Magistrato:
SALVATORE DOLCE
CORSO di FORMAZIONE con
SEMINARISTI CALABRESI
La LEGISLAZIONE ANTIMAFIA
Le norme “antimafia”,
che riguardano, cioè, la criminalità organizzata di stampo mafioso, hanno
avuto, nel corso del tempo, uno sviluppo frammentario e disorganico – spesso
causalmente e temporalmente collegate al verificarsi di gravi fatti di sangue
- ragione per cui oggi le troviamo dislocate in diversi punti dell’ordinamento
penale; in particolare, vi sono norme “antimafia”:
-
di carattere sostanziale, rinvenibili nel codice penale o in alcune leggi ad
hoc;
-
di carattere processuale, rinvenibili nel codice di procedura penale o in alcune leggi ad
hoc;
-
nell’ordinamento penitenziario;
-
nelle varie leggi
disciplinanti le misure di prevenzione, raggruppate, nel 2011, nel c.d. codice
antimafia.
Quest’ultimo – contenuto nel decreto legislativo 159/11 – ha attuato solo parzialmente la legge
delega 136/10 – la cui finalità era quella di un riordino complessivo di
tutta la normativa antimafia, obiettivo il cui raggiungimento è ancora
lontano.
Non si può non partire col considerare che la mafia è stata individuata dal
legislatore come fenomeno criminale distinto rispetto alla comune delinquenza
organizzata soltanto a partire dal 1982,
anno di introduzione del reato di
associazione mafiosa previsto dall'art. 416-bis c.p. Tale norma, per stessa
ammissione di alcuni organi istituzionali, "riscatta
l'indifferenza e l'agnosticismo che per troppo tempo vi è stato nel nostro
ordinamento di fronte al fenomeno mafioso”.
La prima
Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia fu istituita nel
dicembre 1962 con la legge n. 1720;
il suo compito fu quello di approfondire le conoscenze dei settori economici
nei quali la mafia operava e di predisporre le misure necessarie per eliminarne
la diffusione; terminò i suoi lavori nel 1976
con la pubblicazione di 42 volumi di atti, accompagnati da una relazione di
maggioranza e due di minoranza. La relazione
di maggioranza condivideva la tesi allora dominante secondo la quale, non esisteva un'organizzazione formale
mafiosa e che sottovalutava il collegamento tra mafia e pubblici poteri
emerso durante i precedenti lavori della Commissione, considerando la mafia
piuttosto come un fenomeno sempre più simile al gangsterismo. I materiali allegati
alle diverse relazioni della Commissione Carraro resero di pubblico dominio una
gran mole di documenti, compresi i verbali di sedute della stessa, anche se
molti accertamenti vennero coperti da "omissis". Le conclusioni
evidenziarono l'esistenza di una complicità tra la mafia e l'area politica
governativa, ma il quadro non venne sufficientemente chiarito; anzi il
democristiano Carraro dette un'immagine ottimistica della situazione e dello
stato della lotta alla mafia, tale da indurre il Parlamento a non prorogare
l'attività della Commissione.
Il primo intervento normativo compiuto a seguito
dell'istituzione della Commissione antimafia fu costituito dall'emanazione
della legge 31 maggio 1965, n. 575 recante "Disposizioni contro la
mafia".
L'avvenuto mutamento della realtà criminale e le
difficoltà riscontrate nei processi contro mafiosi, di raccogliere il materiale
probatorio sufficiente per giungere ad una sentenza di condanna, indusse il
legislatore ad allargare l'ambito
di applicabilità delle misure di prevenzione, già introdotte nel
nostro ordinamento con la legge n. 1423 del 1956
Le misure di
prevenzione hanno una propria ratio, quella di prevenire la commissione di
reati da parte di soggetti ritenuti, sulla base di precisi indici
normativamente individuati, pericolosi per l’ordine o la sicurezza
pubblica; dunque, l’applicazione delle stesse non presuppone una
accertata responsabilità rispetto ad un fatto-reato, ma solo una valutazione di pericolosità.
Attraverso l'emanazione della legge n. 575/65, il
legislatore allargò la sfera
soggettiva di applicazione delle misure di prevenzione, prevedendo che
queste sarebbero state attivabili anche nei confronti dei soggetti "indiziati di
appartenere ad associazioni mafiose"(termine usato, ma ancora
privo di esatti contorni giuridici, perché, per come detto, il 416 bis c.p.
viene introdotto nell’ordinamento solo nel 1982).
