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Evangelizzare è praticare l'amore (Belvere 1/04/01 - Traccia di G. Mazzillo)
ATTIVITÀ SALVIFICA DI DIO (L’amore che salva) |
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(La prassi di Gesù) |
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vangelo |
liberazione |
condivisione |
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annuncio |
giudizio |
guarigione |
risurrezione |
riconciliazione |
convivialità |
attività kerygmatica |
attività liberatrice |
attività convocatrice |
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evangelizzazione profetica progettualità testimoniale anticipazione escatologica formazione
critica ed
autocritica |
servizio della
visitazione servizio di
consolazione servizio de
prendersi cura dell'altro servizio di
testimonianza |
impegno per
la vita impegno per
la pace salvaguardia del
creato difesa
degli oppressi |
fraternità contemplante significanza esistenziale trasparenza sacramentale condivisione materiale |
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(La prassi del popolo di Dio) |
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Vangelo significa «buona notizia». È il lieto annuncio del vangelo. L’attività della chiesa non deve mai dimenticare il carattere benefico e gioioso (questo è il senso del prefisso eu) della notizia (angelion) che essa reca al mondo. Se di testimonianza (martyrìa) si tratta, questa è attestazione di un fatto nuovo e inaudito: l’amore gratuito e soccorrevole di Dio verso quanti normalmente sono ritenuti e/o si ritengono esclusi dal circuito della salvezza, dai canali della gioia: i destinatari delle beatitudini. L’evangelizzazione passa attraverso le tante vie della predicazione e della formazione. Ma deve essere anche precisato che entrambe non possono essere né indottrinamento, né insegnamento morale o intellettuale. Si tratta, invece, di un messaggio che mentre discerne la volontà di Dio, pronuncia anche un giudizio preciso sul mondo e sulle vicende umane. La formazione mira ad una coscientizzazione che sia doverosamente critica, ma anche tendente alla continua conversione, e quindi autocritica.
Il termine liberazione significa rendere liberi, affrancare. Proprio perché recano l’annuncio della gioia, l’agire di Dio e la prassi di Gesù sono liberazione in senso pieno. Sono affrancamento da tutto ciò che rende l’uomo meno uomo. Restituiscono all’oppresso la sua dignità, danno il coraggio di continuare a vivere, guariscono le ferite dell’animo. Il servizio che la comunità cristiana deve prestare non può deviare da questa via maestra della prassi di Dio. Conformemente al suo modello, va alla ricerca e visita (servizio della visitazione), sa consolare e confortare gli affranti (servizio della consolazione), guarendo le ferite della condizione umana (servizio de prendersi cura dell'altro) e rinvigorendo i fratelli con la certezza che Dio ci è vicino (servizio della testimonianza). Da qui nasce l’esigenza di una pastorale concreta che privilegi l’impegno continuo per la liberazione di tutto il creato, oltre che di tutti gli esseri umani e di tutto l’essere umano, con una particolare preferenza per i più infelici, e in una continua ricerca di un’effettiva giustizia, da conseguire con i mezzi nonviolenti e convincenti della pace.
L’impegno è dei singoli, ma anche di tutta la comunità. È infatti sugklhriva (synklerìa), parola che indica la comunanza nella stessa sorte e che può ben affiancare l’altra, la koinwniva (koinonìa). Potremmo anche tradurla con reciprocità. È il dono e il carisma di una fraternità che si riscopre ogni giorno nella preghiera e nello spezzare il pane, ma che sa condividere anche i beni materiali, oltre che quelli spirituali, per dare trasparenza ai segni sacramentali e per non rendere irrilevanti le speranze di cui è custode.
Etty Hillesum[1], «La prossima settimana probabilmente tutti gli olandesi saranno chiamati al controllo. Di minuto in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso, come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore umano, e io vedo e vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre, sempre più in pace, e c’è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me. E ora al lavoro»[2].
Etty esprime un pensiero ardito, ma coerente: aiutare Dio a portare il fardello e la sfida nell'amore, quando esso è messo in scacco:
«E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. Su tutta la superficie terrestre si sta estendendo piano piano un unico, grande campo di prigionia e non ci sarà quasi più nessuno che potrà rimanerne fuori. È una fase che dobbiamo attraversare. Qui gli ebrei si raccontano delle belle storie: dicono che in Germania li murano vivi o li sterminano coi gas velenosi. Non è granché saggio raccontarsi storie simili, e poi, se anche questo capitasse in una forma o nell’altra, è per responsabilità nostra? Da ieri sera piove con una furia quasi infernale. Ho già vuotato un cassetto della mia scrivania» (ivi, 163).
L'ultima cartolina:
La sua cartolina, datata 7 settembre 1943 trovata da qualcuno, fu spedita; diceva così:
«Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: «Il
Signore è il mio alto ricetto». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un
affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti.
La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine
improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo
cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre
giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a
Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche della mia
ultima lunga lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty» (ivi, pag. 149 -Etty
Hillesum morì a Auschwitz il 30 novembre 1943).