Così
sgomineremo e distruggeremo le organizzazioni terroristiche: con azioni dirette
e continuative attraverso tutti gli elementi del potere nazionale ed
internazionale. La nostra attenzione sarà rivolta nell'immediato a quelle
organizzazioni terroristiche globali e a quei terroristi o Stati sostenitori
del terrorismo che tenteranno di procurarsi o di usare armi per la distruzione
di massa o loro precursori; difendendo gli Stati Uniti, il popolo americano, i
nostri interessi interni ed esteri tramite l'individuazione e la distruzione
della minaccia prima che raggiunga i nostri confini. Gli Stati Uniti
cercheranno costantemente di attirarsi il sostegno della comunità
internazionale, ma al tempo stesso non esiteranno ad agire da soli, se
necessario, per esercitare il loro diritto all'autodifesa agendo anche in via
preventiva contro i terroristi, per impedire loro di fare del male al popolo
americano e all'intero paese» (III).
Giunti a questo punto, non ho bisogno di aggiungere molto. Per ciò che maggiormente ci interessa, schematicamente indicherò solo tre corollari inerenti alla dottrina ideologica summenzionata:
Primo: Alla luce della dottrina della guerra preventiva, la guerra è stata già o può essere sempre decisa unilateralmente da parte degli Stati Uniti, senza consenso di chicchessia e tanto meno dell’ONU;
Secondo: Gli Stati Uniti (ma in linea logica anche chiunque altro) si arrogassero il diritto della guerra preventiva, la ritengono moralmente e giuridicamente giustificabile;
Terzo: Il libero commercio e il libero mercato sono i
veri e gli unici valori assoluti che generano il mostro della guerra
preventiva: sono essi ed essi solo che conferiscono un valore che addirittura
si suppone “etico” alla cosiddetta pace (imposta evidentemente agli altri con i
bombardamenti) e alla guerra preventiva (imposta di fatto agli alleati con il
ruolo di leadership mondiale).
Sono tre corollari insostenibili moralmente inaccettabili sia sul piano
teorico che
sia su
quello pratico. Insostenibili dal punto di vista etico e anche semplicemente logico,
i corollari suddetti sono solo espressioni di una scelta ideologica e di un
arbitrio smisuratamente autoreferenziale.
Dal punto di vista pratico, bisogna dire che se in ogni caso ogni guerra ha motivi reali e motivi fasulli, quella contro l’Iraq è particolarmente emblematica, perché li evidenzia abbondantemente tutti. I motivi fittizi addotti sono apparsi sempre cangianti, in corrispondenza con gli umori di un certo elettorato e con i pretesti di volta in volta esperiti. La lotta al terrorismo ne è la copertura dominante e l’elemento scatenante, cui si agganciano la difesa da armi di distruzione di massa, la difesa di “valori” ritenuti tipici dell’Occidente, la violazione dei diritti umani, l’esportazione della libertà e della democrazia. Appellandosi a un’azione tipica degli Stati Uniti in tal senso, Bush più volte ha affermato che il terrorismo e l’odio contro gli Usa sono dovuti alla lotta da questi ingaggiata contro il male e s’intende, anche se non lo si dice, alla strenua difesa e all’irrefrenabile esportazione nel mondo del libero commercio e del libero mercato.
Sul carattere pretestuoso e strumentale di simili argomenti si è espresso energicamente anche un Vescovo americano, Mons. Bowman, vescovo in Florida, la cui denuncia è riassumibile con le sue stesse parole, profeticamente rivolte, in una lettera aperta al presidente Bush: "Signor presidente, siamo bersaglio del terrorismo perché sosteniamo tutte le dittature".
