[Giovanni Mazzillo <info autore>] | home page: www.puntopace.net
1)
La
realtà umana non è sempre computata
ineluttabilmente in una relazione stretta e consequenziale tra pròtasi e
apodosi. Nel caso della scienza,
tutto ciò che in essa è divenuta apodosi, è sempre un punto di partenza per una successiva pròtasi ed un’ulteriore
apodosi. Ciò che stabilisce la veridicità e la falsità dell’apodosi, non è solo
la pròtasi, ma il modo di vedere questa relazione con altre pròtasi e apodosi di discipline diverse, come teologia, scienze naturali,
scienze umane. Spesso le pròtasi delle
altre scienze non escludono le apodosi
teologiche. L’errore è ricondurre tutto ad un’apodosi e ad una consequenziale
pròtasi unilaterale; ovvero che le apodosi di una scienza debbano derivare
dalle stesse pròtasi di un’altra, altrimenti non è valida. È vero che se la
verifica sperimentale non conferma il supposto,
l’ipotesi cade, ma bisogna vedere su quali supposti si basa la verifica. Non
potrebbero cadere anche i supposti della verifica se la stessa verifica venisse verificata con altri metodi? Le
risposte che la scienza riesce a dare e dimostrare in realtà sono sempre state
degli abbrivi per ulteriori domande, ossia, è come se ogni risposta data abbia
affinato le domande ulteriori che ne
scaturiscono, come se il problema non fosse la risposta, ma il modo giusto di
porsi la continua domanda. Credere
alle risposte che oggi la scienza ci ha dato è come credere a dei dogmi, visto
che la stessa scienza prevede che le sue stesse risposte siano suscettibili di
relativizzazione con ulteriori indagini. Mi sembra un po’ il ragionamento dei
giudici che non cercano di conseguire la verità e non si preoccupano di essa,
ma solo delle prove.
2)
Per
quanto concerne la “verifica sperimentale” di
cui non potrebbe beneficiare la teologia ho dei dubbi. Molte cose sono
nell’animo umano che non possono essere oggetto di sperimentazioni
quantificabili, misurabili con calibri e radici quadrate; eppure le avvertiamo
in noi, non è necessario neanche sapere la loro pròtasi per sapere come mai
avvertiamo in noi queste apodosi, anzi dall’apodosi possiamo quasi percepire la
pròtasi. Parlo dell’amore, e poi del senso di incompiutezza che avvertiamo e
con esso una voglia di completamento che non si trova sulla terra, come dice
Montagne: “ben voglio che si operi senza posa, che la morte mi trovi
nell'atto di piantare i miei cavoli, ma non curante di essa e ancor più del mio
giardino incompiuto”, un’inadeguatezza nel mondo, nonostante tutte le scoperte scientifiche
sulla natura e sulla psiche; una sorta di nostalgia, il richiamo dell’altro,
del voler saper oltre noi stessi; l’arte, il senso del bello e tante altre
cose. Quando la teologia parla di queste cose appena dette, è vero che non sono
specificatamente sperimentabili, quantificabili, ma ciò non toglie che ognuno -
nella sua sfera privata - le
sperimenti, le comunichi agli altri, le avverta come esigenze reali, che fanno
parte di noi e che ancora lo chiamano alla risposta del senso di se stesso e
della sua vita, più di quanto lo faccia la ragione, che cerca di mettere delle
pezze qua e là con la razionalità, per colmare questi abissi nell’animo non
sperimentabili, a volte indicibili, e pur così vivi in noi!
3)
Per
quanto riguarda la domanda se la pastorale abbia un nesso con le “scienze
sociali”, non credo che il discorso vada impostato in questo modo. La teologia
e le sue discipline non devono intentare una corsa alla parificazione con le
altre scienze umane etc., né tanto meno prendere meccanicamente il nome di
scienze, diventando “scientifiche” alla stessa stregua della scienza
“ufficiale” conclamata tale. A volte vedo il tutto come una partita a pallone,
dove a centro campo è posizionato il pallone della verità, ogni giocatore
rappresenta una scienza, ognuno ha una zona del campo da difendere e da
gestire, l’intera partita non può essere valutata dai cronisti dalla singola
prestazione di un solo giocatore o da un solo reparto, e così ogni singolo
giocatore vuole essere il capitano della squadra e far ruotare tutto intorno a
sé.
