Alla  ricerca delle nostre radici
(Biagio Moliterni).
Pubblicato sul primo numero di punto>.<pace 

 La grotta dell’eremita fa parte di un complesso di luoghi frequentati già dalla fine del I° millennio dai monaci basiliani (dalla regola di san Basilio). Sarebbe più esatto definirli italo-greci, perché tra loro molti seguivano regole diverse e non pochi erano originari della nostra Penisola. Una notevole concentrazione di monaci si registra proprio nella Calabria, in particolar modo nella parte settentrionale della regione, dove ebbe sede la famosa “eparchìa di Mercurion“, il cui centro era nell’area di Orsomarso, comprendente, con ogni probabilità, anche il territorio tortorese e, forse, anche quello di Maratea. I basiliani svolsero un ruolo fondamentale nello sviluppo dei nostri territori, devastati dalle lunghe lotte tra Longobardi, Bizantini e Saraceni. I loro “cenobi” (quando non vivevano isolatamente, ma in raccordo organico tra loro) divennero centri di cultura religiosa e laica ed anche fucina per l’insegnamento di attività agricole e artigianali. Il forte radicamento religioso della nostra gente trova l’origine nell’opera di questi monaci. I basiliani erano di rito ortodosso e parlavano e scrivevano in greco. Molti di essi furono proclamati santi prima del grande scisma del 1054 e perciò sono venerati sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. Spicca la figura di san Nilo da Rossano (che trascorse dieci anni della sua vita in una grotta nei luoghi del Mercurion), ma vanno ricordati anche i santi Cristoforo, sua moglie Calì e i suoi figli Saba e Macario, e ancora san Nicodemo, san Vitale e san Ciriaco di Buonvicino. Le tracce dei monaci eremiti si riscontrano tuttora in alcune grotte. Una delle meglio conservate è la grutta di zu Jancu (dal colore del suo abito), in una delle colline di fronte all’isolotto di Santo Janni. La grotta è abbastanza piccola e nella parte iniziale è stata “restaurata”. All’interno sono chiaramente visibili il “posto letto” e varie nicchiette destinate ad ospitare le icone e le lampade: in una di queste è inciso un graffito. Un angolo risulta affumicato, per il suo probabile utilizzo come focolare, per ripararsi dal freddo e per cuocere i cibi. Sulle pareti rimangono i segni di alcune pitture  e di ben quattordici croci.