Ed inoltre:
«Racconti
la verità al popolo, signor Presidente, sul terrorismo (…) Noi siamo odiati
perché il nostro governo nega queste cose ai popoli dei Paesi del terzo mondo,
le cui risorse fanno gola alle nostre corporazioni multinazionali. Quest'odio
che abbiamo seminato si ritorce contro di noi per spaventarci sotto forma di
terrorismo e, in futuro, terrorismo nucleare. Una volta detta la verità sul
perché dell'esistenza della minaccia e della sua comprensione, la soluzione
diventa ovvia. Noi dobbiamo cambiare le nostre pratiche. Liberarci delle nostre
armi (unilateralmente, se necessario) migliorerà la nostra sicurezza…» (Fonte ADISTA
n°85 del 30 novembre 2002).
Non ho bisogno di aggiungere alcun commento. Dirò solo, per
restare in tema, che la dottrina della guerra preventiva si manifesta insostenibile e
aberrante sia sul piano pratico che teorico e nel caso deall’Iraq non è che un
maldestro tentativo di copertura che non convince nemmeno molti statunitensi.
3) Scegliere un mondo di pace e non un mondo di guerra
Giunti a questo punto è del tutto e dimostrata la totale
immoralità dell’eventuale guerra all’Iraq. , aggravata dallLa minaccia dell’uso dell’atomica, che
la rende ancora più immorale.
E ancora: c, ciò che è in gioco non è tanto solo l’opzione per questa guerra o contro di essa,
ma un’opzione seria, costante,
coerente, di più grande
portata. Si tratta di optare per un
mondo di guerra,
basatoa
sul dominio del più forte e sull’imperio del cosiddetto libero commercio e & mercato, oppure per un mondo senza
guerre, più giusto, più rispettoso dell’altro e in costante dialogo con
esso.
Proprio questa guerra evidenzia la correttezza metodologica e scientifica di chi individua le cause delle guerre moderne e recenti che sono abbastanza numerose sul pianeta[13]. I veri motivi s
i chiamano petrolio, oro, diamanti, pietre preziose, acqua ed altre risorse naturali, coltan (componente essenziale per telefonini, aerei e PlayStation2)[14].
Ciò smentisce gli accoliti delle guerre, che invece ne
teorizzano l’ineluttabilità col pretesto della sicurezza. Di fatto, cCiò che si intende
garantire è solo un modello di vita occidentale, che diventa ogni giorno più
insostenibile. Le statistiche parlano di un americano che consuma l’equivalente
di 20 cinesi; di un americano che produce 20 tonnellate di anidride carbonica all’anno,
in un contesto complessivo ogni annno più drammatico, perché il 20 %
della popolazione della terra detiene l’86 % della ricchezza mondiale. Contro
il dogma neoliberista dell’inarrestabile
e infallibile progresso che verrà dal libero commercio, si fa notare che
dal 1970 la ricchezza dei pochi è aumentata del 17 %, la povertà non è
diminuita della stessa percentuale, ma è aumentata. Ancora: 3 miliardi di
esseri umani non hanno una casa degna di tale nome, perché carente dei più
elementari servizi (acqua, senza luce elettrica ecc.). Ciò a fronte della
scandalosa constatazione che l’equivalente dell’acqua per tutti è ciò che in
Europa si spende per gelati in un anno; l’equivalente per la lotta all’analfabetismo basterebbe è la spesa annua l’equivalente alla spesa per
i cosmetici negli Stati Uniti,
e via di questo passo[15].
Tutto ciò non solo non rientra nelle considerazioni
strategiche mondiali, ma è aggravato anche dal fatto che ogni lotta reale all’inquinamento è impedita dalla difesa di
interessi economici fortissimi. Sono questi che determinano la politica e con
essa i grandi mezzi di comunicazione di massa. S, sono questi che finanziano le
propagande elettorali dei presidenti USA e oggi anche di altri
paesi. Parliamo del petrolio e delle
grandi compagnie, delle multinazionali e delle lobbies finanziarie. Questi
determinano le scelte politiche e non le scelte politiche determinano una loro
regolamentazione ai fini del miglioramento del pianeta e delle stesso
condizioni ambientali delle proprie popolazioni..
