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Attendere ed essere attesi.

Riflessioni di G. Mazzillo, seguiti da dibattito

(Scalea, Chiesa della Ss. Trinità - Autunno 2000)

 La proposta delle riflessioni muove da una frase di Walter Benjamin, che così esprimeva il nostro rapporto con la storia umana e la nostra insopprimibile nostalgia di salvezza: «Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto». La ricerca di Dio è secondo questa scia di nostalgia e di intuizione luminosa. Ne parleremo in 5 incontri, mettendola in rapporto anche con la ricerca che Dio compie nei nostri confronti. I singoli passaggi sono:

1)       C'è ancora qualcuno che desidera di essere salvato? E da che cosa? Bisogno di salvezza, ricerca di Dio.

2)       Salvezza come integrità umana, come guarigione e come riconciliazione - Salvezza come senso della vita.

3)       Un Dio con cui poter vivere e poter morire.

4)       La storia e il suo insopprimibile bisogno di liberazione.

5)       Essere comunità che celebra e vive l'attesa.

1° Incontro: Attesa e bisogno di salvezza

1. Cammino significa ricerca

1.1. Punto di avvio Sal 119, [45 Sarò sicuro nel mio cammino, perché ho ricercato i tuoi voleri [darash  "cercare"] [54 Sono canti per me i tuoi precetti, nella terra dove io sono pellegrino.

Ricerca e Salvezza. La ricerca non è contraria alla salvezza, esprime non solo l'ansia, ma anche l'umiltà verso di essa.

Nei personaggi della Bibbia esprime spesso una volontà di contatto profondo con il proprio popolo (cf. Esd 7,10 «Infatti Esdra si era dedicato con tutto il  cuore  a studiare (lidarash) la legge del Signore e a praticarla e  ad insegnare in Israele la legge e il diritto».

Indica comunque un movimento in avanti: verso la salvezza e verso il popolo di appartenenza per il quale essa si vuole. Non ci si salva da soli.

1.2. Nella terra dove sono pellegrino. Siamo pellegrini per forza o per scelta. Se la via è la vita, la via resta, la vita passa. Resta la strada, il pellegrino scompare. Il primo problema: si tratta di un transito ad un altro stato di vita o di un risucchio nel nulla? Il viandante è veramente pellegrino (che va verso...) o meteora (che si frantuma al suo arrivo)? La vita è l'unica via che è senza meta apparente e che comunque, anche non volendo si deve percorrere. In questo caso non siamo noi a scegliere o volere la meta, ma è questa che ci sceglie e ci vuole.

Siamo allora gettati nel mondo senza progetto e senza una plausibile ragione? E del resto l'andare verso la meta, inevitabile foce, si può dire che qualcuno l'abbia mai voluto per davvero? Per quanti intravedono la vita oltre la soglia della morte, questa "meta" positiva non è chiara e sembra andare al di là delle nostre possibilità, anche del poterla immaginare. Per tutte queste ragioni ... cerchiamo, cioè ri-cerchiamo, (da circum,  andare intorno al problema) se ci sia qualcuno che ci venga incontro dall'altra parte del guado.

2. Andando incontro con Colui che si è mosso verso di noi

2.1. L'incontro con ciò che c'è oltre (se non lo si esclude per principio) è far posto ad un punto interrogativo: «Che cosa ci attende al di là della fine?». È lo stesso interrogativo sul senso della vita che viviamo ogni giorno. Il «che cosa c'è?» non riguarda solo la linea che segna il nostro scomparire, ma anche quella che separa l'invisibile dall'invisibile quotidiano. La nostra vita è tutta nelle cose che facciamo e che vediamo, tocchiamo, pesiamo ecc.? Non è anche nelle cose che amiamo? E ciò che amiamo lo possiamo pesare, calcolare, progettare, visitare come succede con il «fisicamente visibile?». Il problema della morte e quello del senso delle cose che facciamo è lo stesso problema. Perché il mondo con i suoi colori, quando sarebbe bastato in bianco e nero e perché soffrire e persino morire d'amore, piuttosto che un istinto che soddisfi ed appaghi senza ulteriori problemi?

