Giovanni Mazzillo                                                                                                                                                            www.puntopace.net 

Libro in uscita

 

23/06/2013  da http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/teologia-della-liberazione-freedom-theology-teologia-de-la-libertad-vaticano-vatican-25842/

 

 

COPERTINA

 

da http://www.zikomo.it/page/2/

 Dalla parte dei poveri

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Teologia della liberazione e Roma, la guerra è finita

Più volte mi sono occupato in questo mio blog della Teologia della Liberazione in relazione a papa Francesco. Ho messo a disposizione diversi articoli e in particolare il pensiero di uno dei massimi rappresentanti di questo movimento teologico latinoamericano, il teologo brasiliano Leonardo Boff.

Ora ho il piacere di riportare qui una pagina del sito VATICAN INSIDER dedicata al padre della Teologia della Liberazione, il teologo peruviano Gustavo Gutierrez, di cui sta per uscire in italiano un libro scritto a quattro mani con il prelato tedesco Gerard Ludwig Muller attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, congregazione che per oltre 25 anni è stata retta dall’allora cardinale Ratzinger, il quale, durante il pontificato wojtyliano ha per due occasioni ‘bastonato’ questo tipo di teologia.  Questo articolo di Gianni Valente, pubblicato su Vatican Insider il 21 giugno 2013, è una sorta di recensione di questo libro apparso in Germania nel 2004 e che ora viene riproposto in italiano.

G. GUTIERREZ – G. L. MULLER, Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa,  Edizioni Messaggero Padova/Emi, 2013.

 

 Gerhard Ludwig Müller  Gustavo Gutierrez

 

Il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio Müller rende omaggio alla Tdl. Nel segno della sua lunga amicizia con il teologo peruviano Gutièrrez

Gianni Valente

«Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come “teologia della liberazione”, che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». A consacrare la teologia “liberazionista” con questa lusinghiera e perentoria valutazione storica non è qualche attempato reduce sudamericano di stagioni ecclesiali tramontate. L’attestato di merito arriva direttamente dall’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, Prefetto in carica dello stesso dicastero vaticano – la Congregazione per la dottrina della fede (CdF) – che negli anni Ottanta, su impulso del Papa polacco e sotto la guida dell’allora cardinale Ratzinger, intervenne con ben due istruzioni per segnalare le deviazioni pastorali e dottrinali che pure incombevano sui cammini imboccati dalle teologie latino-americane.

La decisa valorizzazione della Tdl non è una boutade sfuggita per incidente all’attuale custode dell’ortodossia cattolica. Lo stesso, soppesato giudizio pervade le dense pagine dell’intero volume da cui la frase è tratta: una raccolta di saggi scritta a quattro mani, già stampata in Germania nel 2004, che ora sta per essere pubblicato anche in Italia con il titolo Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa (Edizioni Messaggero Padova/Emi).

 

Il volume oggi appare quasi come un atto di congedo dalle guerre teologiche del passato e dai residuati bellici che di tanto in tanto vengono fatti brillare per spargere allarmi interessati quanto pretestuosi. A firmarlo, insieme all’attuale responsabile dell’ex Sant’Uffizio, è il teologo peruviano Gustavo Gutièrrez, padre nobile della Teologia della liberazione, inventore della formula stessa usata per definire quella corrente teologica, le cui opere furono sottoposte per lungo tempo all’esame rigoroso della CdF nella sua lunga stagione ratzingeriana, senza mai subire alcuna condanna.

Il libro a due firme rappresenta il sigillo di un lungo cammino comune. Müller non ha mai nascosto la sua prossimità con Gustavo Gutièrrez, che ha conosciuto nel 1988 a Lima nel corso di un seminario di studio. Nel 2008, durante la cerimonia per la laurea honoris causa concessa al teologo Müller dalla Pontificia Università cattolica del Perù, l’allora vescovo di Ratisbona aveva definito come pienamente ortodossa la teologia del suo maestro e amico peruviano. Nei mesi che hanno preceduto la nomina di Müller alla guida del Dicastero dottrinale, proprio la sua vicinanza a Gutièrrez era stata evocata da alcuni come prova della non idoneità del vescovo-teologo tedesco al ruolo occupato in precedenza – per 24 lunghi anni – dal cardinale Ratzinger.

Nei saggi contenuti nel volume, i due autori-amici si forniscono assist a vicenda. Secondo Müller i meriti della Teologia della liberazione travalicano l’ambito del cattolicesimo latinoamericano. Il Prefetto ripete che la Tdl ha espresso nel contesto reale dell’America Latina degli ultimi decenni l’orientamento a Gesù Cristo redentore e liberatore che segna ogni teologia autenticamente cristiana, proprio a partire dalla riaffermata predilezione evangelica per i poveri. «In quel Continente» riconosce Müller «la povertà opprime bambini, vecchi, malati», inducendo molti a «considerare la morte come una via d’uscita». Già al suo primo apparire, la Tdl “costringeva” le teologie elaborate altrove a non fare astrazione delle condizioni reali di vita dei popoli e dei singoli. E riconosceva nei poveri la «carne stessa di Cristo», come adesso ripete Papa Francesco.

Proprio con l’avvento del primo Papa latinoamericano emerge con più forza la chance di guardare a quegli anni e a quelle esperienze senza essere condizionati dai furori polemici di allora. Pur sottraendosi al ritualismo dei mea culpa posticci o delle riabilitazioni di facciata, oggi è più facile riconoscere che certe veementi mobilitazioni di settori ecclesiali contro la Tdl erano mosse da preferenze di orientamento politico più che dal desiderio di custodire e affermare la fede degli apostoli. A farne le spese furono anche teologi e pastori totalmente immersi nella fede evangelica del proprio popolo, finiti nel tritacarne o nel cono d’ombra. Per un lungo periodo, l’ostilità ostentata alla Tdl è stato un fattore prezioso per favorire brillanti ascese di carriera ecclesiastica.

