Giovanni Mazzillo <info autore>     |   home page:  www.puntopace.net


Cristianesimo e Islam alla prova della convivenza pacifica in un mondo sempre piu multireligioso
(Incontro-conferenza a Roggiano Gravina 21-03-02)

Introduzione

Innanzi perché questo tema e qual è la sua importanza? Perché nel secolo che si è aperto, anche a causa all’accentuarsi dell’immigrazione di popoli diversi e agli innegabili effetti della globalizzazione, è diventato sempre più improrogabile il problema della coesistenza delle religioni, in primo luogo quelle più diffuse, come il Cristianesimo ed l’Islam. L’esperienza storica passata e quella presente ci portano ad affermare che se ci sono stati e ci sono tuttora tensioni e conflitti, non è detto che debbano esserci sempre. Essi diminuiscono solo se cresce lo sforzo di una reciproca conoscenza, che lascia cadere i pregiudizi e che disarma gli animi di tutti, ma in primo luogo dei "credenti" delle rispettive religioni, perché proprio essi sono maggiormente portati a vedere la propria fede come tendente ad escludere quella degli altri. I "credenti" arrivano infatti non di rado a considerare gli appartenenti alle altre religioni almeno come temibili concorrenti, se non come pericolosi nemici di Dio e come propri nemici. A ciò sono spinti oggi più che mai anche dalle vicende di intolleranza, di violenza e di odio etnico e religioso, che pur essendo riconducibili a pochi sedicenti religiosi, marginali e fondamentalisti, fanno tuttavia un eccezionale scalpore, anche per l’enorme risonanza dei mezzi di comunicazione di massa. Non sono la maggioranza dei credenti e, oltre a danneggiare gli altri, danneggiano anche la propria religione d’appartenenza, che viene vista come ostile agli uomini. Per quel che ci riguarda, offendono Dio stesso, che viene da loro identificato con un Dio violento, intollerante e non amico degli uomini.

Alla luce di tutto ciò, siamo convinti che proprio i credenti, e per ciò che ci riguarda, noi cristiani, dobbiamo fare tutta la nostra parte per contribuire a smascherare come falsa e contraria alla volontà di Dio ogni forma fondamentalista della religione. Ciò non basta e nemmeno è così semplice come sembra a prima vista. Occorre pertanto compiere ogni sforzo per conoscere anche la religione degli altri, in modo da apprezzarla per i valori che porta, entrare in dialogo con quanti la seguono e condividere con loro l’impegno, affinché ogni religione contribuisca a recare sollievo ai problemi dell’uomo. Solo da un impegno assunto in comune, sul quale occorre avere la pazienza di crescere e di mettersi in discussione continuamente, si può arrivare nei fatti a che ogni religione sia a favore e non contro i diritti umani fondamentali e, su questa via, possa essere strumento di pace e non di tensione, di violenza e di guerra.

In questa direzione cammina anche la recente dichiarazione sottoscritta ad Assisi, insieme con il papa, dai rappresentanti delle religioni più diffuse nel mondo e la preoccupazione degli uomini "di buona volontà" perché cresca, con la conoscenza delle comuni radici e dei comuni impegni nella storia, anche il dialogo e il rispetto reciproco. Il nostro contributo parte dal documento sottoscritto da Assisi (1 punto), accenna alle religioni cosiddette storiche, che sono il Giudaismo, il Cristianesimo e Islam, e alle loro comuni radici soffermandosi soprattutto sulle ultime due, per evidenziarne i punti di contatto e gli ambiti di comune impegno per la pace (2 punto), ed infine accenna, in maniera molto sintetica, sicuramente da approfondire ulteriormente, all’ideale della pace nel mondo islamico (3 punto).

1) Il documento di Assisi 2002

Riportiamo il breve, ma denso testo scaturito da Assisi e condiviso dai rappresentanti delle altre religioni, chiamato "Decalogo di Assisi per la pace". Il testo è preceduto da una Lettera del Santo Padre ai capi di stato e di governo, in cui tra l’altro è scritto:

"Ho potuto constatare che i partecipanti all'incontro di Assisi erano più che mai animati da una convinzione comune: l'umanità deve scegliere fra l'amore e l'odio. E tutti, sentendosi membri di una stessa famiglia umana, hanno saputo tradurre tale aspirazione attraverso questo decalogo, persuasi che se l'odio distrugge, l'amore al contrario costruisce".