2.2. Ci è detto che al nostro cercare oltre corrisponde l'oltre che ci cerca. Due immagini prese dal mondo della natura e della campagna: l'aquila che prende e porta sulle sue ali un uomo che rappresenta un popolo (Dt 32,11-12: «Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali, Il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun dio straniero»); il pastore che si mette alla ricerca della pecora perduta (Ez 34,16: «Andrò in cerca  della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» cf. anche Is 40,11; Lc 15,4-7). 

A questo ricerca dell'Ulteriore a noi, che è Dio, corrisponde davvero un nostro ulteriore cercare al di là delle cose? Cercare significa allora attendere, ma attendiamo davvero qualcosa o qualcuno? Gao Xingjan, ultimo premio Nobel per la letteratura, esprime una sua sensibilità privata o quella collettiva di un'umanità intera? In Fermata d'autobus (ripresa tematica di Beckett, Aspettando Godot) mette di fronte alcuni personaggi che si chiedono se sia  già passato e quando passerà l'autobus quel sabato in periferia di una città. Il vero problema è se l'autobus mai passerà. Siamo di fronte a persone che aspettano di partire senza riuscirci.

3 Verso ciò che ci attende

E tuttavia si attende, senza più avere o sapere cosa o chi si attenda. Desiderio che qualcosa/qualcuno venga e ci prenda. C'è un indizio di soluzione? Anche noi siamo stati attesi e siamo attesi. Dalla "grande storia" alle nostre piccole storie. Le sofferenze e le lacrime che attendono giustizia reclamano futuro. Dalle ferite del passato si aprono feritoie di luce. La ricerca è appena cominciata.

 

2° Incontro Salvezza come integrità e guarigione, come riconciliazione e senso della vita.

2.1. Punto di avvio:  Ef 2,12-19 «ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti [=dichiarazioni testamentarie] della promessa (xenoi ton diathekon tes epangelias), senza speranza e senza Dio in questo mondo . Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era  frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo  nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un  solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano   vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio».

2.2. Situazioni di non salvezza

Per Paolo

Estranei  e stranieri,

Non avendo speranza e senza Dio,

Quanti pongono la speranza nella pura legge di Dio(cf. Gal Rm).

Per Gesù
nei Vangeli

Bisognosi fisicamente e moralmente (i poveri nello spirito) Mt 5, 1ss; Mt 11,25: «In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli -> Chi sono? Ecco la risposta: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime (Mt 12,28-29).

Abbandonati a se stessi, come pecore vaganti senza meta,
essendo il luogo deserto e la notte incombente
(cf. Mc 6, 33-35: Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Questo luogo è solitario ed è ormai tardi».

Affamati di pane e di giustizia: (Cf. Beatitudini) non meno che di Parole di vita eterna (Gv, 6,67s: Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»).

Per le religioni

Perdere se stessi, perdendo i legami con il clan, la famiglia, la vita.

Per l'uomo di oggi

Perdere il proprio sé (disturbi psichici); il proprio io (smania di liberà totale); perdere l'occasione di una felicità totale (ricerca di paradisi "artificiali).

Per noi

Restano le stesse situazioni di paura, che spesso non si affrontano come tali e che la religione cristiana, più che la fede, non attraversano, passandovi solo accanto. Uomo diviso, mondo diviso, popoli divisi = bisogno di unità.

2.3. Perseguimento della salvezza

Per Paolo

La gratuità immeritata ed inedita del lieto annunzio della salvezza; la promessa (™paggel…a) è diventata vangelo. È liberazione, in accordo con tutta la tradizione ebraica sul Dio go'el (salvatore=liberatore): «Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore, tuo salvatore, io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe» (Is 49,26b)[1]. 

Per i Vangeli

La salvezza è liberazione promessa e realizzata, sicché Gesù è liberatore in quanto inviato da Dio, di cui prende le prerogative[2].

La salvezza è la vita eterna:  perché vita? perché eterna? Parole di vita eterna. Vita = ogni essere con moto autonomo; oppure in rapporto alla psiche (vita dell'uomo: chi vuol salvare la sua psiche, la perderà ), corrisponde a un concetto ebraico complessivo che significa interezza ed essere sani, ma anche ciò che l'uomo ha ricevuto dal soffio vivificante del Creatore. Eterna nel senso di duratura, collegata alla vita di Dio.

