Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net 

I nuovi movimenti religiosi tra la ricerca di Dio e la ricerca di se stessi (Roggiano Gravina 25/04/02)

O. Introduzione

Prendiamo l’avvio da un testo, tratto da il Libro tibetano dei morti, che descrive il momento in cui l’uomo passa da questo all’altro mondo con le seguenti espressioni:

«L’energia svanisce in se stessa come di sera il sole lentamente tramonta e i suoi raggi vengono assorbiti nel disco luminoso; la luce svanisce nella luce come un arcobaleno che si dissolve nel cielo; la forma svanisce nella forma come quando la luce di una lampada posta in un vaso si unisce alla luce esterna quando il vaso si rompe. La Saggezza svanisce nella Saggezza, cioè, lo Stato originario si unifica alla condizione dello Stato di Coscienza dell’individuo, come la madre con il figlio; il non dualismo svanisce in sé come una goccia d’acqua che si unisce al mare; la liberazione dai limiti svanisce in sé, come lo spazio di una brocca svanisce nello spazio del cielo, quando la brocca si rompe; senza dualismo, la Saggezza Pura svanisce nella sua essenza e tutte le visioni impure svaniscono in quello che viene detto “Unico Thig-le”, cioè la pura condizione della contemplazione»[1].

La citazione offre un esempio dell’esperienza religiosa a partire dall’esperienza limite della morte. La religione affiora nel momento in cui la realtà più drammatica e definitiva dell’uomo  si trasforma a poco a poco in luce, una luce assorbita dalla pienezza della luce, filo di sapienza che si perde nella sapienza stessa, strada tra le strade che viene assorbita nel tutto.  Si prova una sensazione simile quando si legge la lode di Francesco d’Assisi per “sorella morte”. Vuole essere per noi  un esempio di ciò che chiamiamo esperienza religiosa, che inizialmente sa unire  sapienza e filosofia, come abbiamo modo di constatare  nelle culture orientali e nei frammenti a noi pervenuti dai filosofi presocratici del nostro mondo occidentale, allorquando la filosofia non è separata dalla religione, la sapienza della mente dall’intuizione del cuore, per il semplice motivo che coglie l’unitarietà del uomo sulla terra e la complessità del suo conoscere come unico dinamismo di autocoscienza.

Ci sembra essere questo un modo nativamente universale di porsi dell’uomo davanti alla “totalità” della sua vita ed è ciò che la storia delle religioni conosce fin dai primordi dell’umanità. La ricerca di un senso ulteriore, al di là di ciò che gli occhi vedono e le orecchie odono, sembra accompagnare tutta la vicenda umana sul pianeta terra. È come se oltre ai cinque sensi l’essere umano abbia un organo particolarissimo che fa da cerniera tra quel mondo e questo mondo, tra ciò che si può esprimere e l’ineffabile. Questa capacità di interfacciare, si direbbe oggi, il mondo sensibile con quello meta-sensibile è stata chiamata “religione”, anche se tale denominazione è anch’essa tutta occidentale, ed infatti come concetto non compare al di là dell’area linguistica latina e neo-latina.

Ma anche laddove non compare un concetto simile al nostro, l’esperienza umana si protende ugualmente verso ciò che è altro da sé, come in qualche graffito le mani si pretendono verso l’ignoto. Per noi l’esperienza che ha queste connotazioni è ancora da chiamarsi esperienza religiosa. La ritroviamo così anche in qualche nostro inquieto autore contemporaneo che con le sue liriche o con le sue riflessioni di frontiera, urta sempre con quel muro dell’ineffabile, senza poterlo sfondare, anche se trasalisce al presagio di avvertirne il richiamo e, in qualche maniera, anche la presenza.  A titolo d’esempio ricordiamo la sofferta ricerca di  un poeta come Baudelaire,  in continua oscillazione tra la disperazione e l’affidarsi alla fede,  che dai versi conclusivi del suo De profundis  quasi singhiozzando esclama:

«Veramente, Signore, / la miglior prova della nostra dignità / è quest’ardente singhiozzo che rimbalza, / di età in età, / per in frangersi ai confini della tua eternità»[2].

Anche quando si manifesta nella forma di questo continuo oscillare tra dubbio e certezza, la religione dimostra di essere  ben lungi dall’essere estinta sulla terra.  Possiamo aggiungere che oggi rifiorisce sotto innumerevoli forme, pur coniugandosi talora con moduli e schemi di vita che, non di rado, appaiono in netto contrasto con essa. Si ripropone in veri sciami di movimenti religiosi, alcuni dei quali sono riconducibili a delle linee di tradizione, altri invece appaiono solo le manifestazioni più estreme, talora aberranti, di quel richiamo che il religioso ancora esercita ed eserciterebbe comunque, anche quando l’uomo pensasse di scardinarlo.

Il problema è allora cercare di capire cosa ci sia dietro tale fioritura religiosa, per tentare di arrivare ad alcune linee di comprensione sul legame che tutto ciò ha con la religione in quanto tale,  sporgendoci verso una lettura che vada al di là del puro dato fenomenologico. L’ipotesi è che rileggendo trasversalmente l’attuale fenomeno religioso, possiamo cogliere anche in esso, soprattutto in esso, le inquietudini dell’uomo, la sua ricerca di Dio, ma anche, al contempo, la ricerca che Dio fa continuamente delle sue creature, dei suoi figli.  Il presente contributo si articola in tre parti fondamentali. La prima presenta schematicamente i movimenti religiosi nel più generale contesto dell’esperienza religiosa; la seconda individua in questa esperienza la ricerca dell’uomo alla volta dell’ineffabile;  la terza si incentra sul cammino dell’ineffabile alla ricerca dell’uomo, accennando all’esperienza religiosa alla luce di Cristo come passaggio esodale di Dio e dell’uomo.

1. I movimenti religiosi nel più generale contesto dell’esperienza religiosa

1.1  L’esperienza religiosa: natura e limiti

L’esperienza religiosa è certamente sullo sfondo della fioritura di numerosi e nuovi movimenti religiosi, che oggi in tutte le aree del globo si vanno affermando e che, alleandosi con i potenti mezzi di comunicazione di massa, ne risultano alla fine favoriti almeno per la loro internazionalizzazione e per la conseguente diffusione. Ma a questo dobbiamo anche aggiungere le mutate condizioni culturali, che si diffondono anch’esse rapidamente da un angolo all’altro del pianeta. Questo significa che le religioni pur nascendo dallo stesso fondamentale bisogno di tentare il valico oltre l’immediatezza del dato sensibile, si sposano sempre con i contesti generali nei quali questo tentativo ha luogo. Non potrebbe essere diversamente, perché l’uomo resta sempre un essere in relazione e pertanto tutto ciò che lo contraddistingue come tale, dalla lingua al modo di vestire, dall’espressione dei suoi sentimenti affettivi a quella del “sentimento religioso”, avviene secondo schemi e parametri, linguaggi e modalità nuove.

Il problema che nasce e quello di individuare la natura di tali moduli espressivi dell’esperienza religiosa contemporanea. Riguarda l’adeguatezza o meno di tali mezzi, fino a domandarsi se alcuni di essi non snaturino quell’esperienza. Insomma la proporzione tra un dato e il mezzo adoperato per esprimerlo è sempre un problema. In questo caso si può così formulare: l’attuale cultura moderna, contrassegnata da elementi anti-religiosi, quando deve esprimere il sentimento religioso non lo stravolge fino a conservare del “religioso” solo una parvenza esteriore? Il problema è legittimo, ma suppone, in primo luogo, che il moderno abbia per sua natura principi contrari alla religione. In secondo luogo, che il sentimento religioso possa lasciarsi portare tanto fuori strada da essere tradito proprio da coloro che invece vogliono affermarlo.