La novità della legge sopra citata sta nell'aver
introdotto i cardini basilari dell'assetto giuridico indirizzato a combattere
la criminalità organizzata, ma i suoi effetti pratici nella lotta alla mafia
non si dimostrarono così risolutivi.
In primo luogo, la legge, poneva notevoli problemi
interpretativi a causa dell'indeterminatezza
del termine "indiziati" di mafiosità, finendo per rendere
l'applicazione delle misure di prevenzione del tutto discrezionale ed
aleatoria. Avallate dalla Corte Costituzionale, queste misure risultarono
comunque radicalmente avversate dalla dottrina penalistica perché fondate sul "sospetto" e non già
sui fatti su cui si impernia il diritto penale liberale.
La legge n. 646/19
settembre 82 "Rognoni-La Torre"
416 bis e misure di
prevenzione patrimoniali
Il 19
settembre 1982 venne varata
la legge n. 646/82, più
comunemente conosciuta come "Rognoni-La Torre"
che assunse una fondamentale importanza per aver introdotto l'art. 416-bis nel Codice Penale.
Non sarà l’unica legge partorita all’indomani
di gravi fatti di sangue; invero l'introduzione
dell'art. 416-bis c.p. si deve al
fatto che tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni
Ottanta iniziò una feroce guerra di
mafia che vide la commissione di numerosi omicidi perpetrati dalle
diverse famiglie mafiose; contemporaneamente la mafia aveva preso ad attaccare
ogni rappresentanza delle istituzioni che costituisse un ostacolo
all'espansione delle sue attività illecite. In particolare:
- il 30
aprile del 1982, a Palermo, venne ucciso in un attentato Pio La Torre, deputato e segretario
regionale del PCI siciliano, insieme al suo autista;
- il 3
settembre 1982, sempre a Palermo, avvenne l'uccisione del prefetto di
Palermo, generale dei carabinieri Carlo
Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell'agente di
scorta.
Lo Stato reagì con l'introduzione di due provvedimenti
emergenziali che cambiarono definitivamente il corso della lotta istituzionale
alla mafia.
Il 6 settembre
1982, dopo solo 3 giorni dall'omicidio di Dalla Chiesa, venne varato il D.L. n. 629, convertito con
modificazioni, nella legge 12 ottobre 1982, n. 726, recante "Misure urgenti per il coordinamento
della lotta contro la delinquenza mafiosa", che istituì l'Alto Commissariato per il coordinamento
contro la delinquenza mafiosa. Al nuovo organo, sottoposto agli ordini
diretti del Ministro dell'Interno, vennero attribuiti particolari ed autonomi
poteri di indagine presso le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici anche
economici, le banche e gli istituti di credito pubblici e privati, con la
possibilità di avvalersi degli organi di polizia tributaria nell'espletamento
delle proprie funzioni
Pochi giorni dopo, il 19 settembre, venne varata la citata legge n. 646/82, più comunemente conosciuta come "Rognoni-La
Torre" che assunse una fondamentale importanza per, per come
detto, per aver introdotto l'art.
416-bis nel Codice Penale.
Attraverso tale articolo, rubricato "Associazione
di tipo mafioso", il legislatore non solo sancì definitivamente il carattere illecito dell'organizzazione
mafiosa, ma tentò per la prima
volta di darne una definizione giuridica che fosse capace di individuare i suoi
meccanismi di funzionamento. La nuova figura di reato si riferiva, infatti,
a quelle associazioni che, pur costituendo un pericolo per l'ordine
pubblico, non presentavano tutti i requisiti propri dell'associazione per
delinquere prevista dal preesistente art. 416 c.p. Secondo la descrizione
di quest'ultima fattispecie criminosa era infatti necessario che la societas sceleris fosse
sorta in funzione della commissione di delitti, risultando inadeguata a
perseguire alcune moderne manifestazioni del fenomeno mafioso nel caso questo
avesse avuto di mira il perseguimento di
scopi paraleciti non costituenti delitto.
Ecco perché il legislatore ha imperniato la nuova
fattispecie sulla forza intimidatrice
del vincolo associativo, da cui nascono l'assoggettamento e l'omertà di quanti entrano in rapporti con
l'associazione.