Per le religioni

Il senso pieno della vita (realtà di Dio?) , che è come il lato oscuro e mai attingibile della luna[3]. È collegato a bisogni fondamentali: quello di protezione dal pericolo -> sacro dalla radice sano[4]; quello della integrità come totalità -> salvo[5].

Qualcosa di più che risolvere  i problemi immediati.

Salvezza è non andare perduti /non perdere il legame con il cosmo, né quello con la storia.  Ciò è visibile presso la culla di civiltà antiche, antecedenti agli stessi egiziani e sumeri. Cf. ritrovamenti dei graffiti del Sahara - epoca neolitica, uomini ed animali, ma anche raffigurazioni del divino (figure femminili: maternità e fecondità, figure maschile adorate da donne con braccia alzate)[6].

Sfuggire alla caducità e al naufragio unendosi al Tutto (religioni asiatiche).

Nel buddhismo e nelle religioni ad esse vicine (induismo e giainismo) la salvezza è liberazione da ciò che scinde l’uomo in se stesso e lo rende infelice. È rifugio, come ricovero e luogo di gestazione nel Buddha, l’Illuminato,  nel dharma, la dottrina che sottrae alla catena del karma, e nel sangha, la comunità dei discepoli pertanto è ricerca del nirvana., con la liberazione dal dolore e dall’ignoranza che lo perpetua.

Nel giudaismo la natura e l'identificazione storica del messia restano problematiche e sono tuttora discusse. Nell'Islam manca il messia. Dio è Salvatore.

Per  noi oggi

La fede può essere la via per una vita in pienezza / una gioia piena / un legame incorruttibile

3° Incontro: un Dio con cui poter vivere e poter morire

3.1. Imparare a vivere è saper ascoltare anche il silenzio

«Per ritrovare un'idea dell'uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della con­templazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l'acqua nel bacino. Essa per­mette agli uomini di accumula­re di nuovo l'energia di cui l'azione li ha privati»[7].

«Ogni disgrazia viene agli uomini da una cosa sola: il non saper restare in riposo in una camera»[8].

«Se Dio non si fosse rivelato l'uomo ne avrebbe avvertito il silenzio» (Rahner).

Ambiguità del silenzio. C'è il "grande silenzio" della morte (Shakespeare, Ibsen), fino a scendere "nel gorgo muti" (Pavese)[9]. Ma c'è anche il silenzio dell'estasi che è paradossalmente uscire dalla stasi ek-stasis. È il silenzio di chi si mette in cammino, anzi è il silenzio del cammino; è il cammino stesso, che è silenzio. Nel silenzio non si coglie una voce: il silenzio stesso è voce.

1Re 19,12-13: <<[12]Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero [13] Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva:  «Che fai qui, Elia?»>>.

Ciò che Elia sente è in realtà, testualmente, una «voce di silenzio sottile»[10], una voce che è silenzio penetrante.

3.2. Il silenzio come grembo di Dio

Le parole di Gesù che sulla croce riprende il salmo 22 attestano un'esperienza di attesa drammatica, ma anche una memoria storica:

<<«[2] «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza» : sono le parole del mio lamento. [3]Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo.  [4]Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele.  [5]In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati;  [6]a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi>>.

È la memoria che se Dio si nasconde è per essere cercato e per mostraci un amore più grande. cf. Is 54,7-8, un brano in cui Dio parla alla sua comunità dicendo: 

<<Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore>>.

La lontananza di Dio è solo apparente: è come il silenzio che parla di lui:

Cf. Is 49,14-15 <<Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue  viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai»>>.

In realtà, la Bibbia attesta l'«amore eterno» di Dio per il suo popolo (cf. Is 43,4; Dt 4,37; Dt 10,15; Ger 31,3; Sof 3,17; Ml 1,2 ), come amore di un padre per i suoi figli (Is 1,2; Is 49,14-16; Ger 31,20; Os 2,25 ; 11,1s) e ancora come passione di un uomo per la sua donna ( Is 62,4-5; Ger 2,2; Ger 31,21-22; Ez 16,8; Ez 16,60 , Os 2,16-17; Os 2,21-22; Os 3,1), amore comunque come gratuità (cf. 1Gv 4,10; 1Gv 4,19 ) e come amore senza ritorno, cioè irrevocabile (cf. Rm 11,29: senza cambiamento di decisione è la sua chiamata = klÁsij, la stessa radice da cui viene chiesa, chiamata da, con-vocazione).