Sulla prima supposizione non possiamo soffermarci più di tanto. Recepiamo solo quanto è stato scritto a riguardo e ci atteniamo anche alla nostra esperienza di uomini che sono comunque figli della modernità. Di certo questa ha reso problematico il religioso, non tanto perché alcuni pensatori più in vista hanno esplicitamente negato Dio e la religione, ma piuttosto perché il moderno ha operato una ricollocazione dell’uomo, e in particolare di ogni singolo io, tanto da rendere problematico proprio il valico che dall’io va verso l’altro. In generale sembra che abbia compromesso per l’uomo la possibilità di aprirsi una breccia oltre la barriera di ciò che è sperimentabile, immediato, diretto e fruibile. Più che anti-teista, la modernità appare ego-ista e per tale ragione anche anti-cristiana, nel senso che nei fatti nega al tu un valore uguale all’io. Di conseguenza riduce, e talora nega nei fatti, la possibilità di navigare verso l’infinito, perché polarizza tutto intorno ad un soggetto che costituisce per la cultura contemporanea ciò che il sole rappresenta per i pianeti e il suo restante esplorabile spazio. Abbiamo l’ardire di affermare che la religione comincia, invece, lì dove il soggetto avverte la sua costitutiva inadeguatezza ai fini di una sua autonoma fondazione. L’io moderno si autolegittima e si autogiustifica, oppure - ciò che è lo stesso - si dispera affermando di non poter fare altro che brancolare nel vuoto.

Per recuperare la vera esperienza religiosa, occorre, invece, andare in senso inverso. Bisogna decentrare il soggetto e additare il fondo che lo sorregge al di là di se stessi, in una rete relazionale, sorretta, a sua volta, da una relazione ultima, primordiale, fondamentale, quella con il Tu che è Dio. Solo così la religione è quello che deve essere: apertura verso una ulteriorità e totalità, che di certo non è né il frutto degli sforzi dell’io, né la somma di tutti gli sforzi dell’umanità. Con queste premesse, che indicano il minimo indispensabile perché l’esperienza religiosa abbia luogo, è ancora legittimo domandarsi: i numerosi ed attuali movimenti religiosi sono capaci di tanto? Sembrerebbe di no. Almeno non tutti; mentre, al contrario, sembra che alcuni movimenti culturali, che in un modo o in un altro si sono aperti a questa trascendenza di sé, oltre il proprio interesse e nell’interessamento concreto dell’altro, sulla linea della non violenza e dell’impegno fattivo per le sorti dei “diversi” , proprio loro sono paradossalmente più religiosi dei sedicenti movimenti religiosi. Almeno di quelli che restano ancora prigionieri di un io autocentrato, che alle tante gratificazioni con le quali cerca di colmare il suo vuoto, aggiunge una gratificazione esterna, la religione, ma non come dato di crisi, bensì come ulteriore, ultima, compensazione. Ciò significa che non la religione in sé, ma il modo di esprimerla può essere tanto fuorviante, da distogliere dal suo “oggetto” specifico, l’aprirsi dell’uomo verso la sua Ulteriorità.

Azzardo qualcosa di ancora più paradossale: persino quei movimenti religiosi interni alle chiese tradizionali, inclusa la cattolica, non sono esenti da una cattura del carattere egoico della modernità, tanto da essere diventati completamente incapaci di uscirne fuori. Quando infatti l’io è così prepotentemente messo al primo posto (tipici linguaggi: «i miei problemi», «mi sento, non mi sento», «il mio peccato, il mio sentirmi salvato»), l’io diventa referente esclusivo del religioso, anche se nominalmente si parla ancora di Dio e persino lo si invoca. Il problema cardine è, in definitiva, quello di venire a capo di ciò che interessa la propria soggettività, senza mai realmente, storicamente, pensare agli altri e prederne a cuore le sorti. In questi casi, anche se si parla di una salvezza “esterna”, non si sarà mai capaci di recepirla nella sua novità e oggettività, perché si resta prigionieri del proprio io, moderno, individualista e, al massimo, piagnucolone o depresso.

In alcuni gruppi non si supera la soglia dello psicologico, perché non si è imparato ad abbandonare la “centreità” del proprio io. Cosa manca per poter fare questo passo? Manca la profezia, che personalmente riteniamo la voce con la quale ogni religione reclama l’impossibilità di esprimere compiutamente l’ineffabile, ciò che noi chiamiamo Dio, e che qualcuno propone di indicare solo e semplicemente come l’Impronunciabile. La profezia non è però solo un sistema di autorigenerazione della religione, è anche una protesta contro le forme socialmente oppressive che vengono giustificate attraverso l’idolatria. In quanto protesta contro ogni forma di idolatria, la profezia rinnova la religione. È ovvio che la pura e semplice esperienza religiosa non è ancora la religione, ne è però la fonte. Senza di essa la religione diventa pura e semplice istituzione e quindi perde ogni carattere di apertura verso l’altro, che abbiamo considerato fondamentale per la religione stessa. Ma ciò non significa che ogni esperienza religiosa divenga contemporaneamente una religione. Può essere che si fermi ad una forma intermedia, attraverso modalità non impegnative sul piano istituzionale e tuttavia coinvolgenti su quello esistenziale.

La fioritura delle forme religiose che noi conosciamo ha fatto parlare di “religione invisibile”, nel senso che ci sono ormai sciami di esperienze che sono classificabili nelle forme più varie. Si va dalle cosiddette sette, che sono ancora forme intermedie tra quelle istituzionali e lo spontaneismo, ma che restano comunque individuabili, alle forme esperienziali fluide e diffuse, come il New Age e,  a quanto se ne sa oggi,  le sue più attuali propaggini, come il  Next Age, che rinunciano alla ricerca del benessere comunitario e complessivo, ancora espresso come orientamento di fondo nel primo, per cercare un benessere e una salvezza solo relativamente alla propria singola persona[3].

A fronte di queste e di altre forme simili di religiosità diffusa e sfuggente, le cosiddette “sette” non sono un fenomeno così rilevante come spesso si crede. Secondo i calcoli, queste riguarderebbero solo l’1 per cento circa della popolazione[4]. Ben altra importanza assumono invece le prime, che pur restando ai margini dell’istituzione, si diffondono ogni giorno di più attraverso la loro religiosità pervasiva che si combina sempre con la ricerca di un senso alla vita, con un inconscio o palese desiderio di essere di più con se stessi o di essere se stessi, con un bisogno di armonia personale in una armonia più globale. Alcune cifre possono dare l’idea di ciò che sta succedendo oggi sotto i nostri occhi, a nostra insaputa. Si calcola che il New Age e le sue forme post-new age abbia qualcosa come diecimila siti o ancor di più nelle rete Internet. Nei soli Stati Uniti d’America diventa argomento principale in circa 50.000 tavole rotonde sul tema, mentre in Italia è presente con 5 riviste, delle quali Essere New Age pubblicava qualche anno fa già 70.000 copie. La musica, accompagnata da dispense patinate, è uno dei suoi canali privilegiati.

Ma non è l’unica esperienza da collegare alla pervasiva religiosità oggi in pieno risveglio. Per avere un qualche punto di riferimento sì da orientarsi in una situazione in continua trasformazione, offro una mappa schematica, che spero risulti di qualche utilità.

1.2  Mappa indicativa dei “nuovi movimenti religiosi”

Una “mappa” dei nuovi movimenti religiosi si può compilare secondo diversi criteri. Qui ci riferiamo principalmente all’area geografica dell’Italia, per accennare poi rapidamente alla loro diffusione per aree di provenienza. In Italia la situazione sembra oggi del tutto favorevole anche perché sono completamente cadute le due barriere tradizionali che fungevano da protezione: la cultura cattolica dominante e, all’apposto, quella di stampo marxista. Sembra infatti che con il disincanto del marxismo e con il crollo del collateralismo, tali movimenti sono aumentati notevolmente. Qualche anno fa si calcolano circa 300.000 persone attivamente impegnate nella diffusione dei nuovi movimenti religiosi, mentre gli altri che ruotano intorno alla loro orbita sarebbero intorno al milione, ma comunque con un numero in continua crescita[5]. Le forme rivestite da questa nuova religiosità sono varie, sono talora sistematizzate, con il criterio della loro consistenza numerica. In maniera decrescente si ha lo schema: 1) movimenti di origine orientale, 2) movimenti di “matrice cristiana”, 3) movimenti chiamati psico-sette, 4) movimenti legati all’esoterismo ed occultismo, 5) movimenti a caratterizzazione neopagana, satanica, magica e simili.

1) I movimenti di origine orientale, comprendono: a) movimenti legati all’induismo (Hare Krishna, Sai Baba, sincretismo di Osho); b) movimenti legati allo yoga; c) movimenti legati al buddhismo; d) nuove forme religiose giapponesi; e) movimenti a matrice islamica.

