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Intervento nel dibattito sulla scientificità della teologia -----> vedi
Mi presento.
Sono Gianni Florio, sono laureato in Fisica e ho
preso un diploma in Teologia presso un Istituto di Scienze Religiose, sono
quindi semplicemente “alfabetizzato” in Teologia. Insegno Matematica e Fisica
nei Licei Scientifici, in passato ho insegnato anche religione. Questa mia
duplice esperienza mi spinge ad intervenire in questo dibattito, non per dare
ragione o torto a qualcuno, ma semplicemente per esprimere la mia opinione al riguardo. Il mio intervento non
ha un taglio filosofico, ma deriva dal mio approccio al problema da fisico che
vuol vedere oltre la Fisica.
LA VERITA’ NELLE SCIENZE.
Dopo la rivoluzione scientifica e la conseguente rivoluzione industriale l’affermazione “scientificamente dimostrato” ha assunto il significato di assolutamente esatto, assolutamente certo, inconfutabile, vero per sempre. Tuttavia alla luce delle teorie scientifiche del XX secolo (relatività e meccanica quantistica) questa affermazione va un po’ rivista. Le conoscenze sulla meccanica classica e delle equazioni di Maxwell avevano convinto i fisici di fine 1800 di essere al capolinea della scienza, si sapeva ormai quasi tutto sulla fisica, c’era solo da aggiungere qualche cosina qua e là. Fu dallo studio di questi piccoli “dettagli” (velocità della luce nell’etere, effetto fotoelettrico, ecc.) che la fisica classica fu superata dalle nuove teorie. La teoria della relatività (ristretta e generale) e la meccanica quantistica però, non si sono solo limitate a sostituire la fisica classica, ma hanno completamente cambiato il modo di approcciarsi alla realtà da parte dei fisici ed il significato della scienza stessa. La fisica classica è basata sulle certezze: una volta scoperta la legge fisica che governa un certo fenomeno e conoscendo posizione e velocità di tutte le particelle in causa, il passato, il presente ed il futuro del fenomeno stesso sono stabiliti per sempre. Siamo di fronte al determinismo assoluto. Questo era il risultato dell’unione tra i principi della meccanica ed i teoremi dell’analisi matematica del tempo. In meccanica quantistica le cose sono completamente diverse. A causa del principio di indeterminazione di Heisemberg, noi non possiamo mai conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di un oggetto. Quanto più si conosce una delle due grandezze, tanto più l’altra è indeterminata, quindi non possiamo mai dire con esattezza il modo in cui si evolverà un fenomeno, niente è determinato, la teoria ci dice solo la probabilità con cui si ha una certa situazione piuttosto che un’altra.
L’altra grande novità che queste teorie portano è
una nuova relazione tra fisica e matematica. Con Newton si era creato un
connubio inscindibile tra fisica, analisi matematica e geometria euclidea (a
dire la verità il problema non si era proprio posto, era scontato che quelle
fossero le uniche matematiche e geometrie). Con la teoria della relatività
ristretta si utilizza non più il normale spazio tridimensionale ma uno spazio
quadridimensionale non curvilineo. Con la relatività generale si utilizza uno
spazio curvo non euclideo e la meccanica quantistica userà spazi infinito
dimensionali molto complessi da spiegare. Quindi si usa per così dire una matematica per ogni situazione.
Come funziona quindi la scienza moderna?