Gesù ha parlato del seme nascosto in terra (ma anche del tesoro e della perla non conosciute che vengono amate di più fin ché non sono raggiunti).

Mc 4,26-27 « Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga».

3.3.              Dio stesso si nasconde e si rivela contemporaneamente

Di Dio non si potrà mai adeguatamente parlare. Si può al massimo dire ciò che Egli non è, limitandosi a raccontare la sua inenarrabilità. Cf. la cosiddetta teologia apofatica, la via della negazione (apóphasis) che se nella tradizione cristiana ha il suo referente più noto in Dionigi l’Aeropagita[11].

Nella Bibbia Dio contemporaneamente si rivela e si sottrae alla conoscenza del credente, la cui massima aspirazione è di vederne il volto. Dio vicino è così lontano e viceversa, sicché tanto la ricerca intellettuale, che quella più propriamente etica non possono fare altro che tentare di andare «al di là del volto»[12].

Secondo la più genuina tradizione islamica, Dio tra i tanti, ha due nomi che, pur nella loro apparente contraddittorietà affermano la sua evidenza e il suo nascondimento. Il primo è al-Dhàhiru, che si riferisce ad Allah come l’Evidente, che appare, si manifesta; l’altro è al-Bhàtinu, cioè il Nascosto (Corano LVII,3).

Per Buddha non si può  dare un nome e un volto all’Inimmaginabile, anzi l’uomo si sottrae definitivamente all’Indicibile, precludendosi la stessa possibilità di di parlarne[13].

Infine il Catechismo della Chiesa Cattolica raccomanda una continua purificazione del linguaggio umano, «per non confondere il Dio “ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile” (Liturgia di san Giovanni Crisostomo, Anafora) con le nostre rappresentazioni umane. Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio» (n. 42).

Il manifestarsi di Dio all'uomo è manifestare la sua realtà, ma è anche rivelare la nostra umanità: siamo chiamati ad essere più autenticamente umani e nello stesso tempo a vivere la nostra interiorità: quella di figli di Dio, voluti da lui, da lui salvati e da lui continuamente attesi.

 

4) La storia e il suo insopprimibile bisogno di liberazione.

4.1. Due testi e un titolo di cronaca per iniziare:

Rm 8,16-24a: «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. ¹Destinati alla gloria Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati».

Etty Hillesum, «La prossima settimana probabilmente tutti gli olandesi saranno chiamati al controllo. Di minuto in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso, come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore umano, e io vedo e vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre, sempre più in pace, e c’è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me. E ora al lavoro» (Etty Hillesum, Diario. 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, Adelphi, Milano 1985, pag. 160).

Il titolo «E ora sarà l’apparenza a fare la STORIA», in Corriere della sera (29/11/00) 33, con riferimento al libro L’Italia del Millennio di Montanelli e Cervi: sommario degli eventi che vanno dalle paure medievali a Prodi, Amato, Berlusconi e Rutelli.

4.2. La teologia entra nella storia[14]

La storia dei perdenti vittoriosi nell'esempio di Etty Hillesum, sicura anche nell'ora della tragedia:

«Quando dico che fuggire o nascondersi non ha il minimo senso, che non ci sono scappatoie e che è meglio rimanere con gli altri e cercare di essere per loro quel che ancora siamo in grado di essere, sembra che io sia molto, troppo rassegnata - sembra che il mio atteggiamento sia del tutto diverso da come l’intendo io. Ancora non ho trovato il tono giusto per spiegare questo mio sentimento intatto e gioioso, in cui sono compresi tutti i dolori e tutte le passioni» (ivi, 160).

Viene in mente la fiducia espressa nei salmi, come il Salmo 118,73-77:

« Le tue mani mi hanno fatto e plasmato; fammi capire e imparerò i tuoi comandi. I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia, perché ho sperato nella tua parola. Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi e con ragione mi hai umiliato. Mi consoli la tua grazia, secondo la tua promessa al tuo servo. Venga su di me la tua misericordia e avrò vita, poiché la tua legge è la mia gioia».