 

Leonardo Boff

In uno dei suoi interventi, Müller (che in un’intervista del 27 dicembre 2012 aveva ipotizzato lo scenario di un Papa latinoamericano dopo Ratzinger) descrive senza indugi i fattori politici e geo-politici che condizionarono certe “crociate” contro la Tdl: «Al sentimento trionfalistico di un capitalismo, che probabilmente si riteneva definitivamente vittorioso» riferisce il Prefetto del dicastero dottrinale vaticano «si mescolò anche la soddisfazione di aver così tolto qualsiasi fondamento e giustificazione alla tdl. Si pensò di aver gioco facile con essa, buttandola nello stesso fascio della violenza rivoluzionaria e del terrorismo di gruppi marxisti». Müller fa riferimento anche al documento segreto, allestito per il presidente Reagan dal Comitato di Santa nell’anno 1980 (cioè 4 anni prima della prima Istruzione vaticana sulla Tdl), dove si sollecitava il governo degli Stati Uniti d’America a procedere in maniera aggressiva contro la «Teologia della liberazione», rea di aver trasformato la Chiesa cattolica in «arma politica contro la proprietà privata e il sistema della produzione capitalista». «È sconvolgente in questo documento» sottolinea Müller «la sfrontatezza con la quale i suoi estensori, responsabili di dittature militari brutali e di potenti oligarchie, fanno del loro interesse per la proprietà privata e per il sistema produttivo capitalistico il parametro di ciò che deve valere come criterio cristiano».

Dopo aver attraversato i decenni concitati delle battaglie e delle contrapposizioni, proprio l’amicizia tra i due teologi – il Prefetto dell’ex sant’Uffizio e quello un tempo inquisito dallo stesso dicastero dottrinale – alimenta uno sguardo finalmente in grado di discernere le caduche impalcature ideologiche del passato dalla genuina sorgente evangelica che animava tanti percorsi del cattolicesimo latinoamericano dopo il Concilio. Agli occhi di Müller, proprio l’85enne Gutièrrez – che ha in programma di venire in Italia e passare anche a Roma il prossimo settembre – ha espresso una riflessione teologica che non si estenuava nelle conferenze e nei cenacoli universitari, ma traeva la sua linfa dalle liturgie celebrate dal sacerdote con i poveri, nelle periferie degradate di Lima. Cioè da quella esperienza elementare per cui – come dice in maniera semplice e biblica lo stesso Gutiérrez – «Essere cristiani significa seguire Gesù». È il Signore stesso – aggiunge Müller, commentando quella frase del suo amico peruviano – che «ci dà l’indicazione di impegnarci in modo diretto per i poveri. Fare la verità ci porta a stare dalla parte dei poveri».

Dal Libro di

Gerhard Ludwig Müller
Esperienza liberante: impulsi per la teologia europea

 [Traduzione dal libro Gustavo Gutiérrez – Gerhard Ludwig Müller, An der Seite der Armen. Theologie der Befreiung, Sankt Ulrich Verlag, Augsburg, 2004.]

 

 

Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come “teologia della liberazione”, che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo. Se coglie nel segno l’affermazione

che il Concilio è stato l’evento ecclesiale decisivo di quel secolo, si può dividere allora la storia della teologia in due fasi. Più esattamente, una fase preparatoria, che all’incirca inizia alla fine della seconda guerra mondiale, e una fase di realizzazione e di cambiamento, a partire dal Concilio, dal 1965. Per l’epoca che va dal 1920 sono da rievocare tutti i movimenti di rinnovamento, come, ad esempio, il movimento biblico/liturgico, i grandi abbozzi dell’insegnamento sociale della Chiesa e il rinnovamento della concezione della Chiesa, che portarono al Concilio, pervadendolo, e che nei documenti conciliari furono integrati nella complessiva tradizione della Chiesa.

 

A questo punto sono da nominare i diversi movimenti ispirati dal Concilio, che accogliendone gli impulsi e le indicazioni, intendono tradurli nelle grandi sfide del mondo moderno.

 

In questo contesto si arriva a dare la massima importanza alla tdl nell’ambito delle due costituzioni “Lumen gentium” e “Gaudium et spes”. Se vogliamo capire quale cambiamento sia realmente avvenuto al Concilio, dobbiamo guardare non solo ai contenuti di alcune sue affermazioni, ma dobbiamo anche prendere in considerazione le nuove categorie che si sono affermate nell’esprimere l’origine e la missione della Chiesa nel mondo di oggi.

La rivelazione non viene pensata come informazione su realtà soprannaturali, che noi accettiamo in maniera estrinseca a motivo dell’autorità di Dio, per esserne alla fine premiati, con la felicità ultraterrena dopo la morte. La rivelazione  è autocomunicazione del Dio trinitario nell’incarnazione del Figlio e nell’effusione definitiva dello Spirito Santo, affinché Dio stesso sia conosciuto e accolto come verità e vita di ogni essere umano e come indicazione direzionale della storia umana. In ragione di ciò, la Chiesa non è una comunità religiosa tra le altre, che, in maniera più o meno pura, realizzano gli ideali dei loro fondatori, confrontandosi con un ethos arrecante all’umanità una felicità di stampo illuminista, cosa decantata come “soterio-prassi” nel paradigma del pluralismo religioso. La Chiesa è piuttosto segno e strumento in Cristo di una volontà salvifica universale di fronte a tutti gli uomini.

La Chiesa, in quanto comunione dei credenti, è a servizio dell’umanità attraverso la Parola di Dio, l’offerta sacramentale della sua vivificante salvezza e attraverso la dimostrazione dell’essere-per-gli-altri di Cristo, nella diaconia per i poveri, i trascurati, che sono stati ingannati in ciò che riguarda la giustizia e la dignità.

Sono determinanti nel Concilio le connotazioni filosofico-antropologiche di ciò che costituisce la persona, il dialogo e la comunicazione. Sicché il destinatario dell’autocomunicazione di Dio è preso sul serio proprio come persona e, più precisamente, come persona nel contesto della sua situatività corporeo-materiale nell’ambito storico, sociale e culturale.

E ciò accade senza che la Chiesa abbia alcuna pretesa autoritaria sulla società, perché essa ha la sua identità attraverso la fede in Cristo e si distingue chiaramente da altri orientamenti di fede e dalle altre religioni. E tuttavia la Chiesa e, conseguentemente, ogni comunità ecclesiale e ogni singolo cristiano, proprio a partire dalla fede, devono assumersi la propria responsabilità per la società umana nel suo insieme, impegnandosi negli ambiti del mondo del lavoro, dell’economia internazionale, della giustizia sociale e individuale, della pace nel mondo ecc.

A motivo di questa prima, più generale e, tuttavia, assiomatica contestualizzazione della tdl all’interno della teologia del XX secolo, ha senso e valore elaborare impulsi e correlativi scambi tra la teologia latinoamericana e la teologia europea.
A questo riguardo vorrei presentare, in un primo momento, gli esiti impreteribili della tdl, mentre in un successivo, secondo momento, vorrei riflettere sul suo rapporto con il contesto europeo. Muovendo da alcune formulazioni tematiche, si deve in un terzo momento superare la classica contrapposizione tra “Noi in Europa” e “gli altri” dell’America Latina, in vista di una prospettiva universale, come “Noi in quanto Chiesa del mondo” nel “servizio per il mondo”. 