4)
La
discussione non va solo posta su un
versante del problema, come molti pensatori fanno affannandosi nello stabilire:
“Che A è superiore a B, che B è uguale ad A, che
questi va oltre B e viceversa, che uno ingloba l’altro e l’altro sconfina ogni
tanto nel primo, che fra essi non vi è nessuna differenza o che sono totalmente
estranei o uno alternativo all’altro o indipendente dall’altro”.
Quanto detto tra virgolette, è un tipo di discussione che i pensatori possono condurre, un modo di argomentare, una prospettiva con la quale
questo tema viene affrontato. Ma, non si può discutere un argomento parlando solo
di un suo aspetto. Molti
filosofi scienziati e teologi affinano le armi del proprio discettare sulle
differenze, sui principi, etc. di un
certo aspetto del problema. Invece, credo che A e B vadano visti nell’arco di una
evoluzione, che non vadano scambiati con le loro devianze ed estremismi e credo
ancora che si possa dialogare in un modo nuovo su questi argomenti, essendo
meno autoassertivi è più comunicativi.
Lo ripeto, per me non esiste che
un’unica grande scienza, che è come la mente che valuta il tutto sì dai suoi 5
sensi che vedono, constatano, sentono, odorano, etc, ma anche dal suo istinto,
intuito, senso del bello, dell’amore e
dell’andare oltre se stessi.
5) Il teorema di Pitagora
trova applicazione in topografia, in
orografia, geodesia e negli altri così sia vari, ma non tutto ciò che è
sperimentabile o applicabile risulta essere vero, così ciò che non è dimostrabile non per questo è indimostrabile o non si può avvertire o
intuire.
6) Il dogma ha rivestito,
nell’arco dei secoli, una connotazione negativa, poiché le persone hanno
accettato il dogma a-criticamente così da credere ai “dogmi” di Hitler o alle
cose dette in latino dai preti preconciliari etc., e spesse volte quando si
parla di “dogma” si crede di parlare di esso; ma in realtà si parla solo di un
aspetto di esso, ossia si discute di una interpretazione del dogma, di un certo
modo di intenderlo, ma non del dogma nella sua essenza. Ovvero, il più del
volte si parla dell’aspetto negativo del dogma, ossia di un certo modo
(sbagliato) di rapportarsi delle persone dinanzi ad esso più che di esso
stesso. Oppure si parla del dogma in maniera molto precisa, come se fosse un
principio matematico, ovvero in un modo ipercritico e dunque ancora acritico.
Ci si trova su questi due fronti, uno a-critico, l’altro troppo tirato con il ragionamento,
l’equilibrio non credo serva a chiarire, allora mi domando in che termini
parlarne!
7) Che un logaritimo non
sia in grado di decidere se un logaritmo sia effettivamente un logaritmo
non riuscirà a deciderlo neanche se perfezionerà le formule logaritmiche con la
sua perfettibilità sempre evolutiva,
sapendo che questa perfettibilità dipende dal progresso e sapendo che il
progresso in quanto tale non si ferma, e sapendo inoltre che l’uomo conosce
sempre più se stesso, non è escluso che sbagliando qualche addendo iniziale si
innesca un modo, di leggere la realtà,
erroneo che più sembra perferzionarsi per comprendersi tanto più potrebbe
allontanarsi dalla sua vera essenza sbagliando gli addendi successivi. Come se Freud
leggendo l’uomo solo sotto l’aspetto della libido, credendo di perfezionare le
ricerche su di essa, di affinarne un linguaggio più adatto per farla
comprendere, possa dire qualcosa di definitivo sull’uomo, mentre in realtà
quanto più approfondisce nel verso sbagliato tanto più si allontana
dall’essenza della psiche umana.
8)Alla fine non essendo né
laureato, né studente, né studioso di tali questioni che ho sopra citato, forse
qualcuno ha notato la semplicità e la poco sistematicità d’argomentare. Mi
piacerebbe, tuttavia che tale dialogo continui senza frammezzi personali e
motivazioni soggettive, che spingono ad argomentare in un certo modo. Mi
spiacerebbe tanto se il prof. Pucci mi ricordasse un mio amico, prima
seminarista, poi filosofo, in ogni modo due movimenti che sembrerebbero
contrapposti ma che cercano la stessa cosa, Forse uno troppo direttamente,
l’altro con modi troppo indiretti.
Saluti Parblé