Ma non è solo una sorte personale che si affida, è una realtà di popolo, che fa dire alla stessa Etty:

«Un giorno pesante, molto pesante. Un «destino di massa» che si deve imparare a sopportare insieme con gli altri, eliminando tutti gli infantilismi personali. Chiunque si voglia salvare deve pur sapere che se non ci va lui, qualcun altro dovrà andare al suo posto. Come se importasse molto se si tratti proprio di me, o piuttosto di un altro, o di un altro ancora. È diventato ormai un «destino di massa» e si dev’essere ben chiari su questo punto. Un giorno molto pesante» (ivi, 162).

La consapevolezza incrollabile è che Dio sarà comunque a fianco, sempre accessibile appena ad un soffio di voce o ad un pensiero soltanto accennato:

«Ma ogni volta so ritrovare me stessa in una preghiera - e pregare mi sarà sempre possibile, anche nello spazio più ristretto. E, come fosse un fagottino, io mi lego sempre più strettamente sulla schiena, e porto sempre più come una cosa mia quel pezzetto di destino che sono in grado di sopportare: con questo fagottino già cammino per le strade» (ivi).

Ciò non significa rassegnazione fatalista. C'è la consapevolezza che le parole raccontate faranno storia:

«Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com’è ora e non è» (ivi).

Al contrario, la preghiera è di non cadere nella rete nell'inumanità, quella che è germinata dall'odio e acuisce l'odio. Se così fosse, la via di Dio, quella del suo amore avrebbe un'altra pesante sconfitta e proprio da coloro che Dio si aspetta siano i suoi testimoni d'amore in un mondo di violenza. La preghiera è allora più segreta, ma non meno forte, è la più forte di tutte, per essere liberati da questa caduta nella spirale del violento.

Ricorda ancora alcuni salmi, come il Salmo 58, 2-4a.10-11a.17-18:

«Liberami dai nemici, mio Dio, proteggimi dagli aggressori. Liberami da chi fa il male, salvami da chi sparge sangue. Ecco, insidiano la mia vita, contro di me si avventano i potenti. ..A te, mia forza, io mi rivolgo: sei tu, o Dio, la mia difesa. Dio, mio amore[15], mi viene in aiuto ... Ma io canterò la tua potenza, al mattino esalterò la tua grazia perché sei stato mia difesa, mio rifugio nel giorno del pericolo. O mia forza, a te voglio cantare, poiché tu sei, o Dio, la mia difesa, tu, o mio Dio, sei la mia misericordia».

Etty esprime un pensiero ardito, ma coerente: aiutare Dio a portare il fardello e la sfida nell'amore, quando esso è messo in scacco:

«E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. Su tutta la superficie terrestre si sta estendendo piano piano un unico, grande campo di prigionia e non ci sarà quasi più nessuno che potrà rimanerne fuori. È una fase che dobbiamo attraversare. Qui gli ebrei si raccontano delle belle storie: dicono che in Germania li murano vivi o li sterminano coi gas velenosi. Non è granché saggio raccontarsi storie simili, e poi, se anche questo capitasse in una forma o nell’altra, è per responsabilità nostra? Da ieri sera piove con una furia quasi infernale. Ho già vuotato un cassetto della mia scrivania» (ivi, 163).

4.3. Dio verrà nell'amore e non nell'ira, perciò occorre preparare un grembo capace di accoglierlo

Il pensiero è tratto da Os 11,8-9[16] , il profeta cantore dell'amore di Dio verso il suo popolo.

Il Dio che viene ricorda l'amore che va, verso Aschwitz, in un treno dal quale vola un foglio, appena una cartolina, un segno di vita, un insopprimibile grido di amore. Qualcuno, come Etty, sapeva andare incontro all'amore, con la stessa indifesa semplicità di colui che era venuto e tornerà nel mondo.

Un po' di tempo prima aveva scritto:

«... già diecimila sono partiti da questo luogo, vestiti e svestiti, vecchi e giovani, malati e sani - e io ero ancora in grado di vivere e pensare e lavorare e essere lieta. Adesso anche i miei genitori dovranno partire, se non questa settimana per virtù di un qualche miracolo, certamente la prossima - e io devo imparare ad accettare anche questo. Mischa vuole accompagnarli e mi sembra che debba farlo, perderà la testa se li vedrà partire. Io non lo farò, non posso. È più facile pregare per qualcuno da lontano che vederlo soffrire da vicino. Non è per paura della Polonia che non voglio seguire i miei genitori, ma per paura di vederli soffrire. E dunque, anche questa è viltà» (Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, a cura di Chiara Passanti, Adelphi, Milano 1990, pag. 105).