Cito Stephen Hawking, cosmologo contemporaneo, nel
suo libro dal Big bang ai buchi neri: “In natura non esistono leggi ma solo
fenomeni, le leggi esistono solo nella mente umana”. Per paradossale che possa
sembrare tale affermazione (penso a quanti miei colleghi dicono in classe di
spiegare le leggi della natura), esprime bene il procedere della scienza
oggi. Noi siamo in grado di misurare solo i fenomeni, cioè dire
quantitativamente come sono legate tra di loro due o più grandezze, ad es. ad
un certo tempo si ha una data velocità, oppure ad una certa distanza c’è una
data intensità del campo gravitazionale,ecc. Le leggi fisiche non le troviamo
certo scritte nei laboratori o sugli atomi o sulle stelle. Dalle misure si deve
poi risalire ad una legge fisica che li interpreti, cioè una relazione di tipo
matematico tra le grandezze fisiche del fenomeno che non mi dia una spiegazione
solo delle misure fatte ma che possa prevedere anche il risultato di quelle
future. Ora per chi è un po’ pratico di geometri analitica e anche per chi non
lo è: data una funzione (una linea qualsiasi) è semplice determinare tutti i
suoi punti, ma dati dei punti… vi passano infinite funzioni (linee), per i poco
pratici, i punti sono le misure e le funzioni sono le leggi fisiche. Quindi noi
non sappiamo mai quale sia la legge esatta che spiega un fenomeno (anche perché
non esiste), ma solo quella che meglio la approssima, finché non avremo altri
dati in disaccordo con questa legge e allora dobbiamo cercarne una nuova lege
che spieghi i dati nuovi ed i vecchi, e la vecchia legge sarà solo un caso
particolare della nuova. Di fatto e successo sempre così: la teoria Tolemaica
ha funzionato per quasi duemila anni, finchè nel 1500 non risultò insufficiente
a spiegare alcuni dati. Allora subentrano
Copernico, Galileo e Newton con una nuova teoria, che è durata fino alla
fine del 1800, quando alcuni esperimenti, tra cui quello di Michelson e Morley,
non sono risultati in accordo con la fisica Newtoniana. Allora subentra la
teoria della relatività ristretta di Einstein, che spiega i nuovi dati e
prevede le leggi di Newton come caso particolare. Poi, di nuovo, i dati
sull’orbita di Mercurio non concordano con la relatività ristretta e quindi
ecco la relatività generale che prevede la relatività ristretta come caso
particolare.
In conclusione: non
esiste una teoria vera, esiste solo una teoria ancora non contraddetta di cui
possiamo solo dire che per ora funziona. Quando ci sarà qualche nuovo dato che
la contraddice, cercheremo una nuova teoria che prevedrà quella di prima come
caso particolare. La Fisica non ci dà quindi delle verità assolute sul cosmo,
ci fornisce dei dati quasi certi sui fenomeni con un certo margine di errore, e
delle “leggi” con cui interpretare questi dati: Di queste leggi possiamo dire
solo che per ora “funzionano”. Faccio qualche esempio semplice per farmi capire
anche da chi non è addentrato nel mondo della fisica: una muratore deve fare
una casa costruendo le pareti perfettamente allineate e perpendicolari al
suolo, per fare questo usa uno strumento: il filo a piombo, inconsciamente
(almeno credo) usa un modello matematico semplice: approssima la terra come
piatta e perché ritiene che il filo a piombo usato sulle due pareti indichi
direzioni parallele tra loro. Ora sappiamo che ciò è sbagliato, perché il filo
a piombo indica da ogni punto sempre il centro della terra e non direzioni
parallele, ma l’errore è talmente piccolo che il suo modello matematico
funziona benissimo e sarebbe da matti usare il modello della terra sferica per
costruire una casa. Ora, se invece che costruire una casa vogliamo mettere un
satellite in orbita alla Terra è chiaro che il modello della terra piatta non
funziona più e dobbiamo usare il modello della terra sferica e la legge della
gravitazione universale di Newton. Se poi vogliamo costruire una rete di
satelliti attorno alla terra che dialogano tra loro per mezzo di raggi di luce,
non basta più la fisica di Newton, ma bisogna ricorrere alla teoria della
relatività ristretta per tener conto del ritardo della velocità della luce. Se
poi, tecnologia futuristica, il satellite vogliamo metterlo in orbita attorno
ad un Buco Nero, allora occorre tener conto della curvatura dello spazio e
quindi della relatività generale. Tutto questo per capire che non esiste una
teoria sempre vera ovunque, le teorie fisiche sono come le scarpe, ci sono da
passeggio, da riposo o da alpinismo, a secondo del bisogno uso il modello
adatto. Ciò potrà sembrare riduttivo della scienza, ma se vogliamo essere
rigorosi (e la Fisica mi ha insegnato ad esserlo) possiamo dire solo questo
della scienza oggi.
Ma ci si chiede, che fine ha fatto la verità?
Ogni teoria nuova acquisita non ci avvicina di più
alla cosiddetta verità? Certo. La verità sta nella correttezza del metodo
usato. Ma chi ci garantisce che il metodo usato per trovare qualcosa che ancora
non conosciamo sia esatto? Galileo era convinto che bastava che i risultati
ottenuti fossero in accordo con la teoria, ma per quanto detto sopra, ciò non
basta. Il discorso resta aperto.
Un’altra questione aperta. Ho detto che ogni teoria
in fisica ricorre ad un modello matematico, ma cosa è la matematica? Ci può
portare a delle verità? Io non sono un matematico, l’ho solo studiata perché se
ne fa largo uso in fisica, tuttavia è chiaro a tutti che la matematica non
è una scienza come le altre.