La legge,
inoltre, introdusse per la prima volta, le misure
di prevenzione patrimoniali, volte a colpire l'accumulazione illecita
di patrimoni; accanto a queste, vennero previste anche nuove misure interdittive finalizzate ad ostacolare lo
sfruttamento mafioso delle attività della pubblica amministrazione, nonché
l'istituzione della seconda Commissione parlamentare antimafia.
Iniziamo ad esaminare la norme antimafia, partendo da quelle di natura sostanziale.
Norme sostanziali “antimafia”
416 bis c.p.
(modificato
dalla Legge n. 125/08 e dal D.vo 21 maggio 2015)
Art. 416-bis.
Associazione di tipo mafioso
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da
tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per
ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni.
L'associazione è di tipo
mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono
della forza
di intimidazione
del vincolo
associativo
e della
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva (dalla forza
di intimidazione)
- per commettere delitti,
- per acquisire in modo
diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche,
di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici
- o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per
altri,
- ovvero al fine di impedire
od ostacolare il libero esercizio del
voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni
elettorali.
Se l'associazione è armata
si applica la pena della reclusione da dodici (4) a venti
anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei
casi previsti dal secondo comma.
L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la
disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o
materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere
il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o
il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate
da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle
cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono
l'impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra,
alla ‘ndrangheta
(6) e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche
straniere (7), che valendosi della forza intimidatrice del vincolo
associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo
mafioso.
Il reato suddetto viene introdotto in quanto l’art.416
c.p. - delitto contro l’ordine pubblico che prevede una societas sceleris sorta in funzione della commissione di più delitti. – era norma risultata
inadeguata a perseguire alcune manifestazioni del fenomeno mafioso nel caso
questo avesse avuto di mira il
perseguimento di scopi paraleciti non costituenti delitto.
Ecco perché il legislatore ha imperniato la
fattispecie di cui all’art. 416 bis
c.p. sulla forza intimidatrice
del vincolo associativo, da cui derivano l'assoggettamento e l'omertà di quanti entrano in rapporto con
l'associazione.
Infatti, nel 416 bis c.p.,
quella della commissione di delitti è solo una delle possibili finalità
dell’associazione, che potrebbe avere anche altri obiettivi:
-
acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il
controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e
servizi pubblici
-
realizzare profitti o
vantaggi ingiusti per sé o per altri,
-
impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o
procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Dunque, è una fattispecie il cui disvalore penale è imperniato su:
-
forza intimidatrice del vincolo
associativo;
-
assoggettamento e/o omertà di quanti
entrano in rapporto con l'associazione, situazione da ricondurre, sotto il profilo causale, alla forza di intimidazione del vincolo associativo;
è
l’uso del metodo mafioso a dare rilevanza penale al perseguimento
di finalità che potrebbero essere in sé
lecite
La legge del 2008
– recependo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato - sgancia
la mafiosità di un’ associazione dai territori in cui la stessa è
nata e storicamente opera, affermando che le caratteristiche del 416 bis potrebbe averle anche un’associazione straniera.
La
norma prevede una distinzione dei ruoli
degli associati, con conseguente diversità della pena edittale, che è più
alta per capi/promotori/organizzatori rispetto ai semplici partecipi.
Scambio
elettorale politico-mafioso. (1)
L. 17 aprile 2014, n. 62
Chiunque
accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo
comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di
erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro
a dieci anni.
La
stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui
al primo comma.
Altra norma antimafia di
natura sostanziale è quella di cui all’art. 416 ter c.p. sopra riportata.
I punti fondamentali di tale norma sono:
1)
È punita anche la sola accettazione
della promessa di procurare voti, anche se chi li accetta non ha preso alcuna
iniziativa per cercarli;
2)
Il corrispettivo è ogni altra utilità e non solo denaro;
Questo vuol dire che commette il reato anche chi, in cambio dei
voti, promette, non l’erogazione di denaro ma, per esempio, l’aggiudicazione
di un appalto pubblico o il superamento di un concorso pubblico.
3) ancora
sul “corrispettivo”:
basta promettere di erogare, non è
necessario averlo già fatto.
E’ una norma che attribuisce rilevanza penale alla condotta del
soggetto - estraneo all’associazione
– che (anche solo) accetta la promessa di avere voti che saranno procurati con metodo
mafioso e, in cambio, eroga
o promette l’erogazione di denaro o
altre utilità.