La sua cartolina, datata 7 settembre 1943 trovata da qualcuno, fu spedita; diceva così:

«Christien, apro a caso la Bibbia e trovo questo: «Il Signore è il mio alto ricetto». Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche della mia ultima lunga lettera? Arrivederci da noi quattro. Etty» (ivi, pag. 149 -Etty Hillesum morì a Auschwitz il 30 novembre 1943).

5. Essere comunità che celebra e vive l'attesa.

1) La sete dell’uomo verso Dio

Sal 42, 2-3: «Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?».

Sal 63,2-4: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua. Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode».

Sal 36, 8-10: «Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio!  Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali, si saziano dell’abbondanza della tua casa e li disseti al torrente delle tue delizie. E’ in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce»[17].

2) Ricerca di Dio e comunità

La cerva raffigurata nei più antichi dipinti cristiani rievoca il battesimo e la comunità dove questo era ricevuto.

La sete di Dio nell'esperienza del dolore: quando il proprio dolore è domanda sul dolore degli uomini.  La testimonianza di Sergej Bulgakov. Alla morte del figlio di quattro anni la sua domanda a Dio sul perché di tale perdita riceve una qualche risposta solo in un lungo e raccolto silenzio:

«Il Padre mi ha risposto in silenzio: al suo capezzale (del figlioletto defunto) s'è drizzato il crocifisso del Figlio unico. Ho capito questa risposta e mi sono piegato. Ma tra il Crocifisso e il suo corpo, le sofferenze innocenti e il sarcasmo di qualcuno formavano come una nebbia spessa, impenetrabile. E là, io lo so per certo, c'era il mistero della mia propria esistenza. Da quel momento io seppi che vi è una grande facilità, una facilità tentatrice nel cercare di dimenticare questa nube, di passare accanto. È in fin dei conti sgradevole portare in sé qualcosa d'interamente incomprensibile ed è più conveniente vivere nel mondo in compagnia di personaggi importanti... Invece, è solo attraverso un exploit spirituale, attraverso la croce di tutta una vita che io potrò dissipare la nube; perché essa può dissolversi, lo percepivo senza dubbio alcuno [...]. Ho imparato come Dio parla, ho capito che cosa significa: Dio ha detto! Attraverso una visione del cuore mai fino ad allora conosciuta, insieme al dolore crocifisso, una gioia celeste discendeva in me e, nella notte dell'abbandono da Dio, Dio prendeva dimora nell'anima. Il mio cuore apri il varco al dolore, alla sofferenza degli uomini, s'apri di fronte ai loro cuori che gli erano rimasti estranei fino a quel momento, chiusi, con la loro angoscia e i loro affanni. Per la prima volta nella mia vita, comprendevo che cosa vuol dire amare, non d'un amore umano, egoista e cupido, ma divino, quello di Cristo per noi»[18].

Quando si erge la croce il cuore si apre al dolore, ma l'anima può cogliere in un unico attimo la sofferenza di Cristo e quella dell'uomo. L'altro di Dio non mi è più altro, ma è quanto diventa di più mio. È il mio dolore e il mio è certamente il suo. Allora però accade qualcosa di veramente straordinario. Qualcosa o qualcuno ti chiama accanto e ti chiama al di là di quella sofferenza. È la consolazione, la paraklesis nel senso di parà-kaleo. Un richiamo e una chiamata insieme, il cui senso non basterà una vita per poterlo comprendere. Il Paraclito chiama oltre te stesso e al di là di te stesso. Che non sia anche questo uno degli aspetti della consegna dello Spirito nel momenti cui Gesù muore sulla croce? Certamente tale voce si erge con la croce e sarà quest'esperienza tutt'altro che da dimenticare. Sarà la vera esperienza della venuta drammatica e gloriosa di Cristo.

3) La sete di Dio in quella di Cristo

Gv 4,4-7: «[Gesù] doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».