2) I movimenti a matrice cristiana sono quelli che si sono distaccati dal patrimonio cristiano di partenza, tanto da non essere più riconosciuti come cristiani. Sono accomunati da una spiccata attesa dell’avvento del regno di Dio ritenuto assai prossimo. Ricordiamo la Società della Torre di Guardia (nota con il nome di testimoni di Geova); la Chiesa di Gesù Cristo degli ultimi giorni (Mormoni); la Chiesa di Dio universale; The Family (Bambini di Dio); la Chiesa dell’Unificazione; Scienza cristiana; Vita universale. Vi si annoverano anche gli Avventisti del settimo giorno, per la loro attesa escatologica, ma personalmente riteniamo che debbano essere considerati a parte, dal momento conservano dati non secondari della fede cristiana, come la divinità di Cristo, il peccato originale, la redenzione ecc.

3) I movimenti chiamati psico-sette, richiedono una classificazione a sé. Sono accomunati dall’idea di una particolare potenzialità insita negli esseri umani, i quali, comunque, possono risvegliare in sé e negli altri doti particolari, come ottenere la guarigione, la armonia psicosomatica, l’integrazione con il cosmo. Possono anche leggere e trasmettere il pensiero, prevedere il futuro e “compiere miracoli” Il risveglio di tale potenzialità non avviene però autonomamente, ma attraverso tecniche particolari, che si possono apprendere tramite corsi, seminari e training, spesso offerti inizialmente gratis e che diventano poi sempre più costosi. Il giro di denaro è in ogni caso notevole e alcuni movimenti sono stati condannati o sono sotto processo per illeciti finanziari. L’indirizzo di fondo si può cogliere nell’umanismo psicologico pensato per la terapia e l’adeguato trattamento dell’anima. Alcuni metodi impiegati sono effettivamente efficaci, per il loro effettivo valore terapeutico. Ma ciò diventa motivo di propaganda e di ulteriore diffusione. Di solito si nasconde agli adepti l’efficacia delle tecniche adottate anche altrove come, ad esempio nel training autogeno, nell’ipnosi, nelle terapie della Gestalt, per attribuire un valore particolare all’elemento più formalmente religioso e coreografico, che nulla ha di per sé a che fare con le stesse forme terapeutiche.

Sono riferiti a questa vaga religiosità psicologizzante gli Arancioni (sorti intorno alla figura di Osho Rajneesh), il gruppo legato a Maha Yoga Sudha, che pratica la cosiddetta bioenergetica, il Silva Mind Control, che utilizzerebbe particolari onde cerebrali (di tipo alfa e beta), il Live Discovery Principles (abbreviato in LDP). Quest’ultimo è legato a Basil De Luca, che accentua il valore del benessere psicosessuale ed utilizza lo psicodramma, la cui forma di liberazione catartica arriva alla violenza, che singolo deve subire da parte del gruppo. Un orizzonte pseudo-psicologico sembra caratterizzare anche la Scientologia, spesso al centro di vicende giudiziarie, dovute o a denunce da parte dei suoi leaders contro i cosiddetti denigratori o a procedimenti giudiziari intentati contro i leaders da parte di persone ritenutesi truffate. La scientologia fu fondata da Ron Hubbard (1911-1986), oggi si autodefinisce chiesa e ha come punto centrale la Dianetica. Pretende di essere una concezione psicologica alternativa alla psichiatria e alla psicologia tradizionali. Parte dal presupposto che i ricordi negativi e angosciosi, chiamati engrammi, devono riaffiorare alla memoria attraverso tecniche particolari di regressione all’indietro nel tempo, al fine di essere neutralizzate e dare libero sfogo al potenziale positivo dell’individuo. Sorta inizialmente come dottrina psicologica, si trasformò ben presto in dottrina religiosa, in modo da ottenere maggiore libertà d’azione, oltre che proventi di altra provenienza. Perciò ammise la reincarnazione dello spirito (thetan), che si congiungerebbe ad un altro corpo subito dopo il parto. Ne consegue che l’uomo risulta costitutivamente infetto, dirthy, influenzato da engrammi negativi. La scientologia afferma di poterlo ripulire, facendolo clean, attraverso la dianetica. Chi è già clean raggiunge stati superiori, come quelli di un thetan operante. Il terzo stato farebbe rimuovere misfatti compiuti, ben 75 milioni di anni fa, da Xenu, comandante supremo di una confederazione intergalattica. Il progresso “spirituale” degli adepti è inarrestabile, passa attraverso corsi particolari sempre più costosi, può arrivare per alcuni al «voto di servire in eterno la chiesa di Scientologia», con l’inserimento nella Sea Organization, dal nome dell’uniforme della marina, portata dai primi membri.

4) I movimenti legati all’esoterismo e all’occultismo sono molteplici e notevolmente diversificati. Ci sono i raggruppamenti orbitanti intorno alla Teosofia, che sebbene ripeta il titolo dell’opera di R. Steiner[6], è una corrente religiosa legata all’occultismo. Ammette infatti particolari poteri al di fuori della normale consapevolezza, attingibili non con metodi scientifici ma con mezzi adeguati particolari, occulti. Sono ricordati due fondatori, Elena Petrovna Blavatskij[7] e H. S. Olcott. Il testo fondamentale è il Libro Dzyan. Si parte da una cosmologia che ritiene il male la conseguenza di uno “spirito solare bruciato” e il bene l’effetto di Cristo, “spirito solare buono”. In genere la teosofia mette tutte le religioni sullo stesso piano, perché le ritiene interpretazioni di una dottrina fondamentale, la quale insegna come percorrere la via, grazie all’aiuto di “maestri invisibili”, per liberarsi dalla materia e dalla catena del karma[8], che sono le connessioni ineluttabili tra l’uomo, i suoi stadi precedenti e i suoi stessi atti.

Il già accennato movimento del New Age è detto anche nuova teosofia. Il nome indica l’inaugurazione di una nuova era, portatrice di benessere per tutti gli uomini. Il punto di partenza è la convinzione che la terra, entrando nella nuova fase zodiacale dell’acquario (per effetto della precessione degli equinozi), sarà sotto il suo influsso benefico, con la valorizzazione della sensibilità, dell’espressione corporea, dell’energia psicosomatica e in genere con una visione magica del mondo. La nuova era succede all’era precedente dei pesci, portatrice di razionalità, violenza, fanatismo e paure. Gli Acquariani pensano di raccogliere il meglio di tutte le religioni e tradizioni precedenti, per giungere a una sorta di fusione con il cosmo, tanto da scoprire la scintilla di Dio come energia universale[9]. Ciò significa anche un rapporto diretto con il divino, senza alcuna intermediazione di tipo comunitario-ecclesiale. Il movimento si presenta in molte ramificazioni, alcune delle quali si rifanno a una sorta di Cristo cosmico, altre alla presenza nel mondo di fate e gnomi (devas), altre ancora a dottrine su personalità e maestri extraterrestri. Il fascino esercitato dall’intero movimento è anche nella sua caratterizzazione olistica. Una visione cioè generale onnicomprensiva che riprende elementi estetici e spirituali, valori mutuati dalla nonviolenza e dalla scienza e mette insieme ecologia e magia, astrologia e psicologia, musica e tecniche di rilassamento. Tutto in un miscuglio originale, che fa la fortuna di questo movimento, che dagli Stati Uniti si è diffuso in molti paesi del mondo.

Altri gruppi facenti parte dei movimenti legati all’occultismo e all’esoterismo sono quelli ufologici. Anche in loro, come negli altri di questo genere, esiste lo channeling, cioè la possibilità di una “canalizzazione” di informazioni extraterrestri, trasmesse ad individui che diventano punti di riferimento di raggruppamenti autonomi[10]. Più che in Dio, credono in extraterrestri che avrebbero creato gli uomini in laboratorio, per trapiantarli sulla terra. Propugnano un notevole permissivismo etico, fino alla piena libertà sessuale, come nella corrente realiana. Ritengono infine non c’è immortalità nel senso tradizionale, ma una vita da continuare in altri pianeti, dove tra l’altro sarà possibile avere rapporti con partners bellissimi, “realizzati”, sempre in laboratorio, per soddisfare ogni desiderio.