La conclusione è che mai come oggi è diventato evidente che
non c’è mai guerra giusta. Oggi meno che mai. E con ciò concludo che la vera
scelta è tra un modello di vita senza guerra, corrispondente ma con a un nuovo ordine economico
mondiale, oppure un
mondo con la guerra e con altre innumerevoli , guerre, ma che conservatono e aggravatoale da un sistema economico, sempre più neoliberista, senza freni e senza controlli
etici. Il mondo di chi vuole la guerra è quello di Bush (e in realtà dei suoi finanziatori)
e che tuttavia afferma di voler salvare l’umanità. Ma èÈ anche il mondo quello dei suoi
accoliti nuovi e recenti, militari e, laici e religiosi. Sono Tra questi ci sono i persuasori
militari (Lutwack) e i paladini della odiosa e pur sempre quelloi che e di chi l’ammanta sotto il pretesto della
sua indispensabileità guerra (tra Giuliano Ferrara), i primi della classe o gli aspiranti tali, sempre più innamorati del liberismo e delle
proprie fortune presunte o reali che sianodella necessaria cooperazione con
Busch (tra i quali brillano Blair e Berlusconi). Tra i difensori di costoro non
manca qualche “religioso” davvero inattendibile come Gianni Baget Bozzo.
Come ripetutamente dimostrato, da più parti, e
persino nelle giustificazione della difesa degli interessi economici da parte
statunitense,Se
in definitiva la guerra contro
l’Iraq ha tali motivazioni
e tali paladini, prevalentemente
economiche, mentre rischia di fatto di aver
come conseguenza effettuare lo
sterminio di intere popolazioni, la devastazione di un’interaa regione, l’acutizzazione di un
conflitto dalle conseguenze mondiali imprevedibili e dagli effetti
pericolosamente incalcolabili sul piano dei rapporti tra popoli islamici e occidentali. Sono motivi più che sufficienti
per dire no alla guerra contro L’Iraq e contro le altre
guerre. Per a mobilitarsi per a smascherarne le cause, per crescere insieme, intraprendendo nuovi stili e altri comportamenti di vita (consumo critico, boicottaggio dei prodotti
inquinanti e oppressivi,
boicottaggio delle
banche armate ecc.) e per condividere il progetto di un altro mondo possibile, un mondo
finalmente senza guerre. di questa come
delle altre guerre nascoste, ma realmente presenti sul pianeta.
[1] Ecco i testi del Catechismo della Chiesa Cattolica:
n. 2308 «Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà
un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta
esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare
ai governi il diritto di una legittima difesa»; n. 2309 «Si devono considerare con rigore le strette
condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare. Tale
decisione, per la sua gravità, è sottomessa a rigorose condizioni di
legittimità morale. Occorre contemporaneamente: - Che il danno causato
dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave
e certo. - Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati
impraticabili o inefficaci. - Che ci siano fondate condizioni di successo».
[2] Si è parlato infatti di una «riconciliazione della
memoria», con la conseguente richiesta di perdono, nell’anno giubilare del
2000, dopo confessione dei peccati in «Terra Santa» da parte di Ppaolo VI già nel 1964
[cf. Il Regno-Documenti 45 (2000/7)
223-230]. Il numero precedente, il 6, riporta integralmente il testo Della Commissione
Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione reso pubblico in Italia il 7/03/2000, (ivi, 137-152) mentre il successivo, il
7, riferisce sulla liturgia penitenziale del 12 marzo con la confessione delle
colpe e la richiesta di perdono. Per sette volte questi due momenti sono stati
intrecciati tra loro attraverso un invitatorio (proposto a turno da un capo
dicastero di curia) e un'orazione del
papa, con una successiva pausa di silenzio e il conseguente canto del Kyrie.