Per come visto, vi è stata una anticipazione della soglia
della punibilità, rimanendo al di fuori della fattispecie:
-
sia l’aver effettivamente procurato voti;
-
sia
l’aver effettivamente usato il “metodo mafioso”
Ci sono, poi, varie norme, che puniscono il comportamento
di chi, pur non facendo parte
dell’associazione mafiosa, aiuta in
qualche modo l’associazione stessa ed i suoi componenti:
Art. 378.
Favoreggiamento personale.
Chiunque, dopo che fu commesso un
delitto per il quale la legge stabilisce la pena di morte) o l'ergastolo o la
reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere
le investigazioni dell'autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte
penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi
soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni. (1)
Quando il delitto commesso è quello
previsto dall'art. 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della
reclusione non inferiore a due anni
Art. 418.
Assistenza agli associati.
Chiunque, fuori dei casi di
concorso nel reato o di favoreggiamento, dà
rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di
comunicazione (1) a taluna delle persone che partecipano
all'associazione è punito con la reclusione da due a quattro anni. (2)
La pena è aumentata se l'assistenza è prestata (3) continuamente.
Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.
Vi è poi una norma che prevede una pena più elevata quando un reato comune è stato commesso per
agevolare l’associazione mafiosa o utilizzando il metodo mafioso; è,
dunque, una circostanza aggravante
del reato:
Art. 7 L. n. 203/1991
Circostanza aggravante
«Per
i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste
dall'art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo
stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà.
Le
circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'art. 98 del codice
penale, concorrenti con l'aggravante di cui al comma primo, non possono essere ritenute equivalenti o
prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla
quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante».
Le norme sopra riportate coprono
tutte i possibili rapporti con un’associazione di stampo mafioso, dall’affiliato – come capo o semplice partecipe – a colui che, pur essendo estraneo alla cosca, mantiene rapporti con essa.
Vi sono, infatti, per esempio:
- imprenditori
che si prestano a reinvestire nelle
proprie aziende i proventi derivanti dal traffico degli stupefacenti o dalle
estorsioni ai commercianti;
- soggetti incensurati che offrono la propria disponibilità alle cosche per custodire armi o per dare ospitalità ai
latitanti;
- professionisti – contabili,
avvocati, medici – ed anche giudici e
dirigenti amministrativi, che mettono a disposizione delle cosche la
propria professione o il proprio ufficio.
Questi soggetti, che tengono i comportamenti suddetti, senza
pero’ appartenere in senso stretto all’associazione mafiosa, potranno
rispondere di uno dei diversi reati di cui sopra.
Altra norma importante è quella che segue, il cui fine è riconoscere un vantaggio, in termini di
sconto di pena, al mafioso che
collabora con la giustizia:
Art. 8 L. n. 203/1991
Circostanza attenuante
Riduzione di pena per il responsabile di 416 bis o reati aggravati
ex art. 7 che:
- si dissocia e si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a
conseguenza ulteriori, anche con sole dichiarazioni
relative alla ricostruzione dei
fatti, all’individuazione degli autori dei reati ed alla loro cattura.
Si tornerà in seguito a parlare dei benefici per i “collaboratori di giustizia”
Altra norma di diritto
penale sostanziale importante è
quella di seguito riportata, che disciplina la confisca dl patrimonio che il mafioso ha accumulato grazie alla sua
attività criminosa:
Colpisce
l’accumulo di ricchezze del mafioso a
prescindere dal collegamento diretto con l’attività delittuosa.
12-sexies L. 356/92. Ipotesi particolari di confisca .
Nei
casi dicasi di condanna
o di applicazione della pena su richiesta a norma dell' art. 444 del codice
di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dagli articoli … 416-bis….. reati di eversione e aggravati
ex art. 7 L. n. 203/91, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il
condannato non può giustificare la
provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica,
risulta essere titolare o avere la
disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito,
dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
E’ una norma che, insieme a quelle contenute nel c.d. codice
antimafia di cui parleremo dopo, ha come finalità l’aggressione ai patrimoni illeciti, nella
convinzione della grande importanza di ciò nella lotta alla mafia.
Sistema carcerario
Anche in relazione al sistema carcerario, vi sono norme che tengono conto della natura mafiosa del delitto.
Innanzitutto gli artt. 1-2
L. n. 203/1991, in cui è prevista l’esclusione
da vari benefici relativi all’esecuzione
della pena per i condannati per fatti di mafia (assegnazione al lavoro esterno,
permessi premio e misure alternative alla detenzione, liberazione condizionale),
salvo che vi sia la prova positiva della loro fuoriuscita dai circuiti
criminali organizzati.