5) I movimenti a caratterizzazione neopagana, satanica e magica sono accomunati, anch’essi, dallo scopo della soddisfazione dei desideri umani, talora in maniera completamente trasgressiva[11]. Ci sono gruppi neopagani, che propongono rigenerazioni spirituali attraverso cicli naturali particolari e offrendo sacrifici a divinità del mondo greco-romano. Ci sono infine movimenti religiosi, che, a rigore, sono la negazione della religione, e quindi non dovrebbero comparire come tali. Sono costituiti da gruppi che praticano la stregoneria e il satanismo. Si va dai “Bambini di Satana”, a raggruppamenti che agiscono nel più stretto riserbo, alle ditte specializzate che inviano a casa l’attrezzatura per le “messe nere” (cappucci, messale, calici, stole e coltelli rituali). Un’inquietante coreografia, alla quale si aggiungono ostie da profanare e vergini nude da utilizzare come altari[12].

Sono gli esempi più estremi della possibilità di devianza insita nell’esperienza religiosa, che in questi casi è incanalata verso le forme più oscure e più orride di cui la mente umana sia capace. Esprimono una religiosità all’incontrario. La potenzialità di dedizione dell’uomo al di là di se stesso (che potremmo considerare una sorta di religiosità primaria) viene cambiata di segno: non si protende più verso il bene e la solidarietà, ma verso il male e le forme che lo rappresentano.

Sarebbe fin troppo facile considerare tutto ciò il frutto di una superstizione o di una fase non ancora progredita dell’animo umano. I fatti smentiscono che ad essere coinvolti in riti occulti, magici, pagani e satanici siano solo sprovveduti o strati popolari e ignoranti. Accanto ad adepti di questo tipo, non è infrequente trovare anche rappresentanti di strati sociali più agiati ed acculturati, persino esponenti del mondo politico-amministrativo o di quello culturale e artistico. Gli adepti possono essere passati da una iniziale curiosità ad un’iniziazione vera e propria, fino ad essere arrivati ad un’effettiva dipendenza psicologica da ciò che i movimenti “celebrano”, pensano e vivono. In caso di illeciti, commessi a vario livello, la complicità diventa anche reciproca copertura ed ulteriore forma di dipendenza.

Anche per queste ragioni si rafforza in noi la convinzione dell’indispensabilità di una vigilanza critica continua nei confronti di tutte le forme assunte dalla religiosità umana, affinché essa non devii verso forme che non favoriscono la crescita dell’uomo.

La presentazione dei movimenti religiosi qui fatta riprende le informazioni principali fornite da chi ha disegnato la mappa italiana dei “movimenti religiosi”, non può certo avere la pretesa della completezza. Offre uno schema di orientamento, che si colloca in un più generale contesto che, su un piano mondiale può essere abbozzato ricorrendo alla sintesi delle tre aree storico-geografiche di G. Filoramo. La prima abbraccia tutto ciò che si è formato e si va formando nell’alveo della tradizione mediterranea delle grandi religioni monoteiste[13]. La seconda comprende i movimenti sorti nell’alveo della cultura orientale[14]. La terza è da collegare alla Gnosi che, rifiorendo in nuove forme esoteriche e occulte, come quelle ultime summenzionate, dà luogo a fenomeni che altri classificano come culti.

In un rapido tentativo di valutazione emerge in tutti i movimenti suddetti e in quel fiume della religiosità diffusa e pervasiva, che fa loro da sfondo o da alternativa, una carenza di capacità autocritica e di critica religiosa. Ma ciò è anche motivo di una particolare coscienza che gli adepti di questi gruppi hanno di sé e del proprio movimento: essere portatori di una particolarità avente valore assoluto, sentendosi detentori di un carisma che li distingue come prescelti, mandati a convertire anche gli altri. Ovviamente non è religiosità autentica quella che si ritiene infallibilmente tale, al contrario spesso scade in fenomeni religiosamente negativi come l’infatuazione, il fanatismo, l’integrismo e il fondamentalismo[15].

2   La ricerca dell’uomo alla volta dell’Ineffabile

2.1  Dalla religione alla religiosità

In questo quadro negativo si possono individuare alcune lacune strutturali, che sono all’origine di queste vere e proprie devianze della religione e che sono in parte già affiorate: l’esperienza religiosa è invocata come soluzione dei problemi, come riempitivo o comunque come dato che gratifica in una situazione negativa. Non parte dalla gratuità, né dall’accoglienza di un dono, ma dall’esigenza di soddisfare particolari interessi. Una riprova viene dal fatto che tale religiosità senza gratuità e senza Dio si diffonde spesso in aree di grandi contesti urbani, in particolar modo nelle zone periferiche, spesso carenti di una identità socio-religiosa, segnate dall’insicurezza, dalla diffidenza reciproca o comunque dall’anonimato. Coinvolge coloro che maggiormente avvertono tali disagi, una fascia di età, in genere, tra i venti e i quarant’anni.

Ma dicendo questo non si vuole sposare completamente un’impostazione sociologica, pur è importante per capire come la fortuna di questi movimenti sia dovuta anche al fatto che rispondono ad alcuni bisogni fondamentali dell’uomo contemporaneo: Si tratta di bisogni reali, come quello di integrazione e di appartenenza, in una società che rende anonimi e massifica; il bisogno di totalità, in una parcellizzazione del sapere e dell’agire; il bisogno di certezza, in una situazione di diffusa insicurezza. Né si vuole solo dire che il religioso è per sua natura sempre un fenomeno magmatico, con una continua “metamorfosi del sacro”. Si vuole invece affermare che nell’essere umano c’è un insopprimibile rapporto con l’Assoluto, che anche se attraverso forme religiosamente deviate, “grida dovunque la sorte di una patria”[16], reclamando qualcosa che è inerente al suo stesso essere ed è oltre se stesso: la sua cosiddetta dimensione trascendente. L’esperienza religiosa, nel suo sforzo di esprimere l’inesprimibile, ritiene costituzionalmente inadeguate le forme precedenti o cerca di integrarle in nuove morfologie. Il modo in cui le chiese tradizionali risponderanno (se in maniera sufficientemente critica e aperta, o in maniera chiusa e autoritaria, ma non convincente) costituisce la scommessa del nuovo millennio. Un argomento, che qui dobbiamo lasciare da parte.

Ciò che invece ci interessa è quella totalità di senso, verso la quale ogni esperienza religiosa sembra camminare. Senza poterlo ulteriormente qui dimostrare[17], la nostra riflessione ci conduce ad asserire che la totalità di senso[18] coincide con ciò che chiamiamo soggetto primario della religione, e che in maniera preliminare indichiamo in qualcosa che è dentro l’essere umano ed è al di là di lui, tra-scendenza e di-scendenza nello stesso tempo. Riguarda qualcosa che desideriamo raggiungere, ma che non produciamo, bensì ritroviamo in noi: ciò di cui non disponiamo, ma a cui ci affidiamo. La religione non è può mai essere cattura dell’inspiegabile, ma solo una resa all’ineffabile. L’ineffabile che ci sorprende perché ci trascende e che è la nostra patria oltre che la nostra culla. Consegnarsi all’ineffabile, aprire non solo la nostra ragione ma la nostra intera capacità relazionale all’aconcettuale costituisce l’esperienza della religione. Dobbiamo ammettere che una simile esperienza è a disposizione di ogni esistenza umana, mentre, dal nostro versante giudaico-cristiano, dobbiamo ugualmente pensare che una simile esperienza, se non è deviata da altri dinamismi (e ne abbiamo indicato alcuni), è illuminata dalla luce della grazia di Dio.

2.2  Religiosità estroversa o introversa?

Le ultime asserzioni sollevano, com’è ovvio, ancora molte domande. Dalla prospettiva del credente nella rivelazione giudaico-cristiana se ne può sollevare una del tipo: il grande richiamo religioso di oggi è anche un richiamo verso Cristo? Mentre una seconda potrebbe essere così enunciata: il fascino del religioso è da ricondurre a un richiamo da parte di Dio nei nostri confronti?

Al primo interrogativo sembra che non si possa rispondere che in termini dubbiosi, se non negativi. I nuovi movimenti religiosi non sembrano andare verso Cristo. Si fermano molto prima. Sembrano non avvertire nemmeno il bisogno di Dio, quanto piuttosto quello di una totalità dai contorni molto vaghi, dove il Tutt’Altro non sembra veramente tale, ma piuttosto il tutt’io: un io dilatato oltre misura, proiettato verso una totalità o una visione olistica che non corregge, né mette in crisi, ma soddisfa e gratifica. Se dovesse ancora chiamarsi Dio, sarebbe un Dio non solo “a propria immagine e somiglianza” ma un Dio di comodo. La religione in quanto tale conserva ancora almeno l’aspirazione a un’alterità, il religioso attuale sembra invece una religione senza vera e propria alterità. Posiamo ancora dire che è manifestazione di un reale bisogno ma che sovente non riesce a strapparsi alla forza orbitante della propria “egoità”.

E il bisogno che il religioso attuale esprime? È certamente un bisogno reale di alterità e di comunicazione, e tuttavia le forme che pretendono di rispondervi non varcano la soglia di quel ego, che è la prigione dorata di partenza e rimane anche l’orizzonte autoreferenziale di quanto gli viene ricostruito intorno. Il bisogno è però un bisogno valido. Viene da più lontano. In quanto bisogno è da considerare nel solco delle “religioni” tradizionali, che in questa prospettiva appaiono le manifestazioni di un unico incedere verso ciò che di altro la vita possa offrire, ma ben al di là di se stessa. Rappresentano infatti le forme assunte dal cammino dell’uomo verso ciò che si può anche chiamare ulteriorità e sono diventati tanti cammini che obbediscono allo stesso impulso a camminare verso ciò che colma il cuore dell’essere umano. Sono accomunate dal fatto che l’uomo si mette sempre in movimento, anche se talora può restare prigioniero di un moto circolare intorno a sé, come in alcune tipologie del religioso già considerate, e tuttavia almeno tenta di avanzare oltre le sponde dell’ignoto.

3. Il cammino dell’Ineffabile alla ricerca dell’uomo

3.1. Il valore religioso dell’essere in cammino

A quel che finora ci è dato di sapere, il cammino dell’uomo oltre se stesso è documentabile da settantamila anni fa. Era quello che i primi uomini compivano verso la spelonca detta Drachenloch (Alpi svizzere), per celebrare, a come sembra, atti di culto di natura sacrificale[19]. Più recentemente, era ancora il cammino compiuto da chi andava a raffigurare scene di vita significative, dalla caccia di animali all’atto di tendere le mani oltre se stessi, quasi a rapportarsi con l’invisibile[20]. Tutta la storia delle religioni sembra coincidere con questo cammino ideale verso ciò che attira l’uomo oltre se stesso, grazie al fascino di un’impalpabile presenza, avvertita anche da chi non si accetti la legittimità dell’esperienza religiosa, e talora persino da chi si dice agnostico o ateo[21].

Nella tipologia religiosa a noi più nota, l’esperienza di sentirsi attratti dal divino, tanto da lasciare la propria terra per percorrere sentieri sconosciuti, si concretizza in Abramo, che non per nulla è ritenuto capostipite nelle tre grandi religioni storiche monoteiste (ebraismo - cristianesimo - islamismo). Ma quest’esperienza è documentabile anche altrove. Per esempio, il santuario di Minahassa (Celebes)[22] in Indonesia, contiene pietre venerate come sacre, con il nome originario di «quelli che chiamano», nel senso di possedere un forte richiamo nostalgico[23] per le persone che vi si recavano. L’ “esperienza religiosa” è per noi da mettere sullo stesso piano dell’“esperienza spirituale”; spinge dunque ad uscire dalla ordinarietà, perché la soggettività è soggiogata dal richiamo dell’assoluto. Invita a un cambiamento, a un moto che può essere anche semplice movimento dello spirito[24]. Insomma, si tratta di un’esperienza umana che va oltre l’umano, oltre l’immediato e il contingente, lo si chiami Dio, oppure no, perché alcuni non arrivano a invocarlo come tale. Ma si può asserire, che toccando la radice stessa dell’umano si trova non solo nel religioso in quanto tale, ma anche nella poesia e nell’arte in genere[25].

Proprio la poesia è stata indicata come lo strumento migliore per cogliere il divino da uno dei pensatori più rilevanti del secolo che sta per chiudersi, Martin Heidegger, i cui saggi appartenenti alla seconda fase del suo pensiero, seguita ad Essere e tempo, sono oggi attualmente disponibili sotto il titolo di Beiträge zur Philosophie (Contributi alla filosofia)[26]. L’autore riprende il tema del passaggio (Übergang) nella storia, come passaggio dell’uomo, che inesorabilmente scivola verso la morte, ma che non si consuma in solitudine, perché ne intercetta un altro, il passaggio di Dio[27]. Secondo Heidegger, Dio passa, anzi appare in fuga, non solo perché l’uomo di oggi si chiude alla salvezza[28], ma perché Dio si incontra di sfuggita, non lasciando mai il tempo di fissarlo direttamente. È già passato volta le spalle a colui che lo intercetta[29].

L’intuizione che ci sembra di poter cogliere in questa affermazione è che le distanze tra l’umano e il divino si sono accorciate[30]. Non per uno svilimento del divino, ma per una solidarietà che nel comune cammino li avvicina e li rende capaci di incontro, anche se si tratta di un incontro fugace. Heidegger sembrerebbe insomma approdare a un idea, che è poi l’essenza dell’esperienza religiosa: l’incontro tra l’immanenza e la trascendenza, tra l’umana ricerca di Dio e il divino venire verso l’uomo. È comunque l’incontro che ritroviamo nell’esperienza religiosa in quanto tale e nelle religioni che in questa attecchiscono. Esse esprimono in maniera palese, attraverso l’idea del cammino, del pellegrinaggio, dell’esodo, il muoversi dell’uomo verso Dio, ma in maniera più segreta, ma altrettanto vera, l’intuizione che Dio stesso in qualche maniera viene incontro all’uomo[31]. La riflessione umana giunge così a dare una qualche indicazione su qualcosa che per sua natura non è mai completamente asseribile, e tuttavia appare come deficit di infinito, il «vuoto infinito» che il cuore umano si porta. È il classico tema del cor inquietum di Agostino, che può essere di grande importanza anche nel dialogo con le altre religioni e in genere con i nostri contemporanei[32], ma è anche qualcosa di più. È l’intuizione che al cuore inquieto dell’uomo corrisponde il cuore “inquieto” di Dio, di Colui che è impaziente di esprimere l’amore, perché non è solo l’Assoluto, ma l’Amore assoluto, e, in quanto tale, non si dà per vinto, se non quando raggiunge coloro che infinitamente ama. L’esperienza religiosa presagisce, seppure in maniera indiretta ed implicita, ciò che il giudaismo-cristianesimo conferma: Dio chiama l’uomo e viene a visitarlo, viene alla sua ricerca, anche se la sua visita è sempre fugace come un rapido passaggio.

3.2. Dio alla ricerca dell’uomo

La religione coinvolge entrambi i soggetti dell’esperienza religiosa: in Dio è continuo cammino verso l’uomo, per soccorrerlo, per salvarlo  e perdonarlo; nell’uomo è capacità recettiva di Dio e accoglienza. La rivelazione giudaico-cristiana attesta la storicità di un evento che compie il doppio cammino. Qui infatti l’esodo (secondo la variante collettiva del popolo di Dio e quella personalistica dell’uomo in genere) è un atto congiunto di Dio e del suo popolo. Pur nella sua mai irraggiungibilità, il passaggio di Dio appare dalla prima all’ultima pagina della Bibbia come un suo incessante cammino verso l’uomo. Lo affermano le categorie bibliche dell’elezione, dell’alleanza, della grazia, del progetto di salvezza. Lo attesta e gli dà consistenza storica la venuta del Logos tra gli uomini e nella storia umana. Gesù è il reale cammino storico del Dio che si è mosso alla ricerca dell’uomo, nella concretezza della carne e del sangue, in una vicenda avente precise coordinate spazio-temporali. Esprime con termini umani e passione umana quel “cor inquietum” di Dio, impaziente di incontrare l’uomo:

«Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,49-50, cf. Mc 10,38; Lc 9,22).

Quando finalmente il momento sarà giunto, Gesù confessa a coloro che lo hanno seguito ed hanno creduto all’Amore:

«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». (Lc 22,15-16).

L’ora del suo esodo dal mondo è scoccata. L’esodo della salvezza, che Dio da sempre ha pensato per gli uomini, è al culmine[33]. L’amore raggiunge così quanti lo hanno cercato e quanti da sempre ha desiderato di incontrare. Per tutte queste ragioni, Cristo, perfettamente Dio e compiutamente uomo, porta a realizzazione storica definitiva il passaggio di Dio, ma adempie anche in maniera somma l’esodo dell’uomo.

Con queste considerazioni possiamo concludere il nostro intervento, ribadendo che non solo le religioni, ma anche ogni movimento verso la religione nasce intorno alla nostalgia dell’incontro tra il cammino umano e quello divino. È vero però che le forme che esse assumono di volta in volta possono degenerare e restare prigioniere di un moto che non le consente di andare effettivamente verso Dio. In ogni caso, il fascino del religioso, oggi come sempre, esprime quel mistero insieme tremendo ed affascinante, che, da Rudolf Otto in poi, la fenomenologia delle religioni ha ritenuto suo nucleo fondamentale. Infine, seppure su un piano fenomenologico si debba ammettere che le forme attuali in cui si esprime il religioso non attestino un andare “culturale” e nominale verso Cristo (che apparirebbe non più di moda, perché rimpiazzato da altri maestri o guru), dal versante teologico non si può misconoscere che c’è pur sempre e c’è ancora un effettivo movimento di Cristo verso ogni uomo. Inoltre vale anche per le forme religiose di oggi che ogni atto teso verso l’ulteriorità, quando è veramente tale, è già, quand’anche inconsapevolmente, un andare verso Colui che compie pienamente incontro tra la nostra inquietudine umana e l’impazienza divina dell’amore.

Lo troviamo affermato già in documenti del Vaticano II, con il riconoscimento che il mistero pasquale della salvezza «non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà»[34] e, più recentemente, nella Redemptoris missio, che ribadiva che le altre mediazioni di vario tipo e ordine relative alla salvezza (è il caso delle altre religioni) non sono intese come mediazioni autonome, ma piuttosto partecipate, nel senso che attingono significato e valore nella mediazione di Cristo. Non possono essere pertanto considerate né come parallele né come complementari all’unica e decisiva mediazione salvifica di Cristo[35]. In effetti ogni salvezza passa attraverso Cristo e dal momento che la chiesa ne costituisce la mediazione storicamente efficace, ogni salvezza passa - sebbene misteriosamente - anche attraverso il sacramento universale della salvezza voluta da Cristo[36]. Anche la Commissione Teologica Internazionale, che è ultimamente intervenuta sulla materia, pur con tutte le sue cautele e precisazioni, riconosce che si può raggiungere Dio anche attraverso immagini false di Dio (si pensi al politeismo) o attraverso cerimoniali cultuali e motivazioni mitologiche, oggettivamente non condivisibili. Si può e si deve pertanto riconoscere “valore salvifico” anche alla stessa preghiera praticata nelle altre religioni, e in genere a tutto ciò che è espressione dell’esperienza che spinge l’uomo verso il suo esodo, incontro all’Assoluto[37]. Se le religioni sono vie interpretate e avvalorate dalla Via che è Cristo, cadono anche le altre ipotesi teologiche affacciatesi alla ribalta e che, pur di ampliare il concetto di universalità della salvezza e del pluralismo salvifico, hanno eccessivamente distinto, fino a separare aspetti che devono invece restare uniti, quali, ad esempio, il Verbo e la persona di Cristo, il Gesù della storia e il Cristo della fede, il regno di Dio e la signoria di Cristo[38]. Per noi Cristo non è una strada accanto alle altre, come se le religioni fossero tutte uguali, viottoli che portano tutti e comunque alla stessa vetta[39], ma è la via portante dell’incontro tra il passaggio di Dio e il pellegrinaggio dell’uomo. In Lui convergono i due movimenti già accennati[40] e ogni tentativo di mettersi in cammino, emigrando da se stessi, è un immettersi nella via maestra che è Cristo[41]. Se le forme assunte oggi dal bisogno religioso emigreranno da sé, diventando estroverse, parteciperanno allo stesso dinamismo verso l’incontro salvifico che passa attraverso il soffio dello Spirito di Dio e il mistero pasquale di Cristo[42] Ma ciò significa che è tempo di approfondire il rapporto tra religioni, esperienza religiosa, movimenti e cristianesimo non solo su un piano orizzontale (che rischia sempre il pluralismo livellante), ma anche e soprattutto su un piano verticale, facendo cioè uscire tutti dalle proprie sicurezze e sfidando ogni forma religiosa a superare continuamente se stessa[43].


[1] Il libro tibetano dei morti (a cura di Namkhai Norbu), Newton & Compton, Roma 1997, 27.

[2] Citazione tratta da G. Ravasi, «Faust: purtroppo, dottore in teologia»,  in  Il Sole-24 Ore Domenica  (21 Aprile 2002)  39.

[3] Cf. Cesnur (Centro Studi Sulle  Nuove  Religioni), Enciclopedia delle Religioni in Italia, (a cura di massimo Introvigne), Elledici, Leumann (To), 2002, pp.  907-933.

[4] Cf. S. Acquaviva, «Religiosità 2000», in Rocca 56 (1997/22) 38-39.

[5]Cifre e descrizioni sono reperite in C. G. Trocchi, Le sette in Italia, cit., 9 ss. Le denominazioni da noi adoperate sono talora difformi da quelle qui indicate, a motivo dell'analisi di base fatta sui movimenti, dizione che ci convince più di quella di sette.

[6]Rudolf Steiner fu un filosofo austriaco (1861-1925). Mescolò elementi di filosofia indiana con conoscenze spirituali del mondo occidentale, fino a proporsi una rinascita spirituale nei contemporanei attraverso tecniche quali la concentrazione, per giungere all’intuizione dell’Assoluto. La sua opera principale è Teosofia, pubblicata il 1904, la sua dottrina è però nota come antroposofia ed ha una caratterizzazione più spirituale delle altre correnti simili a carattere occultista

[7]Elena Petrovna Blavatskij (propriamente Blavatskaja) fu una scrittrice russa (1831-1891). Fondò la Società teosofica a New York e in India. Tra le sue opere si ricordano Iside svelata (1877), La dottrina segreta (1888), La chiave della teosofia (1890).

[8]Occorre ricordare che in questo senso il karma o karman è diverso dal senso originario derivato dal sanscrito che significa fare e che nell'induismo primitivo (vedico) indicava il rito.

[9]Le idee principali di fondo attingono a un testo fondamentale, riconosciuto nel libro di Marylin Ferguson, The Acquariam Conspiracy, Los Angeles 1980.

[10]Come il francese Rael (da cui il movimento realisano) o gli italiani Eugenio Siracusa e il suo successore Giorgio Bongiovanni.

[11]Occorre comunque tener presente la differenza tra il ricorso allo spirito del male per uso magico, e il culto satanico vero e proprio. Nel primo caso siamo di fronte a gruppi con caratterizzazione magica, nel secondo con caratterizzazione satanica. Cf. M. Introvigne, Il cappello del mago, Sugarco, Milano 1990.

[12]Cf. G. Cosco, Il ritorno di Satana. Il culto del diavolo dalla politica alla letteratura, dal cinema alla musica rock, Il Segno, Udine 1995.

[13] La tradizione giudaico-cristiana e quella islamica. Anche se alcune forme religiose sono nordamericane, la provenienza è la medesima. Alcuni movimenti prendono il nome esplicito di chiese. Così, ad esempio, la Chiesa dell’amore, fondata da David Moses Bergi (Bambini di Dio), la Chiesa dell’Unificazione (fondata da Moon) e la Chiesa di Scientologia. Ad essi sono da aggiungere gruppi come quelli della “Jesus People” e altri di derivazione dalle religioni monoteiste.

[14] Comprende forme di neo-induismo, alcune delle quali già ricordate (Mehr Baba, Hare Krishna, Missione della Luce Divina, Ananda Marga, Meditazione Trascendentale) e di buddhismo Zen o altre ramificazioni buddhiste.

[15] Il quadro deve essere completato con un accenno ai processi psicologici e sociali che favoriscono questi fenomeni e che sembrano accomunare le diverse forme assunte dalla religiosità contemporanea. Accenniamo ai processi di consolidamento e di perpetuazione, come il proselitismo, strategia di arruolamento diretto e indiretto; la cooptazione del nuovo membro con la conseguente fase dell’assimilazione (terminologia comune, stesse letture, stesse esperienze ecc.); l’identificazione degli adepti a ciò che pensa e fa il gruppo, attraverso la mediazione determinante del leader e dei suoi collaboratori; l’interiorizzazione, con l’acquisire a livello profondo la “dottrina”, fino ai sentimenti di colpa, in caso di deviazione, e di gratificazione in caso di identificazione e, infine, il compattamento, che fa ritenere rinnegato e traditore chi deflette.