Nel frattempo venivano accese una per volta sette lampade del candelabro
innanzi al crocifisso, abbracciato dal papa.dopo l’ultima orazione. Le
richieste di perdono, erano riassunte, in maniera esemplare attraverso queste
sette riguardanti: 1) la confessione dei peccati in generale come deviazione
dal Vangelo; 2) le colpe commesse nel servizio della stessa Chiesa, tra le
quali le crociate e l'Inquisizione, altrove citate esplicitamente e «qui omesse
all'ultimo momento, per non irritare ulteriormente più di un esponente di
curia, contrario in particolare ad annoverare le crociate nella richiesta di
perdono» (Il regno (2000/6), cit.,
146; 3) i peccati contro l'unità del corpo di Cristo; 4) le colpe riguardanti
Israele; 5) le colpe commesse contro valori fondamentali quali l'amore, la
pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni,
comprese le conversioni forzate e il maltrattamento di degli immigrati e degli
zingari; 6) i peccati in rapporto alla dignità della donna e all'unità del
genere umano, con riferimento a discriminazioni, offese contro la dignità e
conseguente violazione dei diritti altrui; 7) i peccati relativi ai diritti
fondamentali della persona, con la menzione dei poveri, nei quali tante volte i
cristiani non hanno riconosciuto Cristo. Ha concluso la liturgia una
dichiarazione di impegno di fedeltà al Vangelo: «Mai più contraddizioni alla
carità nel servizio alla verità, mai più gesti contro la comunione della
Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla logica
della violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei
poveri e degli ultimi».
[3] Gaudium et spes, n. 80 (EV 1/1598).
[4] «I capi di stato e coloro che condividono la
responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la
salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di
responsabilità cose di così grande importanza» (Ivi, n. 79: EV 1/1596).
[5] «Coloro poi che, dediti al servizio della patria,
esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino
anch'essi come ministri della sicurezza e della libertà dei loro popoli e, se
rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla
stabilità della pace» (Ivi, n. 79: EV 1/1597).
[6] Ivi, n. 79: EV 1/1594.
[7] Ivi, n. 78: EV 1/1591.
[8] Ivi, n. 80: EV 1/1599.
[9] «È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci
per preparare quel tempo, nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potrà
interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra» (Ivi, n. 82: EV 1/1607).
[10] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Libertatis conscientia,
del 22.3.86, n. 79.
[11] Basti pensare al discorso di Giovanni Paolo II al
corpo diplomatico accreditato presso la santa sede lunedì, 13 gennaio
2003. Vi sono frasi come questa: «”NO
ALLA GUERRA”! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta
dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra
Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle
Nazioni per risolvere i loro contenziosi… Mai la guerra può essere considerata
un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le
Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il
Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta
di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di
ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta
per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni
militari».
Cf. inoltre il
recente intervento di Mons. Betori, Segretario della Conferenza Episcopale
Italiana, a conclusione dell’ultimo Consiglio Permanente e all’ammissione sulle
divergenze di opinioni ammesse dall’Ambasciatore statunitense accreditato in
Vaticano, Jim, Nicholson (cf. M. TOSATTI,
«Il Vaticano convoca l’ambasciatore USA. Un documento dei vescovi: una
guerra preventiva non può essere giusta», in La Stampa 137 (29/01/03) 7.
[12] In questo senso sono da intendersi le recenti
dichiarazione dell’Unione Europea e di altri organismi che si sono espressi in
tal senso.
[13] Cf. Facciamo pace, Videocassetta a cura del
Messaggero, Padova, coproduzione Aifo, Assobotteghe, Banca Etica, CMD Verona,
CNMS Vecchiano, Fondazione Chonos, mani Tese, Missionari Comboniani, Missionarie Comboniane, Overseas, Rete
Lilliput, Transfair
[15] Fonte: Tempo di scelte. Dalla globalizzazione dei profitti alla globalizzazione dei diritti. Videocassetta a cura del Messaggero, Padova, coproduzione Aifo, Assobotteghe, Banca Etica, CMD Verona, CNMS Vecchiano, Fondazione Chonos, mani Tese, Missionari Comboniani, Missionarie Comboniane, Overseas, Rete Lilliput, Transfair.