Il cosiddetto Decalogo di Assisi per la pace, datato 24 gennaio 2002, ha sullo sfondo tale idea delle religioni come strumento d’amore e non di odio e si articola in questi dieci punti:

"1. Ci impegniamo a proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso e, condannando qualsiasi ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare tutto il possibile per sradicare le cause del terrorismo.

2. Ci impegniamo a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, affinché si possa giungere a una coesistenza pacifica e solidale fra i membri di etnie, di culture e di religioni diverse.

3. Ci impegniamo a promuovere la cultura del dialogo, affinché si sviluppino la comprensione e la fiducia reciproche fra gli individui e fra i popoli, poiché tali sono le condizioni di una pace autentica.

4. Ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona umana a condurre un'esistenza degna, conforme alla sua identità culturale, e a fondare liberamente una propria famiglia.

5. Ci impegniamo a dialogare con sincerità e pazienza, non considerando ciò che ci separa come un muro insormontabile, ma, al contrario, riconoscendo che il confronto con la diversità degli altri può diventare un'occasione di maggiore comprensione reciproca.

6. Ci impegniamo a perdonarci reciprocamente gli errori e i pregiudizi del passato e del presente, e a sostenerci nello sforzo comune per vincere l'egoismo e l'abuso, l'odio e la violenza, e per imparare dal passato che la pace senza la giustizia non è una pace vera.

7. Ci impegniamo a stare accanto a quanti soffrono per la miseria e l'abbandono, facendoci voce di quanti non hanno voce e operando concretamente per superare simili situazioni, convinti che nessuno possa essere felice da solo.

8. Ci impegniamo a fare nostro il grido di quanti non si rassegnano alla violenza e al male, e desideriamo contribuire con tutte le nostre forze a dare all'umanità del nostro tempo una reale speranza di giustizia e di pace.

9. Ci impegniamo a incoraggiare qualsiasi iniziativa che promuova l'amicizia fra i popoli, convinti che, se manca un'intesa solida fra i popoli, il progresso tecnologico espone il mondo a crescenti rischi di distruzione e di morte.

10. Ci impegniamo a chiedere ai responsabili delle nazioni di compiere tutti gli sforzi possibili affinché, a livello nazionale e a livello internazionale, sia edificato e consolidato un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia. [Testo ripreso da Internet, www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/2002/documents/hf_jp-ii_let_20020304_capi-stato_it.html]

Come si sarà notato, non si tratta di una dichiarazione generica, ma di un impegno che tocca i comportamenti sbagliati del passato, per chiederne reciprocamente perdono e per superare ogni residuo di diffidenza e di ostilità. Riguarda inoltre il presente, nell’impegno per la tutela dei diritti di ogni essere umano ad avere una vita dignitosa e una sua famiglia, e nell’impegno al dialogo e alla ricerca dell’amicizia reciproca. In questa direzione, i rappresentanti delle religioni esprimono la volontà di prestare voce a quanti sono nella miseria e nell’abbandono e a coloro che sono al loro fianco. Essi assumono infine un impegno per il futuro, per ciò che concerne il loro rapporto con i responsabili delle nazioni, per la costruzione di un "mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia".

Si potrà dire: "Promesse, solo promesse!". In realtà non si deve sottovalutare il fatto che è la prima volta nella storia che si sottoscriva da parte di rappresentanti di numerose religioni un documento di questa portata. È inoltre la prima volta che insieme essi dicano che la religione, ogni religione è per la pace e per la giustizia, non agendo contro gli altri o volendo conquistare gli altri, ma collaborando con loro. Sembra ancora la prima volta che le religioni esprimano una scelta di campo: a fovore dei poveri e degli infelici e per il superamento di questa situazione, che – evidentemente - è vista contraria ai principi delle stesse religioni coimplicate.