1. Una nuova comprensione della teologia: riflessione teologica al servizio della prassi liberante di Dio 

Per ciò che riguarda l’origine del suo concetto, la “tdl” rimanda a una conferenza tenuta da Gustavo Gutiérrez a Chimbote, al Nord del Perù nel 1968. Tale formulazione è utilizzata anche come titolo del suo libro “Teología de la liberación“, del 1971, con il quale la tdl è diventata famosa in tutto il mondo. Nella X edizione riveduta del 1992 si trova anche un’ampia introduzione. Egli chiarisce determinati equivoci, come, ad esempio, l’opzione preferenziale per i poveri, la lotta di classe, la teoria della dipendenza, il peccato strutturale e sociale.  Contemporaneamente smonta in maniera convincente le accuse di orizzontalismo e immanentismo del cristianesimo, il quale non può essere in nessun modo strumentalizzato per un programma ideologico riguardante un presunto paradiso in terra creato dall’uomo. A differenza della teologia europea di indirizzo esistenziale, la tdl si domanda, ma non solamente, ciò che Dio, la Grazia e la rivelazione comportano per i cristiani appartenenti a una borghesia benestante e socialmente tutelata.

La tdl intende il lavoro teologico come partecipazione attiva, e pertanto trasformatrice, all’agire  complessivamente liberante inaugurato da Dio, attraverso cui l’agire storico dell’uomo è reso idoneo e chiamato al servizio della liberazione e dell’umanizzazione dell’uomo. È da evidenziare che la tdl non è una costruzione teorica nata a tavolino. La tdl si sente in continuità con l’intero sviluppo della teologia cattolica complessiva del XX e XXI secolo.

 

In considerazione delle nuove strutture sociali emerse nel transizione verso la moderna società industriale, la globalizzazione dei mercati e la concatenazione a rete dei sistemi informatici, occorre qui far riferimento all’insegnamento sociale dei papi, iniziando con l’enciclica ”Rerum novarum“ di Leone XIII, passando attraverso l’enciclica ”Populorum progressio“ di Paolo VI fino a Giovanni XXIII, il quale affermò che la Chiesa deve stare dalla parte dei poveri. [Nota del traduttore: Chiesa povera e Chiesa dei poveri. Per il chiarimento dei concetti qui in gioco, cf.  G. MAZZILLO, «Una Chiesa povera, una Chiesa dei poveri. Per uno stile credibile dell’essere cristiani oggi», in http://www.puntopace.net/Mazzillo/RelazioneMazzillo-CZ-20-10-2012.pdf ]

Sono da aggiungere gli ampi testi magisteriali e le attività di Giovanni Paolo II. Una fonte tutta particolare per la tdl è la costituzione pastorale del Vaticano II “Gaudium et spes” “sulla Chiesa nel mondo di oggi”. Già nella costituzione “Lumen gentium” il Concilio aveva presentato la Chiesa non come una comunità religiosa separata dal mondo ed autosufficiente, ma come sacramento di salvezza per il mondo. Dal momento che la Chiesa agisce come segno e strumento di unione di Dio con gli uomini e degli uomini tra loro, essa appare come collaboratrice di Dio al servizio della salvezza, che egli ha costituito storicamente in modo singolare e definitivo in Gesù Cristo: quella salvezza che, attraverso lo Spirito Santo, egli ha trasformato in perenne principio della storia umana e della costruzione di una società umana degna di questo nome.

Pertanto le grandi conferenze dell’episcopato latinoamericano  di Medellín (1968), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992) hanno compreso se stesse come realizzazione e attualizzazione, nel contesto socio-culturale e spirituale del subcontinente latinoamericano, dello sviluppo complessivo della teologia cattolica del XX secolo. Essenziale in tutto ciò è la nuova comprensione della Chiesa a partire dal Vaticano II. Con tale concezione conciliare della Chiesa è risultata del tutto incompatibile la divisione risalente al tempo coloniale e i cui effetti sono ancora presenti. È la divisione che vede, da un lato, la cerchia ristretta di responsabili, di vescovi, presbiteri e religiosi, appartenenti agli strati della popolazione bianca, a partire dall’arrivo dei missionari venuti dall’estero; mentre vede, dal lato opposto, una popolazione passiva, cui vengono offerti solo dei riti religiosi, perché la si ritiene immatura: la popolazione composta dai cosiddetti Indios autoctoni, dalle generazioni successive agli schiavi di colore e dai meticci.

In realtà, secondo i presupposti biblici e la tradizione più propriamente ecclesiologica, proprio i laici nel loro complesso, uomini e donne, come anche un numero sempre più crescente di presbiteri indigeni, di catechisti e di religiose hanno ora consapevolezza di essere coprotagonisti della missione complessiva della Chiesa. Le innumerevoli comunità di base sono una prova vivente della diretta identificazione del popolo con la Chiesa. La Chiesa non è più soltanto Chiesa per il popolo o Chiesa del popolo, ma la Chiesa è il popolo di Dio tra i popoli e proveniente dai popoli della terra; è essa stessa popolo di Dio per il mondo. I poveri e gli emarginati, grazie al loro incontro profondo con il Vangelo, hanno ora consapevolezza della loro dignità di persone al cospetto di Dio e in quanto soggetti attivi nella vita della comunità ecclesiale e nella missione della Chiesa quale sacramento di salvezza per il mondo.

Ne deriva una nuova concezione della teologia. Il teologo professionista non occupa il posto dell’esperto in materia religiosa davanti ai fedeli o davanti ai profani. Piuttosto si ritiene, al pari di tutti i discepoli, uditore e discepolo della Parola di Dio, ciò di Cristo.