Innanzitutto gli oggetti di cui essa si occupa non esistono da nessuna parte,
sono astrazioni o concetti, se preferite, della nostra mente, tuttavia è
proprio a causa della sua astrazione che essa è universale. Riesco ad
immaginare che un giorno incontreremo degli alieni completamente diversi da
noi, ma non riesco ad immaginarli con dei numeri diversi dai nostri. La matematica è universale in quando
prescinde da situazioni concrete, si basa su un insieme di assiomi che devono
ubbidire solo all’unica regola di non contraddirsi tra loro.
Partendo da questi assiomi attraverso ragionamenti
rigorosi si arriva a delle verità assolute (nella ipotesi della verità degli
assiomi). Però non è strano che la verità la troviamo nei discorsi astratti
della matematica e non nella concretezza della fisica? E poi chi ci assicura
che qualcosa che è frutto solo della nostra mente (la matematica) sia
applicabile all’universo (la fisica)? Di fatto, di una teoria fisica non
possiamo dire che sia conoscenza della natura così come è, ma è interpretazione della natura tramite un modello matematico,
che è l’unica cosa che la nostra mente riesce a fare. Quindi possiamo dire che
la conoscenza è un atto imprescindibile da chi conosce.
L’uomo è la misura di ogni cosa. Stephen Howking nel
suo libro “Dal Big Bang ai buchi neri” alla domanda “Perché l’universo è così?”
risponde col principio antropico: “L’universo è così perché se non fosse così,
noi non saremmo qui ad osservarlo”. Noi siamo realmente al centro
dell’universo, non nel senso fisico, ovviamente, ma nel senso che la conoscenza
del mondo va di pari passo con la conoscenza di noi stessi. Non vi è conquista
scientifica che non sia innanzitutto conquista di una parte di noi stessi.
A questo punto, la conoscenza fisico-scientifica del mondo è l’unica forma di conoscenza
possibile? Io dico di no, e cerco di argomentarlo. La scienza è
metodologicamente atea (ma non lo nel suo metodo anche la teologia?), nel senso
che nel fare ricerca ci si deve attenere scrupolosamente solo a dati
sperimentali ed a modelli matematici che li possono interpretare. Ma la scienza
non è teleologicamente atea, nel senso che non è atea nei suoi scopi (la parola
atea intendetela in senso molto ampio). La lettura scientifica di un fenomeno
non esclude altri tipi di lettura su piani diversi. Anzi può capitare che la
lettura solo scientifica sia fortemente limitativa per interpretare alcune
cose.
Esempio: ho un CD con incisa una sinfonia di
Beethoven, lo analizzo scientificamente, nel senso che cerco di capire dal
punto di vista fisico che cosa è. È facile stabilire che di tratta di un
supporto di plastica in cui si trovano una infinità di specchietti microscopici
disposti secondo un codice binario per essere letti con un raggio laser. Ma
nulla mi dice se sia qualcosa di artistico e di che valore. Per fare questo
bisogna spostare la conoscenza su un altro piano, basta inserire l’oggetto in
un lettore di CD ed un orecchio musicale attento saprà subito di che si tratta.
Anche questa è conoscenza, ma di questo la scienza ci dice poco. Io in questo
momento sto scrivendo, nel fare ciò devo pensare e quindi attivare una serie di
processi chimici nel mio cervello, ma se i miei pensieri sono corretti o
inconcludenti non lo valutate in base allo scambio di informazioni chimiche tra
assoni, dentriti e neuroni, ma molto più semplicemente vi limitate a dire se
hanno senso le cose che dico. Non possiamo ridurre il software all’hardware
su cui si trova. La scienza può interpretare l’hardware, ma non il software.
Scusatemi la similitudine informatica, ma spero che vi sia più comprensibile.
Insomma un quadro non è solo un insieme di colori, una sinfonia non è solo un
insieme di suoni, il pensiero non è fatto solo di processi elettrochimici
Che centra la teologia in tutto ciò?
Innanzitutto una piccola premessa. Non è facile
parlare di teologia a chi non la conosce completamente. Anni fa leggevo un
articolo di Adriana Zarri in cui l’autrice esponeva le sue difficoltà a farsi
intervistare su questioni teologiche da parte di giornalisti che non sapevano
niente di teologia. Prima teneva loro una
breve lezione, poi cominciava l’intervista.