Lc 12,49-50: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!».

Mt 3,13-15: <<In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia»>>[19].

Lc 22, 14-16: <<Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio»>>.

La domanda dell'uomo diventa anche la domanda di Cristo: ««Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza»: sono le parole del mio lamento» (Sal 22,2). La sete dell'uomo diventa sete di Dio: <<Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: « Ho sete ». Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, diede lo Spirito»>> (Gv 19,28-30).

4) Gesù offre se stesso come acqua dissetante:

Gv 6, 35: «Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».

Gv 4,13-15: <<Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»>>; Gv 7,37-38:   [Gesù diceva «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno»>>.  Gesù proclamava beati gli affamati e assetati di giustizia: Mt 5,6: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (cf anche M 8,10)[20].

L'attesa deve essere una dimensione costante della comunità, che ha sete di Dio, ha fame di giustizia, (rap)-presenta il dolore del mondo e non si stanca di consolare se stessa e gli altri con la profezia: <<«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio»>> (Is 40,1-3).



[1] Cf. anche Is 60,16b: «Saprai che io sono il Signore tuo salvatore e tuo redentore, io il Forte di Giacobbe».

[2] Lc 1,46-47: «Allora Maria disse: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”»; 1Tm1,1; 1Tm 2,3; 1Tm 4,10; Tt 1,3; Tt 2,10; Tt 3,4; Gd 1,25. Per l’applicazione a Cristo cf. Lc 2,10-11: «ma l'angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”»; Gv 4,42: «e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”» At 5,31: (Stefano diceva): «Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati»; At 13,23: «Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore, Gesù» (testimonianza di Paolo davanti ai Giudei ad Antiochia); Rm 11,26, che riprende Is 59,20-21; Ef 5,21; Fi 3,20; 2Tm 1,10; Tt 1,4; Tt 2,13-14: «nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone»; Tt 3,6; 2Pt 2,1-2: «Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo: grazia e pace sia concessa a voi in abbondanza nella conoscenza di Dio e di Gesù Signore nostro»; 2Pt 1,11; 2Pt 2,20; 2Pt 3,2; 2Pt 3,18; 1Gv 4,13b-14: « egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo».

[3] Cf. in Rilke, ripreso da M. Heidegger, l'idea dell'esistenza come ciò di cui ci sfugge e ci sfuggirà sempre una parte. Il riferimento è alla morte in quanto «la faccia della vita a noi opposta e per noi non illuminata» (Briefe aus Muzot, 332: citato da M. Heidegger, Sentieri Interrotti, La Nuova Italia, Firenze , 279.

[4]  Il  mondo anglosassone collega inscindibilmente la sacralità (das Heilige in tedesco, con il corrispettivo holy in inglese) alla salute o salvezza (das Heil), termine dal quale essa deriva.

[5] Il temine stesso salvezza deriva da salvo e rimanda al sanscrito sarvas e al persiano antico harvas,. Significa tutto, integro; sarebbe da ricondurre a questo ceppo anche il greco ojvlo", derivando dal termine più antico sovlFo", e avente lo stesso significato di intero, indiviso, similmente al gotico sêla (fino ad arrivare al tedesco selig e all’inglese save), con il significato originario di buono, valente, felice. Cf. «salvo» in O. Pianigiani, Vocabolario etimologico, Polaris, Varese 1991 e SAbatini - Colletti, Disc-Compact. Dizionario Italiano, Giunti Multimedia, Firenze 1997.

[6] Cf. F.  Mori, Le grandi civiltà del Sahara antico, Bollati - Boringhieri 2000.

[7] Alberto Moravia, L'uomo come fine e altri saggi 1963.

[8] B. Pascal, Pensiero 139 (Edizioni Brunschwieg).

[9] C. Pavese il 22/3/1950 (fu trovato morto il 28/8 dello stesso anno).scriveva: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi - / questa morte che ci accompagna / dal mattino alla sera, insonne, / sorda, come un vecchio rimorso / o un vizio assurdo. I tuoi occhi / saranno una vana parola, / un grido taciuto, un silenzio. / Così li vedi ogni mattina / quando su te sola ti pieghi / nello specchio. O cara speranza, / quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita e sei il nulla. // Per tutti la morte ha uno sguardo. / Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. / Sarà come smettere un vizio, / come vedere nello specchio / riemergere un viso morto, / come ascoltare un labbro chiuso. / Scenderemo nel gorgo muti» (C. PAVESE, Poesie, Mondadori, Milano 1980, 201).