[16] L’espressione, è in S. Quasimodo, «Lamento per il Sud», in Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1960, 169.

[17] Cf. a questo riguardo G. Mazzillo, «Sulla definibilità della religione», in Rassegna di teologia 38 (1997/3) 347-362.

[18] Sull’espressione cf. K. Rahner, «Il problema umano del senso», in Idem, Scienza e fede cristiana, Paoline, Roma 1984, che scrive: «Il senso su cui ci interroghiamo (da non confondere con quello delle singole realtà dotate di senso) deve essere e rimanere sempre il mistero inabbracciabile, mai perscrutabile, mai manipolabile [...] Solo dove l’uomo accetta questa ineffabilità del senso che lo abbraccia e che non è da lui abbracciato e quindi anche della propria esistenza, solo dove l’ammette e le si affida con amore, ha ritrovato ed accettato il suo vero essere. Egli non accetta il senso totale come un senso da lui dominato, ma se ne lascia dominare [...] Noi prendiamo seriamente la nostra questione di un senso totale, riteniamo valida la risposta che vi diamo, riteniamo perciò l’esistenza di un tale senso universale, verso cui andiamo senza fabbricarcelo da noi, una realtà assoluta e chiamiamo tale realtà Dio. La questione del senso e la questione di Dio sono perciò per noi identiche» (281-282).

[19]In questa sorta di “santuario” preistorico sembrano esserci i segni di un particolare culto, dimostrato dalla presenza di sette crani di orso rivolti verso l’ingresso e di altre ossa degli stessi animali (Cf. F. Fedele, «Religioni della preistoria», in G. Filoramo [a cura], Storia delle religioni 1. Le religioni antiche, Laterza 1994, 47ss).

[20]È una parte del grande patrimonio preistorico rinvenuto nella Val Camonica, ma non occorre dimenticare che tracce di questa primitiva attività spirituale dell'uomo sono anche in molti altri siti geografici, tra i quali ricordiamo, perché a noi più vicino, la “grotta del Romito” (tra Papasidero e Mormanno), dove tra l’altro alcuni ravvisano i segni di un culto sacrificale. Cf. G. Ries, «Val Camonica», in P. Poupard (diretto da), Grande dizionario delle religioni, cit., 2206-2208. Sulle figure antropomorfe in posizione orante, talora di fronte al disco solare, cf. J. Ries (a cura di), Le civiltà del mediterraneo e il sacro. Trattato di Antropologia del sacro III, Jaka Book - Massimo, Milano 1992.

[21] Al quesito: «Lo chiami Dio o meno, ha mai avuto la sensazione di, o si è mai sentita influenzata da, una presenza o una potenza diversa dal suo essere quotidiano?» «risponde positivamente, in Italia come in altri paesi sviluppati, fra poco più del 30 e poco meno del 70/80 % degli intervistati, anche se la presenza dell'esperien­za è più diffusa fra gli appartenenti alle classi più elevate e, a quanto sembra, an­che fra coloro che hanno un più consisten­te livello di istruzione; mentre, contraria­mente a quanto accade per la pratica reli­giosa, non vi sono sostanziali differenze fra maschi e femmine. Ma il particolare in­teressante è che alla domanda di cui sopra risponde sì un'elevata percentuale di agnostici e una discreta di atei» (S. Acquaviva, «religiosità 2000», cit., 38).

[22] Celebesè un’isola dell’arcipelago indonesiano. La popolazione, prevalentemente malese, è stata oggetto di studi di antropologia e di fenomenologia religiosa.

[23] Così nell'interpretazione di G. van der Leeuw, Fenomenologia della religione, Boringhieri 1975, 315 (§ 57,5).

[24] Così avviene nel mistico islamico Bajazet Bastami, di cui G. van der Leeuw narra che sostituiva il prescritto viaggio verso la Mecca, facendo per sette volte il giro intorno ad un saggio, per affermare che proprio l’uomo illuminato dalla sapienza è i santuario verso il quale occorre camminare (Ivi).

[25] Oggi la poesia non è considerata più come semplice e seducente invenzione senza contenuti. Molti danno alla poesia il valore di una delle forme espressive più alte della vicenda umana, partendo tanto dall'ermeneutica che dall'antropologia del linguaggio. Cf. P. Ricoeur, Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna 1970, (or. 1960); Id., La metafora viva, Jaka Book, Milano 1978 (or. 1975); tra i secondi Cf. G. Calame - Griaule, Il mondo della parola, Boringhieri, Torino 1982; P. Zumthor, Introduction à la poésie orale, Paris 1983.

[26] Vengono presi in considerazioni i Beiträge zur Philosophie, secondo la sistemazione operata da F. W. von Herrmann, nella Gesammtausgabe. L'articolo dal quale è partito il nostro approfondimento sulla religione in Heidegger è: J-F. Courtine, «Les traces et le passage de Dieu dans les “Beiträge zur Philosophie” de Martin Heidegger», in Archivio di Filosofia 1-3 (1994), 519-538.

[27] Sul tema spesso dibattito dell’ateismo di Heidegger sarà bene partire dalle due domande fondamentali, alle quali oggi si cerca di dare una risposta: Heidegger era ateo? Era indifferente al tema della religione? Alla prima si può rispondere dicendo che la riflessione di Heidegger non si è mai posta, dal versante filosofico, come una ricerca che prende posizione a favore e contro l'esistenza di Dio. A scanso di ogni ulteriore equivoco, l'autore confessava infatti nel 1946: «Con la determinazione esistenziale dell'essenza dell'uomo, quindi, neppure vien deciso nulla su l'"esistenza di Dio" o sul suo "non-essere", e tanto meno su la possibilità o impossibilità di Dei» [M. Heidegger, Che cos'è la metafisica? (Con estratti della "Lettera su l'Umanismo") (a cura di A. Carlini), La Nuova Italia, Scandicci, Firenze 1953, 119-120]. Ma questo comportava una sorta di indifferenza rispetto alla religione? Heidegger lo escludeva espressamente, affermando che «il pensiero pensante, che si pone il problema della verità dell'Essere, se lo pone in un modo più originale di quel che è possibile alla Metafisica».. Vale a dire: «solo partendo dalla Verità dell'Essere, è possibile pensare l'essenza del sacro, e solo partendo dall'essenza del sacro, è possibile pensare l'essenza della divinità, così come soltanto alla luce dell'essenza della divinità è possibile che sia pensato ed espresso ciò che la parola "Dio" deve significare» (Ivi). Sul tema del rapporto tra Heidegger e Dio cf. anche l'opinione, che non ci sentiamo di condividere in pieno, di chi ritiene che Heidegger rifiuti esplicitamente Dio e non abbia compiuto nessun passo significativo verso di lui: E. Coreth, «Fuga o avvento degli Dei? Sulla questione di Dio in Martin Heidegger», in Rassegna di teologia (1996) 581-595.

[28]Ivi, 12: «Forse il carattere distintivo di questa epoca è, proprio, in ciò: che a essa è chiusa la dimensione della salvezza, ed è forse questo l'unico suo vero male (Unheil)».

[29]Si possono qui cogliere, di sfuggita, allusioni teologiche, che partono dalla impossibilità di vedere il volto di Dio dopo il peccato delle origini (secondo l'interpretazione di Martin Lutero di Gen 3), come pure il fatto che nei racconti biblici l'uomo incontra Dio sempre di sfuggita e senza mai poterlo trattenere. Di Dio si può cogliere il passaggio, udirne la voce, ma non si può scorgerne l'aspetto. Così, ad esempio, in 1Re 19,11.12-13: «Ecco il Signore passò... Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: "Che fai qui, Elia?"». Dio non si può contenere (Cf. 1Re 8,27: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!»; cf. anche Is 66,1; Ger 23,24; At 7,49; At 17,24). Dio non si può trattenere (cf. Lc 4,42-43: «Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro. Egli però disse: «Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città»; Gv 20,17: «Gesù le disse: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli"»).