Comincia così a fare esperienza del mondo della fede e della religiosità viva del popolo, vale a dire della comunità di coloro che si riconoscono in Gesù Cristo e si mettono alla sua sequela, osando seguirlo nel suo essere per gli altri. Egli condivide le sue sofferenze e le sue speranze. Per questa ragione la tdl, maturata nella comunità è teologia contestuale nel vero senso  della parola. In questa maniera viene superato anche il fossato tra una erudita teologia accademica e la riflessione credente all’interno di esperienze concrete vissute nelle comunità. Nel suo libro Dio o l’oro (Friburgo 1990 [titolo completo nella traduzione italiana: Dio o l’oro. Il cammino di liberazione di Bartolomé de Las Casas, Queriniana, Brescia 1991]), Gutiérrez  mostra con un esempio il passaggio dalla mera riflessione accademica a una teologia maturata nella sequela di Cristo e pertanto posta anche a servizio della liberazione. Si tratta del percorso liberante del noto domenicano, divenuto poi vescovo, corrispondente al nome di Bartolomé de las Casas, il quale, agli inizi della colonizzazione spagnola, si era profilato, accanto ad altri teologi dell’ordine domenicano e gesuita, come combattivo difensore della dignità e dei diritti umani degli Indios. Del resto, è ben poco noto che soprattutto teologi spagnoli, tra i quali Francesco di Vitoria di Salamanca, con la loro critica alla messa sotto tutela della popolazione autoctona latinoamericana, avevano avviato, già due secoli prima dell’illuminismo, i temi dei diritti umani e dei diritti dei popoli.

La tdl non si richiama ad una nuova rivelazione. Vuole piuttosto essere un nuovo modo di presentare la collaborazione dei cristiani alla prassi trasformatrice del mondo da parte di Dio. Sicché Gutiérrez giunge direttamente a una presentazione descrittiva di essa in questi termini: «La teologia come riflessione critica sulla prassi storica è quindi una teologia liberante, una teologia della trasformazione della storia e dell’umanità e pertanto un mutamento di quella parte dell’umanità, che, radunandosi come ecclesia, si riconosce apertamente in Cristo. La teologia non si limita più ad esplorare concettualmente il mondo, bensì cerca di comprendere se stessa come un momento del processo della trasformazione del mondo.

Infatti nella denuncia contro le forme con le quali si calpesta la dignità umana e contro lo sfruttamento della stragrande maggioranza dell’umanità, essa si apre al dono del Regno di Dio attraverso l’amore che libera e costruendo una società rinnovata e fraterna»1 [1Teologia della liberazione. Prospettive, edizione rivista… verificare la citazione per l’italiano].

È da sottolineare che redenzione e liberazione sono sinonimi indicanti la complessiva e multiforme relazione dell’uomo con Dio che si è compromesso in Cristo con gli uomini sofferenti e bisognosi di salvezza. Gutiérrez distingue nella liberazione tre livelli di peccato: il peccato come rottura, a un piano più profondo, dell’amicizia con Dio e con gli altri uomini e, pertanto, come radice di ogni forma, sia interiore sia esteriore, di schiavitù ai danni dell’uomo. Ciò si mostra, in un secondo aspetto, come necessità di liberarci dalla schiavitù interiore, liberandoci dall’ingordigia del profitto senza scrupoli. A un terzo livello, la liberazione emerge come impegno scaturente dalla sequela di Cristo, nel superare oppressione, emarginazione, sfruttamento e misfatti economico-sociali, i quali costituiscono il peccato sociale in quanto manifestazione di quello personale.

In questo contesto sono anche da differenziare i concetti di povertà e di fame. Nel suo riferimento biblico, povertà significa innanzi tutto la miseria degradante l’uomo, poi la connotazione del bisogno di salvezza da parte degli uomini, ai quali viene annunciato il Vangelo, e, infine, la povertà appare come apertura spirituale e disponibilità al servizio del Regno di Dio. In quanto consiglio evangelico, la povertà non può assolutamente significare una scelta volontaria da parte di un cristiano a favore di una situazione degradante la dignità umana. Chi fa voto di povertà come religioso, rinuncia ai beni di possesso personale, partecipando così alla missione della comunità religiosa, per mettersi interamente al servizio dei poveri o degli impoveriti o al servizio del lavoro formativo ed educativo nella scuola o nell’università. 

È da intendere in tal senso anche la ormai famosa formulazione di Giovanni Paolo II, che in una lettera ai vescovi brasiliani, sottolineava la necessità della tdl. Egli si lasciava ispirare da questa, quando, a Villa El Salvador, un quartiere povero di Lima, davanti a milioni di uomini esclamò: «La fame di pane deve essere vinta, la fame di Dio deve restare». La tdl non è una sociologia drappeggiata teologicamente o una sorta di socio-teologia. La tdl è teologia in senso stretto. Il suo fondamento è la fede che Dio ha creato l’uomo come sua immagine e che Dio si è impegnato nel suo Figlio Gesù per l’uomo, fino al punto che Gesù ha accettato la morte, alla quale i suoi avversari lo avevano condannato. L’obiettivo è rendere riconoscibile Dio come Dio della vita e come Vincitore della morte in tutte le dimensioni dell’esistenza umana. La tdl supera tutti i dualismi, che vogliono relegare Dio in un aldilà e ridurre la salvezza a  mera dimensione interiore. L’uomo è coinvolto intensamente con Dio nella creazione, nella storia salvifica e nell’atteso compimento di essa, oltre i limiti della morte individuale e della fine complessiva della storia. Fede cristiana significa prender parte con l’intelligenza e con la prassi al processo della trasformazione della storia, che  è stato definitivamente posto in essere da Dio attraverso l’agire salvifico di Gesù Cristo. 

Non è qui affatto da evocare il primato dell’ortoprassi sull’ortodossia. Parlando di primato della prassi, non si fa altro che ridurre il cristianesimo ad etica. Si tratta piuttosto di una partecipazione, nell’amore, alla prassi di Dio, la quale può essere riconosciuta soltanto nella fede alla Parola della sua automanifestazione. Di conseguenza, si profila per la teologia un triplice passo. Primo: nella fede e attraverso la sequela di Gesù i cristiani partecipano attivamente alla prassi liberante di Dio a vantaggio dell’uomo, per la sua dignità e per la sua salvezza. Nell’analisi della società la tdl attinge anche ai metodi delle scienze umane e sociali. In ciò si differenzia dalla teologia classica, dialogando non solo con la filosofia. Proprio qui ricevono giustificazione le domande della Congregazione della dottrina della fede (Libertatis nuntius, del 1984), in quanto mettono in guardia, al fine di una valutazione differenziata degli esiti delle scienze sociali e delle restrizioni ideologiche a queste ricondotte. Le antropologie empiriche devono essere chiarite alla luce di un’antropologia filosofica e teologica, diventando così feconde per un’indagine di tipo teologico. La tdl è stata notoriamente valorizzata, per ciò che riguarda la sua ampiezza complessiva, nella seconda Istruzione della CDF (Libertatis conscientia, del 1986).

Del resto anche la più recente enciclica Fides et ratio ha espressamente constatato che la teologia non consiste in una mera esposizione di testi cristiani esaminati deduttivamente nell’immanenza della fede, ma che può prestare il suo servizio alla verità solo in dialogo con la filosofia e le scienze umano-sociali, restando nell’orizzonte del suo riferimento a Dio.

Come secondo passo metodologico, si presenta ora la riflessione critica e razionale, alla luce del Vangelo e secondo i criteri della rivelazione, sull’analisi sociale, sulle cause nazionali e internazionali, come anche sulle dimensioni storiche e strutturali della povertà di massa.

In un terzo passo, infine, si deve affrontare in modo critico-riflessivo il tema di un efficace cambiamento della realtà empirica. Infatti l’obiettivo è il Regno di Dio sulla terra, come Gesù l’ha annunciato: il Regno che qui è da intendere come un principio dinamico, che diviene principio trasformatore della vita umana sulla terra, nella concretezza della situazione degli uomini che soffrono gli effetti dell’estraniazione da Dio.

Deriva da qui l’opzione preferenziale per i poveri e per gli uomini derubati della loro dignità umana. L’opzione per i poveri non esclude i ricchi. Difatti sono anch’essi destinatari dell’agire liberante di Dio, per essere liberati dall’angoscia con la quale ritengono di dover realizzare la propria vita, strappandola agli altri. Sia rispetto ai poveri sia rispetto ai ricchi, l’agire liberante di Dio tende a una loro trasformazione in autentici soggetti umani, liberi da qualsiasi forma di oppressione e di dipendenza. Che la redenzione sia da intendere come agire liberante si dimostra già nell’Antico Testamento nell’esperienza dell’esodo.

Dio non rimanda gli israeliti schiavizzati a un migliore aldilà, ma li conduce nella terra della promessa, che è la terra della libertà. L’agire liberante di Dio culmina nell’evento di Cristo. Gesù annuncia il Regno di Dio come Vengelo per i poveri, gli esclusi, i malati. Gesù ha dimostrato inoltre l’agire liberante di Dio anche di fronte alla resistenza dei peccatori, dando prova, fino alla sua propria morte, dell’amore di Dio come fondamento dell’esistenza umana nella vita e nella morte. Attraverso la croce e la morte di Gesùm, Dio ha elevato il mondo al rango di realtà che va prendendo la forma di una nuova creazione. La croce è la rivelazione dell’opzione di Dio per coloro che soffrono, per i diseredati dei loro diritti, per i torturati, per gli assassinati. Nella risurrezione di Gesù dai morti, Dio ha mostrato, in modo primordiale ed esemplare per tutti, ciò che è propriamente la vita, manifestando come la libertà si possa trasformare in un essere- per- gli-altri e in una lotta per il conseguimento di condizioni esistenziali degne dell’uomo.  

Con Gustavo Gutiérrez si può caratterizzare la tdl, nei suoi tratti peculiari, in questi termini: «La tdl diviene segnalazione di un’effettiva carenza, quando non si riesce a dinamizzare l’agire della comunità cristiana nel mondo, rendendo più completo e più radicale l’impegno dell’amore. In concreto: quando essa non dimostra che la Chiesa in America latina  sta in maniera decisa e senza “se” e senza “ma” a fianco della classe sfruttata e delle popolazioni oppresse (…) Ci difenderemo dal cadere in un autocompiacimento intellettuale o in una sorta di trionfalismo, consistente in un cristianesimo di “nuove” interpretazioni più erudite e avanzate. L’unica novità consiste nell’accogliere giorno per giorno il regalo dello Spirito, il quale, nelle nostre decisioni, per realizzare un’autentica fraternità tra gli uomini, e nelle nostre iniziative di carattere storico, volte al ribaltamento di un ordine ingiusto, ci dona la possibilità di amare con la piena dedizione con la quale Cristo ci ha amato.

 

Parafrasando un celebre testo di Pascal, potremmo dire: tutte le teologie politiche, ogni teologia della speranza, della rivoluzione e della liberazione non valgono un atto di solidarietà con le classi sfruttate della società.

Non equivalgono ad un effettivo atto di fede, d’amore e di speranza, se questo non arriva ad essere vissuto – come sempre deve essere - come dovere di effettivo coinvolgimento nella collaborazione all’opera che libera l’uomo da tutto ciò che lo disumanizza e da tutto ciò che gli impedisce di vivere secondo la volontà del Padre2

(2Teologia della liberazione(verificare le pagine nel testo italiano, che nell’edizione originali sono le 433-435).

 

2. La tdl nell’ambito delle tensioni tra Americalatina ed Europa

 

La tdl negli anni ’70 e negli anni ’80 aveva suscitato una grande risonanza in Europa. L’interesse per l’AL, soprattutto da parte dei giovani cristiani, era cresciuto enormemente. Nel contesto del mutamento di autocoscienza della rivolta studentesca, insieme con la critica alla società benestante borghese-capitalistica, la tdl venne recepita come rafforzamento di una teologia politica. Ad una interiorità spiritualistica di tipo privato fu contrapposto il servizio profetico della Chiesa nei confronti della società, facendo così emergere la forza trasformatrice del Vangelo nei confronti della strutture della dipendenza, dello sfruttamento e delle prevaricazioni del potere. Di contro, gli avversari del cambiamento sociale parlarono del pericolo di ridurre la fede all’immanenza [“immanentizzazione della fede”] e di una contaminazione del dato teologico con l’analisi sociale neo-marxista. Dopo la caduta del muro di Berlino e del crollo del blocco comunista orientale allora dominante, a molti osservatori sembrò che fosse solo una questione di tempo, ma che era venuta anche l’ora dell’AL: l’ora di riprendere e mettere in atto, a sua volta, la resistenza e la protesta, emersa nella tdl, contro lo sfruttamento e il declassamento plurisecolari, effettuati prima dalle potenze coloniali e poi dai centri di potere economico nordamericani ed europei. 

La divisione sociale ascritta a una naturale divisione di ruoli tra ricchi e poveri sembrò oscillare. Solo il virus del marxismo – si sentì dire – può essere responsabile del fatto che improvvisamente gli uomini si sollevino a difesa contro il loro sfruttamento perpetrato nella forma di forze di lavoro a basso costo, e contro la sottrazione delle materie prime alla propria terra, al costo di prezzi da spot commerciali. È colpa solo di quel virus se essi non vogliono più rinunciare a un’assistenza sanitaria valida per tutti, a un’amministrazione statale equa e legale, a una scolarizzazione e a un’abitazione che sia dignitosamente umana. Al sentimento trionfalistico di un capitalismo, che probabilmente si riteneva definitivamente vittorioso, si mescolò anche la soddisfazione di aver così tolto qualsiasi fondamento e giustificazione alla tdl.

Si pensò di aver gioco facile con essa, buttandola nello stesso fascio della violenza rivoluzionaria e del terrorismo di gruppi marxisti. Nel famigerato documento segreto, allestito per il presidente Reagan, il Comitato di Santa , nell’anno 1980, sollecitava il governo degli Stati Uniti d’America a procedere in maniera aggressiva contro la «Teologia della liberazione» e la Chiesa cattolica latinoamericana che ne era contagiata: «Il ruolo della Chiesa in AL è di vitale importanza per la concezione della libertà politica. Purtroppo le forze marxiste-leniniste hanno utilizzato la Chiesa come arma politica contro la proprietà privata e il sistema della produzione capitalista, in quanto hanno infiltrato nella comunità religiosa idee, le quali sono meno cristiane di quanto esse siano piuttosto comuniste»3.

[3Citato da Theologie der Befreiung im Gespräch, hg. v. P. Eicher, München 1985, 40 f.]

È sconvolgente in questo documento la sfrontatezza con la quale i suoi estensori, responsabili di dittature militari brutali e di potenti oligarchie, facciano del loro interesse per la proprietà privata e per il sistema produttivo capitalistico il criterio di ciò che deve valere come criterio cristiano. Per il lettore europeo deve essere chiarito, che la proprietà privata non è qui la piccola proprietà che uno si è procurato con ogni genere di privazioni, ma il possesso di enormi latifondi, o, ad esempio, di miniere di rame e di argento, di fronte ai quali sono milioni di piccoli agricoltori o braccianti senza alcun possedimento e senza alcun diritto.

Su questo terreno è da considerare anche l’attività delle sette fondamentaliste, appoggiata politicamente e finanziariamente. La lotta della tdl per una visione unitaria della Grazia e della redenzione deve essere difesa, perché il ruolo della religione viene ridotto a una consolazione ultraterrena e ad una sovrastruttura intimista e, per questa via, si strumentalizza come fattore stabilizzante di una società ingiusta. Offre l’esempio di una particolarmente grave forma di lesione dei diritti umani la spinta con cui determinate istituzioni dell’America del Nord fanno dipendere da un drastico calo della natalità la fornitura di generi alimentari e di altre provviste al Perù. Eppure questa condizione è stata assecondata dal governo peruviano, sicché, con il pretesto di dover fare analisi cliniche, uomini e donne, a loro insaputa e contro la loro volontà, sono stati sottoposti a mezzi contraccettivi o resi definitivamente sterili. Qui la parola d’ordine sembra essere: lotta alla povertà attraverso la decimazione dei poveri. Supponendo che la povertà sia l’alta percentuale della natalità, in effetti si distoglie l’attenzione dalle sue vere cause. In Perù, grande cinque volte la Germania e che ha una percentuale di abitanti cinque volte di meno di essa, non si può affatto parlare di sovrappopolazione. Chi vede con i suoi propri occhi le innumerevoli forme di degrado cui sono sottoposte qui le persone, le forme di schiavismo e di sfruttamento, non si lascerà più convincere della rinomata efficienza e della superiorità del capitalismo. Ma, a scanso di equivoci, è indispensabile una chiarificazione sul vocabolo “capitalismo”. Nel contesto latinoamericano la parola “capitalismo“ indica la smania di quell’agire umano che in linea di principio tende all’arricchimento personale al di fuori di qualsiasi limite. Questa sorta di capitalismo non ha niente a che fare con una libera imprenditorialità, nella quale gli uomini investono il loro lavoro e le proprie capacità, collaborando al funzionamento di un’economia di mercato, nel contesto di uno stato di diritto democraticamente costituito. Di fronte al fallimento del sistema meramente capitalistico e della corrispondente mentalità sprezzante i diritti umani, la tdl resta di immediata attualità. Ciò che distingue fondamentalmente la tdl dal marxismo e dal capitalismo è proprio ciò che unisce profondamente questi due sistemi pur in tutte le loro contrapposizioni: l’immagine dell’uomo e la concezione della società, secondo cui Dio, Gesù Cristo e il Vangelo non possono aver alcun ruolo per l’umanizzazione dell’uomo, né sotto l’aspetto individuale, né sotto quello sociale.

La fine del comunismo era segnata a motivo della sua carente antropologia di fondo. Esso non ha né idealizzato l’uomo, né considerato l’innato egoismo umano. Ma ha ignorato del tutto il riferimento dell’uomo a Dio e con ciò la realtà del peccato e della Grazia e anche del perdono, sottovalutando la possibilità di vivere a partire dalla giustizia di Dio donata all’uomo. Ma anche il capitalismo sfrenato è naufragato, perché anche nei suoi fondamenti manca la stessa antropologia, nella presunzione di poter definire l’uomo senza Dio e di poter costruire la società senza il ricorso alla Parola di Dio e alla Grazia. Se per capitalismo si intende una particolare economia di mercato non determinata dalla giustizia e dalla dignità dell’uomo, ma un’antropologia basata sul diritto del più forte, allora si deve contestare in linea di principio la frase che afferma che la democrazia può funzionare solo a partire dalle premesse del capitalismo. Nel senso moderno del termine, la democrazia non poggia sulle decisioni della maggioranza o sulla incondizionata presa d’atto dei diritti individuali. La democrazia si basa in un atto di riconoscimento dei diritti umani, che sono di per sé sottratti a qualsiasi manipolazione statale o economica. Pertanto la moderna democrazia ha le sue radici e la garanzia della sua consistenza in un atto di fede nell’esistenza di un “potere” (Macht) superiore, verso il quale l’uomo si deve sentire responsabile nel suo rapporto con gli altri uomini. Ragion per cui la tdl è una realtà originariamente democratica (ur-demokratische) essendo avvocata dei diritti umani, quando questi sono in pericolo, a fronte delle ideologie totalitarie marxiste neoliberali-veterocapitalistiche, che minacciano l’AL e l’Europa.

 La tdl non morirà fintanto che ci saranno uomini che si lasciano afferrare dall’agire liberante di Dio e fanno della solidarietà con gli altri uomini, la cui dignità viene infangata, la misura della loro fede e la molla del loro agire sociale. Tdl significa, detto in breve, credere a Dio come Dio della vita e come garante di una salvezza intesa nella sua globalità, facendo resistenza agli dèi, che significa morte precoce, povertà, depauperamento e degradazione dell’uomo. Gutiérrez indica spesso il fraintendimento della tdl sia da parte dei sui simpatizzanti sia da parte dei suoi avversari. Consiste nel fatto che qui siano all’opera teologi interessati soprattutto alla dimensione sociale e politica della vita umana e con ciò anche che si impegnino in maniera alquanto dilettantistica negli ambiti a loro più estranei dell’economia, della politica e della sociologia, mentre perdono di vista il tema loro più proprio della teologia, cioè il riferimento fondamentale dell’uomo a Dio. Chi, al contrario, prende sul serio la specificità della tdl, non può sorprendersi del suo impianto strettamente teocentrico e cristocentrico, né tanto meno della sua collocazione all’interno della comunità della Chiesa. Nel contesto europeo della secolarizzazione, Dietrich Bonhoeffer aveva trovato il vero partner della teologia cristiana nel non credente con cui dialogare, chiedendosi: «Come si può parlare di Dio in un mondo divenuto emancipato?». Gustavo Gùtiérrez, similmente, davanti ai suoi partner dell’AL, in maggioranza credenti, si domanda: «Come si può parlare di Dio in AL, di fronte alla sofferenza, alla morte precoce e ai poveri, la cui dignità è continuamente violata?». 

Il tentativo di una comunicazione intrinsecista del discorso di Dio e del suo coinvolgimento a vantaggio dell’uomo, che attende da Dio una salvezza globale, era stato già intrapreso da autori come Blondel, Henri de Lubac, Juan Alfaro e Karl Rahner, che non sono stati insignificanti per le origini storiche della tdl. Si pensi alla discussione, a quell’epoca attualissima, sul rapporto tra natura e Grazia. Il tema è antesignano per la nuova impostazione complessiva del cristianesimo, nel trapasso verso l’immagine dell’uomo secolare e autonomo dell’illuminismo e dell’età moderna.


La domanda si può qui riassumere così: Ci sono due ordinamenti, un’autonoma secolare finalizzazione dell’uomo e una rivelazione soprannaturale, sicché l’uomo si muove in due ambiti di sapere e di vita distinti e indipendenti l’uno dell’altro? Oppure l’uomo non viene piuttosto intercettato da Dio nella sua unità di persona e così viene chiamato a una conformazione religiosa ed etica della sua esistenza individuale e sociale?  Secondo quell’impostazione concettuale teologica, che considera la rivelazione come sintesi della liberazione dell’uomo operata da Dio e come collaborazione dell’uomo all’agire liberante e redimente divino, esiste una correlazione inseparabile tra creazione e redenzione, tra fede e visione complessiva del mondo, tra trascendentalità e orientamento immanente, tra storia ed escatologia, tra relazione spirituale a Cristo e identificazione con lui in una vita vissuta nella sequela. La tdl supera di conseguenza la rigida schematizzazione di un dualismo che contrappone al-di-là e al-di-qua, in cui la religione viene ridotta ad esperienza mistica dell’individuo umano. In un mondo siffatto, la religiosità avrebbe solo la funzione di motivare una morale individualistica e un’etica sociale.

Di contro, si è fatta strada nell’esperienza della Chiesa, come prospettiva fondamentale, l’opzione preferenziale per i poveri, nata dalla prassi e dall’esperienza delle comunità cristiane dell’AL. Il servizio alla prassi liberante si realizza nell’orizzonte di una visione teocentrica dell’uomo, considerando il fatto che Dio prende  posizione a favore degli uomini bisognosi di redenzione. «Tutto indica che ha inizio una nuova epoca. Sempre più chiaramente si evidenzia la necessità di una collaborazione incondizionata di tutti per la soluzione ottimale degli enormi problemi dell’AL. Una restaurazione del bene sociale, nel quale abbiamo cercato un innesto per l’annuncio del Regno di Dio. La nuova situazione esige nuovi metodi di una prassi liberante. Qui occorre stare attenti e non tornare indietro, né in direzione del “verticalismo di una relazione con Dio priva della relazione con la corporalità, né verso un personalismo di stampo meramente esistenzialista dei singoli o dei piccoli gruppi, né ancor meno verso un orizzontalismo socio-economico di stampo politico”. Appare chiaro che ciascuno dei due estremi (del verticalismo e dell’orizzontalismo) cozza contemporaneamente contro l’immanenza e la trascendenza del Regno di Dio, in quanto queste due dimensioni non si lasciano separare l’una dall’altra »4

[4G. Gutiérrez, La teologia: una funzione ecclesiale, vedi e controlla citazione in italiano].

 

3) Una nuovo modo di sentire il ”Noi“ della Chiesa e il servizio alla salvezza del mondo

Nel periodo di tempo che va dal XVI al XX secolo il rapporto tra l’AL e L’Europa era segnato dall’incontro, o meglio dallo scontro tra differenti culture religiose. Oggi, in Europa, a seguito dell’illuminismo, della critica religiosa e della secolarizzazione, è venuta a cadere, nella stragrande maggioranza delle popolazioni europee, la consapevolezza dell’identità tra cultura cristiana e fede cristiana. Ma anche l’AL non presenta più una sua unità culturale.

Al tempo della rete commerciale, delle strategie globali di mercato, ma anche di sistemi spirituali religiosi o ideologici alimentati da una società pluralistica, non avrebbe alcun senso una contrapposizione tra un soggetto collettivo europeo e un soggetto collettivo latinoamericano. Quale “Noi” è da intendersi quando qualcuno dice “Noi in Europa”? Dopo che la Chiesa, al più tardi successivamente al Vaticano II, ha reso più concretamente rilevante la sua cattolicità e ha ridefinito la sua missione come salvezza offerta al mondo, questo “Noi” non può essere più determinato in maniera regionale o culturale. Si può avvertire in diverse parti del mondo, come i cristiani definiscano la loro identità a partire dall’appartenenza a Cristo e non più a partire da una sorta di via collaterale, quale una cultura europea cristianamente impregnata. Il cristiano europeo non vede affatto un legame con le sue radici, quando parla di “cultura occidentale cristiana”, sebbene questa sia certamente da valutare in maniera differenziata. Lo valuta, piuttosto,  a partire dall’atto di fede in Cristo, e in questo legame personale con Cristo, scopre il “Noi” della Chiesa, muovendo dai tanti popoli della terra e aderendo così nella fede a questo “Noi” ecclesiale condiviso.  

Se ci siamo lasciati alle spalle le tappe del colonialismo con il suo apparato di superiorità e con lo sfruttamento capitalistico, restano ancora da accettare come fenomeni ormai al capolinea, nel rapporto tra Europa e AL,  l’autoreferenzialità dell’eurocentrismo, il paternalismo e l’assistenzialismo. In questa direzione si deve cercare nel XXI secolo una via del tutto nuova. L’unilateralità non sarebbe di certo superata parlandone soltanto come uno scambio di ruoli tra il dare e il ricevere, l’insegnare e l’apprendere.

Piuttosto occorre riconoscere che a formare il “Noi” della Chiesa sono i credenti in Cristo di tutto il mondo e che, a partire da questa prospettiva di fede, la Chiesa universale si realizza nella comunione delle Chiese locali, in reciproco scambio. Da questa unità dei credenti teologicamente definita e all’interno della comunione delle Chiese locali, la Chiesa può affrontare le grandi sfide del mondo moderno, dando tutto il suo specifico contributo per il riordino della comunità mondiale sulla base dei diritti individuali e collettivi. La nuova determinazione dei rapporti della Chiesa rispetto al mondo è stata espressa in modo insuperabilmente chiaro nel primo articolo della Gaudium et spes:

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo. 

La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia».

La tdl può davvero portare un impulso determinante in questo nuovo “Noi” di una Chiesa universale in rapporto a una umanità alla ricerca di un senso ulteriore alla precarietà della vita, cioè di un senso dell’esistenza cercato in Dio e al tempo stesso nella responsabilità per la vita terrena. Con Gustavo Gutiérrez, si può riassumere il beneficio globale della tdl, che ancora resta da valorizzare, proprio in alcuni elementi, che noi in quanto Chiesa-per- il-mondo possiamo apprendere, per come segue. Gutiérrez ne elabora tre, in riferimento a Santo Domingo, ma essi sono temi di urgente attualità anche per l’Europa: la nuova evangelizzazione, il progresso umano e l’inculturazione del Vangelo. Per esprimerci con le parole di Gutiérrez: [L’intera citazione che segue è tradotta direttamente dal testo spagnolo di Gutiérrez «La teología: una functión eclesial», in Del lado de loso pobres, pp. 24-26]

«Il tono convocante dei testi di Santo Domingo corrisponde a questa richiesta, costituisce una chiamata vibrante alla partecipazione di tutti alla nuova evangelizzazione del continente. Questa preoccupazione era stata presente fin dalla preparazione di Medellín, tuttavia ricevette nuova forza dal vigoroso appello di Giovanni Paolo II ad Haiti (1983), il paese più povero e dimenticato dell’AL. Rivolgendosi al CELAM [Consiglio permanente delle conferenze episcopali latinoamericane], il Papa parlò di «un’evangelizzazione nuova. Nuova nel suo fervore, nei suoi metodi, nella sua espressione». Santo Domingo fece di questa prospettiva uno dei suoi temi centrali e una delle sue linee pastorali prioritarie. La riflessione teologica elaborata nel contesto latinoamericano trovò qui un terreno fecondo nella sua collaborazione con la missione evangelizzatrice della Chiesa. Facendo tesoro del positivo ed evitando gli errori degli anni precedenti, il discorso sulla fede deve aiutare a intercettare la strada e il linguaggio per annunciare ai “poveri di questo continente” la necessità del “Vangelo della liberazione radicale e integrale”; “non farlo – aggiunge Giovanni Paolo II – significherebbe defraudare e deludere questi poveri” (Carta a los obispos del Brasil (abril de 1986)].

Santo Domingo affronta un secondo tema, dal quale ricava un’importante linea pastorale: la promozione umana. Non si tratta di un punto alieno o estrinseco all’evangelizzazione. Numerosi testi del Magistero in questi ultimi anni hanno ricordato con vigore che promuovere la dignità umana fa parte della missione evangelizzatrice. Dignità che è messa in discussione dal “più devastante e umiliante flagello che vive l’AL nei Caraibi”, costituito dal l’“impoverimento crescente“ di milioni di latinoamericani, conseguenza in gran parte della “politica di corte neoliberale”, predominante nel continente (Santo Domingo n. 179). 

La portata del problema è talmente grave, da lanciare un appello alla Chiesa, senza alcuna via di scampo, per farvi fronte. L’esperienza biblica sulla povertà e le esperienze di solidarietà degli anni precedenti sono qui di grande utilità, tuttavia non devono nascondere ciò che distingue ed è più complesso nella situazione presente. Il rinnovamento dell’insegnamento sociale della Chiesa, intrapreso con determinazione da Giovanni Paolo II, non indica solo le linee guida per un’autentica e attuale armonia sociale e per la costruzione di una società giusta e nuova nel rispetto totale della vita e della dignità umana. Piuttosto arricchisce anche la linea teologica, offrendo un campo fecondo di studio in funzione dell’ambito sociale e storico dell’AL. Questi testi ci ricordano che i valori quale la pace, la giustizia e la libertà non sono semplicemente obiettivi di un compromesso sociale, ma devono, piuttosto, ispirare fin da ora i metodi per conseguire una società umana rispettosa dei diritti di tutti.  La nuova evangelizzazione dovrà essere una evangelizzazione inculturata. Inculturazione è un termine nuovo per indicare una realtà antica, che per un cristiano evoca l’Incarnazione. La Parola deve incarnarsi nei mondi vitali, nelle situazioni e nelle culture, pur diversi che siano. Con ciò non solo la trascendenza non viene affatto toccata, ma piuttosto viene riaffermata. Questo prospettiva ha posto il dito nella piaga di un continente che consta di così tante differenze razziali e culturali. Le culture e i valori dei diversi popoli indigeni e della popolazione nera dell’AL costituiscono una ricchezza da apprezzare e rispettare da parte di coloro che hanno la responsabilità di annunciare il Vangelo. Siamo davanti a un compito immenso e urgente, che è stato appena avviato, e davanti ad una sfida stimolante per la riflessione teologica»5 [5Gutiérrez «La teología: una functión, 24-26, qui edizione spagnola].

Nuova evangelizzazione, impegno nel servizio della Chiesa per una società giusta e una nuova sintesi di fede e della cultura moderna sono anche i compiti prioritari della Chiesa in Europa.