[10] Traduzione letterale, come evidenzia G. Ravasi, «Pagine alla ricerca del silenzio», in Domenica- Sole 24 ore (1 agosto 199) 29, che recensisce S. Lombardini,  La voce del silenzio, Interlinea (tel 0321-612571), Novara 1998.

La voce di silenzio sottile è presente  solo come residuo in alcune traduzioni. In realtà a partire dal greco e latino si inserisce il «vento leggero» Cf. ingl. still small voice, franc. murmure doux et léger, spag. silvo, grec. fwn¾ aÜraj leptÁ, lat. sibilus aurae tenuis.

[11] Autore detto anche Pseudo-Dionigi, noto come filosofo cristiano di lingua greca. Sebbene se ne discuta la paternità, gli sono attribuite opere come Della gerarchia celeste, Della gerarchia ecclesiastica, Nomi divini, Teologia mistica. Si tratta di una teologia avente caratteristiche neoplatoniche e quindi certamente successiva all’età apostolica, anche se a partire dagli Atti degli Apostoli (At 17,34) egli è stato identificato nel Dionigi, membro dell’Aeropago convertito dal discorso di Paolo ad Atene.

[12] Cf. E. Lèvinas, «Al di là del volto», in Id., Totalità ed infinito. Saggio sull’eteriorità, Jaka Book Milano 19902, 257-295.

[13] Costretti ad esprimersi sull’argomento Dio dal governo islamico indonesiano, i buddhisti di quella nazione diedero risposte diversificate, dicendo che Dio per alcuni è il Nirvana, ciò che non si può descrivere se non dicendo che cosa non è, oppure il totalmente Altro o il Trascendente. Altri, riprendendo l’idea dell’Adibuddha, ritennero di poter parlare di Dio come Buddha originario, dal quale tutti gli altri sarebbero derivati, o anche come Shunyata, cioè «Vuoto».

[14] Un mio contributo su questo tema è reperibile in internet a questo indirizzo:  www.teologia.it/fati200.html#3 che fa parte della rivista Rassegna di Teologia 41 (2000 ) n. 2 , intervento 3. nelle pp. 271-286.

[15] La traduzione ufficiale del Sal 59,11 riporta: «La grazia del mio Dio mi viene in aiuto, Dio mi farà sfidare i miei nemici.: BJ traduce: «il Dio del mio amore»alcuni manoscritti e altre versioni hanno: «mia forza», «mio amore» (cf. v 18) il TM ha: «la sua forza», «il suo amore». Ecco le altre traduzioni più abituali: Mon Dieu vient au-devant de moi dans sa bonté;. El Dios de mi misericordia me prevendrá; Ð qeÒj mou, œleoj aÙtoà Deus meus voluntas eius praeveniet me.

[16] «Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Admà, ridurti allo stato di Zeboìm? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perchè sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira.

[17] Cf. anche Is 26, 9: «La mia anima anela a te di notte, al mattino il mio spirito ti cerca, perché quando pronunzi i tuoi giudizi sulla terra giustizia imparano gli abitanti del mondo».

[18] La Iumière sans declin,  p 28; tr. di P. CODA, L'altro di Dio,  Città Nuova, Roma 1998, 37.

[19] Nota su ogni giustizia: <<Gesù intende soddisfare, così, la «giustizia» salvifica di Dio che presiede al piano della salvezza. Matteo pensa forse alla nuova «giustizia» per mezzo della quale Gesù compirà e perfezionerà quella dell’antica legge (cf.  Mt 5,17; Mt 5,20 ). - Una leggenda apocrifa si è insinuata a questo punto in due manoscritti della vet. lat.: «E mentre egli veniva battezzato, una luce intensa si diffuse al di sopra dell’acqua, al punto che tutti i presenti furono colti da timore»>> (Bibbia di Gerusalemme).

[20] Cf. anche Is 51,1 «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti». Cf. Am 8,11-12: « Ecco, verranno giorni, dice il Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore».