Giovanni
Mazzillo
La pace vissuta da Gesù, la
costruzione della pace affidata ai cristiani. 1^ Meditazione. Giornata con i
comboniani e le comboniane. Pesaro 03-04-03 [testo ripreso dal mio precedente
intervento Gesù
realizza il messianismo biblico. Relazione alla settimana biblica di
Lucera (14-03-03)]
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per la 2^
meditazione cliccare qui
L’argomento è sicuramente
affascinante, ma anche complesso. Per procedere con un minimo di ordine in un
orizzonte così vasto, lo svilupperò in riferimento alla tipicità dell’annuncio
del Regno di Dio da parte di Gesù (prima parte); al radicamento nella
bibbia dello shalom messianico (seconda parte); al fatto che Gesù
realizza lo shalom messianico e impegna i suoi discepoli nella sua
promulgazione (terza parte).
Almeno alcune delle classiche
premesse introduttive sono indispensabili. La prima riguarda la persona e
l’agire di Gesù. Come risulta dalla critica storica e dagli esiti degli stessi
studi biblici, non è possibile la ricostruibilità storica di un’esatta
cronologia degli avvenimenti che ne hanno segnato il suo passaggio tra noi.
Come è noto, non disponiamo di fonti “non canoniche” sufficientemente informate
sulla vita di Gesù, mentre le fonti bibliche risentono troppo di ricostruzioni
letterarie che non sono sembrate concedere molto, se non limitatamente a ciò
che R. Fabris raccoglieva in una "cartella anagrafica di Gesù"[1].
Ciò riguarda pochi dati come assolutamente certi, tra i quali il nome di Gesù: Jeshù, abbreviazione di Jehoshùa; i suoi genitori, Joseph
e Myriam; il tempo della sua nascita,
individuata nell'epoca del re Erode (tra il 5/6 a. C.); il suo stato civile di
celibe e la sua professione di carpentiere.
A ciò sono tuttavia da aggiungere, come elementi decisivi, il messaggio
della via maestra dell’amore e della resistenza al male con il bene, in quanto
elementi collegati comunque all’interiorizzazione del progetto di Dio da parte
di Gesù e a una sorta di radicalità spirituale. Ciò è alla base del suo un
ripudio da parte delle autorità giudaiche e romane di Gerusalemme, fino alla
sua condanna a morte sulla croce, come avveniva per gli zeloti dell’epoca.
Il più
recente studio su Gesù di J. P. Meier ne parla come di “un ebreo marginale”, il cui messaggio
s’incentra su un Regno di servizio, con in prima fila gli umili. Partendo dall’ebraicità
di Gesù, che l’ultima fase della ricerca storica ha messo in luce, lo studioso
americano evidenzia però una “marginalità” di Gesù, almeno rispetto al mondo
religioso e cultuale della sua epoca[2]. Delle 4 parti della monumentale ricerca di
Meier facciamo qui riferimento soprattutto alla prima e alla seconda[3].
Tale ricerca, minuziosa e persino pignola, appare su alcuni punti molto,
troppo, cauta. Vuole sgombrare il terreno dai numerosi riduzionismi ai quali la
ricostruzione storica di Gesù è stata piegata. Contiene critiche rivolte sia ai
“fondamentalisti e conservatori”, a corto di argomenti storici, sia alle cosiddette
letture parziali, accusate alquanto frettolosamente di essere sociologicamente
inquinate di marxismo[4].
In questo caso occorre però riconoscere che lo studio non mostra un rigore
critico pari a quello storico, dal
momento che spesso identifica un tale sociologismo marxista semplicemente con
una non meglio precisata “teologia della liberazione”[5].
A tale
riguardo ci sentiamo di annotare, pur riconoscendo la distanza di Gesù dalle
interpretazioni teologiche di stampo zelota o di messianismo terreno[6],
che in Meier come in altri autori sembra essere presente un pregiudizio
sistematico verso quanti, e noi siamo tra questi, non accettano che
l’escatologia di Gesù riguardi solo un futuro tutto di là da venire. Il rischio
che affiora è un’interpretazione spiritualistica, non sufficientemente adeguata
alla globalità della salvezza dell’epoca, tipica dell’agire di Gesù, come fatto
interiore ed esteriore, terreno e ultraterreno, personale e collettivo. Un
esempio? Le beatitudini di Gesù, interpretate solo come promesse, trascurando
il fatto, riconosciuto dalla maggior parte dei biblisti, si pensi all’opera di
J. Dupont, che esse sono un pronunciamento salvifico di Dio nell’oggi e
rappresentano uno sconvolgimento del giudizio dell’uomo[7].
Se Meier fa riferimento anche al
valore del presente, questo appare come conversione intima e individuale, che
non investe un cambiamento di prospettiva con risvolti storici e sociali ben
precisi.
E con ciò tocchiamo una seconda
premessa, che qui non può che essere accennata e che è stata trattata in
maniera più diretta nel volume “Gesù e la sua prassi di pace”[8]:
l’attendibilità storica dei vangeli non già sulle vicende cronologiche della
vita di Gesù, ma sul suo progetto teologico, un progetto passato ai suoi
discepoli attraverso la loro frequentazione del maestro. Quel “progetto teologale”, più che
“teologico” è certamente una rivisitazione e una re-interpretazione di ciò che
la Bibbia diceva rispetto a un argomento particolarmente scottante alla sua
epoca, il messianismo. E con il messianismo l’altro argomento, che nel vangelo
sembra fargli coppia, e che è l’annuncio del Regno di Dio. È a partire dalla
congiunzione di questi due grandi temi che, a mio avviso, si può e di deve
cogliere l’agire di Gesù come vero e proprio agire di pace.
Un
riferimento può essere utile, per evidenziare la paradossalità e la specificità
di un tema così vasto come il Regno di Dio nella predicazione e nell’agire di
Gesù. Riguarda il detto di Gesù che nel Regno di Dio il più piccolo è più
grande del Battista (Mt 11,11). Le spiegazioni del detto di Gesù si sono
sprecate e sono lungi dall’essere approdate a una soluzione unitaria. A noi
sembra esemplare, perché ci consente di cogliere la consapevolezza di Gesù sul
fatto che il Regno, da lui annunciato e impiantato, sia un regno della
misericordia e dell'amore. Un regno pertanto diverso da quello annunciato dal
Battista, tratteggiato a tinte fosche come regno del giudizio e della
consunzione del fuoco purificatore che stava per abbattersi sulla terra[9].
Per Gesù il Regno costituisce un
particolare intervento di Dio tra gli uomini. Questi sono chiamati sì alla
conversione, alla metanoia, ma lo sono secondo particolari modalità:
sono invitati da Gesù a far festa, dopo i giorni dell’austero richiamo del
Battista[10].
Se, giustamente, il Regno non si può ridurre a un "simbolo in
tensione", come affermato da qualcuno[11],
deve essere una realtà escatologica, cioè ormai definitiva e irreversibile,
che, seppure non ancora compiuta, è stata già decisamente avviata.
Se queste sono le caratteristiche
principali del Regno di Dio,[12]
non possiamo trascurare che cammina in questa direzione la beatitudine di Gesù
«Beati i facitori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
Sebbene nella sua formulazione questa non si ritenga una delle «ipsissima
verba Jesu», non si può misconoscere che sia una sintesi riuscita di una
predicazione e di un agire che ha per soggetto Gesù e coloro ai quali egli
rivolge il suo messaggio. È, infatti, una partecipazione all’attività benevola
di Dio, ed è nel solco di quella fusione tra agire di Dio e agire dell’uomo,
che troviamo in passaggi evangelici come questo:
«Avete inteso che
fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al
malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;
e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche
il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma
io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché
siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così
anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa
fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti
come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,38-48).
Gesù allude ad una radicalità nella benevolenza verso gli
altri (mi sembra questo il senso più con vincente dell’espressione «siate perfetti
come il Padre») che partecipa della radicalità dell’amore di Dio verso gli
uomini. Quanti vivono così possono anche essere incompresi e insignificanti
secondo la logica umana. Tuttavia partecipano a quella corrente dell’amore di
Dio che riceve nel Regno una sua rappresentazione teologica. Di esso sono parte
costitutiva e sono pertanto veramente beati. Sono chiamati ad essere tali.
Chiamati a gioire della venuta di Dio tra gli uomini. Ne sono un avamposto
nella storia.
Quello
annunciato e avviato da Gesù è un regno che non nasce dal nulla. Ha una sua
lunga preparazione nella Bibbia e affonda le sue radici nel messianismo, cioè
nell’annuncio e nella realizzazione della pace, dello shalom biblico.
Pur
parlando di pace, occorre dire che la Bibbia ci presenta spesso un Dio
“schierato”. Lo troviamo al fianco degli oppressi e delle vittime
dell'ingiustizia. Il suo regno non è simile agli altri regni che tollerano e
persino producono ingiustizia su ingiustizia. È piuttosto un regno di giustizia
e di pace. La pace, che affiora in tutta la ricchezza dello sholom come
realizzazione, felicità e benessere dell’uomo, è spesso collegata al ristabilimento
della giustizia. Talora passa attraverso l’alleanza e la legge (la torah). In Isaia, nell'Antica Alleanza,
«effetto della giustizia sarà la pace» (Is 32,17), in Giacomo, nella Nuova
Alleanza, «un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che
fanno opera di pace» (Gc 3,18). Siamo in presenza di una reciprocità, dalla
doppia formulazione «la pace nasce dalla giustizia», «la giustizia è frutto
della pace». Una reciprocità che rimanda a un orizzonte più ampio, riguardante
la presenza di Dio, la sua signoria (il suo regno), la sua benevolenza verso la
storia di Israele e la storia umana.
Ora il
regno di Dio non è da intendersi come semplice contenitore di pace e di
giustizia, ma soprattutto come catalizzatore di una loro sintesi armonica, a partire
dall'agire di Dio, che si manifesta sempre più chiaramente come agire
misericordioso verso i peccatori e verso gli infelici e come forza liberante verso gli
oppressi e i diseredati. È una regno che tende continuamente a ristabilire il
diritto e la giustizia. Tutto ciò si raccorda con il tema dell'alleanza e con
la promessa del ristabilimento del regno messianico. Una realtà, in definitiva,
che esprime il manifestarsi storico di Dio in un regno di pace:
«Le
montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Ai miseri del suo
popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l'oppressore.
Il suo regno durerà quanto il sole, quanto la luna, per tutti i secoli.
Scenderà come pioggia sull'erba, come acqua che irrora la terra. Nei suoi giorni
fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna» (Sal
72,3‑7)
Il
binomio pace e giustizia diventa un
trinomio, include il «suo regno» e risuona come una promessa: allude ai tempi
del messia. È un tema frequente, pur nelle sue tante variazioni. In ogni caso
si tratta di un futuro su cui Dio impegna se stesso, impegna la terra al pari
del cielo. Ricordate?
«Misericordia
e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno, la verità germoglierà
dalla terra e la giustizia si
affaccerà dal cielo» (Sal 85,11‑12).
Nella
Bibbia sono ancora menzionati insieme la giustizia e il diritto come prassi
regale di Dio, la grazia e la fedeltà (Sal 89, 15; Sal 97, 1‑2). Si
tratta pur sempre della giustizia come zedaqà di Dio, santità ed equanimità,
ma anche misericordia e tenerezza di colui che è «misericordioso e pietoso,
lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34,6). In Zaccaria, la pace è
menzionata insieme con la verità e resta nell’ambito dell’intervento salvifico
messianico:
«Così dice
il Signore degli eserciti[13]:
Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di
Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la
pace» (Zc 8,19).
In questo
contesto si comprende perché la salvezza operata da Dio abbia origine da un
«seme di pace» (Zc 8,7‑8.12). In sintesi, si può affermare che il
messianismo fiorisce dalla pace e fa germogliare, a sua volta, frutti e semi di
pace. Talora alleanza e pace compaiono in parallelismi che ne fanno quasi dei
sinonimi. L'alleanza è talvolta chiamata alleanza di pace (Nm 25,12; Is 54,10; Ez 34,25), ed è un’alleanza per la vita e
non per la morte, al punto che Malachia parla esplicitamente dell’opera di Dio
verso il suo popolo come «alleanza di vita e di pace» (Ml 2,5).
Venendo a
Gesù, il suo agire è in piena sintonia e continuità con quello di Dio. La sua
beatitudine sui costruttori di pace, come figli di Dio non è che la
realizzazione di quanto già visto. Egli proclama che il Regno è venuto e coloro
che vi appartengono ne sono i figli. Ne sono come gli operai e i tessitori,
perché sono facitori (artigiani) della pace. Sono gli eirenopoioi, cioè i poioi (realizzatori), dell’eirene (pace).
Il pensiero di Gesù ha una continuità anche in quello biblicamente molto
radicato di Paolo, che scrive:
«Il Regno
di Dio...non è questione di cibo o di bevande, ma è giustizia, pace e gioia
nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e
stimato dagli uomini» (Rm 14,17‑18).
Come a
riecheggiare l’annuncio e la prassi di Gesù, Paolo eclama:
«diamoci
dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19).
Del resto,
il suo epistolario rievoca le concatenazioni bibliche già accennate, quando
declina lo shalom messianico con la giustizia, la gioia (Gal 5,22; Rm
15,13), l'unità (Ef 4,3).
Ci sembra
fuor di dubbio che lo shalom sia bene il messianico per eccellenza. Essa
è pertanto il contenuto più proprio della promessa di Dio. Il «il popolo giusto
che mantiene la fedeltà» (Is 26,2) è lo stesso di cui si dice che «il suo animo
è saldo; tu (Dio) gli assicurerai la pace, pace perché in te ha fiducia»
(Is.26,3).
Occorre
tuttavia precisare che nell’intera Bibbia la pace non è superficiale armonia che
lascia intatta la violenza degli oppressori sugli oppressi. Con parole
drammatiche e forti la Bibbia parla della fine della tirannia e della città dei
dominatori. Così, ad esempio, è scritto:
«Confidate
nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna; perché egli ha
abbattuto coloro che dimoravano in alto; la città eccelsa l'ha rovesciata fino
a terra, l'ha rasa al suolo. I piedi la calpestano, i piedi degli oppressi, i
passi dei poveri» (Is 26,4‑6).
È un tema
che mette in risalto la giustizia di Dio contro l’ingiustizia dei tiranni e dei
potenti della terra. Lo ritroviamo nella spiritualità dei poveri di Dio (gli anawim
Jahvè) fino ad arrivare a Maria di Nazareth e al suo Magnificat:
«Ha
spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del
loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha
ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53).
La pace, allora, è un bene messianico,
anche perché ristabilisce la giustizia
violata e rappresenta l’effetto dell’opzione di Dio per gli oppressi.
Non è la falsa pace condannata da Geremia: quella superficiale di chi nasconde
l’opera di Dio e tende di sottrarsi a lui, di coloro che proclamano: «Pace,
pace» mentre non c'è pace, «perché dal piccolo al grande commettono frode» (Ger
6, 13‑14).
3.1.
Beati i figli della pace e non i figli della guerra
La pace è
allora esigente. Gesù ne è ben cosciente e ci ha avvertiti:
«Sono
venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è
un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia
compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico,
ma la divisione” (Lc 12, 49-51).
Si tratta di una divisione non
voluta né da Gesù, né dalla pace, né dai suoi «facitori». Tuttavia sembra una
conseguenza di quella radicalità messianica di tipo particolare, alla quale
chiama Gesù, una radicalità che di certo si distingue da quella dei maestri del
suo tempo. Alcuni di essi erano come ossessionati dall’ideale di una purezza
legale tanto esigente quanto lontana dai semplici e dal popolo della terra.
Gesù è decisamente lontano dal loro
“messianismo radicale”. Si distingue tanto dagli Zeloti, con il loro
integralismo violento, che dagli Esseni, con la loro esasperata santità
opponenti i “figli delle tenebre ai figli della luce”, i primi destinati alla
salvezza, gli altri al fuoco. Sebbene ritroviamo sulle labbra di Gesù alcune
espressioni dei testi di Qumran collegati a tali movimenti messianici, egli
predica e pratica una misericordia che non allontana, ma avvicina i peccatori e
gli impuri. Anziché coltivare progetti di insurrezione violenta e di un regno
che si abbatte sulla terra, Gesù ne disegna le caratteristiche nella sua lenta
e complessa maturazione. Egli attribuisce a se stesso le caratteristiche del
“figlio dell’uomo”, che anche i testi di Qumran mediano da Daniele, per
descrivere il messia come colui che «non si allontanerà dai comandamenti dei
santi»[14],
e che sarà motivo di gioia e di speranza per pii ed i giusti. Così, ad esempio,
troviamo in un frammento:
«Attingete forza voi che lo servite, voi che cercate il
Signore. Forse che non dovreste trovarlo proprio voi, voi tutti che con cuore
così perseverante lo attendete? Perché il Signore si metterà alla ricerca dei
pii (hasidim) e chiamerà per nome i
giusti (zaddikim). Sui miti planerà
il suo spirito e i credenti ricreerà attraverso la sua potenza»[15].
Quasi in
parallelo, Gesù tratteggia l’adempimento dei compiti del Messia davanti ai
discepoli del Battista con queste parole:
«Andate e
riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista,
gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i
morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che
non si scandalizza di me» (Mt 11,4-6).
E con ciò,
applica a sé la profezia di Isaia 61, già rievocata nella sinagoga di Nazareth.
Una profezia sorprendentemente vicina a un altro testo di Qumram, dove è
scritto del messia:
«I pii glorificherà al trono del Regno
eterno. I prigionieri libererà, i ciechi farà vedere e gli op[pressi] egli
riabiliterà». «...allora guarirà i malati, risveglierà i morti e annuncerà
gioia ai miti, ... guiderà i santi e li custodirà...»[16].
Tuttavia, a
fronte di una giustizia legale, Gesù parla della superiore giustizia, radicata
in quella di Dio, e della sua regalità a vantaggio dei poveri e di
coloro che non contano niente. Per lui il Regno predicato per gli infelici non
dipende dalle virtù dei poveri. È il Regno delle beatitudini che rivelano la
sorprendente gratuità di Dio e la natura “particolare” del suo stile di regnare[17].
Gesù si distanzia decisamente anche da ogni pretesa di purezza legale (tanto
degli Esseni che dei Farisei) e dalla radicalità
apocalittica, che arrivava all’idea della “guerra santa”, come attestano
ancora alcuni scritti di Qumran:
«... il
tempo in cui tu hai loro comandato ... non a ... e voi mentirete sul suo patto ... essi dicono:
“fateci fare la Sua guerra ... perché abbiamo profanato” ... i vostri [nemi]ci
devono essere annientati e non devono sapere che con il fuoco ...»[18].
La strada
di Gesù, invece, è quella di chi ripudia la violenza. Si potrebbe dire che se
nei testi di Qumran c’è la formulazione della beatitudine dei violenti, tanto
da scrivere «... fatevi coraggio per la guerra e ciò dovrà esservi computato a
giustizia…»[19],
nel Vangelo c’è l’affermazione contraria. Si tratta di un’affermazione certamente
vicina al pensiero, all’animus di Gesù ed è la beatitudine dei facitori
di pace. Proprio costoro sono quelli che Dio accoglie, “giustifica” e chiama
suoi figli, sicché essi sono figli della luce e non coloro che si devono
preparare alla guerra.
Sono
anche queste le ragioni che ci fanno concludere che Gesù è un re di pace perché
è il messia ed è il messia perché è un re di pace. Pertanto è l’unto di Dio.
Realizza le profezie che lo caratterizzavano come principe della pace:
«Un bimbo è
nato per noi, c'è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della
sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre,
Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul
trono di Davide e sul regno che egli viene a consolidare e a rafforzare con il
diritto e la giustizia» (Is 9,5‑6).
Gesù
adotta uno stile regale tutto suo, intriso di mitezza, sì da far ricordare il
«re umile», venuto sull'asinello dei poveri
e degli antichi patriarchi: «Ecco viene a te il tuo re. Egli è giusto e
vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina» (Zc 9,9).
Lo stesso
profeta aveva preannunciato il disarmo, affermando del messia:
«Farà
sparire i carri (di guerra) da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l'arco da
guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti» (Zc 9,10).
Ciò in
armonia con la grande profezia che nel tempo messianico vedeva i popoli dediti
finalmente alla costruzione della pace:
«forgeranno
le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la
spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra»
(Is 9,4).
Per tutte
queste ragioni la notte della nascita del Messia è un annuncio inequivocabile:
«gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc
2,14). Come a dire: la pace costituisce il motivo fondamentale per rendere
gloria a Dio. La pace sulla terra è la gloria di Dio.
È un
programma confermato e mai smentito da Gesù, che, come abbiamo visto, collega
nel suo insegnamento la gloria di Dio nel cielo e la venuta del suo Regno con
la pace da costruire sulla terra (Mt 5, 1-11). Al punto che, quando ne vede i
primi frutti, esulta di gioia indicibile (Lc 10,21-22; Mt 11, 25-26).
Egli coinvolge
i suoi discepoli nella stessa missione, in un annuncio che si traduce in gesti:
«Entrando nella casa, rivolgete il saluto [cioè augurate lo shalom]» (Mt 10, 11). È lo shalom che
prende corpo nella prassi, conformemente all’imperativo: «guarite gli infermi ,
risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni»(Mt 10,8).
Non
dobbiamo inoltre dimenticare che il binomio pace-gloria
è presente anche nella scena dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. Luca
riformula infatti l'acclamazione messianica di «Osanna al figlio di David», con
«Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli». Ricollega la gloria a Dio e la
pace questa volta nei cieli, ma quasi a dire: «si realizza oggi la pace che Dio
vuole nel cielo».
Si tratta
del compimento di ciò che Gesù ha perseguito in tutta la sua vita. Con quella
prassi che si può chiamare “prassi di pace”. I suoi passaggi più importanti
sono, come già visto altrove[20],
un agire che valorizza la convivialità, che esalta la misericordia che richiama
continuamente al servizio. Pertanto: il perdono predicato e praticato, la
resistenza al male con il bene, le reiterate indicazioni a recare un messaggio
che aggreghi i dispersi e rinfranchi gli scoraggiati.
Cosciente
di tutto il valore di un agire informato dalla pace e ad essa sempre orientato,
Gesù non si stanca di affermare la novità
del regno: «avete inteso che fu detto
agli antichi ... ma io vi dico» (Mt cc 5,20-48), richiamando alla
speranza persino nel momento del giudizio: «Alzatevi e sollevate la testa,
perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28)[21].
Egli dà
finalmente corpo a quelle parole di Geremia, che dalla sofferenza dell’esilio
rievocava il cuore della promessa di Dio:
«Io conosco
i progetti fatti a vostro riguardo ... progetti di pace e non di sventura, per
concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11).
In Gesù
si realizzava l'identificazione del profeta Michea tra il messia e la pace,
quando preannunciandone la venuta, affermava: «e sarà lui la pace» (Mi 5,4)[22].
Identificatosi
nella sua missione di pace, Gesù diventava infine pace egli stesso, soprattutto
negli ultimi giorni della sua vita terrena. Al punto che Paolo ha potuto
scrivere di lui: «Egli infatti é la nostra pace», in un contesto storico che
confessa che Cristo è «Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il
muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (Ef 2,14). Facitore
di pace («beati i facitori di pace!)», Gesù compiva adesso la pace nel suo
corpo e attraverso la croce (Ef 2,15‑17).
Nella
lettera agli Efesini di Paolo troviamo menzionato soprattutto uno dei grandi
effetti della riconciliazione operata da Cristo: la rappacificazione tra ebrei
e pagani.
Non è
però da dimenticare che la riconciliazione che Cristo morto e risuscitato opera
sui diversi i livelli e tra tutte le realtà esistenti.
La sua
pace è ri-donata da Gesù ai suoi discepoli la sera della Pasqua dopo la sua
risurrezione. Gesù riconferma la “sua” pace[23]
che riconcilia con Dio tutti gli uomini, tutto l’uomo e la stessa creazione. È
una pace che passa attraverso il ministero della riconciliazione e che Gesù
ugualmente affida ai suoi apostoli[24].
È una pace che avvia l’era definitiva della pace messianica e diventa
fermentazione di una liberazione destinata a tutta la realtà cosmica[25].
Si comincia così a realizzare il sogno profetico di quella nuova creazione, che
vedrà la riconciliazione anche tra gli animali dei campi, gli uccelli dell'aria
e i rettili della terra (Os 2,20).
Compito di riconciliazione e di discernimento
«La creazione stessa attende con impazienza la
rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità -
non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la
speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per
entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».
La nuova giustizia superiore all'antica: Mt
5,19-22
«Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non
supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà
sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio
fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà
sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della
Geenna».
[1] R. FABRIS, Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella Ed., Assisi 1983, 85ss.
[2] J. P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana, Brescia 2001.
[3] La prima parte è intitolata Le radici del problema e tratta oltre alle questioni di metodo anche quella delle fonti e dei differenti approcci al Gesù storico; la seconda è su Le radici della persona, per un’identificazione dell’ambiente in cui visse Gesù e del rapporto della sua persona con esso; la terza riguarda il suo ministero pubblico; la quarta si occupa degli ultimi giorni tragici della vicenda di Gesù.
[4] J. P. MEIER, Un ebreo marginale…, cit., pag. 20.
[5] Così, ad esempio, nel 2 volume alla nota 33, Meier manifesta un’idea preconcetta e piuttosto generica quando evoca la teologia della liberazione, scrivendo di una «forzata attualità al modo della teologia della liberazione». Tale posizione non sembra del tutto coerente con la presa di posizione contro le interpretazioni recenti americane su Gesù solo come maestro di sapienza individuale. Di Gesù l’autore dice che ha condiviso le posizioni escatologiche di Giovanni (ivi, 143-144). Ma allora è legittimo domandarsi: perché non fare un passo avanti nel senso di una prassi che, distanziandosi dal Battista, manifesta la concretezza di una salvezza con innegabili segni di guarigione e liberazione degli uomini? Uno studio più attento della teologia della liberazione avrebbe messo in luce, non solo le differenti forme da questa assunte, ma anche il fatto che questa collega la prassi cristiana alla storicità degli atti salvifici di Gesù. Si sarebbero evitate le generiche insistenze contro la summenzionata teologia (cf. ancora nel 1 vol. la pag. 40 e nel 2 la nota 38 di pag. 447).
[6] Cf., ad esempio, quanto scritto su R. A. Horsey¸ Jesus and the Spiral of Violence. Popular Jewish resistance in Roman Palestine, Harper & Row, San Francisco 1987, pur con il giudizio più temperato sul volume dello stesso autore in collaborazione con J. S. Hanson, trad. it. Banditi, profeti e messia, Paideia, Brescia 1995.
[7] Al contrario, tutto è rimandato alla fine della storia, dal momento che Meier può scrivere: «Allora e, solo allora, gli affamati sarebbero stati saziati, i piangenti finalmente consolati, le iniquità di questo mondo rovesciate e tutte le promesse elencate nelle beatitudini di Gesù mantenute, per lui oltre che per coloro che a lui prestavano ascolto» (J. P. MEIER, Un ebreo marginale…, cit., 2, 1242).
[8] G. Mazzillo, Gesù e la sua prassi di pace, Merdiana, Molfetta (Ba), 1990.
[9] Su questo cf. J. P. MEIER, Un ebreo marginale 2 ..., cit., p. 209 ss.
[10] Mt 11,16-19: «Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. E' venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E' venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere».
[11] Meier critica a riguardo l’opinione di Perrin cf. ivi 293 ss.
[12] Cf. ivi, pag. 365 ss.
[13] Più opportunamente da tradurre “delle schiere celesti”, cioè “dell’universo”.
[14] Mia traduzione dal tedesco, dalla raccolta dei testi originali di R. Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus und die Urchristen. Die Qumran-Rollen entschüsselt, Bertelsmann, München 1993, 4Q521 (tavola 1) I frammento, 2 colonna, pag. 29 (ed. oginale inglese: Id., The Dead Sea Scrolls Uncovered, Element Books, Dorset 1992, England, tr. Italiana: Id., Manoscritti segreti di Qumran, Piemme, Casale monferrato 1994).
[15] Ivi.
[16] Ivi.
[17] A questo riguardo, il biblista Dupont scrive: «Gli autori che abbiamo ora citato, e molti altri con essi, si rendono conto che le beatitudini hanno un valore religioso, e in questo hanno certamente ragione. Ma pensano di poter scoprire questo senso religioso soltanto nelle disposizioni spirituali di coloro ai quali sono rivolte le beatitudini. Noi cercheremo di dimostrare che il privilegio dei poveri e degli sventurati trova, al contrario, il suo vero fondamento non tanto nelle disposizioni spirituali attribuite a queste categorie di persone, ma nella natura del Regno che sta per venire, nelle disposizioni di Dio il quale intende esercitare la sua regalità a favore dei pii diseredati. Le beatitudini sono prima di tutto una rivelazione sulla misericordia e sulla giustizia che devono caratterizzare il Regno di Dio» (J. Dupont, Le beatitudini I¸ Paris 1969, pag. 516.
[18] R. Eisenman - M. Wise (Hgg.), Jesus..., cit., che fa riferimento a 4Q471, Framemnto 1, pag. 39.
[19] Ivi.
[20] Cf. il già citato G. Mazzillo, Gesù e la sua prassi di pace, cit. cc. 8-9-10.
[21] Pur con un discorso che riprende schemi del linguaggio talora spaventoso di quel genere letterario profetico, Gesù annuncia la speranza e la gioia e sostanzialmente ripete il tenore delle beatitudini: il capovolgimento da una situazione di persecuzione e di sofferenza in una situazione di gioia e di liberazione messianica. Il rinnovamento reca anche quella palingenesi, cioè la rigenerazione totale già accennata, dell'intero cosmo (Is 66,22; cf. Is cc. 60‑62) ed è, in definitiva, il tramonto di un mondo violento e peccaminoso e l'inizio di quei cieli nuovi e terra nuova, «nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pt 3,13). Del resto, alla ristabilita armonia creaturale, tipicamente messianica, allude anche la scena di Gesù nel deserto, in compagnia con le fiere e con gli angeli, di Mc 1,12‑13. Ciò potrebbe essere una testimonianza che la coscienza messianica, già presente nell' interpretazione teologica di Gesù, sia poi passata a quella della comunità primitiva: non una coscienza vuota, ma dai contenuti tipicamente messianici.
[22] Così come si trova in alcune accurate traduzioni di questo passo, il Messia è la pace e non piuttosto egli porterà la pace. Cf. Das Neue Testament, la traduzione adottata dalle conferenze episcopali di lingua tedesca, che traduce: «Und er wird der Friede sein».
[23] «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27)
[24] «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”» (Gv 20, 21-23).
[25]
Proprio per questo la pace di Gesù è diversa da come la dà il mondo (Gv 14, 27),
ma è pur sempre salvezza da annunciare all’intera creazione (pase te ktìsei), perché “La creazione
stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è
stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che
l’ha sottomessa e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù
della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm
8, 19-21).