[30] Ciò che affiora è una sorta di inattesa comunicazione tra l’umano e il divino, fino a condividere l’abisso, fino a toccare la morte. Heidegger, attingendo al poeta tedesco Hölderlin, asserisce infatti che Dio ha bisogno degli uomini per «conoscere l’abisso», perché proprio gli uomini lo raggiungono più rapidamente e più profondamente[30]. In questo nuovo rapporto tra i mortali e gli dei, l’”ultimo” divino è colto nella sua essenza per l’uomo, che è questa transitorietà, dove sembra di capire che il divino si assoggetti anche alla morte, al prendere congedo, come al venire e all’andare.

[31]Sembra interessante ciò che afferma della religione G. Vattimo, che ritiene che, grazie alla dissoluzione delle “metanarrazioni metafisiche” del passato, si sono oggi aperte nuove possibilità di interpretazione, per la religione stessa, che non cade più sotto la critica del razionalismo illuminista. Sono possibilità nuove che fanno cogliere nella religione una positività in termini non di pura e semplice fuga dal mondo fattuale moderno, ma di una nuova interpretazione della stessa religione raggiunta nonostante, anzi proprio, attraverso il riferimento religioso a una «fattualità originaria, eventualmente leggibile come creaturalità e dipendenza» [G. Vattimo, «La traccia della traccia», J. Derrida - G. Vattimo (a cura di), La religione, Laterza, Bari 1995, 81]. L’autore si spinge fino a chiedersi se oggi la filosofia, diventata interpretazione, non debba prendere coscienza del valore che abbia anche per essa l'idea religiosa della "incarnazione di Dio" nella storia.

[32] Troviamo scritto, a riguardo, in un documento pastorale della Chiesa italiana: «L'impegno di pre-evangelizzazione deve consistere anche nel favorire e sviluppare le "aperture" che l'uomo di oggi ha o può avere al messaggio evangelico, col fargli prendere coscienza che la sua "inquietudine" di fronte al crollo dei suoi miti è di natura metafisica e religiosa, secondo l'esperienza di un grande "deluso" della terra e del mondo, sant'Agostino: "Fecisti nos, Domine, ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te"; col fargli comprendere che la sua aspirazione ad un mondo più giusto e fraterno resterà sempre inappagata finché non si convince che il male sta nel cuore dell'uomo e che solo Cristo è capace di guarire l'uomo e di liberarlo dal peccato e dalle sue conseguenze, che sono appunto i mali di questo mondo; col fargli prendere coscienza che nella crisi di tutte le speranze umane solo Cristo può dare all'uomo la speranza che non delude: "spes quae non confundit"; che la sua ricerca di "qualche cosa" al di là di quello che si vede e si tocca, di una "esperienza religiosa", può essere appagata solo dalla conoscenza e dall'amore di Dio e di Cristo» (Episcopato Italiano, «Evangelizzazione del Mondo Contemporaneo», 28.02.1974, n. 23 : ECEI/2 1006). Cf. anche Paolo IV, Esortazione apostolica Gaudete in Domino. De christiano gaudio: «Sì, il freddo e le tenebre sono anzitutto nel cuore dell'uomo che conosce la tristezza. Si può accennare qui alla tristezza dei non-credenti, allorché lo spirito umano, creato a immagine e a somiglianza di Dio, e perciò a lui orientato come al proprio bene supremo, unico, resta senza conoscerlo chiaramente, senza amarlo, e di conseguenza senza provare la gioia, che arrecano la conoscenza benché imperfetta di Dio e la certezza di avere con lui un vincolo che nemmeno la morte potrebbe infrangere. Chi non ricorda le parole di sant'Agostino: "Tu ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te"? Perciò, è col diventare maggiormente presente a Dio, e con lo staccarsi dal peccato che l'uomo può veramente entrare nella gioia spirituale. Senza dubbio, "la carne e il sangue" ne sono incapaci. Ma la rivelazione può aprire questa prospettiva e la grazia operare questo rovesciamento. Il nostro proposito è precisamente quello di invitarvi alle sorgenti della gioia cristiana. Come lo potremmo, senza metterci tutti di fronte al piano di Dio, in ascolto della buona novella del suo amore?» (EV/5 1254).

[33] È ancora Luca che indica la fine terrena della vita di Gesù come esodo (Lc 9, 30-31: «Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano del suo esodo che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme).

[34] GS 22, EV /1 1389.

[35]«Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari» (EV/12 562).

[36]L'enciclica sulla missione condensa questo pensiero ribadendo due fondamentali principi: «La mediazione della chiesa è da intendere, in maniera derivata, come applicazione storica della mediazione di Cristo. Nel senso che la salvezza è sempre possibile anche al di fuori dell'appartenenza esplicita istituzionale alla chiesa, e tuttavia, giacché ogni salvezza passa attraverso Cristo e dal momento che la chiesa ne costituisce la mediazione storicamente efficace, ogni salvezza passa - sebbene misteriosamente - anche attraverso il sacramento universale della salvezza voluta da Cristo» (EV/12 568).

[37] «In quanto un atto salvifico si può avere anche attraverso una mediazione erronea; ma questo non significa il riconoscimento oggettivo di tale mediazione religiosa come mediazione salvifica, benché questa preghiera autentica sia stata suscitata dallo Spirito Santo» (Commissione Teologica Internazionale, «Il cristianesimo e le religioni», in Il Regno-Documenti 42 [1997/3] 75-89, qui 77 [punto I.4]. L’ultima precisazione fa riferimento al testo Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio, n. 27).

[38] Ma su tutta la complessa materia cf. J. Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997.

[39]Riprendiamo questa precisazione, facendo tesoro di quanto asserito anche dalla «teologia del processo». In particolare J. Cobb ha enunciato la relazione tra le vie delle religioni e la Via che è Cristo, insistendo soprattutto sull’atteggiamento spirituale di chi non ha paura del nuovo, ma sa leggerlo nella luce di Cristo: «Come alternativa a queste proposte io propongo la via della trasformazione creativa, cioè La Via che è Cristo. Ciò che voglio mettere in evidenza è che seguire questa Via non significa affidarsi ad un corpo stabilito di credenze, atteggiamenti e azioni. La fede cristiana è fiducia nella via anche se non sappiamo capire dove essa conduce. La fede cristiana è la volontà di abbandonare la sicurezza di modelli stabiliti per affrontare nuove provocazioni. Credenze estranee, con i loro atteggiamenti e le loro pratiche, che hanno una qualche apparenza ali verità e di virtù, sono le più importanti tra queste provocazioni» [J. Cobb, «Il cristianesimo è una religione?», in «Concilium» 16 (1980/6) 955-971, qui 968].

[40] Cf. anche questo testo: «Si incontrano pertanto in Gesù Cristo le due vie, provenienti dall'alto e dal basso, che Dio aveva tracciato nell'Antico Testamento per preparare la sua venuta tra gli uomini: [...] dall'alto gli appelli sempre più vicini alla sua Parola, al suo Spirito, alla Sapienza, che discendono nel nostro mondo; dal basso, i lineamenti sempre più precisi di un Messia, re di giustizia e di pace, di un umile servo sofferente, di un misterioso figlio d'uomo, che risalgono e fanno risalire con lui l'umanità verso Dio» (Bibbia e Cristologia, EV/9, 1321).

[41] Il motivo è la centralità storica di Cristo, dal momento che tutte le cose sono state create «per mezzo di lui» ed «in vista di lui» (Col 1,16). Venendo nel mondo, Cristo ha offerto un riferimento universale ancora più concreto, perché si è unito ad ogni uomo (Cf., tra l’altro, GS n. 22 EV/1 1385-1390 e Redemptoris missio, n. 6 EV/12, 564).

[42] «Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo lacune, insufficienze ed errori» (Redemptoris missio, 55 EV/12, 656).

[43]Cf. la parte III del già citato documento della Commissione Teologica Internazionale e le conclusioni alle quali perviene Dupuis, che sviluppa la sua analisi interrogandosi sull'universalità di Gesù Cristo e del Regno di Dio, per arrivare, solo in un terzo passaggio, all'universalità della chiesa. Cf. J. Dupuis, «Universalità del Cristianesimo. Gesù Cristo, il Regno di Dio e la Chiesa», in M. Farrugia (a cura di), Universalità del cristianesimo. In dialogo con Jacques Dupuis, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996,19-57. Cf. anche J. Dupuis, «L'universalità del cristianesimo di fronte alle religioni», in Synaxis 12 (1994) 133-165.