La norma forse più importante è, però, quella di cui all’art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario, quella relativa al c.d. carcere
duro per i capi mafia.
In buona sostanza, in presenza di situazioni di emergenza, il Ministro
della Giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in
parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e
degli internati; avverso il decreto del Ministro, il detenuto può fare
ricorso davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
La sospensione delle regole di trattamento negli istituti si
concretizza::
- nella riduzione del
numero e della durata dei colloqui che, peraltro, vengono sottoposti
a controllo auditivo ed a registrazione;
- nella limitazione
delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno;
- nell'esclusione
dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati;
- nella sottoposizione
a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del
Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di
giustizia;
- nella limitazione
della permanenza all'aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a
quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno.
Norme processuali
L’attuale sistema processuale è connotato dal c.d. doppio
binario in relazione ai fatti
di criminalità organizzata, che giustificano
delle deroghe alla disciplina procedimentale ordinaria.
Alcune norme processuali vennero inserite direttamente nel nuovo
codice, ma le altre, quelle in tema di ricerca
e acquisizione della prova, furono inserite solo nel 1992, col decreto n. 306 dell’ 8 giugno, convertito nella legge 356
del 7 agosto 1992.
Le date del decreto e della legge di conversione non lasciano
dubbi sull’accelerazione dovuta alla strage di Capaci del 23 maggio 1992
e di via d’Amelio del 19 luglio
1992.
NORME
del CODICE di
deroga alla disciplina procedimentale ordinaria:
-
articoli 51 comma 3 bis, 328 comma 1 bis e 371 bis c.p.p. (individuazione
della competenza della Procura
Distrettuale/Nazionale antimafia e del GIP/GUP distrettuale) integrate dagli
articoli 102-103-104-105-106
del codice
antimafia del 2011;
-
disciplina
della durata della indagini preliminari, con un termine più
lungo e la possibilità di ottenere una proroga di tale termine senza contraddittorio;
-
disciplina
della durata della misura cautelare (termine
più lungo, proroga, sospensione, artt.
303/304 c.p.p.)
-
presunzione
di sussistenza delle esigenze cautelari; (art. 275 c.p.p.)
-
presunzione
di necessità della custodia in carcere ed esclusione delle misure cautelari
alternative; (ma vedi sentenza 29.03.2013 n°
57)
In buona
sostanza, il soggetto responsabile –
o, meglio, gravemente indiziato – di reati
di mafia, si presume essere
in grado di commettere altri gravi
reati, di inquinare le prove e di sottrarsi al processo e, dunque, diventa necessario mantenerlo in carcere anche
prima della condanna definitiva.
Questa regola
ha, però, diverse eccezioni, tutte legate ai principi costituzionali della generale
inviolabilità della libertà personale e della presunzione
di innocenza sino ad una sentenza definitiva di condanna.
Norme
processuali introdotte dalla legge
356 del 7 agosto 1992.
Altra disciplina particolare è quella delle intercettazioni nei reati di mafia:
-
indizi
sufficienti (non
gravi ex art. 267 c.p.p.)
-
necessità (non indispensabilità
ex art. 267 c.p.p.)
-
durata
(40 gg.
e proroghe di 20)
-
tra
presenti anche ove non si svolge l’attività delittuosa
In
buona sostanza, quando si indaga per reati di mafia, è più semplice eseguire attività di intercettazione, sia
telefonica che tra presenti e tale
attività può durare più a lungo.
Abbiamo poi:
-
l’ art. 190 bis: esclusione della necessità
di rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento del giudice;
In buona sostanza, nei processi aventi ad oggetto reati
di mafia, si tende a ridurre al minimo in dispensabile i casi di effettivo esame dibattimentale di un testimone o di un collaboratore di
giustizia, soprattutto quando questi hanno già deposto su tali fatti.
Collaboratori/testimoni di giustizia e il loro trattamento processuale
e penitenziario (legge n. 45/01 che ha
modificato la legge n. 82/91
E’ una legge che garantisce protezione
e vari benefici, processuali, penitenziari ed economici, a collaboratori e testimoni di giustizia:
-
ambito
di operatività (per i collaboratori): REATI DI MAFIA, TERRORISMO, EVERSIONE
-
MISURE
DI PROTEZIONE durante la collaborazione (nei 180 gg.
e sino a quando durano le deposizioni dibattimentali);
-
Attenuante
della collaborazione (art. 8 L. n. 203/91; art. 16
quinquies L.n. 82/91-verbale
illustrativo della collaborazione)
-
Revoca
o sostituzione della misura cautelare per effetto della collaborazione (art.