A noi ha fatto ricordare due fatti. Il primo riguarda ciò che José Saramago, premio Nobel per la letteratura racconta, riprendendo una storia del 1600. Narra di un contadino che aveva suonato la campana a morto in un paese toscano, per denunciare l’ingiustizia di un signorotto locale, che gli aveva sottratto la sua terra, facendola franca con la legge. Alle gente accorsa aveva detto di essere stato lui a suonare la campana a morto per la Giustizia, perché la Giustizia in effetti era morta [J. SARAMAGO, "Il mondo dell'ingiustizia globale", in La Repubblica (3/03/02) pp. 1.17].

Commentando lo stesso autore portoghese aggiungeva:

"Suppongo che quella fu l'unica volta in cui, in un posto qualsiasi del mondo, una campana pianse la morte della Giustizia. Non si sentì mai più il rintocco funebre di quel villaggio vicino a Firenze, ma la Giustizia ha continuato e continua a morire tutti i giorni..."[Ivi].

Lo stesso scrittore aveva scritto parole di fuoco, in occasione dell’attentato dell’11 settembre, dicendo tra l’altro:

"Di qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto degli esseri umani morti nei peggiori modi che degli esseri umani potessero inventare. Uno di questi, il più criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è quello che, dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere in nome di Dio" [J. Saramago, "Uccidere in nome di Dio" in La Repubblica (20 settembre 2001), testo da Internet senza indicazione di pagina].

È un’affermazione, che ci sentiamo di condividere, pur dissociandoci dal suo giudizio complessivamente distante, se non ostile, alla religione in quanto tale. Oggi possiamo però affermare che ad Assisi le religioni hanno suonato e vogliamo che continuino a suonare non solo la campana a morto per ogni offesa alla giustizia, ma anche la campana della speranza, perché le stessi religioni operino un’inversione di tendenza rispetto al passato. Soprattutto rispetto alla concezione della devozione come semplice culto a Dio, che trascura il rispetto dell’uomo, non si preoccupa dei suoi fondamentali diritti e concentrandosi su una salvezza "trascendente" e "spirituale", trascura la salvezza concreta dalla violenza, dalla sopraffazione, dalla miseria e dall’ingiustizia. Il decalogo d’Assisi costituisce una pietra miliare almeno per ciò che riguarda le dichiarazioni di principio da parte di più religioni. I loro rappresentanti hanno fatto propria, condividendola, un’accezione della salvezza che è complessiva: riguarda l’al di qua non meno dell’al di là, la vita in questo mondo, oltre che in quell’altro mondo.

La seconda associazione suscitata in noi dal decalogo di Assisi, riguarda il Documento finale del Forum mondiale di Porto Alegre.

Il suo primo punto contiene, al pari del testo precedente, l’intento di impegnarsi per la solidarietà e il miglioramento delle condizioni del mondo. Si esprime, è vero in termini di lotta, ma precisa successivamente che si tratta di una lotta nonviolenta:

"Di fronte al continuo deterioramento nelle condizioni di vita dei popoli, noi, movimenti sociali del mondo intero, ci siamo incontrati in decine di migliaia nel Secondo Forum sociale mondiale di Porto Alegre. Siamo qui a dispetto dei tentativi di spezzare la nostra solidarietà. Ci incontriamo di nuovo per continuare le nostre lotte contro il neoliberismo e la guerra, per confermare gli accordi dello scorso Forum e riaffermare che un altro mondo è possibile"[Testo ripreso da http://www.diario.it/cnt/notizie/portoalegre2.htm#fine]

Un altro mondo è possibile. Lo è sia per il Decalogo di Assisi, sia per il Forum di Porto Alegre. Così come è possibile per entrambi l’impegno contro lo sfruttamento, le ingiustizie, la violazione dei diritti umani (cf. Forum Porto Alegre, nn. 3,10,11,12; cf. n. 13 sul debito estero, simile a quanto si trova nella lettera apostolica Tertio millennio ineunte, n.15). Per ciò che concerne l’inversione di tendenza di un’escalation di diffidenza e di tensioni nel rapporto tra Islam e restanti culture, la determinazione di porto Alegre è ugualmente decisa e netta, nel momento in cui afferma il carattere pretestuoso dei fatti criminali dovuti a fanatici e non alle religioni o alle culture in quanto tale:

"L'Islam viene demonizzato, mentre il razzismo e la xenofobia vengono deliberatamente diffusi. La stessa informazione e i mass media prendono attivamente parte a questa campagna bellicista che divide il mondo tra il "bene" e il "male". L'opposizione a questa guerra è uno degli elementi costitutivi dei nostri movimenti" (n. 4).

Il testo prosegue attraverso analisi e impegni che certamente spaziano in maniera molto più ampia, con visioni politiche complessive, che, per ovvi motivi, non sono presenti nel Decalogo di Assisi, tuttavia non sono in contraddizione, ma a noi sono sembrate in continuità con questo. In alcuni passaggi possono essere condivisi oppure no, ma in ogni caso esprimono il bisogno reale di un mondo non più segnato dalla discriminazione, dalla violenza e dall’ingiustizia. Dalla nostra parte, possiamo aggiungere che le religioni in questo campo possono e debbono fare molto di più.

2) Giudaismo, Cristianesimo e Islam e le loro comuni radici

Ciò che accomuna queste tre religioni è il cosiddetto monoteismo, la fede cioè in un unico Dio, al di fuori del quale non esiste altra divinità. Dio non è cercato al di fuori di sé, ad esempio in persone, animali, elementi naturali o oggetti sostitutivi. La sua realtà è la sua divinità e la sua divinità è la sua realtà, essendo Dio l’origine e il fondamento di tutto ciò che esiste e pertanto anche della religione. Secondo queste tre religioni, Dio, oltre ad aver creato l’uomo e il mondo, come suo ambiente di vita, si è manifestato facendosi conoscere attraverso la rivelazione. Questa è avvenuta tramite la sua comunicazione all’umanità attraverso uomini ispirati, il cui insegnamento, dopo essere stato trasmesso oralmente, è oggi disponibile per tutti attraverso i libri dove è stato messo per iscritto. Le tre religioni sono dette "Religioni del libro" ed hanno somiglianze non solo per questa concezione generale, ma perché credono che, oltre al medesimo Dio che ha parlato (Allah corrisponde al Dio chiamato Elohim in ebraico e al Dio di Gesù per il Cristianesimo), ci sono profeti e patriarchi comuni, che ne sono stati gli interlocutori. Così ad esempio, Abramo, Mosè, i profeti dell’Antico Testamento, Gesù e Giovanni Battista per il Nuovo. L’Islam aggiunge la rivelazione fatta a Maometto come definitiva e conclusiva rivelazione, cosa che i Cristiani e gli Ebrei non accettano, mentre Ebrei e Mussulmani non accettano la rivelazione definitiva di Cristo. Lo stesso Maometto (Muhàmmad) visse tra il 570 e il 632 d.C. Dieci anni prima della sua morte, l’egira del 622, è considerata il punto di riferimento cronologico di tutto l’Islam.

In ogni caso, nonostante queste ed altre notevoli divergenze, non deve essere sottaciuto il carattere della fede come dedizione a Dio e come attenzione verso i propri fratelli. Ciò accomuna le tre religioni in oggetto e nell’Islam si rinviene nella forma di "cinque pilastri", simili a cinque comandamenti fondamentali: 1) La confessione del nome di Dio; 2) l’importanza della preghiera; 3) la pratica del digiuno (Ramadan); 4) l’elemosina come cura del prossimo; 5) pellegrinaggio alla Mecca.

Fondamentale per l’Islam è il Corano, il libro sacro che è alla base dei pilastri che lo sorreggono. Qui, almeno la prima parte, contiene un apprezzamento per la restante "gente del libro" (ebrei e i cristiani), riconosce come rivelazione di Dio il Pentateuco, i salmi di David e il vangelo di Gesù. In riferimento al cristianesimo, ritiene però erronea la dottrina della Trinità, confusa come Dio come Padre, Maria come Madre e Gesù come Figlio, mentre considera solo apparenti la crocifissione e la morte di Gesù. Di lui accetta invece la nascita verginale da Maria, i miracoli da lui compiuti, l’ascensione al cielo e il suo futuro ritorno.

La seconda parte del Corano reca le tracce di un cambiamento nella concezione religiosa di Maometto verso Ebrei e cristiani, quando egli non venne da loro riconosciuto come profeta di Dio. Maometto li accusò di aver falsificato la rivelazione e comunicò alcuni cambiamenti come rivelati da Dio, come, ad esempio, la direzione verso cui pregare: in un primo tempo Gerusalemme (Sura 2,136) e successivamente verso La Mecca (2,145).

Tuttavia non bisogna dimenticare i punti di convergenza, che sono notevoli, come la creazione di Dio del cosmo e dell'uomo (cfr. Sura 55). L’uomo stesso è ritenuto vicario di Dio e pertanto superiore agli angeli, pur essendo corruttibile e violento (Sura 2, 28-33). È parimenti importante la considerazione che alla misericordia di Dio è collegata la misericordia verso gli orfani e verso i poveri (4,2.11). Sono tutti punti importanti che indicano non solo attiguità tra fede cristiana ed Islam, ma anche compiti precisi da assumere verso il mondo.

Essi si basano su una comune convinzione, che nasce da una comune esperienza di Dio come somma Verità e Trascendenza. Lo conferma, dal mondo islamico, il principe El Hassan bin Talal di Giordania, uomo di dialogo e profondo conoscitore del cristianesimo, oltre che dell’Islam, al punto di aver ricevuto la laurea onoris causa alla Facoltà Teologica di Tubinga. Sul rapporto tra Islam e Cristianesimo egli afferma che nonostante ogni differenza "ciò che li accomuna è l'essenza della religione. La comune, certa coscienza che al di là di tutti i limiti della conoscenza umana, esista un'ultima somma verità: ciò che l'apostolo Paolo chiama 'Sapienza nascosta di Dio' (1Cor 2,7), che non può esse colta in parole e della quale ‘le labbra umane non sono in grado di parlare’ [...] Il corano insegna su questo: 'solo Dio conosce il significato' (3,7)" [PRINZ EL HASSAN BIN TALAL VON JORDANIEN, "Elf Gebote für Geschwisterlichkeit", in Publik-Forum s.a. (26/10/01 n.20) Dossier IV].

Nonostante le drammatiche tensioni tra mondo islamico e mondo giudaico, che insanguinano la Palestina, non bisogna dimenticare, che anche l’Ebraismo, al pari dell’Islam e del Cristianesimo è da Dio orientato alla pace e non alla guerra, allo shalom, che non è solo assenza di guerra e di violenza (sarebbe già tanto nella tormentata terra delle tre grandi religioni!). Lo shalom è benessere e prosperità, armonia e rispetto dell’insieme e dunque anche degli altri, dei diversi. A tanto invitavano anche i profeti e alla pace hanno fatto riferimento i grandi maestri d’Israele. I loro detti e i loro insegnamenti sono stati spesso oggetto di racconti fortemente sapienziali. Uno di questi narra che ad Elia, apparsogli sulla piazza del mercato, un rabbi domandò se qualcuno di tutti i presenti avesse avuto parte al mondo futuro. Elia rispose che non c'era nessuno tra loro. Indicò però due uomini, sopraggiunti nel frattempo, come coloro che ne sarebbero stati degni. Al rabbi che aveva chiesto ai due che cosa mai facessero, questi risposero: "i comici; quando vediamo gli uomini con la mente turbata li rallegriamo, e quando vediamo due che litigano, facciamo pace tra loro" [Citato da D.L. e J.T.CARMODY, Pace e giustizia nelle Scritture delle grandi religioni, EDB, Bologna 1991, 141].

Dal brano si ricava che riconciliare e portare gli uomini alla pace è preparazione e attuazione del regno di Dio. Corrisponde al grande detto di Gesù: "beati i facitori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt5,9). Del resto Gesù ha fatto proprio questo: "Egli infatti é la nostra pace (Ef 2,14). Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo un muro di separazione che era framezzo, cioè l'inimicizia" (Ef 2,14).

Giunti a questo punto, ci domandiamo come mai la religione, soprattutto quella monoteista, sia stata spesso fonte di guerra e di violenza e non forza fermentatrice di pace. Le risposte sono tante e le abbiamo esaminate altrove [cf. il contributo "Quale nonviolenza scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo?" - Marcia della pace di Locri 31/12/01 in www.puntopace.net/Mazzillo/testiMazzIncontri1.htm].

Qui basti dire, in estrema sintesi, che quando l'Assoluto non è rispettato come tale, ma diventa un’appropriazione degli uomini della religione, dei suoi rappresentanti, rischia non di rado l’ideologizzazione. Di fronte all'Assoluto, non sempre l’uomo coglie la sua radicale povertà e l’impellente bisogno di rappacificarsi con gli uomini e con le cose, di riconciliarsi con se stesso e con le sue paure e di smascherare la sua pretesa volontà di potenza. Purtroppo, nei pressi dell’"Onnipotente", in molti casi si inebria di onnipotenza e pensa di far diventare onnipotente la sua religione e – ciò che è peggio – se stesso.

Colui che ha smascherato un simile processo e ha indicato l’onnipotenza di Dio nel suo rendersi disponibile all’uomo e soprattutto ai più inermi è stato Gesù di Nazareth. Di lui è scritto:

"Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,7-8).

"Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,8-10).

La kenosi di Dio (cioè lo svuotamento dell'Onnipotenza) appare a noi nella sete di giustizia e di pace della tradizione profetica. Essa raccoglie il grande programma di pace contemplato da Geremia e risalente fino a Dio, il quale aveva detto: "Io conosco i progetti fatti a vostro riguardo... progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza" (Ger 29,11).

Ma il Dio di cui parla Geremia è lo stesso delle tre grandi religioni monoteiste. È comunque un Dio che vuole la pace perché ama la vita. Chiama le creature e gli uomini a gioire con sé nell'amore della vita. Di lui le tre religioni possono sottoscrivere, come, insieme con gli esponenti delle altre religioni, hanno fatto ad Assisi i loro rappresentanti:

"Tu ami tutte le cose esistenti nulla disprezzi di quanto hai creato; che se avessi odiato qualcosa non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi?...Tu risparmi tutte le cose, perché sono tue, Signore amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose" (Sap 11,24-12,1).

Il Dio di riferimento non è semplicemente l’Onnipotente, ma il Dio vivente che vuole la vita e non la morte, la salvezza e non la disperazione dell’uomo, la pace e non la guerra dei popoli. Non è un essere indifferente in un cielo lontano, ma crea il mondo e l'uomo, dirige la storia e interviene in essa: progetta e libera, punisce – talvolta – ma solo per richiamare e per salvare.

3) L’ideale della pace nel mondo islamico

Da quanto detto finora si ricava che nelle religioni, a partire dalle tre risalenti ad Abramo, dette perciò "abramitiche", è di importanza fondamentale lavorare per la pace e per il bene degli uomini. Resta da considerare più da vicino come ciò interessi anche l’Islam, visto che ci siamo già soffermati sul giudaismo-cristianesimo.

Nonostante il fondamentalismo e le varie forme di violenza, che da alcune minoranze sono collegate alla propria religione, occorre dire che anche l’Islam conserva nella sua concezione di fondo l’ideale primario della pace. Il termine "pace" nell'Islam è salam, che deriva dal radicale salima, cioè star bene, non essere offeso, da cui salute, pace, ossequio. Il radicale si incontra già in epoca preislamica in espressioni tanto aramaiche che ebraiche. Al termine della preghiera ad Allah, il fedele si sente in dovere di offrire la pace anche agli altri, girandosi a destra e a sinistra. Lo stesso Maometto dava grande importanza alla pace, ricordandovi l'augurio degli angeli e il messaggio dei profeti.

Il termine "pace" ricorre spesso nel Corano. Ad esempio in: "In essa (notte del destino) discendono gli angeli e lo spirito con il permesso del Signore. Ed è subito gran pace fino allo spuntar del giorno" (97, 4-5). Oppure: "entrate in esso (paradiso) in pace. Questo è il giorno dell'eternità" (50,33; ma cf. anche 15,46; 10,25; 11,45[50]). Il paradiso è pertanto chiamato "casa della pace" (Dâr as-salâmi) (cf. 6,127; 10,26). L'augurio della pace è ancora quello che gli angeli rivolgono ad Abramo nell'annuncio del figlio Isacco (51,25; 11,69) ed indica una particolare benedizione ed una missione. Ma è anche l'ugurio e il benevenuto che sarà pronunciato ai fedeli passati nell'aldilà (10,10; 14,23; 16,32; 36,58; 39,73; 56,88-91). Indica la pienezza dell'approvazione divina su Giovanni Battista e su Gesù ("pace nel giorno del natale, pace nel giorno del trapasso, pace nel giorno della risurrezione": 19,15; 19,33-34).

Si può parlare di alcune interpretazioni di base della pace islamica, considerata talora come stato reale-psicologico, in quanto beatitudine interiore, felicità; oppure come stato interpersonale, sociale. Le due dimensioni della pace comunque sono spesso da considerare insieme. Un problema a parte è quello del gihâd: la cosiddetta "guerra santa". In realtà, anche se invocata come movimento militare e insurrezione armata da fanatici e fondamentalisti, il termine deriva da giahada, che significa tentare, sforzarsi, esercitarsi. Il concetto indica, al fondo, lo sforzo per raggiungere un obiettivo: contro il demonio, contro le proprie passioni, e anche contro coloro che si oppongono ad Allah o all'Islam (politeisti, infedeli ecc.). In questo caso è considerato uno strumento per ristabilire la pax islamica, ed è visto come una via alla pace. Solo a partire da questo sviluppo, il termine gihâd è stato ed è interpretato nel diritto islamico restrittivamente come "guerra santa". Ciò però non sopprime quanto finora detto sulla pace e sul rapporto tra pace e giustizia esistente anche nel mondo islamico.

In esso sarà bene distinguere una tendenza teocratica-fondamentalista e legalista, che parte dal principio che applicando per intero il messaggio coranico, si ottiene un mondo di pace e di giustizia. Con la conseguenza di avere uno stato islamico e di imporre le regole dell'Islam a tutti. Questa tendenza radicale ritiene che solo attraverso questa via si avrà la città della pace (Dâru s-salâmi), che è anche casa della giustizia (Dâru l-cadali), mentre il resto del mondo non ancora islamico è casa della guerra (Dâru l-harbi). È La tendenza che si ritrova nei vari fondamentalisti, a partire da quelli deliranti, che hanno provocato e provocano stragi, non accettate da altri più moderati, fino ad altri come quelli del movimento wahhabita (dell’Africa orientale). Si contrappone comunque al movimento ahmadiyya (di origine indiana) ed è riscontrabile più nell'Islam sunnita che in quello sciita.

C’è però nello stesso mondo islamico anche una tendenza aperturista-liberale. Parte dal presupposto che la realtà è mutata rispetto al mondo islamico del Profeta e ciò non rende più praticabile l'ideale islamico della prima tendenza. Ammette chiaramente che anche l'universo coranico risente delle differenti tendenze culturali e linguistiche di tanti musulmani. Tra essi hanno una loro particolarità quello francofono (Algeria, Marocco, Tunisia, Sénégal); quello anglofono (India, Egitto, Pakistan); quello di ispirazione italiana (Libia, Somalia). Qui si cerca un equilibrio tra pace, giustizia ed uguaglianza, rileggendo in chiave moderna i grandi temi religiosi dell'Islam. Occorre infine menzionare una tendenza mistica, che ripercorre l'itinerario dei mistici dell'Islam ritiene che attraverso l’ascesi si perviene alla pace, perché Dio stesso è pace. La pace è infatti uno dei nomi di Dio e deve permeare anche l'agire dei suoi fedeli.

 

Bibliografia minima

D.L. e J.T.CARMODY, Pace e giustizia nelle Scritture delle grandi religioni, EDB, Bologna 1991, 141; M. CASSESE, Religioni per la pace, Asal, Roma 1987. R. SWANGER, Brauchen wir einen Sündenbock, Gewalt und Erloesung in den biblichen Schriften, München 1978. G. BARBAGLIO, Dio violento? Lettura delle Scritture ebraiche e cristiane, Cittadella, Assisi 1991, 23. N. LOHFING, "Il Dio violento dell'Antico Testamento e la ricerca d'una società non violenta", in: La civiltà cattolica 135 (1984) vol. 2, 30-48. R. GIRARD, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980.