La teologia la trovo molto ghettizzata. Purtroppo non si studia nelle
Facoltà statali ed i più la riducono ad un insieme di affermazioni perentorie
su dogmi, sacramenti o cose di Chiesa in generale (se non di sagrestia). Nella
mia duplice esperienza di insegnante di Religione e di Fisica posso dire che è
normale che uno studente si riconosca ignorante in fisica, ha normalmente
chiaro ciò che sa e ciò che non sa. Ma se andiamo sulla religione le cose
cambiano completamente, studenti (e anche dei colleghi docenti di materie scientifiche,
filosofiche e letterarie ecc.), anche se se si tratta di “credenti”, ritengono, che le proprie conoscenze in materia siano più che sufficienti, e che
gli approfondimenti riguardino solo gli addetti ai lavori (preti, suore ecc.).
Gran parte delle riflessioni sulla religione si basano sul sentito dire, spesso
dalla televisione, o su ricordi del catechismo, o su “quel prete ha detto…”.
Manca completamente un approccio metodologico al discorso. Pare che le
conoscenze medie degli italiani su questioni si fermino al catechismo per la
cresima (non parliamo poi del livello formativo di molti catechisti…).
Ora, finito lo sfogo, affronto il problema. La
teologia non è un’unica “disciplina”, ma è un insieme di discipline a volte
molto diverse tra loro per metodo ed argomenti affrontati. Una parte affronta questioni
più pragmatiche (catechetica, teologia pastorale…), un altro blocco è
costituito dalle scienze Bibliche, poi c’è teologia vera e propria più legata alle
affermazioni relative a particolari contenuti
di fede (i famosi “dogmi”, studiati, ad esempio nella Cristologia, Trinitaria,
ecc…). Scusatemi la semplificazione eccessiva, ma essa dovrebbe servire a
rendere più scorrevole il discorso.
Il punto del dibattito è se la teologia sia scienza.
Ovviamente se come scienza intendiamo ciò che in una
Università deve afferire alla Facoltà di Scienze Naturali, Fisiche e
Matematiche, allora non è una scienza. Ma
se allarghiamo i nostri orizzonti e
riteniamo come scienza tutto ciò che con metodo rigoroso porta ad
ampliare le nostre conoscenze, allora è senz’altro una scienza. Innanzitutto il
primo gruppo di discipline teologiche, cui accennato dal punto di vista pratico
non si discosta quasi per nulla dalle cosiddette scienze umane. La catechesi in
fondo non è altro che pedagogia applicata a contenuti religiosi, così possiamo
stabilire un certo nesso tra la pastorale e le scienze sociali e così via. Le
Scienze Bibliche di fatto usano gli strumenti di qualsiasi filologo, linguista
o studioso di testi antichi. La differenza è che il biblista ritiene ispirato
da Dio il contenuto di ciò che studia. Ma questo lo affronto insieme al terzo
gruppo di discipline.
L’esclusione della teologia dalle scienze può derivare dalla falsa convinzione che essa porti a conclusioni alle quali bisogna credere per fede (i dogmi) e quindi come tale non può considerarsi una scienza. Ma attenzione, i dogmi in teologia non sono un punto di arrivo ma un punto di partenza. Compito della teologia non è di ricavarli tramite un ragionamento rigoroso, ma di esplicitarli, annunciarli con un linguaggio più adeguato, trovare nuove piste per la prassi del cristiano o altro.
Si dirà: ma i dogmi non sono dimostrabili. Neanche
gli assiomi della matematica lo sono. I dogmi contraddicono i dati empirici.
Anche tante geometrie o matematiche astratte. Ma nessuno si sogna di spodestare
la matematica da una Facoltà di Scienze. La matematica e la teologia sono per
così dire confinate nel nostro pensiero, ma entrambe da punti di vista diversi
ci aiutano a comprendere la realtà attorno a noi ed in noi. Anche la teologia
ha un modello del cosmo, che non è in antitesi con quello della fisica, è solo
su un piano diverso. I suoi risultati potranno non essere verificabili, ma
anche le teorie della fisica lo sono. Al centro di tutto c’è l’uomo che resta
il più grande mistero. E lo resterà sempre, almeno se interpretiamo in senso
allargato il teorema di Gödel. In una della sue versioni recita: non esiste un
algoritmo in grado di decidere automaticamente se un algoritmo sia
effettivamente un algoritmo. In parole povere: un sistema non può comprendere
se stesso. Neanche l’uomo quindi può comprendere se stesso. La teologia pur
essendo Scienza “su” Dio, è fatta dall’uomo. Quindi neanche la teologia ci farà
comprendere noi stessi, solo che è l’unica scienza che dà all’uomo - in quanto “scienza”
- la possibilità di aprirsi oltre (non in senso deduttivamente scientifico, ma legittimando
la possibilità del salto della fede), di aprirsi un varco verso Colui che solo
ci può comprendere.