16 octies L.n. 82/91)
-
BENEFICI
PENITENZIARI (art. 16 nonies L.n. 82/91)
Evidentemente la concessione di tali benefici è subordinata ad una
verifica concreta delle dichiarazioni
rese dal collaboratore ed al fatto che questi mantenga un certo comportamento durante la protezione.
Le misure di prevenzione personali e patrimoniali
Hanno, per come già detto, la funzione di controllare le persone valutate come pericolose, in
quanto, sulla base di elementi di fatto, dediti
a traffici delittuosi.
Quelle
di natura patrimoniale hanno, invece, la funzione di sequestrare
e confiscare il patrimonio di derivazione illecita.
I soggetti destinatari delle misure
di prevenzione personali sono:
1)
coloro
che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a
traffici delittuosi;
2)
coloro che per la condotta ed il
tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i
proventi di attivita’ delittuose;
3)
coloro che per il loro
comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che
offendono o mettono in pericolo l’integrita’ fisica o morale dei minorenni, la
sanita’, la sicurezza o la tranquillita’ pubblica;
4)
gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis
c.p.;
5)
i soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis,
del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all'articolo
12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356;
La legge prevede, poi, la possibilità di eseguire indagini patrimoniali su tali soggetti,
indagini, cioè, sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e patrimonio anche
del coniuge, dei figli e di coloro
che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti pericolosi, nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del
cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in
parte, direttamente o indirettamente.
Dunque, indagini ad amplissimo spettro, finalizzate ad individuare
anche i prestanome, vale a dire soggetti formalmente intestatari di
beni che appartengono, in realtà, ai soggetti pericolosi.
I beni in tal modo individuati, potranno essere sottoposti, prima
a sequestro e poi a confisca definitiva, quindi essere
sottratti ai mafiosi ed agli altri soggetti
pericolosi, ed essere acquisiti nel patrimonio dello Stato, il tutto sempre
che si tratti di beni:
- il cui valore risulta
sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta;
- ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano
il frutto di attività illecite o ne
costituiscano il reimpiego.
Sono queste le norme principali definibili come antimafia,
nel senso che riguardano aspetti diversi della lotta dello Stato
alla criminalità organizzata, che, però, potrà essere vinta, sono
attraverso una sinergia tra una diversa tipologia
di interventi, che devono essere,
innanzitutto, mirati ad eliminare le condizioni - degrado sociale, mancanza di
lavoro e, ancor prima, di validi riferimenti
valoriali, per i giovani - grazie a
cui la mafia attecchisce.
Io credo che la Chiesa
possa e debba continuare a svolgere un ruolo importante ai fini sopra indicati,
così come sinora fatto attraverso tanti
sacerdoti che hanno anche pagato con la vita il loro impegno
sociale/educativo; il riferimento è, ovviamente, a don Peppino PUGLISI, parroco di Brancaccio ucciso da Cosa Nostra e a don Peppe DIANA, parroco
di Casal di Principe Brancaccio ucciso dalla CAMORRA.
Don Peppe Diana fu ucciso dalla camorra
il 19 marzo 1994 mentre si accingeva a celebrare messa.
La sua morte non è stata solo la scomparsa di una persona vitale, di un capo
scout energico, di un insegnante generoso, di un testimone d'impegno civile: uccidere
un prete, nella sua Chiesa, mentre si accingeva a celebrare messa, è diventato
l'emblema della vita, della fede, del culto, violati nella loro sacralità.
Uno dei suoi testamenti spirituali è il documento contro la camorra "Per
Amore del mio popolo",
scritto nel 1991 insieme ai sacerdoti di Casal di Principe; un messaggio
di rara intensità e, purtroppo, di grande attualità.
Non dimenticare don Giuseppe Diana significa non solo ricordarlo per
quello che era, ma soprattutto testimoniare quotidianamente il suo messaggio
d'impegno civile, di lotta alla criminalità organizzata, di costruzione di
giustizia sociale nelle comunità locali, d'amore per la propria terra.
Salvatore Dolce